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Pulsional Ritual - Politicamente.Net

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TACCUINO di POESIA EVENTO ARTE‘Vitaldo Conte / Vitaldix’5


VITALDO CONTEGIOVANNI SESSA<strong>Pulsional</strong> Ru.mo.re!PULSIONALRITUALTransArtin Sud-Mediterraneo Ambienti-Anima Suono_____________________________________________________________________________________________g e p a s


Copertina di Vitaldix T RosePrima edizione© by G.E.P.A.S. – Avola (SR) novembre 2012La vendita è solo on-line e in presentazioniGEPAS – tel. 0931 1967314 – gepas@tiscali.itISBN 978-88-97391-180


INDICEVITALDO CONTE1. PULSIONAL in frammenti-richiamip. 7_ ...il flauto di Pan e il ritorno di Dionisocome rianimazione naturale... “ 7_ Sicilia-Mediterraneo e la pulsionecome ritmo-cibo d’arte “ 9_ ...richiami neotribali e sciamanici...(dall’intervista di Marco Fioramanti) “ 112. RITUAL arte a sud “ 14_ Rose rosse come maschere e antropofagiedell’arte a sud “ 14_ Donna come arte e tradizione “ 17_ Contaminazioni d’arte come anima-natura “ 22_ Geo-grafie e lettere-desiderio “ 253. RITUAL trans-art “ 31_ Architetture di sabbia e sassi “ 31_ Architetture di natura “ 33_ Architetture come gioco del Sé “ 35_ Architetture dell’anima “ 36_ Ambienti di vibrazione e d’acqua “ 384. RITUAL archetipi e mistiche extreme “ 45_ Malie plastiche “ 45_ Sguardo velato come Mystica d’arte(le ‘statue velate’ di Raimondo de Sangro) “ 49_ Dispersioni dell’arte bianca verso l’invisibile “ 535


GIOVANNI SESSADa Sud: per un’Arte Mediterranea<strong>Pulsional</strong>ità, <strong>Ritual</strong>ità, Tradizione tra Megaliti e... p. 59_ Suggestioni hillmaniane “ 62_ Tra Dolmen e Megaliti “ 64_ Del Labirinto “ 69_ Della materia mentale “ 71_ Della letteratura assoluta “ 72_ Del Suono originario “ 75_ Il suono in Grecia: Platone e Aristotele “ 78_ Suono-Musica e contemporaneità “ 81_ Musica contemporanea e Tradizione: il caso Evola “ 85_ Conclusioni “ 87SEGNALI DI PULSIONAL RU.MO.RE! “ 89Vitaldo Conte “ 91_ 1. Rumore bianco “ 91_ 2. Polifonie del corpo in rumore-desiderio... “ 92Antonio Saccoccio “ 94_ 1. Rumorismo e paesaggi sonori:il ritorno del dionisiaco “ 94_ 2. Dalle canzoni rumoristeal PULSIONAL RU.MO.RE! “ 95Helena Velena “ 97_ S/Formazione dell’In/Contenuto “ 97


VITALDO CONTE1. PULSIONAL in frammenti-richiami...il flauto di Pan e il ritorno di Dioniso come rianimazionenaturale...“Sotto l’incanto del dionisiaco non solo si stringe di nuovoil vincolo fra uomo e uomo; anche la natura fatta estranea,nemica e soggiogata, festeggia di nuovo la sua conciliazionecol suo figliol prodigo, l’uomo.” F. NietzscheNell’antro della creatività Pan, accettando l’oscurità della proprianatura archetipica, è l’entronauta che si predispone al viaggioverso la luce, la consapevolezza delle pulsioni ancestrali, incui l’arcaico e il contemporaneo possono diventare lingue inprogress dell’espressione artistica. Il suo flauto è un richiamo perla nostra rianimazione naturale. L’antro (possibile, impossibile,immaginale) diviene così un paesaggio interiore, il sogno e ilsegreto movente della creazione stessa, una metafora e realtàinsieme, indicante “i recessi materiali in cui risiede l’impulso, glioscuri fori della psiche da cui nascono desiderio e panico” (J.Hillman).C’è da augurarsi, forse, per un nostro risveglio, il ritorno diDioniso: i suoi fedeli d’amore lo aspettano per fuoriuscire dallaclandestinità e celebrarlo con la danza estrema. Le Baccantisono pronte a “resuscitare” i suoi riti con la loro estatica frenesianel movimento della festa che incarna “la negazione diogni limite”. Dioniso “è il dio la cui essenza divina è la follia.Ma, per cominciare, la follia stessa è essenza divina. Divina,cioè a dire, qui, che rifiuta la regola della ragione” (G. Bataille).Talvolta la religione è associata alla ragione con le sue norme,7


“usata” per regolamentare la libertà dell’essere: ma l’essenzadella religione è sragionante: “La religione è senza dubbio, anziè fondamentalmente sovversiva: essa distoglie dall’osservanzadelle leggi. Almeno, quel che essa comanda l’eccesso, è ilsacrificio, è la festa, di cui l’estasi è il culmine.” (G. Bataille)Un’amica poetessa, diversi anni fa, “velata” con una identitàrituale, m’inviò una cartolina da Siracusa con delle parole, cheoggi comprendo e “allego” come auspicio a questo testo: “Lanecessaria follia-saggezza del dio, la sacralità che custodisce ilsenso profondo della vita entro ogni arida astrazione e violenzaschematica del potere – è stata celebrata –. Quasi impossibilenon pensare a te che desideri il suo ritorno.”La nostalgia del Mediterraneo e il desiderio del Sud, vissuti persecoli nella storia europea, particolarmente nella Mitteleuropa,oggi possono “esistere” come pulsione-rumore di una nostrarianimazione, archetipica e creativa.“Ma la ‘Grecia’ alla quale noi ci volgiamo non è letterale;essa comprende tutti i periodi dal minoico all’ellenistico, tuttele località dall’Asia Minore alla Sicilia. Questa ‘Grecia’ rimandaad una regione psichica storica e geografica, ad una Greciafantastica o mitica, ad una Grecia interiore della mente che èsoltanto indirettamente connessa con la geografia e la storiaeffettive (...).” (J. Hillman)Pan, fuoriuscito dall’oscurità della sua/nostra “caverna”,continua ad aspettarci, liberato dalle inquisizioni delle norme,dei divieti, delle paure, come materialità e natura originaria(corporea e psichica).Durante i funerali per la morte di Crowley che amò molto laSicilia (nel suo testamento scrisse che voleva essere seppellitosulla Rocca di Cefalù), i partecipanti declamarono un Inno a Pan,una sua poesia, che è ancora raccolto dai suoi fedeli: “Vieniattraverso il mare della Sicilia e dell’Arcadia! Vagante comeBacco, con i fauni e pardi e ninfe e satiri per guardie … Vieni a8


me, a me! Vieni insieme ad Apollo in abito nuziale … (…) vieniattraverso il mare … Vieni col flauto e la zampogna! … Fai ciòche vuoi come può fare un dio … manichino, fanciulla, ninfa,uomo … nella forza di Pan …” (A. Crowley)Sicilia-Mediterraneo e la pulsione come ritmo-cibo d’arte“Non esiste alcun luogo che io desideri vedere più dellaSicilia.” G. BerkeleyLa Sicilia, “liberata” dal rappresentare il Sud di qualcosa, puòessere centro dell’erranza e della geo-grafia (terra-scrittura)di una espressione che ha negli “antri” e nelle navigazioni delMediterraneo i propri segreti impulsi (culturali e archetipici)di naturale percorso. Questo può essere “attraversato” dachiunque come il proprio viaggio di Ulisse: con una seduzioneincessante per il “segreto”, ricercando e rileggendo radici epulsioni ancestrali (mitiche, simboliche, visionarie) del mondo.Con l’attrazione, persistente e irresistibile, a oltrepassare iconfini del mondo “visibile” di ogni epoca, fino alle sue ultimeed estreme “porte”: come quelle delle colonne d’Ercole – luogodi segnalazione immaginaria più che geografica – che volevanoindicare la freccia verso l’ignoto, la paura del non conoscibile, ilrischio del proprio perdersi.La Sicilia è terra di “ferite” e follia, della natura e storia: iltaglio d’acqua dello stretto che la divide dal continente (cosìimpalpabilmente vicino), il taglio di fuoco delle bocche dei suoicrateri, il taglio delle sue memorie e contaminazioni culturali, iltaglio drammatico delle sue storie e narrazioni (come nelle operedei pupi), il taglio mutilante dei corpi delle sue sante patrone(Santa Agata, Santa Lucia), ecc.La Sicilia è sempre stata percorsa da extreme e segretelingue. Tra quelle che mi hanno maggiormente coinvolto: quella9


artistica del ceroplasta siracusano Gaetano Giulio Zumbo,geniale ed eccentrico, operante nella seconda metà del ‘600,con la dissoluzione dei suoi corpi di cera, con cui anticipò delletematiche che oggi potremmo definire di ‘arte estrema’; quelladell’alchimia erotica con la singolare figura dell’inglese AleisterCrowley, che scelse la Sicilia (Cefalù) per edificare la fantasticaThélema, la sua Abbazia iniziatica e vibrazionale; quella piùrecente del pensiero del catanese Gino Raya sul famismo, conla sua corporeità che escludeva la metafisica, in quanto è dalla“fame” che deriva ogni azione, compresa l’opera letteraria ed’arte: “Per capire l’arte bisogna partire dal corpo. Nel corpoumano in quanto più evoluto degli altri animali, si deve potertrovare la radice tanto del sadismo quanto dell’arte”.In diverse espressioni del corpo d’arte, soprattutto collegateall’azione performatica, gli elementi naturali convivono conritualità anche estreme, che cercano “contatti” con gli archetipiancestrali. Il cibo stesso diviene materiale e suggestione per unacreazione intesa come pulsione primaria.Gino Raya (1906-1987) ha elevato la “fame” a energia, anaturale pulsione di esistenza, erotismo e creatività, liberandoil sadismo dal rappresentare una perversione morale,attribuendogli, viceversa, capacità di intuizione lirica e artistica.Un corpo è fame, ma la fame è ritmo: ciò “informa” il pasto ela sua rievocazione, anche quando questo non è consumato. Ilprimo legame fra arte, gioco e sadismo, consiste, nell’espansionedel ritmo-pasto: il suo senso può scendere nella direzione piùsemplice e divorante, ma può protendersi verso vette semprepiù elevate.Se l’essenza dell’arte è il ritmo, il suo banchetto antropofagico“vuole” la celebrazione della propria danza-opera che divienemadre di tutte le arti. In questa danza rituale il corpo ha bisognodell’artista, “muovendo” le arti con movenze e pause sempre più10


complesse. La contiguità ritmica fra arte e sadismo entra nelladanza originaria dell’universo, che è già ritmo....richiami neo-tribali e sciamanici... (dall’intervista di MarcoFioramanti)Puoi evidenziarmi l’aspetto sciamanico e i richiami neo-tribalinella tua esperienza performativa nel Salento?L’energia magnetica della terra può “richiamarci”, in molteplicipercorsi della vita, con richiami ancestrali. Le sue ritualità vivonoancora nella nostra memoria collettiva, anche percorrendo ledimensioni sinestetiche dell’arte. La possessione archetipica,da non confondere con quella patologica o del diabolicocristiano, può ricercare la “fuoriuscita” attraverso l’esorcismosciamanico nella sua collettività. Come è accaduto nel Salento,con la pizzica della Taranta. Per secoli le donne salentine sonoincorse in svenimenti e smanie per il pizzico del ragno del dioche danza. Questo stato di trance incarna una esaltazione ritualedel femminile, avvicinandole all’orgia delle antiche baccanti, aglieccessi e invasamenti delle sacerdotesse possedute nei sacrimisteri. L’irruenza di queste pulsioni può rappresentare questaliberazione.Ho voluto riascoltare – anche come teorico e artista – leenergie sciamaniche e telluriche di questa terra in alcuni eventiideati per i solstizi del 2010. A Minervino di Lecce, aspettandol’estate con una danza rituale e un brindisi alla luna, davanti aun antico dolmen (Li Scusi), la costruzione votiva e funerariaedificata con lastre di pietra. La trance della danza off limitsdiviene una celebrazione rituale, che rigenera con il suosvuotamento mentale: è presente nelle tradizioni sciamaniche,nelle danze dei sufi o in quelle estatiche dei mistici visionari.A Novoli, la città del fuoco (la Focara, una celebrazione notanel mondo), la notte più lunga dell’anno (quella del solstiziod’inverno) è stata ricordata con un evento: i convenuti hanno11


121. Dolmen Li Scusi, Minervino di Lecce2. Novoli, Sciamanico Fuoco... (2010)


uciato, in contenitori “in fiamme”, le lettere-reliquie d’amoreper una fiamma oltre la vita. I partecipanti di ogni generazionehanno condiviso con naturalezza queste azioni, confermandoche certe proprietà sono intrinsecamente legate alla memoriadei luoghi: aspettano solo di essere rianimate.Gli “Dei rimossi ritornano come nucleo archetipico deicomplessi sintomatici”, rileva Hillman, anche grazie alla pulsionecreatrice, che può divenire consapevolezza del proprio interiorepercorso. Il dio che danza e accende fuochi scompagina limiti egeneri imposti dai “ragionieri” della società e dell’arte.Nota.Il testo riprende stralci di scritti e interventi dell’autore:_Extreme Anomalia, blocco notes, Gepas, Avola 2003._SottoMissione d’Amore, Rosa Rossa / 3, Il Raggio Verde Ed., Lecce2007._Rosa rossa Futur-Dada, Intervista a V. Conte di Marco Fioramanti,Articolo 33 n. 5-6, Ed. Conoscenza, Roma 2012.13


2. RITUAL arte a sud“Questo effetto (…) è evocato in tutte le sue dimensionipossibili dalla parola ‘Mediterraneo’.Il Mediterraneo è un immenso complesso di ricordi e disensazioni.” R. BarthesRose rosse come maschere e antropografie dell’arte a sudNel mio intervento, all’Università di Catania, al convegnosull’Attualità dell’antimodernità (2006), espressi considerazionisullo stato dell’arte e della cultura italiana, “ripercorrendo” mieprecedenti iniziative in Sicilia e nel Sud d’Italia. A questo incontro,che si svolgeva in una mattina di marzo (il mese in cui entrala primavera), ho offerto invisibilmente una rosa rossa comeauspicio di rinascita per l’arte dimenticata e “pericolosa” di ognitempo. Come feci anche nell’anno successivo, in occasionedella mostra sulla DonnaArte (nel Salento), dedicando all’eventoe all’incipiente primavera una rosa. Ricordai, nel testo di questaesposizione, le parole di un poeta persiano (intorno all’annoMille): “Se hai due monete con una compra il pane, con l’altracompra rose per il tuo spirito”.Nell’intervento al convegno catanese notai che l’arte e lacultura italiana, dal Novecento a oggi, continuava a presentareoccultamenti e dimenticanze. Questa Danger Art, “marginale” e“impegnata”, che accompagna a latere la creazione ufficiale, è unospaccato che necessiterebbe panoramiche e documentazionicontrocorrenti, meritando una memoria di esistenza. Tra lepossibili ultime “zone d’ombra” (su alcune delle quali mi sonoattivato per una loro visibilità) citavo appunto “l’arte del SudItalia (autori dimenticati; l’arte antropologica e ambientale; ladonna-arte…).”. (1)14


...c’arrialai n’a rosa russa, facennumi nicu, nicu, p’augurancidi nasciri arti. Arti ca’ genti nun s’à scuddari, arti d’o scantudi quannu nasciu u’ munnu.Visitando, nel mese di marzo del 2008, la mostra su I solinegati, in ricordo delle vittime della miniera di Gessolungo (CL)a cinquant’anni di distanza, “collegai”, in un personale filo dilettura, questo evento a quello sopracitato. Gli autori partecipantiall’iniziativa, al Museo Archeologico di Caltanisetta, erano tuttisiciliani, in massima parte nisseni (il Gruppo di Caltanisetta). Laloro motivazione “nello stare insieme” non era tanto rintracciabilenella conoscenza reciproca, ma in quella di “vivere e pensareinsieme” il linguaggio creativo (in qualche caso rinunciantepersino all’esposizione personale). Ciò assumeva ai miei occhiun valore specifico nell’attuale mondo artistico: individualisticoe opportunista, poco sensibile alle teorizzazioni e iniziativedi gruppo (se non in quelle presenti nella realtà virtuale o inambientazioni metropolitane). (2)Quella rosa rossa “invisibile” può diventare, quindi, la “maschera”simbolicha di percorsi segreti dell’arte come sud,che indicai con il termine di antropografie. Queste possibilitàespressive non sono ancora compiutamente lette dai sistemidell’arte. Nel mio concetto di antropografia confluiscono einteragiscono ambientazioni e oggettualità plastico-installative(al limite del design), che attraversano, con lo sguardo e il ricordoantropologico, la terra di appartenenza insieme a dispersioni esinestesie delle ‘grafìe come arte’. Sono indicazioni che rileggonocreativamente tradizioni culturali, “assemblate” con residui econtaminazioni dell’attualità espressiva.Queste poetiche possono diventare le allusive “mascherelingue”di un sud immaginale con i suoi silenziosi percorsi diesistenza e arte, presenti pure nei loro indizi di desiderio.Rappresentano un’emergenza vitale e misconosciuta dell’arteattuale, opponendo la ricerca e la consapevolezza del proprio15


