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Atletica UISP on line

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<str<strong>on</strong>g>Atletica</str<strong>on</strong>g> <str<strong>on</strong>g>UISP</str<strong>on</strong>g> <strong>on</strong> <strong>line</strong> - PROVINCIA DI FIRENZE<str<strong>on</strong>g>Atletica</str<strong>on</strong>g> <str<strong>on</strong>g>UISP</str<strong>on</strong>g> <strong>on</strong> <strong>line</strong> - EditorialeFULL N<strong>on</strong> c’è più postoIl punto n<strong>on</strong> è il male, ma la nostra risposta ad esso. È questa a definire il nostro grado di civiltà e di c<strong>on</strong>nivenzac<strong>on</strong> la colpa. Esist<strong>on</strong>o, certo, gradi diversi di resp<strong>on</strong>sabilità: chi compie un delitto n<strong>on</strong> è certoequiparabile al cittadino che ne apprende la notizia, magari per caso. C’è, però, uno stato di colpevolezzache tutti ci accomuna: scatta nel momento in cui smettiamo di credere nell’Uomo, dimentichiamola fiducia nelle sue possibilità di riscatto, pensiamo che l’unica prevenzi<strong>on</strong>e possibile sia il timore dellapena. Che ne resta allora del nostro tribunale interiore? Di quell’ascolto quotidiano che si fa mettendosiuna mano sul cuore per sentire se batte ancora? N<strong>on</strong> sto parlando di perd<strong>on</strong>o. Mi trovo nel momento incui il colpevole, come lo “straniero” di Camus di fr<strong>on</strong>te al cappellano, dice: “Ero colpevole, pagavo, n<strong>on</strong> sipoteva chiedermi nulla di più”, rifiutando così qualsiasi possibilità di dialogo c<strong>on</strong> un Dio in cui n<strong>on</strong> crede.È la c<strong>on</strong>sapevolezza del negativo, dell’assurdo, ineliminabile dalla natura umana, a spingerlo a questec<strong>on</strong>clusi<strong>on</strong>i. Lo zoccolo duro c<strong>on</strong>tro il quale sbatte ogni nostro tentativo di comprensi<strong>on</strong>e.Si tratta poi di fare un passo ulteriore e chiedersi se alla banalità del male n<strong>on</strong> valga la pena risp<strong>on</strong>dere c<strong>on</strong>la costruzi<strong>on</strong>e del bene. Sotto<strong>line</strong>o“costruzi<strong>on</strong>e” perché la c<strong>on</strong>siderouna reazi<strong>on</strong>e tutt’altro che immediata.C’è di mezzo il fattore tempo,quei cinque, dieci, vent’anni,una vita, in cui lavori c<strong>on</strong> e, a volte,anche c<strong>on</strong>tro te stesso. In terminetecnico si definisce rieducazi<strong>on</strong>edel reo (ce ne parla nelle pagineinterne il prof. Carlo Alberto Romano):è un principio sancito dallanostra Costituzi<strong>on</strong>e e pressochéinteramente disatteso nei fatti.Il VII rapporto sulle c<strong>on</strong>dizi<strong>on</strong>i didetenzi<strong>on</strong>e in Italia attesta unarealtà di carceri fuori legge, c<strong>on</strong>quasi 70 mila detenuti c<strong>on</strong>tro unacapienza prevista di 44.612, organiciridotti all’osso, c<strong>on</strong>dizi<strong>on</strong>i igienicheprecarie e uno spazio-tempoquasi nullo per la rieducazi<strong>on</strong>e.Negli ultimi tre anni il nostro Paeseè stato c<strong>on</strong>dannato ben cinquevolte dalla Corte Europea dei Dirittidell’Uomo per le c<strong>on</strong>dizi<strong>on</strong>i degliistituti penitenziari. E poi dic<strong>on</strong>oche in carcere n<strong>on</strong> ci va più nessuno…Forse, molto banalmente,perché n<strong>on</strong> c’è più posto.D<strong>on</strong>atella VassalloVincent Van Gogh, “La r<strong>on</strong>da dei carcerati” (1890).

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