local alle massificazioni del global imposto dai sistemi economico-finanziaridell’arte, di cui l’Italia (anche nei suoi centriprincipali) è una provincia con i suoi lembi a sud ancora piùmarginali. Ma il confine marginale può diventare sinonimo divitalità: la creazione meridionale risulta infatti ricca di suggestionie intriganti contaminazioni, essendo una delle fucine più generosee innovative dell’area mediterranea.In un’intervista sull’arte siciliana e meridionale in genere, alladomanda “in che modo il degrado di molta parte del Sud Italia”poteva influire sulla produzione giovane dell’arte, rispondevo chequesta presentava aspetti esplosivi e segreti. Soprattutto nei suoirisvolti a sud che risultano ancora confini di frontiera per l’arte,conoscendo da sempre l’emorragia dell’emigrazione verso “unnord” (italiano, europeo, americano) e l’emarginazione culturaleper chi continua ad operarvi. In questa ambientazione Il degradostesso può divenire, talvolta, impulso a una creazione originalee rabbiosa, non potendo contare più di tanto su “indicazioni” digallerie e mercato. Questa giovane arte ha alle spalle generazioniche l’hanno preparata (continuando a lavorare in queste terre),che meriterebbero anch’esse opportune rivisitazioni, risultandoancora segrete, nonostante episodici attraversamenti. (3)Questa mia lettura l’avevo già espressa in un testo, pubblicatosul catalogo dell’Anteprima della XIV Quadriennale aNapoli (2003), in qualità di commissario della manifestazione.L’occasione mi aveva permesso, infatti, di invitare giovaniautori (prevalentemente sconosciuti) del centro-sud (soprattuttopugliesi e siciliani). L’indubbio successo della manifestazione,evidenziato dall’interesse del pubblico e della stampa, è statosintomatico, difficilmente replicabile, in quanto i sistemi dell’artetendono a controllare gallerie, ma anche le grandi manifestazioni,relegando il Sud in una posizione di marginalità. Mentre questo,attraverso i suoi principali centri aggreganti e di propulsione,16


dovrebbe sempre più “ri-scoprire” le proprie espressioni etradizioni artistico-culturali, divenendo, viceversa, centro eriferimento di una sensibilità mediterranea.Le parole scritte in quel contesto risultano ancora valide. Lecittà del Sud, piccole o grandi, anche grazie a un tasso di degrado,“dinamizzato” dall’accogliente multietnicità di approdo dei suoiporti, sono il laboratorio, lo scenario, il centro di pulsioni, checoniugano il sogno e il mito con una materialità, anche corporea,cruda e rituale.Scrivevo nel catalogo: “Le variegate schegge creative,ancora poco valorizzate in mostre e pubblicazioni, costituisconoperturbanti presenze per l’arte italiana e i suoi “sistemi”:quest’ultimi, da decenni autocondizionatisi su modelli economico-culturaliamericani (senza acquisirne la “leggerezza”comportamentale), hanno raggiunto ultimamente livelli“discutibili”, rispetto ad altri paesi, di controllo e conformismo,proprio in talune rampanti valenze militanti, con scelte “di moda”o asservite al vincitore di turno. Molti giovani eleggono comemete europee di erranza creativa Londra, Berlino, Amsterdam, laSpagna, ecc: luoghi in cui l’arte “pulsa” e si contamina con i ritmidei suoi diversi “ritrovi”, nonostante le diverse contraddizionisociali.” (4)Donna come arte e tradizioneTra le emergenze dell’arte contemporanea c’è, da alcuni decenni,la presenza sempre più numerosa e stimolante della donna.Ciò è presente anche nel recupero creativo di manualità legatealle tradizioni artigianali, ritenute in passato arti minori Questocucito/ricamo/tessitura è entrato nella ricerca più avanzata,riconvertendo “usi” che erano considerati, in passato, apprendimentidovuti per una donna. Tutto ciò è presente naturalmentenel corredo artistico del Femminile a Sud.17


Il Sud e la Mediterraneità sono da intendere come richiamoalla terra, alle sue ritualità e mistiche. Nella visione naturalisticadella vita la tradizione mediterranea è prevalentementefemminile-materna, che spiega l’influenza delle divinità-donne.L’essere tellurico coincide con le “razze meridionali”, legatealla terra e alle sue presenze, vivendo nella ritualità collettivacome componente della sua parte “alchemica”. Ciò costituisceil “fuoco” della Tradizione mediterranea: i misteri iniziatici delsuo bacino sono profondamente “segnati” dal femminile. Unadelle prime divinità, nate nell’immaginario arcaico-mitologicodell’uomo, fu la Dea Madre, “vista” come dea della fertilità eutero dell’universo. Questa divinità è identificata con la terra,elemento femminile e materno, nel cui corpo si compie il ciclodi vita-morte-vita: in questa concezione la creazione è unaprerogativa femminile, in quanto procrea e feconda.La pratica artigianale e tradizionale può essere recuperataper esprimere suggestioni ancestrali, memorie e frammenti diun’arte-esistenza. Impunturata e ricamata come “narrazione”:autobiografica, onirica, metafora epidermica, lingua di solitudinee passione, colloquio con l’altro e la quotidianità. L’arte-donnarisulta sensibile alle trasformazioni e insidie ambientali “intorno”:auspica architetture di accoglimento (come quelle presenti sullerive del Mediterraneo), ricercando identità altre per le immagini erappresentazioni del reale. I risultati costituiscono indicazioni dialternative alle proposte confezionate dai sistemi dell’arte.Questa donna-artista “doppia”, con l’uso di materiali vari,corporeità e presenze sinestetiche che possono diventare vestitoo accessorio di abbigliamento, lenzuolo o copriletto, tappeto oarredo di casa, cibo o essenza profumata, ecc. Il patrimonioimmaginale del femminile include la lettura ironica, mistica,sensuale, ma anche momenti riflessivi, fondendo, nelle suetrasposizioni, abilità artigianali e il piacere del racconto. Questi‘s/oggetti’ sintetizzano attività antiche e nobili, come quella del19


telaio o vasellame, in dialettica con la modernità, ripercorrendoepoche e specificità in un viaggio atemporale che divieneinteriore. Questo eclettismo espressivo racconta imprevedibilicontaminazioni d’arte e rinnovate simbologie mitiche nei propriinterni moventi di erranza: come nelle sue direzioni a sud.Le artiste, di diversa generazione, che ho coinvolto nellaesposizione di Mistica inContaminazione ... on the road,a ChiodaLive, a Catania (giugno 2005), sono diventate unpercorso-esempio sintomatico di questa trans-creazione atutto campo, ondeggiante tra l’erranza dei generi e le narrazioniesistenziali. Non a caso il luogo ospitante l’esposizione era unappartamento che diveniva “spazio domestico” di arte, comerisulta l’architettura femminile dell’accoglimento.Tutto ciò è stato sviluppato poi in una grande mostra nelSalento, DonnaArte a Trepuzzi, nella primavera del 2008,dedicata ad artiste italiane del Sud Italia e dell’Iran. (5) Tra leindicazioni più interessanti c’erano gli ‘abiti-corpo’ di diverseautrici, tra cui: Gabriella Ferrera con ‘strutture corporee’,costruzioni metafisiche e visionarie che dialogano con l’esterno;Rosa Maria Francavilla con essenze “vestite” di natura cheraccontano gli archetipi-tempi di una donna; un’artista storicacome Maria Lai che “tesse” un’ancestrale grafia per dare corpoe narrazione alla stoffa di un libro, giacca o abito da sposa. Letrame di queste espressioni scandiscono un’immagine plurielaboratadel ‘corpo-abito’ che si sintetizza nella sua texture,partorita dall’invenzione e dal piacere manuale. Il materialescelto per la realizzazione è, talvolta, naturale o fragile, comequello degli ambienti dell’esistenza e dell’anima: filamenti divaria provenienza, cellulosa, cibo, cera, cotone, carta, terralavica, memoria-riciclaggio, ecc.Il Mediterraneo, accogliendo le terre a sud dell’Europae delI’Italia insieme alle coste del Maghreb, può divenire‘laboratorio’ di geo-lingue che rileggono tradizioni e20


Rosa Maria FrancavillaGabriella FerreraMaria Lai21


contaminazioni artistiche (espressive, naturali), anche grazie al‘filo-cucito’ dell’ultima donna-arte.Contaminazioni d’arte come anima-naturaTra le valenze più significative di questa arte mediterranea c’èl’espressione oggettuale e installativa, nei cui ambiti la tradizionescultorea “dialoga” con elementi antropologici e di riciclo: “formebio-antropomorfe convivono con materiali di uso quotidiano inprocessi dei costruzione e destrutturazione, di assemblaggioe deformazione, tendenti ad ampliare lo spazio mentale eimmaginativo dello spettatore-fruitore”. Scene visionarie eattuali si assemblano in macchine o costruzioni primordiali comecreazione. Questi soggetti/oggetti possono diventare anchestrutture corporee o extreme icone di una trans-scultura. (6)Gli archetipi dell’essere convivono nelle memorie-storie dellacultura mediterranea, incarnandosi in feticci creativi: imponentio impalpabili vogliono esprimere evocazioni e pulsioni primarienei rapporti con l’ambiente. La terra, il cielo, il mare possonoessere la segnaletica di riferimento per un oltre. Queste ‘geoarchitetture’si costruiscono con elementi e oggetti naturali efamigliari (la sabbia, il legno, il ferro, la carta, la stoffa, ecc.),che riformulano una lingua di relazione con il mondo per mezzodello “sguardo” della cultura di appartenenza. L’arcaico e ilcontemporaneo dialogano nelle manualità e nei rituali dell’attocreativo, liberando tracce e memorie mistico-sinestetiche.Anche la suggestione eolica può esprimere una totalizzantemacchina d’arte, coniugante fantasia, mito e rito quotidiano(individuale e collettivo). Diviene “scena” per le pulsioni ancestrali,aprendosi a significati diversi nel suo continuo trasformarsi increazione teatrante a contatto con il “soffio” naturale.Ho inserito, talvolta, qualcuna di queste ambientazioni (proprio22


per la loro proprietà di evocare archetipi dell’anima) in contestidi mistica bianca come sud, in quanto la loro monocromiarisulta essere quella dei paesaggi e narrazioni interiori, rifiutandola mediazione simbolica del colore. Le possibili espressioniparlano attraversano presenze naturali, oggettualità simboliche“ri-create” con relazioni imprevedibili.Questi ambienti e segnaletiche d’arte sono diventate soggettidi Mistiche Bianche, una mostra multipla che ho curato al CastelloAragonese di Reggio Calabria (2006). Gli artisti delle mostreappartenevano tutti al centro-sud italiano, prevalentementeall’estremo sud: testimonianze del potere creativo e immaginaledi quest’area mediterranea, che assegna naturalmente allemaschere del bianco il significato di mistica come arte. Diventanoaltresì lingue, libri e diari intimi: testi e viaggi di scritture segreteche aspirano a divenire “bianche”. (7)Le valenze calde di queste architetture impalpabili possonoconvivere con il rosso dell’esistenza. Non a caso la maggioranzadegli artisti coinvolti nell’iniziativa e, talvolta, le loro opereavevano “condiviso” (nel 2005) le pareti di un mio ambiente,domestico ed espositivo, ChiodaLive a Catania, dedicato a unbianco da cui emergevano “rose rosse”. (8) Ciò aveva costituitoanche un personale rito d’arte per inaugurare una nuova stagionedi creazione desiderante. Le opere esposte divennero, poi, ilnucleo della mia permanente “collezione segreta” a Catania.Tra i primi autori degli “arredi d’arte”: Salvo Russo, GabriellaFerrera, Franco Politano, Tiziana Pertoso, Pino Labarbera, GiulioDe Mitri, Pablo Echaurren, Vittorio Fava, Rosario Antoci, AgataBulla, Filli Cusenza, Lughia, Tiziana Contino, ecc.Queste valenze sono diventate una “esposizione-racconto”,a Catanzaro (2007), in Mistiche Extreme (…come una rosa rossanel bianco), attraverso l’espressione di una dozzina di autoriche avevo invitato in precedenti iniziative nel Sud Italia. Neipercorsi di questi artisti (tutti operanti nel centro-sud), pur di23


diversa cifra stilistica e generazione, c’era una predisposizionead ascoltare i moventi della mistica, rielaborati talvolta conmemorie antropologiche ma anche con la pulsione desiderante.Scritture, ex-voto, ambienti di arte e luce ricercano una possibilelettura degli archetipi dell’anima, diventando ‘narrazione’ e‘maschera’ di mistiche a sud. Attraversano luoghi e ancestralitàdi una erranza del sacro a tutto campo, antica e rinnovabile,in cui si confrontano istanze immaginali di religiosità diversecon memorie pagane (ancora così sedimentate nella coscienzacollettiva del Sud Italia). (9)L’artista “doppia” il proprio manufatto creativo con unascrittura-reliquia che può essere, nel contempo, lingua dimistica e desiderio: non vissuta in termini oppositivi ma conuna dialettica interagente. La mistica-desiderio diviene così unapossibile ‘maschera’ alternativa alle immagini senza profonditàche, talvolta, la produzione artistica contemporanea, al serviziodi una globalizzazione indirizzata, oggi ci propone nella direzionedi una disinvolta e cinica serialità.Geo-grafie e lettere-desiderio“Sì: lontano da te non riesco a vivere, / e m’aggrappoai pennelli degli alberi, / o Rocca Busambra, ora viola eambra, / ora verde rossa azzurra nera rosa / grandiosatavolozza del mondo / dove il rotondo sole / pittore /compone e scompone i suoi vivi colori.” G. GiardinaUn altro versante caratterizzante la trans-espressione a sud èla ‘scrittura come arte’. Le sue molteplici erranze, trovano nelMeridione italiano, come ho rilevato nella mostra Dispersione aFoggia (2000), una naturale fucina di ‘geo-grafie’ dalla grandevitalità con i suoi segreti e imprevedibili percorsi.Queste scritture tendono a divenire sempre più extreme nelleloro segnature, oltrepassando ogni forma di riconoscibilità. I25


ChiodaLive a Catania26


frammenti-lingua scrivono i patrimoni iconografici e significantidi ogni tipo di comunicazione e della creazione intermediale esinestetica. Costituiscono una malleabile lingua e un con-testodi espressività che ripercorre segnaletiche ancestrali, storiche eplurilinguistiche. La parola diviene concetto e “anima” per viaggiesistenziali e di conoscenza. La grafia può ricercare ulteriorispazi di linguaggio nelle “periferie” stesse del testo, traducendoin segno accattivante anche le espressioni più “laterali” e fuoridagli schemi: la citazione, l’annotazione, il frammento, la dedica,il non-espresso, l’allusione alfabetica, ecc. (10)Da ricordare, in tale direzione, il lavoro di Francesco Carbone(1923-1999) (critico d’arte e artista, teorico dell’arte antropologicae della scrittura visuale in Sicilia), a cui può essere accostato(come anticipazione di “clima”) il personalissimo universobucolico del poeta-pecoraio futurista Giacomo Giardina (1903-94).Questa trans-scrittura, nelle sue molteplici espressioni, puòdilatarsi in geo-grafie, testi e reperti di un mondo con linguedi comunicazione perennemente altrove, citando memorie(oggettuali e sensoriali) e tradizioni culturali, presenti pure nelleloro residualità e dialettiche che “traducono” in ‘parola-segno’anche le iconografie e sinestesie quotidiane. Possono ricercareinfine espressioni “smaterializzate”, tendenti a oltrepassarele forme e significanze usuali, fino alle ultime essenze dellacancellazione, del nascondimento e dell’approdo bianco ovibrazionale: come scrittura ultima nel suo viaggio di arte epensiero.La trans-scrittura può esprimere anche stagioni e corporeità didesiderio, come è accaduto in diverse autrici, appartenenti a unMeridione segreto e segregante, “emerse” in alcune mie iniziative.Queste fanno “rientrare” vibrazionalmente le loro lettere-pulsionisul supporto bianco della pagina come appartenenti a un diario27


intimo di pelle. Ho voluto presentare alcune di queste ‘carte’ inuna “mostra-narrazione”: Eros Parola d’Arte a Lecce (2010). Lacarta d’amore, “stillata” a mano per il godimento della propriaesecuzione, diviene arte e poesia attraverso lo struggimentosensuale del dettato.Alcune artiste segrete hanno usato, talvolta, una “rosa rossa”come ulteriore ‘maschera’ simbolica di rappresentazione,ricercando una originaria sintesi di vita e creazione con i loroallusivi percorsi. Si firmano con un nome rituale come perevocare erotiche di mistica pagana che “raccontano” stagioni epagine di desiderio. Le loro storie d’arte attraversano apparenzevisive che oltrepassano, talvolta, i confini dello stesso supportocartaceo o del quadro: “visionaria o vissuta questa mistica follianon importa: l’arte, con le sue seduzioni, la rende comunquereale e poetica” (L. Dono). (11)Ho voluto dedicare questa mostra a due poetesse del Sudscomparse, che, pur vivendo in epoche diverse, sono stateemotivamente coinvolte dalla lettera come espressione. La primaera la siciliana Mariannina Coffa (1841-1878), “la capinera diNoto”, autrice delle struggenti Lettere ad Ascenso. Le sue ‘lettered’amore’ narrano mirabilmente una estenuante ed esistenziale“segregazione” emotiva: “...i nostri versi! Li leggevo per l’ultimavolta, perché in Siracusa non recherò alcun libro. Aprendoquelle dolci pagine, vi trovai alcune foglie appassite... era quellapianta che a te piaceva tanto! Perdonami, Ascenzio... non dovreidirtelo... e son forse crudele... ma io, le baciai piangendo... epuoi negarmi il conforto delle lagrime?” (M. Coffa). La secondapoetessa era la tarantina Giovanna Sicari (1954-2003), autrice ecuratrice di un libro di lettere La moneta di Caronte (1993), a cuidedicai una lettera e una mostra di poetiche Lettere d’Amore.28


Mariannina Coffa29


Note.Riferimenti e parti del testo sono presenti in pubblicazioni ed eventidell’autore:1. La rosa rossa nel bianco come l’Art Dangereux, in L’attualitàdell’antimodernità (giornata di studio), Monastero dei Benedettini,Università di Catania, 2 marzo 2006. Il testo è in AA.VV., L’attualitàdell’antimodernità (a c. di Loredana Trovato), Lumières Internationales,Lugano 2008.2. I soli negati (a c. di Angela Vignolo), Museo Archeologico diCaltanisetta, 2008. Testo Una rosa rossa per ‘I soli negati’ delle‘antropografie’ dell’arte siciliana in AA.VV., catalogo.3. Arte Isolana, intervista a V. Conte di Marco Iacona, Letteratura-Tradizione n. 41, Pesaro 2007.4. XIV Quadriennale / Anteprima, Palazzo Reale, Napoli 2003-04. TestoContaminazioni. Extreme (La giovane arte del centro-sud), in AA.VV.,catalogo (De Luca Ed., Roma 2003).5. Mistica inContaminazione ... on the road (a c. di V. Conte), ChiodaLive,Catania 2005. Blocco notes (Gepas, Avola 2005).DonnaArte, Centro Fieristico, Trepuzzi (LE) 2007. Catalogo (RosaRossa / 2, Il Raggio Verde Ed., Lecce 2007).6. Opera Unica / Contaminazioni d’arte in Sicilia (a c. di V. Conte),Dietro Le Quinte, Catania 2006. Catalogo.7. Mistiche bianche (a c. di V. Conte), Castello Aragonese, ReggioCalabria 2006. Catalogo (Iiriti Editore, Reggio Calabria 2006).8. Dal bianco una rosa rossa (a c. di V. Conte), ChiodaLive, Catania2005. Blocco notes (Gepas, Avola 2005).9. Mistiche Extreme (...come una rosa rossa nel bianco (a c. di V. Conte),Open Space, Catanzaro 2007. Catalogo.10. Dispersione (a c. di V. Conte), Palazzetto dell’Arte, Foggia 2000.Catalogo.11. Eros Parola d’Arte (a c. di V. Conte), Biblioteca Provinciale“N. Bernardini”, Lecce 2010. Testo in Body Writer: pulsione disconfinamento, Gepas, Avola 2012.30


3. RITUAL trans-art“Statue che la notte costruìe sgranò in un circolo conclusoperché non le vedesse altri che il mare.(Ho viaggiato per recuperarle, erigerlenel mio domicilio scomparso).” P. NerudaArchitetture di sabbia e sassiLe architetture di sabbia e sassi possono “costruire” metaforedell’esistenza, attraverso il gioco e i linguaggi dell’arte,coniugandosi alla creatività del vivere. In un momento, comel’attuale, di post-postmodernità ogni accadimento può divenirememoria, citazione, passaggio. Molto di ciò, che appartiene auna tradizione o cultura, diviene altro o più visibile in un contestoe luogo diverso, anche nella sua dimensione “inattuale”.Probabilmente dobbiamo attingere alle nostre possibilità didivenire “transeunti”: c’è il rischio infatti di non cogliere appienocerti percorsi, se letti in base a parametri prestabiliti. Il concettodi “fuori confine” si presta, anche, a evocare dimensioni“transtoriche” che possano aprire i confini della storia, come igeneri dell’arte, della percezione sensoriale.L’uomo è portato alla contaminazione continua per trovare unaspetto della propria totalità, che passa attraverso il movimentodel “passaggio”, come quello fra occidente o oriente. Passaggiosignifica anche attraversare elementi, concetti, lingue: “C’eranogià – nota Gillo Dorfles – i giardini di sabbia Zen, i giardini dimuschio e gli stessi Ikebana dei giapponesi, che facevano diqueste attività “naturali” una forma d’arte a sé stante.”.Un’architettura della sabbia e delle pietre deve poter essere ancheun’architettura dell’esistenza, dell’anima: è una costruzioneche “ritorna” per indurci alla riflessione sui nostri archetipi, sullanostra origine. Ogni incontro con esse è “un incontro d’amore31


Lughia, Architettura di sabbia32


nel quale materia, colore e forma pervadono totalmente ilpensiero sin tanto ché, soggetto ed oggetto assurgono a unitàinscindibile” (G. Salerno).Questo incontro è presente nelle – architetture di sabbia –,le “opere effimere” di Lughia, affioranti nella Grotta del Sogno,a Ventotene, o nel Borgo di Calcata: due scenari di particolaresuggestione, in cui l’uomo “riqualifica” le qualità del proprioesistere. Nel buio della notte o di un ambiente l’artista sarda trovala naturale collocazione e vibrazionalità per le sue costruzioni disogno, rarefatto dall’incenso e dalla luce povera delle candele:non rappresenta simboli o feticci di una realtà, ma esprime unacreatività come “esistenza”. I labirinti lirici del femminile sonocostruiti con una concentrica, accogliente, lingua di “fuoridentro”,che tende a smussare le spigolosità.Le architetture di sabbia e sassi sono architetture dellacoscienza naturale. Questi percorsi creativi “segnano” unaemergenza d’arte che si sta segnalando, in maniera sempre piùampia, negli ultimi tempi, coinvolgente, con modalità diverse,artisti italiani e soprattutto stranieri. L’artista occidentale deve“recuperare” anche la gioia di “vivere” opere d’arte effimere, nonpreoccupandosi cioè della loro durata e della nobiltà del materialeusato: può riconquistare, così, un percorso naturale smarrito,che era sempre “a portata di sguardo”. Le memorie orientalipossono armonizzarsi con il rigore costruttivo occidentale,addolcito talvolta da apparenze mediterranee.Architetture di naturaIl rapporto tra natura e arte è presente in molte civiltà, soprattuttomediterranee. La sabbia non è disgiunta dal sasso. I sassi e lesabbie hanno una “anima” come memoria: costituiscono unwork in progress millenario, senza tempo, al di fuori di ognidelimitazione. Gli effetti delle pietre sugli uomini, che le utilizzanoper curare, evocare, proteggere, stimolare, sono presenti in33


molte tradizioni, religioni, miti e leggende. Le singole pietreo i granelli di sabbia, sottraendosi al caos della dispersionenaturale, diventano, nelle mani dell’artista, sostanze e modulidi composizione per istintuali o rituali costruzioni di pensiero,gioco, manualità. Il gesto creativo le spoglia della forma e delcontesto originali per “ricomporli” in segnaletiche personali,ricercanti significati collettivi e ancestrali, che si scompongonoal soffio del vento e alle imprevedibili reazioni esterne.La precarietà delle costruzioni naturali si identifica conl’assoluta innocenza di un atto creativo originale, esprimendopaesaggi-sculture-architetture che “parlano” di archetipi, chericonvertono il frammento in energia vitale e cosmica, facendodivenire l’espressione, talvolta, una pratica di meditazione o unpossibile sommovimento interiore per l’altro.L’arte contemporanea, nelle sue “apparenze”, nei suoi materialie sconfinamenti, talvolta, diviene e si propone – natura –.Questa è già espressione, sintesi e rapporto di scultura, pittura,architettura; ambiente di luci e ombre: visibili e invisibili, esternee interiori. Diversi sono gli esempi, nella storia dell’architettura, dievidente ispirazione, evocazione, a forme naturali. Le creazionidell’uomo, che è già frammento di natura, sono o dovrebberoessere, tendenzialmente naturali, se la società circostantenon intervenisse alla sua “snaturalizzazione”. La possibilitàdi un’opera di “riflettere” sulla scena naturale, entrando indialettica con essa, è, anche, una possibilità di rapportarsi conil proprio mondo archetipico e biologico. L’artista realizza le sue“ricostruzioni”, elaborando, più o meno consapevolmente, leforme e le relazioni, guardate in natura: le leggi e vibrazioni delcreato, fino alle estensioni illimitate del cosmo, sono “origine”della nostra stessa esistenza.Le dimensioni dei rapporti tra i generi dell’arte e la natura sonogià presenti in alcune poetiche novecentesche degli anni ’60-’70,come la Land Art e l’Arte Povera. Il land artista “delimita” uno34


spazio, fino allora astratto, inserendo la sua presenza con i suoisegni mentali, giocosi, rituali, intervenendo nella e sulla natura,anche come presa di coscienza su questo ordine, che il propriointervento “altera”, più o meno visivamente. “La mia arte è ilritratto del mio essere nel mondo. (...) Io posso fare una sculturadi pietre in un fiume, le pietre rimangono nel fiume, esistevanoprima del mio intervento ed esisteranno dopo; la scultura puòcosì risultare invisibile agli occhi del passante. Con la fotografiasi potranno vedere le pietre come sculture.” (R. Long)L’americana Michele Oka Doner “racchiude”, nelle suesculture, la magia e il pensiero di un’ecologia trascendente cheassorbe i fenomeni della natura. Il richiamo di una spiritualitàdiffusa convive con l’informazione scientifica che ridefinisceuna mappa interiore del vivere e del sentire: “giocavo sotto unimmenso cielo blu, con tutto ciò che trovavo sulla spiaggia (...)le mie fonti sono quelle che ispiravano i primi uomini: le stelle incielo, le conchiglie sulle spiagge e le grandi forze della natura.”(M.O. Doner)Architetture come gioco del SéIl rapporto architettura-natura è conturbante, soprattutto nellalettura della propria personalità totale, della coscienza del Sé.Chi usa la sabbia o il sasso ricerca “chiavi interne”: come hafatto lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung. Questi cominciòa raccogliere e collezionare pietre, facendo diventare l’ingenuo“svago” sempre più coinvolgente, incomprensibile a lui stesso.Successivamente, quando avvertiva di sentirsi “non armonico”,iniziò a dipingere o a scolpire la pietra come se fosse unapratica rituale. Questi pensieri e gesti stavano costituendo ungioco-diario di attraversamento dei fantasmi, propri e collettivi:esprimendoli, si domandava cosa stesse facendo. Una voce, dadentro, gli rispondeva che era “arte”, a cui faceva seguito una35


discussione interiore sulla veridicità della voce. Il procedimentostesso diventò, per diverso tempo, una specie di rielaborazioneestetica. Rinunciò alla carriera universitaria per “consacrarsi allostudio della sua persona interiore”.Jung, successivamente, si cimenterà con una più impegnativapossibilità di composizione, quella della propria casa, sulle rivedel lago di Zurigo: un grandioso gioco di costruzione, in cuiogni nuova parte rappresentava, per lui, un ulteriore passo diavanzamento psichico, oltre che di un utile approfondimentoterapeutico: “La torre mi dava l’impressione di rinascere nellapietra.” (C. J. Jung)Il gioco richiede, talvolta, che la mente sia “destabilizzata” perfavorire l’inventiva e la fantasia. La creatività infantile è, infatti,generosa di inconsapevoli, imprevedibili espressioni d’arte. Nona caso i bambini amano edificare le proprie costruzioni di sabbiasulla riva del mare, disinteressandosi delle onde o dei passantiche potrebbero cancellarle come esistenza. I bambini sono iprivilegiati soggetti agenti e d’indagine terapeutica, appunto,nella sand-therapy.Le città sono costruite soprattutto per l’uomo adulto, cheorganizza e indirizza la vita comunitaria, rendendo marginaleil mondo del bambino, a cui è concessa l’attività del gioco,che è attività libera, senza scopo, da svolgere in libertà conl’estrinsecazione di pulsioni e desideri. L’elemento infantile e delgioco appartiene alle dimensioni dell’artista di qualunque età:la “parte bambina” deve continuamente dialogare con quellaadulta.Architetture dell’animaHillmann invita alla “ribellione architettonica”, che non significaromanticamente un ritorno tout court alla incontaminazionenaturale: “L’idea che l’anima si possa trovare solo nella36


natura e che le città distruggano l’anima è una idea moderna,completamente dimentica del fatto che tutta la storia è proprionelle città che lo spirito si è sviluppato. I nostri progenitoriritenevano che la natura rendesse gli uomini rozzi, primitivi,ne addormentasse l’intelligenza e ne deprimesse la moralità:chi viveva fuori delle città era ritenuto un “barbaro”.” L’uomogreco, il politico come l’architetto, “si definiva” infatti all’internodell’Acropoli.”Si dovrebbe rianimare, dunque, le possibilità dell’animadi vivere nei propri ambienti interni, piuttosto che cercarli inun ideale, talvolta retorico, di natura: bisognerebbe cercare labellezza, l’invenzione, “dentro” le nostre dimensioni abitative,negli oggetti dell’esistenza quotidiana. La ribellione dovrà essereindirizzata verso chi, architetti soprattutto, ci impone di esisterenel mito del consumo, della globalizzazione economica comesupremazia, misconoscendo le costruzioni interiori. L’essereumano si è sempre adattato all’ambiente circostante: quelloattuale, così avaro di invenzione, di orientamento verso sé el’alto, rischia di “annebbiare” la psiche con funzionalità notarili,poco reattive.Il rapporto armonico di costruzione e natura si dovrebbe porre,in questo nuovo secolo, come passaggio tra una architettura,influenzata dalla logica “perversa” del villaggio globale, a un’altrache ascolta le esigenze naturali e profonde dell’essere.La geo-architettura può essere, insieme, una geo-artecome una geo-grafia, condensando la memoria delle diverseciviltà, le stratificazioni di percorsi storico-culturali. Elabora lecontaminazioni formali con l’immaginazione e l’analisi interiore,come se fosse una costruzione di sassi. Può divenire anche“orecchio”, che ascolta e spia le voci dell’ambiente con ilsuo oltre, amplificando le dimensioni e fruizioni sinestetiche,catalizzando relazioni comunitarie “sensibili”. Dovrà rinasceredalle ceneri dell’ultimo moderno, tornando a essere costruzione37


e narrazione di archetipi, rifiutando gli abusi del consumo, percreare la comodità dell’oggi in “ambienti”, che non debbanoessere solo esibizione di “esterni”. Un’opera arte sgradita puòprocurarci fastidio, ma se qualcosa dell’ambiente, in cui viviamo,non ci piace, il fastidio avrà il potere di turbare la stessa nostraesistenza. Quante costruzioni sono sorte, naturalmente, sullapianta di un sogno o di una visione!“Forse, dopo tanti secoli di prevalente architettura “almaschile”, che esalta il volume e la capacità di occupare ilvuoto con i simboli del potere, sarà necessaria una architettura“al femminile”, sollecita alla creazione e riproduzione di spazie di vuoti accoglienti. La terra ha un gran bisogno di questaarchitettura della dolcezza, attenta ai luoghi e alla loro continuatrasformazione e al recupero dell’eredità costruita.” (P.Portoghesi)I concetti come moduli del pensiero, le scene e scrittura diuna architettura interiore e vibrazionale dovranno emergeresoprattutto dal vivere segreto e alchemico dell’essere, liberandovocazioni e pulsioni che le coercizioni sociali tendono a“bendare”.Ambienti di vibrazione e d’acqua38“oh rosa separatadal tronco del roseto spezzatoche la profondità convertì in arcipelago” P. NerudaIl termine “installazione”, che, da qualche decennio, vieneusato per indicare il lavoro di un artista in relazione a undeterminato spazio, può risultare, talvolta, una “delimitazione”eccessivamente mentale. L’attuale dispersione creativa ricercainfatti opere con atmosfere e materialità dai confini volutamentesfuggenti, virtuali. Questi ambienti vogliono suscitare sensibilitàe comunicazioni emozionali che coinvolgono l’esterno. Si“edificano” come architetture di vibrazione e processi interni


Tiziana Pertoso, Ambiente39


che muovono reattività psichiche e contagi, abolendo, talvolta,la distanza tra autore e fruitore: quest’ultimo partecipa, anzi,come elemento imprevisto e significativo della stessa opera.Questi ambientazioni d’arte si costruiscono anche nelladispersione e nel bianco, diventando architetture di idee e diimpalpabili progetti, di coscienza naturale. Vogliono evocarearchetipi e mondi che ritornano per “ri-muovere” la nostraesistenza.Ho rintracciato queste espressioni in diversi autoriprevalentemente del Sud Italia, in quanto quest’area geograficaè predisposta al richiamo ancestrale e rituale della terra. Ne hosegnalate infatti alcune, talvolta segrete, all’Anteprima della XIVQuadriennale a Napoli (2003-04).Le installazioni della salentina Tiziana Pertoso sono unesempio di un’espressione d’arte che si edifica come architetturaemozionale. L’artista costruisce ambienti sinestetici che voglionoaccogliere l’altro per una conoscenza interiore e vibrazionale,al limite della meditazione. Echi e fili, visibili o impalpabili, simuovono fra insinuanti odori e celate tattilità con percorsi che sipropongono come alchimie di trasparente leggerezza (percepibilenell’uso frequente della plastica e dell’acqua). Ricercano imutevoli nascondigli e le melodie segrete dell’essere.Le dispersioni d’arte vogliono vivere anche in spazi dimemoria e “fluidi” interiori che ascoltano l’oltre e, talvolta, lasignificazione mistica. Non a caso queste espressioni, legate davisioni ancestrali, si rapportano con corporeità delicate o fluideche vengono rielaborate dalle sensibili mani di donne artiste.Come possono esserlo i molteplici “contatti” con la simbolicavisione di una rosa rossa o il fluire rituale dell’acqua.Questi percorsi interagiscono, per esempio, nei lavoriinstallativi e video di diverse artiste.Laura Baldieri vive l’arte come un segreto poema, espresso40


con frammenti intimi che si scompongono fino al pulsionalrumore. Le sue ampolle, tracce umorali, pagine d’acquavogliono disperdersi “intorno”, insieme a petali di rose rosse. Èun desiderio che diventa poesia per celebrare il corpo dell’artenatura.Laura Baldieri, Frammenti di un Segreto Poema41


L’acqua, come viaggio catartico e lettura dei suoi variabilimovimenti, che diventano riflessioni, è presente nel lavoropensierodi Marco Fioramanti (fotografico e installativoperformatico).I tempi dell’acqua – come nei due scatti dellastessa immagine (l’Ile-de-Bréhat, in Bretagna), effettuati inmomenti diversi (a 6 ore di distanza) – sono montati in sequenzaper “creare” un attimo sospeso e irripetibile: mistico e rituale,cesura e lacerazione immediata “che unisce e schiaccia il tempo,rendendolo evanescente e fissandolo per l’eternità”. Mentrepuò divenire seduzione e inganno il diluvio de L’Arca (un altrosuo recente e significativo lavoro) “memoria e vagabondaggio,segno di ebbrezza e “viandanza”, inizio della catastrofe dovutoinvece al prosciugamento degli oceani”.Marco Fioramanti, L’île-de-Bréhat (foto 1991)Le rappresentazioni e relazioni di questa creazione di ambientiimpalpabili e “a tutto campo” possono turbare le canoniche e“pastorizzate” (anche nelle studiate trasgressioni) costruzioni delsistema dell’arte con le logiche dei suoi mercati. Costituiscono,infatti, una proposta d’arte controcorrente, alternativa. Gli42


ambienti, sinestetici e plurilinguistici, non si edificano, almenonella loro genesi di nascita, per esistere nei delimitati e neutrispazi di una galleria: ma in quelli in cui possono “con-vivere”con i loro significati e la propria natura. Anche l’architettura,ogni espressione d’arte, può, come la medicina olistica, cheguarda l’uomo nella sua totalità (corpo, mente, anima), edificaree ascoltare proprie sensibilità olistiche attraverso espressioni“non separabili”.Note.Testi dell’autore stralciati, con qualche modifica, in questo scritto:_Architetture di Sabbia e Sassi, catalogo, in AA.VV., Lughia, Viterbo2005._Mistica inContaminazione ... on the road, blocco notes, Gepas, Avola2005._Anomalie e giochi d’arte: Marco Mastrangelo / Tiziana Pertoso,catalogo, Gepas, Avola 2005._Anomalie e Malie come Arte, (Rosa Rossa / 1) Il Raggio Verde Ed.,Lecce 2006.43


4. RITUAL archetipi e mistiche extreme“Ho sentito, al pari di altre volte, la tristezza di comprendereche siamo come un sogno.(…) (Solo gli dei possono promettere, perché sono immortali).”J. L. BorgesMalie plasticheCi sono momenti in cui la bellezza, soprattutto quella femminile,nelle sue forme visibili e, nel contempo, nei suoi magnetismidi attrazione invisibile, necessita di un volto o un corpo perincarnarsi, divenendo ‘icona/feticcio’ da adorare, desiderare,significare, rappresentare, ecc. Infine questa, decantatasinel tempo dall’essere “doppio” di qualcosa o di qualcuno,può finalmente esprimere la propria essenza altra, aldilà delprocedimento espressivo usato. Può presentarsi anche comesoggetto/oggetto di scultura: in un “aspetto”, quello “ritrovato”,che diviene, in un altro tempo, l’enigma e la poesia di una totalitàda comprendere.La bellezza dell’arte, oltrepassando aspetti, iconografie (difigurazione o di astrazione) e il tempo di esistenza, disseminatracce mai compiutamente leggibili: come la significanza e lamalia di uno sguardo o di un sorriso (quello leonardesco diMonna Lisa ne costituisce un illuminante esempio).Una scultura bianca “recuperata” alla vista, dopo secolidi sepoltura e silenzio, può riportare un mondo di memoriae di segreto, inspiegabilmente rivitalizzante il nostro stessopresente. Come lo è stato per me la ragazza di Santorini, lastatua “riemersa” anni fa, dopo un sonno di venticinque secoli,per riconsegnarsi sorprendentemente intatta ai nostri occhi: conla rifinitura dell’abito non ancora ultimata. Sdraiata su un fianco,con il suo imponente corpo (circa due metri e mezzo), scopre la45


propria bellezza: la vita stretta, il piccolo e ben delineato seno,le mani affusolate, la bocca enigmatica e i lunghi occhi socchiusinel proprio sogno, si protendono verso le nostre letture bianche.Non a caso l’isola di Santorini è stata messa in relazione conAtlantide, il mitico continente sommerso con il mistero dellasua fine e della sua esistenza, con echi interni che continuano ariecheggiare dentro di noi.Questo ritrovamento è stato per me un “perturbante”. Miha indotto a ideare una mostra sulla ‘scultura come poesia’di alcuni protagonisti pugliesi, segreti e dimenticati, dell’arteclassica italiana del ‘900, dedicandola ai fascinosi sguardi delleloro donne plastiche, che incarnano quelle di un sud archetipicoe mediterraneo.Un invito invisibile a riscoprire il corpo di una bellezzadimenticata può attendere il nostro ritrovamento con la suadote di narrazioni e segreti: attraverso l’ineffabile doppio di unascultura: “Perché l’arte è catarsi per l’anima, è libertà per lospirito inquieto, ma è anche simbolo sociale, icona e bandiera diidee e pensieri. Poiché vedere il bello che l’artista sa esprimereè educativo quanto conoscere la realtà. E, con Gombrich,ancora, non possiamo che concludere: “chi osa affermare chela bellezza in sé non possa essere un simbolo adeguato?”.” (A.Carotenuto)La scultura, o meglio tutto ciò che per secoli l’uomo haconnotato con questo termine, è sempre stata, pure nelle sueforme più estreme di astrazione, una sintesi architettonica e direlazione con altri linguaggi: con la poesia, quando si abbandonaai propri moti interni (non al servizio dunque di istanze celebrativeo puramente esteriori); con la danza, nel saper comunque,aldilà che “stazioni” statica o che prolunghi la presenza conforme uniche nella continuità dello spazio (opera di Boccioni),comunicare un “movimento” di emozioni e significati, in quantola scultura è “come la danza, una delle prime e più interne forme46


espressive con cui l’uomo riesce a dar vita a un simulacrotangibile oltre il visibile di un organismo strutturato e in certosenso “vivente”.” (G. Dorfles). Ma la dimensione espressiva delladanza ha una esistenza temporale “delimitata” dal tempo stessodella sua esecuzione, mentre quella della scultura si rapportacon una perennità tanto più assoluta quanto più è duraturo ilmateriale usato per poterla incarnare.La pretesa di eternità della scultura può necessitare talvoltadell’alito della poesia permettendole una duratura vitalità: “soffiandola vita” nella materia informe e fredda con la creazionedi una forma. La scultura è tra le arti visuali quella che riescemaggiormente a suscitare, oltre alla vista, una lettura e unaevocazione tattile che ne ampliano la fruizione sensoriale. Quantivolti o corpi femminili, “doppiati” in statue, hanno sedotto gliuomini di ogni tempo e i loro creatori con la malia delle loro formee degli sguardi! Pigmalione ne è il prototipo mitico. Lo scultoregreco, innamorato della propria statua così intensamente daimpietosire Afrodite (che gli concesse la possibilità di poterlaamare come donna di carne), rappresenta un desiderio oscurodell’essere: “possedere” la creazione inaccessibile, propria oaltrui.Le “infinite statue di marmo (Canova, Thorvaldsen), che conil loro candore avrebbero dovuto mimare la vita sull’esempio deireperti antichi, di fatto” creano “con la rinuncia al colore, unamiriade di fantasmi: ce ne fornisce una straordinaria immagineil celebre quadro di Johann Zoffany Charles Towneley nella suagalleria di sculture.” (A. Castoldi)La statua bianca, come quella che “si muove” per punire DonGiovanni, nelle molteplici immagini dei suoi autori, “incarna” (inogni tempo) la perturbante ombra che diviene presenza psichicae oscura nelle sue capacità di inseguimento invisibile. La statuadi pietra, che “si anima” in comportamenti umani, è una iconache ha suggestionato, negli ultimi secoli, poeti, drammaturghi,47


musicisti, pensatori e cineasti.Il convitato di pietra (sottotitolo del Don Giovanni di Molière)è per eccellenza un convito estremo: la presenza marmorea delconvitato ha il potere di trasmutarlo nominalmente “tutto” inpietra. Don Giovanni ha accettato la sfida: andrà a cena dallaStatua...La concezione classica ha conferito al bianco la possibilitàdi “vestire” e di esprimere la bellezza femminile, attraverso partidel suo corpo, fino alla totalizzante e idealistica immagine dellaDea Bianca, regina dell’isola che dimora, ma anche fonte di ognicreazione (come nel testo di Robert Graves).La figura femminile in bianco è un emblema “in cui supporto(tela, foglio) e scrittura/pittura coincidono a segnalare una assenzadepositaria di infinite virtualità” (A. Castoldi), che si puòamplificare nell’orgia bianca delle Valchirie, le donne-cigno dalbianco collo.“La mia tesi è che il linguaggio del mito poetico anticamenteusato nel Mediterraneo e nell’Europa settentrionale fosse unalingua magica in stretta relazione con cerimonie religiose in onoredella dea-Luna ovvero della Musa, alcune delle quali risalentiall’età paleolitica; e che esso resta a tutt’oggi la lingua della verapoesia – “vera” nel senso nostalgico moderno di “originale nonsuscettibile di miglioramento, e non un surrogato”. (R. Graves)Note.Il testo è ripreso, con qualche modifica, dallo scritto dell’autore: Malieplastiche (scultura come poesia), catalogo mostra (a c. di V. Conte),Museo Civico, Foggia; Castello Carlo V, Lecce; 2002. Gli scultoripresentati in questa esposizione itinerante sono: Pino Conte (1915-1997), Antonio Di Pillo (1909-1991), Gaetano Martinez (1892-1951).48


Sguardo velato come Mystica d’arte (le ‘statue velate’ diRaimondo de Sangro)“Resta velato nella misura in cui lo spirito umano si sottrae.Velato, di fronte alle opposizioni che, vertiginosamente,si rivelano, nel fondo per così dire inaccessibile che è,secondo me, l’“estremo del possibile”.” G. BatailleIl sacro nello sguardo velato è un linguaggio che “entra” neiterritori dell’anima e della psiche con i suoi simboli e rituali. Nona caso “prendere il velo” è stato ed è sinonimo di una donnavicino al rito delle nozze, in cui la componente del mistero esogno si unisce con il pudore del non rivelarsi ancora totalmenteallo sguardo dello sposo: “Quanto sei bella, amica mia, / quantosei bella! / Gli occhi tuoi paiono colombi / attraverso il tuo velo.”(Il Cantico dei Cantici)Il velo, negli antichi testi sacri, vuole superare il dato reale perproiettarlo nella trascendenza assoluta, in cui il mistero dell’infinito,eterno e impalpabile, sfugge in continuazione, attraversoi mille volti di una essenza. La stessa parola “rivelazione” indicauna parzialità di conoscenza di qualcosa che rinnova il propriovelare. Il velo, nascondendo il mistero sacro, segna il limite tra ilcampo dell’umano e del divino.Il velo, che nasconde il sacro, è un passaggio. Lo sguardovelato del divino costituisce un imprevisto specchio di svelamentoper le nudità interiori dell’essere. Questo volto rivolge il suosguardo verso qualcuno: la sua nudità è rivelazione, che puòesigere l’artificio di un velo per nascondere, a chi non è ancora“dentro”, la propria essenza. Desiderare il divino implica unarelazione intima, talvolta lacerante, anche di passione, che puòesigere un velo di protezione.La mistica, come spazio di un movimento segreto, divieneconturbante creazione anche nelle sue espressioni “celate”,in quanto c’è il rischio di ritrovarsi davanti all’immagine delproprio stesso sguardo riflesso. Senza velo non può esserci49


svelamento, né verso il volto del sacro né verso il volto deldesiderio profano: senza misteri da scoprire entrambi i campis’impoveriscono, mancando la pulsione della conoscenza. Ilsegreto può essere – a portata di sguardo – per chi è pronto acomprenderlo, grazie al proprio guardarsi.La visione di una apparenza dello sguardo divino può essere,talvolta, sufficiente per suscitare la follia nell’uomo, possedendolosenza che ne abbia coscienza. Lo sguardo nudo del dio necessitadi un velo perché non può essere incontrato “davanti”: “peraccostarsi ad esso occorre accettare di affrontarlo e di caderesimultaneamente sotto la fascinazione del suo sguardo, con ilrischio di venire strappati a se stessi e proiettati nell’altrove. (…)vedere la figura del dio significa essere invasi da una potenzaestranea, posseduti da un delirio che, se non vi distrugge,quantomeno vi trasforma dall’interno.” (J. P. Vernant)Il sacro, come sguardo celato, riguarda naturalmenteRaimondo de Sangro (1710-71), singolare personaggio daglisvriati interessi: filosofo, letterato, scienziato, studioso delsoprannaturale, inventore eccentrico. A lui si deve la sistemazionedella Cappella sepolcrale dei Sansevero, nel centrostorico di Napoli, a cui dedicò gli ultimi venti anni della sua vita,affidandosi ai migliori scultori del tempo. L’immagine d’insiemedella Cappella è, come è stato rilevato, quella di “un piccoloscrigno d’arte, avvolta in un alone di fascino e di mistero”, cherappresenta la sua testimonianza spirituale. Gli artisti idearonoopere emblematiche per il secolo, usando artifici ed estremitecnici di marmo, per raffigurare volti e corpi coperti da unvelo, anch’esso marmoreo. Sono le cosiddette ‘statue velate’:il celebre Cristo di Giuseppe Sanmartino, la Pudicizia di AntonioCorradini, il Disinganno di Francesco Queirolo. In queste statueil piacere eclettico dell’artificio barocco – “vertigine carnale” (J.Baudrillard) della simulazione – risponde alle esigenze segrete di“nascondere”, appunto, il volto del Sacro all’inizio di un percorso50


Cappella dei Sansevero, Statue velate, Napoli51


spirituale.Queste ‘statue velate’ costituiscono un marmoreo bloccounico con il tutto, che risponde a una esigenza segreta, criptica:“gli umori corrodono il marmo” troviamo scritto. Il Cristo velatosimboleggia il trionfo della vita sulla morte: sintesi sublime dimorte e rinascita che è presente in diverse e antiche iniziazionipagane. Il velo, elemento tipicamente esoterico, ha dunque unafunzione e un invito: quello di “velare” un segreto e un limitedell’oltre. Il segreto può essere accessibile solo a chi è pronto asvelarlo con il proprio interiore guardarsi, divenendo “fedele” difede e d’amore.La Mistyca Arte, nelle sue molteplici apparenze di sguardoe maschera – visibile e di pensiero –, è sempre stata, in ogniepoca, “luogo” e “costruzione” di espressioni. Nel suo internomovimento, al di là dell’immagine scelta, ha evidenziato presenzeinnovative e, talvolta, “estreme” (per risultati e significati) nellaricerca di essenze oltre, anche nelle sue valenze di desiderio.La pulsione di spiritualizzare l’esistenza e la materia stessapuò ricercare, nella sua esperienza artistica, un’immagine chepuò essere espressa in una riconoscibile raffigurazione ma anchein una significante astrazione. Non a caso nelle Sacre Scritturec’è l’indicazione di non fare scultura e immagine “delle cose chesono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sottoterra” (Deutoronomio, 5,8). Di questa istanza diversi artisti sisono fatti interpreti: Mondrian, infatti, uno dei pittori del XX secolomaggiormente sensibile alla teosofia, ha trovato nell’astrazioneneoplastica il suo ideale-sguardo di purezza e assoluto.Note.Questo scritto è stralciato e sollecitato da scritti e interventi dell’autoresullo ‘sguardo come arte’:_Sullo sguardo perturbante (intervento), in L’occhio palpitante(seminario a cura di M. Canevacci), Sala Congressi, Facoltà di Scienzedella Comunicazione, Roma 12 aprile 2002.52


_Sullo sguardo perturbante (testo), Brutium n. 2, Reggio Calabria2002._Sullo sguardo perturbante come bianco desiderio (testo), in I fiori delbianco, blocco notes, Gepas, Avola 2003._Lo sguardo palpitante come arte (intervento), in La forza dello sguardo,2 (incontro), Sala Convegni di Palazzo Impellizzeri, Siracusa 27 febbraio2005._MYSTICA (veli e sguardi sul sacro ...) (mostra a c. di V. Conte), GalleriaLIBRA, Catania 2010; ripreso in Body Writer: pulsione di sconfinamento,Gepas, Avola 2010.Dispersioni dell’arte bianca verso l’invisibile“Nulla piace di più agli dei che il bianco.” L. B. AlbertiIl bianco è l’indizio e l’essenza di una dimensione in cui i colorie i suoni, come principi e sensibilità percettibili, sono dileguati:invitano a un assoluto sinestetico di assenza e di essenza. Ilimiti dell’espressione bianca sono in relazione alle possibilitàestreme dell’arte di operare ancora in ambiti di visibilità einterpretazione razionale, poiché questa può sconfinare neirichiami di una trasparenza. L’arte bianca esprime un’urgenza dicomunicazione e superamento di una soglia, oltre le consueteparole e letture. La monocromia delle sue “maschere” invisibili èil luogo di ogni alterità, del sempre estremo limite, che esprimela propria indicibile essenza. È il velo di Maia che cela ciò chevuole essere svelato – il suo stesso mistero –: “Bianco non è ciòche toglie via l’oscurità?” (L. Wittgenstein).Il vuoto, talvolta, come per Y. Klein, è la seule manièrephisique per raggiungere un assoluto emozionale e spirituale,risultando sentimento ed esperienza della tonalità monocroma.E’ un nuovo codice essenziale di percezione e comunicazione, incui il bianco ne diviene passaggio espressivo ed emotivo. Klein“il pittore dello spazio”, nel suo inquietante e simbolico Salto53


nel vuoto (1960), si tuffa nel vuoto per “offrire” un ritratto-volodel suo universo artistico, realizzando il sogno antico dell’uomo,quello appunto di volare.L’oltre del bianco coincide con quello dell’arte stessa edelle potenzialità sensoriali riconoscibili: è l’enigma dellacreazione stessa. Questa può ricercare, nella sua accezione piùsmaterializzata, l’incorporea traccia di un movimento verso laluce, il silenzio, l’indicibile richiamo (il cielo, l’aspirazione mistica)o nella naturale vibrazione di un’energia che diviene “respiro”:“perché non cercare di scoprire il significato illimitato di unospazio totale, di una luce pura ed assoluta?... non bisogna dirnulla; essere soltanto; ... l’artista ha conquistato la sua integralelibertà; la materia pura diventa pura energia;... Non c’è nulla dadire; c’è solo da essere, c’è solo da vivere.” (P. Manzoni)Una creatività bianca non può essere “delimitata”: ognilimite è solo un limite della mente verso il suo bordo. La ricercadell’estrema significanza è espressa attraverso le lingue di ogniespressione verso l’altrove. Può diventare l’attraversamentodi un “segreto”. L’espressione “celata” può divenire così unapresenza complementare della stessa opera. Il “segreto” seducei percorsi rituali dell’autore che ricerca i luoghi predisposti allavolontà segregante dell’arte: “Scavai tramutando quello che persecoli era visibile in invisibile. Scavai e nascondendo l’immagineliberai la sua energia. Trasformai l’assenza in una perpetuaemissione di Mito. Allora scavai, senza sapere che questo eral’inizio di un lavoro che avrebbe inseminato tutta la Terra”. (D.Alithinos)Tutto ciò che nasce “bianco” è di difficile descrizione. In unospazio monocromo si tende a percepisce qualcosa che nonpuò essere spiegato con le parole. Avvertire un’appartenenzaal bianco è come entrare in uno spazio irreale, in un sogno,in una dimensione perennemente borderline: è “il labirinto”di una mistica e di una linea di confine, che non riusciamo a54


comprendere con la mente.La dispersione dell’arte può ricercare il bianco come estremapossibilità espressiva, oltre il conoscibile e l’esprimibile razionale:“Il bianco non è un colore: viene prima e dopo il colore. (…)Bianco per volare nel nulla: senza attese, senza opere, senzadenari. (…) Bianco come la luce accecante che azzera tutto elibera il video infinito del senza tempo e del senza luogo: il velobianco della verità.” (L. Bianco)Luigi Bianco, attraversando le indicazioni della miaDispersione, rileva: “Ancora una volta rivedo me stesso chedisperdo parole sulla sabbia lavata dalla schiuma del mare.Io – da sempre contro l’opera – sono forse l’esempio viventedella DISPERSIONE di Conte. Purtroppo, un esempio marginalee improduttivo”. Ma proprio perché marginale e improduttivoil suo è un esempio di creatività extreme che includo nell’artebianca, in quanto racchiude un pensiero-percorso che uniscecreazione ed esistenza per divenire lo specchio inquietante dellealtrui certezze.Bianco, piemontese d’origine, dal 1994 è diventato cittadinocalabrese, andando a cercare i tesori segreti dei paesi internidella Calabria, elevando il Sud a propria esistenza. Si definisce“poeta amodale” in quanto la poesia è essenza che può nonrichiedere una scrittura o una pagina per le sue espressioni. Isuoi eventi bianchi sono “attraversamenti” imprevedibili tra lagente e i luoghi, senza programmazione, rifiutando qualsiasiapparenza di spettacolo o artistica in senso stretto, per suscitare“riflessioni” sui grandi e piccoli perché dell’esistenza.Per Vittorio Pannone “luigi bianco ha raggiunto l’essere,se stesso. ha attraversato i tanti luoghi del nulla, del niente. èdiventato “nessuno”. anche il poeta amodale è fuggito, cometanti altri. tabula rasa totale e completa. tutto alla fine, allamorte.”55


56Luigi Bianco, L’eremita amodale (2006)


Il bianco, come acqua ed essenza, sono diventati anche perme momenti di una creazione rituale, volutamente solitaria edispersa. Ho voluto celebrare in Brasile, a Salvador de Bahia,il passaggio di un 31 dicembre verso l’anno nuovo, vestito dibianco (come tanti altri in Brasile), per offrire tre rose bianche almare e il mio testo sulla Dispersione a Yemanjà. Questa dea, i cuicolori sono il blu e il bianco, è nella mitologia africana la reginadelle acque del mondo (come lo sono le maree e la pioggia),divenendo anche protettrice dei naufraghi. Ho ricordato questopersonale evento, il giorno dopo, con dieci cartoline spedite apersone amiche in Italia, che ho scelto come miei “testimoni”:“ricercando il bianco segreto ho offerto fiori bianchi al mare nellanotte di Capodanno...”.“Elementi che si ritrovano anche negli altri versanti che gliappartengono: quello del teorico di un’arte borderline o liminare,derivante anche dalla comune perdita di un centro referenziale– e di una coerente ricerca sinestetica che rimanda appunto allapoetica del Bianco come ‘assoluto’ mentale e dell’extrême... Edinfine, in un recupero del linguaggio verbale, quello del poeta,sedotto e catturato dalle sue stesse variazioni sul Bianco: cosìnel “poema ininterrotto”...” (M. G. Adamo)57


58Vitaldo Conte, Fiori bianchi al mare..., Salvador de Bahia(2003)


GIOVANNI SESSADa Sud: per un’Arte Mediterranea<strong>Pulsional</strong>ità, <strong>Ritual</strong>ità, Tradizione tra Megaliti e Suonodell’OrigineDa Martin Heidegger ad Andrea Emo, i filosofi contemporaneiche hanno profondamente segnato di sé la speculazionedegli ultimi decenni, hanno avuto contezza che l’arte ha, perdefinizione e statuto interno, una responsabilità di tipo teoretico.Essa ci pone nella condizione di apertura e connessione conla verità, è in grado di oltrepassare il limite invalicabile che alvero “immette”, quando non si riduca alla mera dimensionemimetica. La vera arte è sempre originale in quanto, comeasserito in modo esplicito da Emo, non fa che ri-produrrel’Origine, corrispondergli. L’espressione poietica è connotatadell’ambiguità metamorfica del Principio, poiché protesa trarealizzazione gnoseologica e inevitabile involversi su se stessa.Essa, inizialmente e innanzitutto, ci conduce all’interno di ritmiorfici di trasfigurazione, che hanno come inevitabile correlato,le problematiche inaugurate da Platone, inerenti il tema dellareminiscenza.La reminiscenza ha il merito di sospendere nel rammemorarela logica diairetica della non contraddizione e ciò perchénell’anamnesi, due identità, due determinati, non si escludonovicendevolmente. Già Leopardi, nello Zibaldone, aveva rilevatocome ogni sensazione attuale non sia altro che la rielaborazionee il ripresentarsi di un’immagine fanciullesca, antica ma pursempre riattualizzabile. Nella reminiscenza e nel creare vengonodefinitivamente meno le strutture logico-esistenziali dominantila storia e il pensiero occidentale: in particolare, in questi59


momenti, ci si porta al di là della distinzione di essere e nulla, perrecuperare una visione del reale centrata sulla contaminazionedelle due polarità logico-ontologiche. La cosa, peraltro, era giàstata intesa nella filosofia aurorale greca che, stando alla lezioneermeneutica di Giorgio Colli, ripropose in termini speculativi laprecedente Sapienza misterico-iniziatica. L’anamnesi, inoltre,presuppone lo sfaldarsi della concezione cronologica ed edipicadella temporalità, mostrando l’evidenza del tempo sferico, delsempre possibile recupero dell’Origine.Nelle performances e nelle installazioni di alcune correntiartistiche contemporanee dette “estreme”, tutto ciò si mostracon evidenza. Ad esempio nella Body Art, che fa dell’esibizionedel corpo d’arte, nella sua vera e propria messa in scena,espressione di purezza e impurità, di sacro e profano, di vita emorte. Il corpo diviene luogo dell’effettiva co-appartenenza diessere e nulla, di positivo e negativo. Il contatto visivo e intimo,come ci ricorda Vitaldo Conte (<strong>Pulsional</strong> Gender Art, Avanguardia21 ed., Roma 2011), tra il corpo segnato e l’occhio che guarda,implica il recupero della mistica estatica che induce una letturadella corporeità, del confine corporeo, come luogo epifanicodell’oltre. Riteniamo che, per comprendere appieno questetematiche, per contestualizzarle compiutamente sotto il profilodella loro valenza più profonda, quella storico-esistenziale,sia necessario collocarle al di là dei limiti angusti dell’esteticapropriamente detta. Luogo speculativo di riferimento perun’esegesi corretta di questi fenomeni, ci pare essere quelloincluso nella categoria del Tragico. Con essa indichiamo, inquesto contesto, una celebrazione del mondo così com’è,senza vincoli né di tipo intellettuale né di tipo morale, attuataattraverso una creazione libera, per questo atta a corrispondereal momentaneo e transitorio darsi dell’Origine, del Principio neglienti, di ascoltarne la “voce” e di farle Eco.61


Suggestioni hillmanianeQuest’arte estrema non può pertanto non incontrarsi con ladimensione <strong>Pulsional</strong>e, quella in cui secondo lo psicanalistastatunitense James Hillman si sono rifugiati gli antichi dei,dopo la loro fuga dal mondo, imposta dall’irrompere dellavisione cristiana. Qui essi hanno assunto il volto conturbantedella psicopatologie e negli strati più profondi della psichefanno sentire ancora i loro richiami, indossando la mascherache da sempre accompagna il darsi del sacro: il terrificante.Inoltre, in quanto <strong>Pulsional</strong>e e Anamnestica quest’arte nonpuò che realizzarsi <strong>Ritual</strong>mente. Essa è, al medesimo tempo,espressione di un ascolto emozionalmente partecipato deirichiami rituali che, come conchiglie da lontani mari, sono giuntesulla spiaggia degradata della contemporaneità mercantile, edinamica creazione di nuove <strong>Ritual</strong>ità sinestetiche di Arte-Vita.Dal primo punto di vista, come sostiene Conte, è antropografia,in quanto in essa: “…confluiscono e interagiscono ambientazionie oggettualità plastiche…che attraversano con lo sguardo ilricordo, la terra di appartenenza”. Dal secondo punto di vista,invece, essa è particolarmente attenta e sensibile ai richiamie alle riproposizioni che si manifestano nel “Sud immaginale”.Nel Mezzogiorno quale luogo geniale e d’elezione, in cui laTradizione mediterranea, femminile e tellurica, ha manifestato séstessa nell’intuizione della prossimità ciclica del mondo vegetalee di quello umano, nell’intuizione della co-appartenenza di vita,morte e rinascita. Sulla scorta di ciò, tale Kultur del Meriggioha colto nella Pietra, nel Megalite, il simbolo di una possibileeternità.In questo senso, questa nuova poietica si inserisce pienamentein quel tentativo di Re-visione dello stato presente delle cose cheha avuto in Hillman uno degli interpreti più accorti degli ultimianni. Il mondo moderno soffre infatti di una perdita d’Anima.L’uomo contemporaneo ha perso il contatto con sé stesso,62


divenendo incapace di relazionarsi in profondità con gli altri econ il mondo. Secondo Hillman, l’uomo che mostra il fenomenodella “perdita d’anima” è impossibilitato: “…a parteciparealla vita sociale, ai riti, alle tradizioni. Sono cose morte per luie lui è morto per loro. Il legame con gli altri…con la natura èscomparso”(Fuochi blu, Adelphi, Milano 1996, p. 35). Come riconquistare,allora, l’Anima? Che possibilità effettive abbiamo ditornare a una condizione sin-tonica verso noi stessi e il cosmo?Una via possibile è appunto quella indicata da questa poieticasinestetica, momento di una più generale re-visione culturale.Questa forma creativa consente il recupero di quella componente,oggi sconosciuta ai più, che rende possibile il significato, chetrasforma gli eventi in effettiva espressione. In una parola, in essatraluce la base poetica della mente, la dimensione immaginalecon la quale guardiamo le cose muovendo da una coscienzanon scissa, non atomizzata e chiusa in sé stessa a causa dellelogiche della partizione oggi prevalenti, ma sempre in sintonia,connessa alla vita, alle pulsioni del cosmo. Questa ragionenella tradizione ermetica è stata simbolizzata nel caelum, nelfirmamento azzurro che incanta, vibra e meraviglia.Ernst Jünger la definì “astrologica”, in quanto la ritenevaessenziale per familiarizzarci con le rivoluzioni celesti e i cicli dellaterra, al fine di ristabilire un collegamento con il ritmo del grandeorologio primordiale. Si tratta del recupero del mito di Anteo.Questi traeva dalla terra forza, potenza, vitalità. Eracle potésconfiggerlo soltanto quando riuscì a sollevarlo, allontanandolodalla Grande Madre. Questa adesione al cosmo permette, infatti,di “abitare poeticamente” il mondo, come sosteneva Heidegger.Tale rapporto “poetico” con il suolo, con il Grembo originario è,non solo storicamente, ma esistenzialmente ed emotivamenteviva, nel Sud e nel Mediterraneo.63


Tra Dolmen e MegalitiPiù precisamente, la cultura in questione è sedimentata in unavasta area geo-cultuale, che si stende dalla Saturnia Tellus egiunge, attraverso l’antico Bruzio, al Salento delle Taranta e aldolmen di Li Scusi, spingendosi fino ai luoghi cari alle memoriedella Magna Grecia, da Metaponto e Crotone pitagoriche, finoalla Sicilia di Empedocle. E di lì guarda a Malta, con i suoi megalitie, soprattutto alla labirintica Creta. E’ qui che, nei meriggi, Panvive ancora negli aliti di vento e nelle memorie di contadini epastori. Vive in chi è ancora in grado di sostenere il portento dipensare per immagini e non solo attraverso concetti. Per poterascoltare il suono del flauto di Pan, del tutto, della fúsis: “…dobbiamo prima essere afferrati dalla Natura, sia là fuori, in unacampagna deserta che parla con suoni e non con parole, siadentro di noi, in una reazione improvvisa” (J. Hillman, Saggiosu Pan, Adelphi, Milano 1977, p. 55). Una reazione pulsionale erituale, oggettiva, essenziale ed impersonale nella quale Natura/Pan si ri-vela, oltre la dimensione romantica ed idilliaca dellaNatura, secondo modalità “calde” e, in forza di ciò, anchepotenzialmente opprimenti, sconcertanti, paniche appunto.In questa vasta area, la creatività mediterranea si è espressain Mistiche Bianche, testimoniate dalla Mostra al CastelloAragonese di Reggio Calabria, curata da Conte nel 2006. IlBianco dell’indistinzione originaria da cui sorge, anzi sgorga ilRossoVita simbolizzato dalla Rosa. Enargés nell’Odissea è iltermine tecnico dell’epifania divina: aggettivo che contiene in séil bagliore del bianco. Esso rinvia al “qualcosa che accade”, nelquale i Greci rintracciarono l’essenza del divino, il suo “rumore”di fondo.A questo stato originario rinviano altresì le tele bianchedi Raurchenberg che “svegliarono”, portarono a coscienzain John Cage, le intuizioni sul suono silenzioso, coincidentiaoppositorum. Ma, oltre alle produzioni artistico-culturali che64


L’anima delle pietre e il dolmen di Avola: rielaborazione di AnnarellaSusini65


hanno avuto un’effettiva e non effimera circolazione di mercato eascolto accademico ufficiale, a queste tematiche si sono ancheapprocciati autori che hanno prodotto il non commercializzabile,ed hanno vissuto una sintonia con la memoria storica mediterraneae i suoi archetipi. Basti pensare all’esperienza, ricordatada Conte, del poeta-pecoraio Giacomo Giardina; oppure allecreazioni di Arte-Natura, così legate alle metamorfosi paniche,quali le transeunti sculture di sabbia e/o sassi, che si sottraggonoad ogni “uso” per la loro natura ludica o, ancora, all’attenzioneche artiste come Tiziana Pertoso pongono, nelle installazionid’arte, alla ricerca di materiali testimoniati dall’uso artigianaleatavico di un dato ethnós.Indubbiamente, questa vasta area mediterranea ha al centrodella propria cultura la roccia, la pietra che da sempre, come hamostrato in modo assolutamente esaustivo tra gli altri MirceaEliade, sta ad indicare la durata infinita, una modalità di esistereindipendente dal divenire temporale (per tutto ciò che segue cfr.M. Eliade, Storia delle idee e delle credenze religiose, Sansoni,Firenze 1990, I, pp.131/156). La scoperta dell’agricoltura cambiòprofondamente la concezione dell’esistenza umana, che fuesperita simile a quella del mondo vegetale: nascita, vita, morte,rinascita. Per questo il culto megalitico è sempre accompagnatoda una rilevanza significativa del culto dei morti. La comunionerituale con gli antenati costituiva la chiave di volta di quest’anticaciviltà. Il dolmen era un corpo di pietra costruito per l’eternità,attorno al quale, come per il Mundus romano, si costituiva laComunità dei morti e dei viventi.Il menhir era altresì considerato propiziatore della fecondazione,luogo irradiante l’energia cosmica, testimonianza dellarinascita. Il suo simbolismo coincideva con quello fallico, con lapotenza della generazione, mai esperita però, come ha chiaritoColli, in modo meramente naturalistico, ma sempre collegata auna dimensione propriamente conoscitiva, certamente iniziatica,rinviante ad una rottura di livello ontologico, tesa a far superare66


all’uomo il suo essere relegato al principium individuationis.E siamo portati così di fronte alla dimensione significata dallapotestas divina di Dioniso. La sua parentela con la culturamegalitica è attestata dalla presenza del simbolo fallico, anzi diun vero e proprio Tau fallico, posto sull’architrave della PortaMinore dell’Acropoli di Alatri, cittadina che sorge in Ciociariaal confine meridionale della Saturnia Tellus. Questa Civita èuno degli esempi meglio conservati di mura megalitiche. Essecolpirono al primo sguardo, durante la sua visita, lo storicotedesco Ferdinando Gregorovius, il quale nel suo Passeggiateper l’Italia, ricorda l’arrivo in Alatri: “Cavalcando attraversomura annerite dal tempo, in un meraviglioso mattino d’estate,fui rallegrato dall’aspetto vivace della città, ricca di splendidipalazzi…Non ne avevo ancora visti di così belli nei monti delLazio” (Hethea, Alatri 1991, p. 24). Com’era naturale, le muramegalitiche, definite “nera costruzione titanica”, colpironol’immaginario dell’erudito d’oltralpe, molto più del Colosseo.Non è casuale, pertanto, che uno dei massimi storici dellereligioni del secolo XX, l’ungherese Károly Kerény, si siainteressato della Ciociaria, individuando in essa un luogo dievidente diffusione del culto dionisiaco (Dioniso, Adelphi,Milano 1991). In particolare, egli ha sottolineato come lavoragine carsica situata nei pressi del paese di Collepardo,a nord di Alatri, nota come pozzo d’Antullo o Santullo, abbiasvolto in illo tempore, il ruolo di santuario dionisiaco. Non èsecondario, inoltre, il fatto che proseguendo lungo i sentieri deiMonti Ernici in direzione nord, si giunga dapprima al paese diMorino e successivamente a quello di Cocullo. A Maggio, qui sitiene ancora la processione detta dei “Serpari”, durante la qualevengono condotti per le vie del paese rettili che attorniano lastatua della Madonna. A testimoniare in quest’area la presenzasimbolica e la sopravvivenza rituale del Serpente Sacro caro aDioniso. Più a sud, oltre la città di Sora, si incontra il lago diPosta Fibreno. Qui, come ricorda Plinio il Vecchio, convenivano,67


Il Pozzo d’Antullo (o Santullo) a Collepardo68


in occasione delle Primavere Sacre, attorno ad un’isola natantedi torba, ancor oggi posta sul margine destro dello specchiolacustre, i giovani Romani al fine di trarre vigore dalla influenzepromananti da questo “Centro del Mondo”.Del LabirintoIl lettore non ritenga oziose le precedenti considerazioni, opeggio fuori tema. In realtà è il senso del dionisismo a spiegareda un lato l’essenza profonda della mediterraneità e altresì,crediamo, di quella poietica estrema, dalla quale siamo partiti.Pertanto, sia pure secondo modalità rapsodico-sintetiche, suquesto tema è il caso di sviluppare qualche altra considerazione.In particolare in riferimento alla relazione che secondo i piùrecenti studi specialistici, legherebbe il dionisismo al simbolodel labirinto e al pensare/creare. Sotto il profilo iconografico esimbolico, il labirinto rinvia, come notò tra i primi lo storico dellereligioni Brede Kristensen, al mondo infero. Quest’intuizione,in seguito, fu sviluppata dagli studiosi che si occuparono dellefigurazioni labirintiche ritrovate su tavolette di argilla babilonesi,accompagnate da testi cuneiformi.Dalla loro decodificazione si comprese che, tali raffigurazioni,rappresentavano viscere di animali, offerte in sacrificio. Il mondoinfero, già di per sé spiraliforme, è stato assimilato alle viscere.Queste, come gli inferi, sono figurazioni di un grande grembomaterno e rinviano, per rimanere all’interno del pantheon greco,alla divina fanciulla Persefone che, giunta al culmine della suaindomita vita, vede compiersi il proprio destino: “Un destinoche significa morte nel momento di maggiore pienezza, esovranità nella morte” (K. Kerény, Op. cit., p. 36). Persefoneincarna, secondo questa modalità mitica, il destino di tutti gliesseri viventi: destinati nella morte a ritornare come bíos, vitadeterminata, presenza. Ancora una volta, ricompare il legameidentitario di vita finita-infinita. Sono state colte, inoltre, nella69


parola labirinto, a partire da lábrus, ascia bipenne, riferimenti agrotte, cavità, miniere, essendo l’ascia bipenne lo strumento inuso in esse. Per la stessa ragione, non è casuale che Enea siafatto giungere da Virgilio nell’antro della Sibilla, dove osserva unarappresentazione labirintica, per iniziare la sua discesa nell’Ade.La Grecia, per altro, non ha semplicemente pensato al labirintocome edificio o alle sue rappresentazioni spiraliformi, ma lo harealizzato ritualmente nella danza. W. F. Otto ha esemplarmentescritto su questo tema che la danza non insegna, non discute.Avanza soltanto. E con il suo incedere porta alla luce quel chesta alla base di ogni cosa. L’Eternamente splendido e il Divino.La danza è la verità dell’ente, è la verità di ciò che vive.La danza rituale è messa in scena della matematica divina,del ritmo e dell’armonia cosmica che si rende visibile nelcompiersi della sua forma. In questo caso, danzatore e mondosono una stessa realtà vivente. Il termine greco corós suonacontemporaneamente come “danzare” e “danzare insieme”. Inquesta seconda accezione rinvia, ancora oggi, a quella danzadetta súrtos, in cui ci si trascina e si imitano le circonvoluzionidel labirinto, la cui antica origine è da ascriversi all’isola di Delo.L’antica danza si chiamava géranos, la danza della gru. Durantela sua esecuzione, tutti i protagonisti dovevano tenere in manoun filo (in ricordo del gomitolo di lana di Arianna, offerto all’eroeTeseo) e alla fine dell’esecuzione, che si sviluppava attraverso larappresentazione di figurazioni spiraliformi, convergenti verso ilcentro, le “gru” simulavano il loro alzarsi in volo, a testimoniarela conseguita liberazione e il dirompente anelito a una vita piena.Arianna, la Signora del Labirinto, era per i Greci a un tempo lapurissima, Ariadne, e in quanto tale regina degli inferi, ma ancheAridela, la chiarissima, regina del cielo. Un destino ctonio eduno uranico si presentavano nella sua figura umano-divina, arammentare, in termini dionisiaci, le possibilità umane: quelladella bestia o quella del dio.Ma in fondo, cosa indica il filo di Arianna se non la conoscenza70


in grado di liberare? E in cosa consiste questa gnosi? Nellacapacità, questo mi sembra suggeriscano i miti discussi, di aderiresolidamente alla realtà in maniera complice, camaleontesca eambigua, come indicato dalla duplicità-complementarietà diArianna/Dioniso, ma anche da quella di Apollo/Dioniso.Della materia mentaleQuale, dunque, l’essenza di questa gnosi? Quale il suo effettivo ubiconsistam? Credo che, a questa domanda, abbia compiutamenterisposto Roberto Calasso, individuando lo statuto della sofialabirintica nella dimensione della possessione. Naturalmente,il termine non va assunto nell’accezione moderna, di origineottocentesca, che l’ha resa semplicemente qualcosa di esotico,di straordinario, relegandola, il più delle volte, nella dimensionedel patologico. Al contrario: “Per i Greci, la possessione fuinnanzitutto una forma primaria della conoscenza, nata moltoprima dei filosofi che la nominano… (essa) è in primo luogo lanostra vita mentale… abitata da potenze che la sovrastano esfuggono a ogni controllo, ma che possono avere nomi, forme,profili” (R. Calasso, La follia che viene dalle ninfe, Adelphi,Milano 2005, p. 27). Possessione è accrescimento istantaneodi intensità di vita, risposta pulsionale di fronte a eventi gioiosi,piacevoli o, al contrario, terrifici. Per questo si tratta di una gnosiin cui lógos ed erós trovano conciliazione. La possessione è ildono delle acque mentali, del quale ci dice quella straordinariagemma del mondo classico, giunta sino a noi da un passatoremoto a rammentarci il nostro da/dove, ma soprattutto il nostroper/dove, che è il De antro Nympharum del neoplatonico Porfirio.Qui si racconta che Apollo, dio del metro, della misura, ricevettedalla Ninfe che tutelavano le acque delle sorgenti e delle areelacustri, il dono delle “acque mentali”. Apollo riceve, quindi,un sapere metamorfico che, cronologicamente, lo precede,fluido, ben simbolizzato dalla acque originarie e si industria per71


conferirgli forma. Commenta Calasso: “Ninfa è dunque la materiamentale che fa agire e che subisce l’incantamento, qualcosa dimolto affine a ciò che gli alchimisti chiameranno prima materia eche ancora risuona in Paracelso, là dove parla di nymphididicanatura”(Op. cit., p. 32).Le Ninfe sorgevano, con il loro corpo ammaliante dalleacque, così come l’immagine mentale affiora dal continuodella coscienza. Il loro apparire subitaneo è accompagnato, ciricordano mito e neoplatonici, dall’alitare del vento, che vienepercepito dai sensi dell’osservatore attento nel momento incui partecipa alla creazione poietica. Si tratta dell’Aura. Essapresuppone, proprio come in tutte le esperienze creativemediterranee presentate da Conte, la rinuncia alla conquista,all’utilizzazione, alla mercificazione, dell’oggetto raffigurato.Denota un portarsi oltre la dimensione meramente cosale. L’Auraè levità che può irradiarsi da persone, oggetti o luoghi comequelli della Mediterraneità, che manifestano il vero. La follia delleNinfe squarcia i miseri orizzonti nei quali il fare e il pensiero sonostati oggi relegati: quelli che i Greci indicavano con il termine diAntaura, il malessere spaesante.Le Ninfe sono tornate più volte, nel corso della storiad’Occidente a stimolare un ritorno, un risveglio possibile, al finedi far recuperare una modalità d’esistenza capace di risponderein modo degno alle aspettative di vita degli uomini. Ce lo ricordaAby Warburg, che riconobbe nelle figure femminili di Botticelli,nei loro gesti, nei drappeggi e nei movimenti dei capelli, il “gestovivo” della classicità capace di indurre i fiorentini dell’epocaall’impresa rinascimentale.Della letteratura assolutaQuesto ritorno della Grecia arcaica, stando alla lezione diWarburg, in Europa si è manifestato in successive e periodiche“onde mnemiche”. A volte, artisti e pensatori ad essa aderirono72


con entusiasmo, in altre circostanze con misura e circospezione.Il primo è il caso di Nietzsche, il secondo di Burckhardt. Il filosofotedesco ci ha lasciato, in forza della sua fascinazione ellenica, uninsegnamento fondamentale, noto come “magia dell’estremo”:era convinto, fermamente, che in ogni momento potesseaccadere agli uomini di cogliere la natura intorno a sé come nonaltro che una mascherata degli dei, che giocano ad ingannarciassumendo ogni sorta di forme. Alla “magia dell’estremo”, piùtardi, si richiamerà lo stesso Proust. Ma come, attraverso cosa,si può accedere a questa “magia dell’estremo”?Attraverso quella che Ananada Coomaraswamy definì la“scossa estetica”. A questo induce l’arte: a vedere ciò chealtrimenti non si vedrebbe o a udire ciò che prima non si eraudito, nell’uso “cosalizzato”, reificato delle parole. Oltre che sottoforma di psicopatologie gli dei, al tramonto del mondo Antico,si rifugiarono nella letteratura, nella parola, celandosi in essain modo più o meno compiuto e riemergendo periodicamentecon forza dalle pagine di poeti e scrittori. Dapprima, nellacosiddetta Scuola Pagana neoplatonica, successivamente nelRinascimento e, in modo eclatante, durante la Romatik. Novalis,Hölderlin, Bachofen, i “cosmici” monacensi dei primi anni delsecolo XX, hanno ri-animato sub specie letterario-poetica gli dei(Per tutto ciò cfr. R. Calasso, La letteratura e gli dei, Adelphi,Milano 2001).Quale il carattere precipuo di questa “letteratura assoluta”?Gottfried Benn la chiamò “Arte Monologica”, in quanto le sueproduzioni sono centrate solo attorno al suo fare. E’ in qualchemodo il linguaggio che si occupa di se stesso e dà luogo aduno stile espressivo in cui ciò che conta è la fascinazione el’impronta dell’espressione, nel quale i contenuti sono soltantoeuforizzazioni per esercizi artistici. Le parole d’ordine sono:fosforeggiare, rapire, stordire, abbagliare. Nella “letteraturaassoluta” ha trovato, dunque, accoglienza, il sapere delle Ninfe.Ciò ci consente di sostenere che momento significativo nella73


icerca sinestetica contemporanea, in continuità con tale formadi creazione, sia quello della poesia sonora, fino ai suoi esiti ultimie più radicali, che la portano oggi ad incontrare il “rumorismotecnologico” (Cfr. S. Balice, Arte pulsionale: avanguardia calda eneotribalismo, in AA.VV., <strong>Pulsional</strong> TransArt, Gepas, Avola 2012,pp. 35/38).Infatti la Voce, il Suono, il Rumore, quando siano il risultato diun approccio di indagine non più connotata nei termini limitatividell’estetica propriamente detta, da un lato lasciano emergere ladimensione pulsionale ad essi connessa (respiro, piacere, ritmo)e dall’altro consentono il ri-suonare dell’ Origine, attraverso unri-conquistato predominio del significante fonico nei confrontidel significato. E’ un percorso dalle parole alla Parola, chefa vibrazionalmente tralucere da sé la sua essenza, di naturasonora. Tale via può oggi naturalmente essere seguita anchemuovendo dal rumorismo che, come vedremo, fu un’esperienzamessa in atto dalle avanguardie musicali del Novecento. Pertanto,Conte ci pare cogliere nel segno quando sostiene: “Oggiil possibile demone è all’interno dei nuovi media digitali enell’opera live, anche come festa-arte con le sue sonore e multivisivemaschere dannate” (<strong>Pulsional</strong> Gender Art, p. 64). Tutto ciòevidenzia quanta ragione avesse il filosofo Augusto Del Nocenel sostenere che: “Il moderno e l’antimoderno sono in unacerta guisa veramente gemelli, così che talvolta riesce difficiledistinguere la punta estrema della modernità dall’antimoderno”(A. Del Noce, Modernità interpretazione transpolitica della storiacontemporanea, Morcelliana, Brescia 2007, p. 41).Le civiltà tradizionali giunsero, infatti, a concepire la dimensionevibratile come essenza della realtà, esattamente come accadein certe espressioni della poesia sonora contemporanea, adesempio in Julien Blaine. E questa dimensione ci sembra peraltropervadere i paesaggi, le lingue locali, i ritmi e le melodie dellamediterraneità.74


Del Suono originario*Vero e proprio antesignano degli studi musicologici, di impostazionetradizionale, può essere considerato Marius Schneider.Questi univa, nella propria formazione, una non comunecompetenza mitologica e musicologica che mise a profitto,sia nelle lezioni tenute nelle Università di Barcellona, Colonia eAmsterdam, nonché in una sere di saggi e di pubblicazioni. Eglidedicò la sua esistenza al tentativo di ricostruire la cosmologiaarcaica fondata sul suono, schiudendo vie inusitate di ricercache spaziano, in modo comparativo, dal mondo indoeuropeo alVerbo giovanneo. Il suo sforzo ermeneutico rimase, purtroppo,incompiuto. Dalle sue opere si desume che, nei diversi miti dicreazione, un momento acustico interviene nell’atto creatore: glidei sono canti poiché, la fonte dalla quale emana il mondo, èsempre musicale. L’abisso primordiale, da cui il suono si eleva,è cassa di risonanza, le cui note sono personificate dagli deicantori. Non è casuale che, presso la tradizione vedica, gli deisiano sorti dalla bocca di Brahma e che Brahman significhi inno,parola sacra. A volte, nelle diverse tradizioni, il canto creatore èidentificato con il tuono, in Asia Minore il dio Ea o Enki è bulug,il tamburo, così come lo sono gli dei che si trovano incarnati inalberi parlanti. Quindi, se l’atto creatore è un canto, è chiaro cheil mondo cui dà vita è puramente sonoro: “La radice, la potenzae la forma di tutte le cose esistenti sono costituite dalla lorovoce o dal nome che portano (…) La natura dei primi esseri èpuramente acustica. I loro nomi non sono definizioni, ma nomi osuoni propri, (…) sono gli stessi esseri”( M. Schneider, La musicaprimitiva, Adelphi, Milano 1992, p. 17). D’altro lato, in un grannumero di miti, si dice che i primi canti della creazione furonoapportatori di luce, diffusero il chiarore dell’aurora. In sanscritosvara e svar, suono e luce, sono uniti in base alla loro affinitàfonetica e così, il cantore del Rig Veda, è detto “Colui che haluce propria”.75


La sillaba mistica OM, avente in sé i suoni base A,U,M, èconsiderata la freccia sonante, analogicamente identificata conil primo raggio di sole. Lo stesso testo sacro ci segnala i setteRsi, poeti mitici o metri poetici, il cui canto generò la prima aurorae formò la testa di Prajapati. Secondo altri studiosi, il canto eraassimilato a un’emissione di seme. La parola, il suono o l’uovooriginario che li rappresenta sono, all’inizio, immersi nella nottedelle acque primordiali e da ciò consegue anche il ruolo socialericonosciuto alla musica in tali società: sul piano umano lamusica si trova fra l’oscurità della vita inconscia e la chiarezzadelle rappresentazioni intellettuali. Sul piano simbolico, lamusica precorre il linguaggio intelligibile, come l’aurora anticipail giorno. È oscurità e splendore luminoso allo stesso tempo,anche se, con il precisarsi dei suoni, queste due componenti siseparano. Nasce in conseguenza di ciò, anche nel mondo antico,una musica alta, divina e riconnettiva, patrimonio esclusivo delleprime caste, in India di quella sacerdotale, i cui riti, sempreaccompagnati da musica e canto, sintonizzano con i ritmicosmici dinamici, caratterizzati dal ciclico ripetersi di creazioni edistruzioni. Çiva è il simbolo di questo universo, sempre ugualea se stesso e, comunque, sempre nuovo. La musica alta e ilrito hanno la specifica funzione, ripetendo il suono originario, diperpetuare e ordinare lo spazio in cui il cosmo si dispiega.Ma, a lato di questa arte, in tutte le civiltà tradizionali, è esistitauna musica degli inferi, o meglio una musica avente valoreapotropaico, di controllo delle, altrettanto importanti, influenzetelluriche. Il musico-sciamano che la praticava godeva di unadiversa considerazione sociale, rispetto a quella tributata almusico-sacerdote. Generalmente il primo era considerato, infatti,un fuori casta o, al più, posto allo stesso livello dei lavoratoridediti alle pulizie delle strade: come questi era in contattocon ciò che proveniva dal basso, con ciò che era valutatopericoloso per l’ordine spirituale del singolo e, più in generale,per la comunità. Data la specificità del ruolo, gli si attribuivano76


capacità taumaturgiche lo si rispettava ma, al contempo, lo siteneva ai margini della vita comunitaria (prossimità del sacroe dell’orrido). Secondo Schneider, inoltre, gli stessi strumentimusicali esemplificano, simbolicamente, la realtà ontologica delmondo. Assai rappresentativo, in questo senso, è il tamburo,nella sua più semplice tipologia: quella di due triangoli equilaterisovrapposti (casse di risonanza), entrambi chiusi da pelli dianimali sacrificati, rispettivamente maschio e femmina. Le duecasse starebbero a rappresentare le due polarità dinamichedel reale, attività e passività, bene e male, purusa e prakriti. Alcontrario, il loro punto di intersezione (X), attesterebbe il lorointegrarsi, il loro armonizzarsi, grazie al suono rituale, nellapsiche del singolo e nella realtà.Ogni strumento musicale era costruito per un fine specifico:arco, strumenti a fiato più fini, tamburi di teschi erano utilizzati nellamusica alta, indirizzata alle zone superiori del cosmo, strumenti afiato e a corda servivano a produrre musiche ordinanti la zona dimezzo, i tamburi erano utilizzati in cerimonie di tutela dal mondoinfero. Ogni rito riproduce la vita: nel periodo solstiziale, dettodel gran silenzio, la musica svolgeva una funzione accrescitivanei confronti del nuovo anno. Uno strumento di particolare rilievoè stato sicuramente il litofono, considerato, nelle fasi più antichedella civiltà, pietra sonora, oltre che abitazione dell’anima, e ciòin particolare riguarda le civiltà megalitiche alle quali abbiamofatto riferimento. La musica aveva la funzione fondamentale diprodurre l’unità/armonia di cielo e terra, una funzione pontificale.Insomma, nel mondo tradizionale, un oggetto è un involucrovuoto che, diviene reale, solo nelle misura in cui è riempito daritmi a lui congeniali: la natura delle cose non è ricercata nellaforma statica, ma nel ritmo della figura viva, è ricercata, cioè,nei fenomeni, che pur nella loro transitorietà, indicano i caratteridel reale. È così che, per l’uomo, diviene essenziale la voce:essa illustra e rende evidente la qualità degli uomini. Suo scopoè quello di gettare ponti tra parlanti, tra appartenenti ad una77


stessa comunità.Essa diffonde, facendolo vibrare, il suono originario che sitrasmette di generazione in generazione. La misura metrica èquindi la vera essenza del discorso, effettiva trasposizione delrespiro-prana, cui è possibile tornare facendo, dentro di sé,risuonare il silenzio. Sia le Upanishad, che il pensiero taoista, purcon diverse modalità, definiscono il ritmo-anno collegandolo con5 elementi. E’ essenziale il fatto che, i concetti più disparati, sianoraggruppati in 5 ritmi sonori fondamentali: denominatore comuneè il tempo, a cui ciascuna categoria è soggetta in un periododeterminato dell’anno. Quello che introduce la caratteristicainvernale è il medesimo che determina l’invecchiare dell’uomo. Perquesto, l’antica lingua cinese, preservava il carattere vibratile delsuono-originario, mirando, non al pensiero logico ma all’azione.In essa le parole sono suoni dinamici e imperativi. Ad esempio, ilcinese non conosce parole che indichino la vecchiaia, ma diversisuoni che simboleggiano i ritmi delle persone anziane. Di ciò èrimasta traccia anche nella tradizione della fiaba di magia, nellaquale il desiderio del protagonista diventa realtà, non appenatrova adeguata formulazione sonora. Lamento, invocazione,riso, canto, gemito rappresentano varianti della medesimasostanza acustica, sviluppatasi come crescente spirale sonora,come grande corso, che si ripete nel microcosmo individuale,e rispetto al quale è necessario sintonizzarsi, per parteciparedell’armonia delle cose. Naturalmente, via privilegiata a questasintonia, è la poiesis.Il suono in Grecia: Platone e AristoteleL’idea del suono creatore riappare con tutta la sua forza soltantonella filosofia delle grandi culture. Ciò è vero per quanto attienealla Grecia, anche a quella arcaica, e all’area del Mediterraneoche dalla cultura ellenica fu influenzata. E’ noto, infatti, che i primipitagorici lessero l’universo intero come costruito sul modello78


sonoro-musicale. Nella fúsis, l’arché delle proporzioni numeriche,mirava a realizzare l’armonia: stagioni, anni, mesi, ore, i ciclidello sviluppo biologico (e non solo), seguono, infatti, un tempometricamente regolato. Non bisogna, tra l’altro, trascurare cheil pitagorismo, come movimento d’idee, sorse traendo vitalitàdalle diverse esperienze del sacro maturate sul suolo ellenico,in particolare dalle religioni misteriche e dall’orfismo. I pitagorici,constatando che la musica è il risultato di rapporti armonicidati, che potevano essere ridotti a rapporti numerici, trasserola conclusione che tutto è numero. Più in generale, l’importanzadella musica è rintracciabile in tutta la filosofia pre-socratica,sviluppatasi lungo la direttrice dei rapporti Uno/molti.Tesi, questa, che riemergerà in quella filosofia di sintesi pereccellenza, rappresentata dal sistema platonico. Del resto, nellapaideia greca, da sempre la musica svolse un ruolo centralenella formazione agonistica delle élites. Con Platone venneinserita nell’iter formativo delle classi dirigenti nella Politeia. Ilfilosofo Ateniese, dopo aver identificato sei tipi armonici e seicorrispondenti sensibilità musicali, individuò nelle modalitàdorica e in quella frigia, rispettivamente definite energica edeterminata, quelle in grado di svolgere un ruolo significativonella formazione della classe dirigente della città giusta.Regolarità e irregolarità del ritmo giocano un ruolo centralenella realizzazione dell’ideale della kalokagathia. L’educazionemusicale, quindi, abitua an orthos, disciplina la tensioneesistenziale e trascendentale dell’uomo che voglia cosmizzarsi,dettando i tempi corretti. La musica è, nella Politeia, strumentoo momento dell’eros filosofico, che reintegra l’uomo e concorre,al termine del processo educativo, a riconnettere il tessutocomunitario, imprimendogli i giusti ritmi. Ancora una voltafunzione attiva, addirittura pratico-politica, quella della musica.Non è senza importanza che, nell’Atene periclea sia vissuto,nella seconda metà del V secolo un personaggio come Damone,ritenuto continuatore degli insegnamenti musicali-pitagorici.79


Egli pensava che la musica potesse influire sulla psiche e, inquesto modo, creare un particolare clima esistenziale nellacomunità. In altri dialoghi, nel Filebo e nel Timeo soprattutto,Platone esalta la bellezza delle forme geometriche, modelli vicinia quelli delle pure idee. Il Suono, in forza della sua componentematematica, per la maggiore capacità astrattiva, rispetto allealtre arti rappresentative, è in grado di introdurre il filosofo allavisione del mondo ideale. La cosmologia del Timeo è debitrice,del resto, della visione pitagorica. Il demiurgo, per dar vitaall’Anima Mundi, utilizza proporzioni matematiche, interpretabilicome accordi musicali. Il movimento celeste è musica divina,pura armonia: ad essa si richiamerà la cultura del Medioevo.Filosofi e dei possono beneficiare del godimento prodottodalla musica. Nel Fedro, viene presentato il mito delle cicale:queste in origine erano uomini talmente presi dalla musica,da dimenticare di nutrirsi. Ben presto, per loro, sopraggiunsela morte. Le Muse, per ricompensarli dell’assoluta dedizione, litrasformarono in cicale. Dopo la loro breve vita, esse riferisconoa Calliope e Urania, quali tra gli uomini rendano loro onore: primitra tutti i filosofi giacché: “Queste due, sopra tutte le altre musepresiedono alle cose celesti e occupandosi dei discorsi divini eumani sanno il canto più soave”(Platone, Fedro).Dal che si evince che, musica e filosofia, svolgono una funzionefondamentalmente reintegrativa. Anche Aristotele giunse allemedesime conclusioni, anche se, nella Politica, era partito, nelsuo giudizio sulla musica, da premesse diverse: riteneva, infatti,che quest’arte non fosse necessaria, né utile come, invece,lo erano grammatica e ginnastica. Al contrario, essa era ladisciplina più idonea alla formazione liberale, rinviando al bello insé. Per tale ragione, non avrebbe potuto realmente influire sullaformazione dei giovani, al più avrebbe potuto svolgere un ruolosecondario ma positivo, come momento distensivo, o di riposonel percorso, assai arduo, della paideia. Stupisce, pertanto, chepoco dopo, Aristotele torni alle posizioni platoniche, conferendo80


alla musica la possibilità di influire sulla psiche e sostenga,inoltre, l’inevitabilità di apprendere, per conoscerla realmente,l’uso degli strumenti, a patto che non lo si faccia in modoprofessionale, al fine di evitare i condizionamenti del pubblico,generalmente orientato da gusti artistici grossolani. Lo Stagiritaripropone la valorizzazione educativa della musica dorica, noncondividendo il favore accordato da Socrate alla melodia frigia.Per l’uomo maturo o anziano, infiacchito nelle forze corporee,ritiene idonea la melodia lidia, in forza della capacità sua propriadi infondere ottimismo, attraverso atmosfere languide.Suono-Musica e contemporaneitàQuesta esegesi essenzialista del suono e delle discipline adesso collegate, poesia e musica, si perse con l’irruzione delcristianesimo e nelle epoche successive, pur in periodicheriemersioni, riuscì a coinvolgere minoranze intellettuali eavanguardie artistiche senza più tradursi in fatto comunitario. Nelsecolo XX, il dibattito teorico attorno alla produzione musicale,ri-presentò problematiche legate al tema di cui qui trattiamo,quello delle relazioni possibili tra teoria e pratica del suono nelmondo tradizionale, che abbiamo sinteticamente presentatonelle pagine precedenti, e nelle esperienze contemporanee. E’bene, pertanto, presentare le posizioni più significative emersein tale contesto.Il punto apicale della filosofia della musica novecentescaè rappresentato dall’opera di Adorno. La sua formazione,ad un tempo filosofica e musicale, gli permise di avviareun’analisi organica del fenomeno sonoro, inserita nella piùgenerale teoria francofortese dell’arte. Questa, muovendodal capovolgimento della dialettica compositiva di Hegel esostanziandosi di una dialettica, al contrario, della negatività,vedeva, nell’arte del XX secolo, uno strumento di denuncia dellarealtà disarmonica del mondo e, al contempo, un’immagine81


anticipatrice di riconciliazione. Per il primo aspetto, l’arte, ela musica in particolare, rompendo i canoni dell’estetica delsoggetto borghese, incentrata sull’armonico, il perfetto, il compiuto,necessariamente evidenziava la dissonanza. E, con ciò,era in grado di scardinare i canoni dell’industria culturale e difar parlare il desiderio, l’anticipazione utopica di un mondo amisura d’uomo. La premessa dell’interpretazione adornianadella musica è di carattere sociologico: con la trasformazionedella società borghese in società di massa, anche l’arte e lacultura hanno finito per essere alienate all’industria. In questasituazione, ogni musicista, ogni artista che tenda a rompere glischemi compositivi dettati dal gusto dominante ed eterodirettodell’industria culturale, è votato all’isolamento. Del resto, la crisidel linguaggio musicale, era iniziata da tempo. Per Adorno conl’introdursi dell’elemento irrazionale-psicologico nel camporazionale-matematico del linguaggio musicale. Tracce di questacrisi si palesarono nell’ultimo Mozart, anche se, il primo musicistache si pose consapevolmente dal punto di vista della soggettività,fu Beethoven. Con lui iniziò l’interiorizzazione del linguaggiomusicale, che divenne straripante in Wagner: a questo punto ilcromatismo, che uguaglia le dodici note tra loro e nega i gradidella scala diatonica, diviene forza espressiva incontrollata. E’ suquesta crisi che cercarono di agire Schonberg e Strawinsky: perAdorno, il primo rimarrà, sino all’ultimo, estraneo all’alienazione,aderendo alla dialettica della solitudine, ricavando da essa unostile musicale autonomo, il secondo, invece, personificheràinconsapevolmente l’alienazione stessa.La sua specifica qualità musicale era, infatti, rintracciabile inquesta particolare interpretazione dell’alienazione. Insomma,Schonberg spinse alle estreme conseguenze la crisi dellamusica romantica, Strawinsky vi reagì, proponendo infineun ritorno artigianale all’oggettività pre-romantica. La primatendenza transita dall’esperienza espressionista e, alla fine,giunge alla cosciente individuazione del metodo dodecafonico.82


Tale passaggio è attestato, con chiarezza, dalla Suite op. 25 diSchonberg. La seconda tendenza, simbolizzata da Strawinsky,attraversa l’esperienza intellettualistica della reazione alpostromanticismo. Riafferma il valore autonomo dell’arte e ciòla conduce, inevitabilmente, alle diverse forme di retours che siaffermarono in musica, come in letteratura e pittura. In questosenso, per Adorno, Schonberg diviene paradigma musicale delprogresso, Strawinsky modello di conservazione delle formemusicali. Il carattere rivoluzionario di Schonberg risulta, però,mutilato dall’involuzione dodecafonica: essa imprigiona lachiusura solipsistica del musicista nella totale oggettivazionedella sua grammatica.Per questa ragione, il compositore non riuscì ad apprezzarepienamente i risultati sonori conseguiti da Anton Webern, miratia destrutturate radicalmente i linguaggi musicali al fine di faremergere nuovamente, almeno secondo la nostra prospettivainterpretativa, la materia sonora, recuperando per questavia il senso tradizionale del Suono originario. Il problema difondo, in questi tentativi, è rappresentato dal fatto che, diversipostweberiani, hanno condotto l’autoestinzione musicale delsoggetto senza farla accompagnare dalla necessaria tensionetrascendentale all’alto. Pertanto, le loro esperienze, si sonoconcluse in una sorta di regressione pre o subsoggettiva, anzichécreare le premesse per l’espressione dell’ultrasoggettività. Percomprendere questo percorso, è bene far riferimento agli studidi Hans George Gadamer.Il filosofo tedesco ha chiarito che la concettualizzazionedella coscienza estetica nasce dalla propensione cartesianaa fondare ogni verità sulla certezza soggettiva. Ciò contrasta,inevitabilmente, con l’esperienza dell’opera d’arte in quantoesperienza di un vero incontro, quello di un Dasein (Heidegger)con un mondo: quello della realtà fenomenologica, delle cosecome si presentano prima della loro trasformazione in oggetti peril soggetto (H. G. Gadamer, Verità e metodo, Milano 1992, pp.83


118/132). Il tempo dell’arte e, quindi anche quello musicale, nondeve essere separato dal tempo immediato nel quale viviamo:al contrario, l’opera d’arte, è espressione dell’immanenzae, in quanto tale, anche da fruitori, veniamo precipitati nellanostra storicità. Ci ricongiunge e ci identifica con ciò che, nelprofondo, siamo. Ci disvela o rivela la verità dell’essere, primadella distinzione tra soggetto e oggetto. Gadamer propone,pertanto, la sostituzione della differenza estetica con il principiod’indifferenza. Ciò significa che, ogni componimento musicale,apre un mondo riconducendo l’essente all’Essere, il valoreall’origine o al punto zero di tutti i valori, deterritorializza lacoscienza estetica. La posizione gadameriana fornisce unalettura ludica dell’arte, proprio come nell’Arte da Sud, di cui si èfatto latore e interprete Conte.Il carattere riuscito di una produzione è dato dal suo inserirsifestivo e provocatorio nel gioco-mondo, per trascriverlo.In questo, l’opera d’arte e, soprattutto quella musicale, haconnaturato, in sé, un tratto di marcata teatralità. Cosa fattarilevare, peraltro, da musicisti come John Cage e dalla qualederiva la particolare temporalità della musica e della Parola/Suono. Essa è una sorta di avanzata di presenza: il presentesi apre sul passato e il futuro, in quanto il primo non è affattospento, poiché è conservato nel presente, mentre il secondo silascia penetrare perché il tempo stesso, per essenza, continuaad anticipare se stesso. E’ la dottrina dell’equitemporalità diHeidegger, così prossima al tempo sferico e pieno delle civiltàtradizionali. Tale apertura sul tempo determina il contemporaneodischiudersi, al di là dello spazio calcolato e quantitativo,omogeneo e neutro, di uno spazio qualitativo, dinamico, dellavita. Per questo la musica ultimissima ha recuperato, in forzadella teatralità, il suo rapporto con la danza.Quest’arte è essenzialmente movimento, nel sensofenomenologico del termine. Husserl e Fink hanno mostratocome spazio, tempo, movimento si pongano come condizioni84


dell’esperienza che precede sempre la dicotomia di soggettoe oggetto. Per ottenere la coscienza del tutto, si richiede unastruttura temporale capace di offrire insieme le tre dimensionidel passato, presente, futuro, in seno a una quarta, la presenza.Questa si svela come movimento e la danza è la realizzazionedell’insieme dei tipi di movimento possibili. Il corpo, in quantocassa di risonanza, come insegnano i miti tradizionali, ma anchela Body Art, è propulsore di ritmi. Con il che ci pare aver mostratocome, taluni aspetti della ricerca sonora contemporanea,presentino motivi comuni a quelli propri delle tematichetradizionali.Musica contemporanea e Tradizione: il caso EvolaCon la sensibilità esistenziale, prima che con quella culturale,che ha caratterizzato l’intera sua opera, Julius Evola si è, apiù riprese, occupato di musica, di quella contemporanea inparticolare. Il pensatore romano, nelle sue analisi muove daWagner che critica per aver umanizzato la dimensione miticospirituale,riducendola alla trascendenza e alla prospettivacristiana. Del resto la musica classica, quale espressione,comunque, di una civiltà del divenire, sostiene Evola, non puònon risentire di quei processi di dissoluzione che caratterizzanotutta l’arte moderna. In Cavalcare la tigre, cioè nell’opera nellaquale Evola maggiormente si confronta con la modernità, alfine di fornire indicazioni pratiche ed esistenziali agli uominidifferenziati del nostro tempo, analizza le due vie percorse dallamusica moderna: quella intellettualista e quella fisica.La prima, caratterizzata dal prevalere del cerebrale sulsentimento, ha sviluppato un deciso interesse armonico,conseguendo il proprio momento apicale nella musica rigorosadodecafonica. La seconda tendenza, abbandonato il mondosoggettivo e la sua descrittività, ha assunto, quale asse portante,gli impulsi elementari e i suoni del mondo: punti apicali di questa85


corrente si sono avuti con Pacific 231 di Honneger e con Fonderied’acciaio di Mossolov, antesignani del “rumorismo tecnologico”contemporaneo. In Strawinsky, secondo Evola, si è realizzatala sintesi delle due correnti, poiché nelle sue composizionil’intellettualismo di pure costruzioni ritmiche sovra elaborate, erasboccato nell’evocazione di qualcosa di appartenente meno allapsicologia, al mondo passionale, romantico ed espressionisticoche non al substrato delle forze della natura. Questo percorsodel compositore, si chiuse con la Sagra della primavera. Lasua musica viene definita dal pensatore tradizionalista, pura,nonostante l’innesto, in essa, di un elemento menadico, cherinvia alla danza. La musica-danza, per Evola, non era estraneaalla tradizione musicale borghese della musica-canto e dellamusica patetica, non rappresentando, per questo, un elementodi novità sostanziale.A nostro parere, il recupero della dimensione del movimentodanza,nelle esperienze contemporanee va ben al di là dellamusica di ispirazione borghese. Evola prosegue sostenendo chesi potrebbe riconoscere, nel dominio della musica, l’azione di unprocesso parallelo a quello delle dissoluzioni liberatrici, processoavente un valore positivo. Ma tale positività si è ben prestospenta, a giudizio di Evola, dando luogo a una musica formale eparodistica ora d’ispirazione neo-classica, ora caratterizzata daquella specie di pura, dissociata aritmetica sonora che in partesi era affacciata già nel precedente periodo, producendo unasorta di spazializzazione acronica dei suoni. Per questo, anchela produzione di Anton Webern, fa parte di quell’età glaciale dellamusica prodotta dall’involuzione della dodecafonia. L’astrazionemusicale contemporanea sarebbe, pertanto, pari solo a quellaconseguita nella de-soggettivizzazione delle fisica ultimissima.L’esasperato tecnicismo conclude nell’informe, senza avvicinarsialla dimensione “bianca”, rinviante analogicamente all’Origine,all’indifferenza estetica, all’indistinzione, allo Zero metafisico.La medesima situazione, per Evola, produrrebbe anche la86


musica di John Cage, in quanto alterna silenzi, pause, rumoried effetti sonori elettrici, senza riuscire ad alludere in modosimbolicamente pregnante alla dimensione del Vuoto. Quindi,il filosofo rintraccia una mancanza di radicalità nelle esperienzesonore contemporanee, indotta in esse da intellettualismo etecnicismo. Inoltre, distingue correttamente ed in modo nettoOriginario/Primordiale, da primitivo. Il primo non è semplicementel’iniziale, ciò che è posto agli inizi, ma effettivamente il semprepossibile. Il secondo si caratterizza invece per sostanziarsi dipulsioni che aprono esclusivamente “al basso”. In questi termini,Evola spiega il successo del Jazz, forma musicale sincopatacapace di rispondere ai bisogni interiori del primitivismo moderno.Alle insoddisfazioni prodotte dai processi di reificazione avviatidall’industrialismo nel vecchio Continente, l’uomo europeoavrebbe potuto trovar lenimento nelle musiche folklorichecentroeuropee e/o mediterranee. Molte di esse richiamo il vololiberatorio della gru della antica danza cretese, prima ricordata.ConclusioniSperiamo, con queste nostre brevi pagine, di aver, quantomeno,attirato l’attenzione del lettore sul senso e significato dellamusica e del Suono originario e di aver, sia pure fuggevolmente,mostrato come la civiltà antica vivesse la pienezza e lo splendoredel mondo. O, consentisse di vivere, secondo questa sensibilità,a quanti, in sintonia con i ritmi cosmici, avendo regolato secondole rette gerarchie il proprio mondo interiore, potevano nellacittà, attraverso il riconoscimento comunitario, dare al proprioagire il carattere di una tensione non conclusa, paga di sé, mamirante al continuo superamento, quale tentativo di permanenteassimilazione al divino.Oltre ciò, ci auguriamo di aver mostrato come le formerappresentative sinestetiche contemporanee siano capacidi recuperare senso e significati profondi di una Kultur mai87


effettivamente scomparsa. Solo questo creare sintonico neiconfronti degli elementi e della Madre Terra, può proporsiall’attenzione dei popoli e alla loro sensibilità interiore, comelatore di un radicale “cambio di cuore” rispetto alla mentalitàmercantilista prevalente. Quest’Arte estrema e da Sud èeffettivamente, per usare l’espressione coniata da Conte,germoglio di Altre Sintesi. Essa è una speranza, in quanto ingrado di ri-animare la luce interiore che, nonostante tutto,sopravvive, nei recessi psichici dei popoli che si affacciano sulMare Nostrum.*Nota.Il presente scritto, a partire dal Del Suono originario, è stralciato dalsaggio Per una filosofia della musica dello stesso autore comparsosulla Rivista ‘Letteratura-Tradizione’, Anno IX, n. 37, Genn. Febb. 2006,pp. 16/17, cui rinviamo.88


SEGNALI DI PULSIONAL RU.MO.RE!89


Vitaldo Conte, Helena Velena e Antonio Saccoccio in PULSIONALRU.MO.RE! live (Vradia, Roma 2012)90


Vitaldo Conte1. Rumore bianco“Tutte le storie hanno una loro musica. Questa ha unamusica bianca. È importante dirlo perché la musica biancaè una musica strana, a volte ti sconcerta: si suona piano, esi balla adagio. (...) È una cosa maledettamente difficile, lamusica bianca.” A. BariccoL’arte bianca ha le sue musiche nei brusii del silenzio. Questoprimo e ultimo suono dalle proprie potenzialità inedite, naturali,è sensibile a risvegliarsi nei significati e sensi di oltre: è comeun’eco che crea altri echi fino a cancellare ogni traccia nelrumore bianco: “E’ un mondo così alto (...) che non ne avvertiamoil suono. (...) Per questo il bianco ci colpisce come un grandesilenzio che ci sembra assoluto (...). E’ un silenzio che non èmorto, ma ricco di potenzialità (...). E’ la giovinezza del nulla,o meglio un nulla prima dell’origine, prima della nascita.” (W.Kandinsky)Il silenzio è anche la lingua e la ricerca di una comunicazioneessenziale, interna, altra, coinvolgente, e di una condivisione“reale” con l’altro e l’invisibile. Nel silenzio di una sonorità biancale lingue possono orchestrare musiche di vibrazione: “I mieisilenzi sono la mia comunione con voi. Le mie parole servonosolo a separare per voi piccoli pezzi di silenzio (…). Nessunoha mai usato il linguaggio in questo modo – solo per creare lapossibilità di silenzio. (...) Io non vi sto insegnando niente. Non honessun messaggio. Non vi sto convertendo. Sto solo cantandola mia canzone. Il significato non è nelle parole, ma nel silenziotra le parole (...). Io non ho niente da dirvi. Ho tantissimo dacondividere con voi.“ (Rajneesh)L’attimo del silenzio è anche l’attraversamento di un abisso,91


sul quale si sono affacciati alcuni compositori della nuovamusica, volendo portare con sé i contagi espressivi delle altrearti. Questo attimo del borderline-rumore rappresenta il limiteestremo a cui può giungere la creazione musicale e non: quellodi ricercare un ritorno all’origine, prima di gettarsi come econell’abisso medesimo, per scoprire che ogni distinzione tra learti diviene superflua. Il silenzio è il monocromo bianco dellamusica e dell’espressione totale.Le tele interamente bianche di R. Rauschenberg furono una“folgorazione” per le resistenze di John Cage ad “abbandonarsi”al suono silenzioso: “Quando vidi i suoi dipinti bianchi, dissi “ohsì, devo farlo; altrimenti mi troverei in ritardo, altrimenti la musicasi troverà in ritardo””. Successivamente il musicista scriverà su4’33, il suo pezzo silenzioso: “Il mio pezzo più importante è ilpezzo silenzioso. Ci penso sempre prima di scriverne uno nuovo(...). Cerco di pensare a tutta la mia musica posteriore (a 4’33’’)come a qualcosa che fondamentalmente non interrompe quelpezzo”.La musica “più elevata” ha il suono più sottile, quello bianco:come la “grande immagine”, per divenire espressione bianca,può non avere forma (secondo anche l’insegnamento del Tao).2. Polifonie del corpo in rumore-desiderio come poemaLe scritture del desiderio si estendono sulla pelle di ogni possibilesupporto, con imprevedibili segnaletiche “a tutto campo”,animandosi nei propri interni ritmi, nelle proprie distorsioni,nel proprio essere lingua e brusio di infinite lingue: estetiche,sinestetiche, gaudenti fino alla “fuoriuscita” sonora comepolifonia.(...) Voce, suono, eco, rumore sono “indicazioni” di fuoriuscitafisica, dai limiti della pagina o di qualsiasi altro supporto, delsegno scritturale, annichilendo così l’integrità del proprio corpoformale e letterario. Diventano anche lingua e sinonimo di92


ansimo, respiro, piacere, “eccitazione” di polifonie poetiche: ilmateriale del linguaggio verbale si scompone e dissolve fino al“rumore” e al “silenzio” di se stesso.Il magma delle sonorità, viscerali e “segregate” dai limitidei codici, “vuole” trascriversi in libertà, intrinsecamente ematerialisticamente, nel proprio flusso di estrinsecazione. Ilgioco e la scena diventano corporeità della parola con le suemolte possibilità, dilatando extremamente la lingua-voce: questanon demanda fuori di sé le proprie pulsioni e trascrizioni, ricercauna propria “polifonia” di emozionalità. Il suo senso è incarnatonella propria lingua che diviene suono di voluttà e degli interniesorcismi della scrittura.(...) Tra le possibilità che – oggi – possiamo rintracciare comesviluppo della poesia sonora ci sono, oltre alle espressionielettronico-musicali e Dj set più radicali e creative, anche le“esplorazioni” che si rivolgono al rumore fisico, in commistionecon quello dei nuovi media digitali. Questo dilatarsi tende aessere una voce-musica-rumore che si confronta e ondeggiatra le possibilità pulsionali della voce umana, in dialettica conquella sintetica del computer. Le oscillazioni di questo confrontocercano di armonizzarsi in un gioco di corporeità – intime evirtuali –. Il possibile “godimento” è nel loro rarefarsi in estremisuoni/rumori, anche se “registrati” in moduli compositivi dallapulsione-consapevolezza: al limite di una partitura inter-testualecon richiami futuristi/dadaisti. (...) Oggi il possibile demone èall’interno dei nuovi media digitali e nell’opera live, anche comefesta-arte con le sue sonore e multi-visive maschere dannate.Nota. Il testo è ripreso da V. Conte, <strong>Pulsional</strong> Gender Art, Avanguardia21, Roma 2011.93


Antonio Saccoccio1. Rumorismo e paesaggi sonori: il ritorno del dionisiacoLa sensibilità uditiva è istinto vitale, assai più di quella visiva. Istintoche può andare perduto o indebolirsi. I futuristi compresero che ipaesaggi sonori novecenteschi, ricchi di violenti rumori artificialiprodotti da svariate macchine e tecnologie, stavano risvegliandola sensorialità umana, atrofizzata da secoli di tradizione musicalebasata sulla regolarità metrico-ritmica, melodica e timbrica. Inqualche modo, e paradossalmente, il progresso aveva portatocon sé un ritorno dell’irregolare e del dionisiaco, che era andatoperduto col tempo. Ci si era resi conto che la cultura musicalein secoli e secoli aveva costretto l’espressione sonora in recintitroppo angusti: per tornare a vivere occorreva tornare alleorigini, recuperando quel rumore da cui tutto era partito. E tornòaddirittura il rumore bianco, sintesi di tutte le frequenze e quindidi tutti i rumori del mondo.«Le più complicate orchestre si riducono a quattro o cinqueclassi di strumenti, differenti nel timbro del suono: strumenti adarco, a pizzico, a fiato in metallo, a fiato in legno, a percussione.Cosicché la musica moderna si dibatte in questo piccolo cerchio,sforzandosi vanamente di creare nuove varietà di timbri. Bisognarompere questo cerchio ristretto di suoni puri e conquistarela varietà infinita dei “suoni-rumori”»: così Luigi Russolo, giàun secolo fa, nel suo L’Arte dei Rumori. Tutta la produzionesonora più significativa dell’ultimo secolo è un prolungamentodi queste riflessioni futuriste; il resto è un penoso e soffocantecammino verso l’addomesticamento acustico. La possibilità divivere passa per la capacità di “sentire” potentemente, persinoselvaggiamente, ciò che ci circonda. Provate a lasciarvi travolgeredal vociare vivace violento aggressivo in un mercato di una dellenostre assolate città meridionali (e non è certo un caso che i94


futuristi avessero un debole per il temperamento passionaledei meridionali): vi troverete tutta la confusione e l’audaciarumoristiche di cui in fondo hanno bisogno le nostre orecchie.Assai più sano che lasciarsi cullare per l’ennesima volta da unaben quadrata soave raffinatissima sonata di Mozart.2. Dalle canzoni rumoriste al PULSIONAL RU.MO.RE!Un secolo fa un’incendiaria e ben assortita compagnia, agitatada turbol(l)enti entusiasmi, intraprese quella radicalissimademolizione della muta testualità libresca lineare isolata isolante,individuata tra le principali cause dell’immobilismo e del quietismoche caratterizzavano quel momento storico. Avevano decisodi farsi chiamare “futuristi”. Marinetti, Cangiullo, Balla, Deperoiniziarono quindi, più o meno anarchicamente, a cimentarsiin declamazioni parolibere, verbalizzazioni astratte e canzonirumoriste. Tali agitatissimi signori trasmisero viralmente questeribollenti stravaganze ai loro legittimi eredi, quei demolitori totaliche avevano deciso di appartenere a Dada. Figure anche qui noncerto trascurabili (Hugo Ball, Raoul Hausmann, Kurt Schwitters).E siamo ancora negli anni Dieci. Poi, per troppi lustri, ritornoall’ordine, normalizzazione, controllo. E quando, nel secondodopoguerra, le esplorazioni verbo-sonore ripresero vigore(Lettrismo?), si era perso il vulcanico spirito di rinnovamentoglobale che aveva caratterizzato Futurismo e Dada: si andòverso una sperimentazione differente, di laboratorio, piùtecnica e specialistica, ma meno sentita e certamente menorivoluzionaria e d’avanguardia. Nacque e si parlò per decenni di“poesia sonora”.<strong>Pulsional</strong> Ru.Mo.Re! riprende oggi lo spirito degli allegriincendiari, dato per morto solo da meschini opportunismi(di bottega) e accademismi (di maniera). Torna la volontà dirinnovamento globale. Trionfa un nuovo fermento neotribale,sviluppatosi recentemente anche attraverso le comunità digitali.95


La sperimentazione verbo-sonora può così acquistare senso tragli oltre-artisti, barbari del nuovo millennio, che la immettono inun flusso creativo privo di barriere di genere. In un mondo in cuiè ormai naturalissimo registrare riascoltare rimodulare ibridarele proprie verbalizzazioni orali (superata anche la cosiddetta“oralità secondaria” di W. Ong), si può parlare non più di poesiasonora, ma di una sonorizzazione verbale transmediale, chediventa sovversione permanente della freddissima dittaturapoliticamente corretta della parola, verso scenari cyber-anarchicie cyber-terroristici. Noi ci proviamo.Antonio Saccoccio e Stefano Balice, <strong>Net</strong>futuristi senza volto (Viterbo2009)96


Helena VelenaS/Formazione dell’In/ContenutoIn questo secondo decennio del terzo millennio in cui il concettodi “crisi” sembra avere un’esclusiva interpretazione intermini economici, siamo invece visceralmente immersi in unamancanza di prospettive, stimoli e progettazioni, in una stagnazionereazionaria in cui i valori si invertono e la ricerca, la sperimentazionee l’innovazione sono viste come una minaccia altranquillizzante Status Quo della quotidianità mediocre, che neldominio delle Merci e nei Simulacri della Non-Vita vissuta comeSpettacolo trova la produzione di zuccheri appena sufficienti perlenire il dolore della mente. Eroina sociale in altre parole, perun Occidente tossicodipendente che attraversa un’era di crisipolitica, culturale e soprattutto artistica che non gode nemmenodella doppia interpretazione in “opportunità/cambiamento” delcorrispondente ideogramma cinese.In questo rovesciamento prospettico che non riesce più adoppiare se stesso per ricatapultarsi in positivo, e dove quindila mediocrità anche quando analizza se stessa produce soltantoulteriore mediocrità, dove i professionisti dell’arte e della culturasono in realtà i nuovi lacchè della pacificazione sociopolitica edel Controllo Sociale, uno spiraglio apparente di creatività vienelasciato dal Costrutto Magico/Ideologico al SottoproletariatoTemporale Studentesco, che però nulla più è in grado dirimappare, men che meno tracimare argini imposti dagli stessifautori della ribellione, il nuovo Servizio d’Ordine Interiorepreposto al non far superare MAI nessun tipo di limite che nonsia quello della mercificazione di sé e dei propri pseudo-bisogniimposti.In questa trinstanzuola orgia di moderazione pacifica etranquillizzante che vive di briciole, correttezza politica e vecchie97


ideologie cancellate dalla storia, in cui gli ex comunisti atei di ierisono i cattolici pii e devoti di oggi, inginocchiati a qualunquepotente alzi la voce sul loro nulla, la Separazione è MerceIdeologica dominante.Subiamo quindi orrende trasandate e indistinte massedi STS fatte di tutto quanto possono ingurgitare, barcollarealienandosi in ore o ore di techno strumentale in 4/4, cassa drittae mai uno stacco perché l’ossessione è fattanza (ma a costoro,piccoloborghesi corrotti di domani, non si prospetta né la fonderiané la Foxconn), e altrettanto orrende e modaiolamente incanalatenell’apparenza massificata, masse di repressi schiavi esoprattutto represse schiave, e impaurite di se stesse, a trascriveresul diario cartaceo o digitale del proprio NON vissuto, banaliHelena Velena in tuta cybersex (Bologna 1994) (foto Mauro Oggioni)98


scioccamente stupide e inutili parole di banali scioccamentestupidi e inutili cantantuncoli, cantori statalizzati piuttosto dellarassegnazione sociale e della riduzione della “Bellezza del Vivere”ad un ovvio Produci Consuma Crepa che si ingozza anoressico/bulimicamente di relazioni sentimentali, emozioni, brividini,gelosie, e del “prendere e dare in una relazione sentimentale”senza mai imparare nulla se non l’azzeramento di ogni altro“vibrare” della propria vita.In un’alternativa tra alienazione strumentale e parole socialmentealienanti, entrambe ovviamente condotte dalla più totaleovvietà artistico-strutturale, la poesia sonora è luminosissimadinamite anarchica nella notte della ragione. Una notte cheproduce sonnolenza barbiturica della ragione, ma che vienescossa da lampi di vitalità vibrazionale A/traverso parole incontrollabili,imprevedibili & sovvertitrici del ritmo, della formae della sostanzialità del nucleo, magma sonoro e telluricaimprovvisazione destrutturante. Esplosione incontrollata dell’inconscioe rimodulazione – rimodellazione delle forme date,impiastricciamento degli stili, rikombinante del DNA della Musicadalle origini ad ora, liberazione da ogni forma pre/definita, esoprattutto processo di comunicazione e scomunicazione dellaSacralità del Messaggio.S/Formazione dell’In/Contenuto.Tutto ciò & molto altro, è PULSIONAL RU.MO.RE!!!E ora basta: Let the music do the talking!!!!!!99


100Finito di stamparepresso Gepas, Avolanel mese di novemre 2012

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