Federica Tantari, LifeLong Learning – Fondo Sociale Europeo e ...

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11.07.2015 Views

ilevanza: dirigenti, quadri, imprenditori, liberi professionisti hanno percentuali dipartecipazione doppie rispetto agli operai, ai lavoratori in proprio, ai commercianti eagli artigiani. La maggior parte delle iniziative formative (53,8%) si svolgeesclusivamente durante l’orario di lavoro e risultano prevalenti le iniziative formativedi natura obbligatoria (sicurezza, protezione ambientale e controllo alimentare)rispetto a quelle tecnico-specialistiche.Secondo i risultati dell’indagine ISFOL-INDACO sulla conoscenza nelle imprese, tra il2005 e il 2010 la percentuale di aziende con più di 9 addetti che organizzanoiniziative di formazione è passata dal 32,2% al 45,1%, restando comunque molto aldi sotto della media europea (60%). Risulta inoltre diminuito il numero medio di oreerogate per partecipante. L’aumento della quota di imprese formatrici è dovutaquasi esclusivamente alla diffusione dei corsi obbligatori per la formazione allasicurezza sul lavoro.La minore diffusione delle pratiche formative nel tessuto produttivo italiano rispettoalla maggior parte dei Paesi comunitari è dovuta a limiti strutturali, che riguardanoprincipalmente la minore disponibilità di risorse pubbliche e private e la scarsapropensione, soprattutto delle piccole e micro imprese, ma anche delle persone, aconsiderare la formazione come un investimento per la competitività o percontrastare gli effetti di situazioni congiunturali negative.Considerando le imprese con più di 5 addetti, la prima fase della crisi economica(2009-2010) ha fatto registrare un calo deciso degli investimenti, sia sul versantedella produzione (macchinari e tecnologie), sia su quello delle attività di promozione(marketing e pubblicità). Per quel che riguarda l’investimento in formazione, solo il4,4% delle imprese ha ritenuto opportuno incrementare questa voce, mentre il27,9% ha ridotto la spesa.L’ammontare finanziario mobilitato per la formazione continua dei lavoratori in Italiaè stimabile in poco più di 5 miliardi di euro l’anno. Di questi, circa 1 miliardo vienemesso a disposizione dalle Leggi nazionali di sostegno (n. 236/1993 e n. 53/2000),dai Fondi paritetici interprofessionali e dal Fondo sociale europeo. L’importo ècertamente significativo, ma comunque inferiore rispetto a realtà produttive menoestese, come quella spagnola, con oltre 1,1 miliardi di euro, o simile, come laFrancia, con una spesa di circa 2,3 miliardi di euro.La parte più consistente delle risorse a supporto della formazione continua delleimprese e dei lavoratori deriva dai Fondi paritetici interprofessionali, ai qualiaderiscono attualmente oltre 740.000 imprese e quasi 8 milioni di lavoratori. Nelperiodo compreso tra gennaio 2010 e giugno 2011, i Fondi paritetici nel lorocomplesso hanno approvato oltre 19.400 piani formativi, articolati in oltre 108 milainiziative, destinate a più di 1 milione e 900 mila partecipanti appartenenti ad oltre61 mila imprese.Tra le finalità dei piani formativi approvati dai Fondi, quella relativa al mantenimentoe aggiornamento delle competenze conferma una posizione di rilievo con il 43% deltotale dei piani, seguita dalla competitività di impresa e innovazione che registra unvalore del 30%. Mentre la prima tipologia si riferisce in maniera trasversale ad unampio spettro di competenze, nella seconda tipologia rientrano quelle strettamentecorrelate ai processi produttivi dell’impresa, compresa l’acquisizione di abilità18

nell’uso delle tecnologie informatiche.Rispetto al 2009 e al primo semestre 2010, se da una parte si osserva unadiminuzione della formazione per i neo assunti, (che passa dal 17% all’8%),dall’altra si registra un incremento di quella a supporto sia alla mobilità esterna ealla ricollocazione (che passa dallo 0,4% al 14,7%), sia per la formazione legata adoperazioni di delocalizzazione e internazionalizzazione (che aumenta dall’1,9% al4,8%), ad evidenziare un’attenzione verso temi diversamente legati al periodo dicrisi, intervenendo sulle competenze delle risorse umane riallocabili.Una spinta all’incremento della formazione in azienda può derivare dalla diffusionesul territorio delle reti di impresa, nate proprio per arricchire e aggregare ilpatrimonio di competenze e di specializzazioni territoriali. Le reti sono in grado diottimizzare le risorse finanziarie delle imprese, ma soprattutto consentono divalorizzare le competenze e le conoscenze presenti su un territorio, creando servizicondivisi che possono spaziare dalle funzioni di commercializzazione, alla creazionedi marchi e alla ricerca e sviluppo: il sistema di rete tra PMI diviene esso stesso unostrumento di apprendimento continuo. Unioncamere stima in circa 13 mila leimprese (comprese tra i 20 e i 249 dipendenti) che nel biennio 2010-2011 hannostipulato o intendevano stipulare accordi formali di rete a livello provinciale edistrettuale, prevedendo anche rapporti con università e centri di ricerca, secondo ilmodello di sviluppo delle learning region, ossia aree territoriali che sono in grado diprodurre sempre nuove conoscenze e competenze, promuovendone la circolazionetra i soggetti che ne fanno parte.A fine 2011, in base ai dati di Unioncamere, risultano stipulati 247 contratti di reteche coinvolgono 1.265 imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni. Questiriguardano la quasi totalità delle regioni, tra le quali le più attive risultano Veneto,Emilia Romagna, Toscana, Marche e, nel Sud, Puglia e Campania; tra i settorimaggiormente rappresentati, “industria e costruzioni” con oltre l’80% delle impresecoinvolte. Significativa la presenza di reti finalizzate alla circolazione di innovazione,prevista da 51 contratti, secondo il modello della diffusione condivisa dellecompetenze di sviluppo strategico. Tuttavia nel complesso prevalgono finalità legatepiù strettamente allo sviluppo di competenze per il mercato, come “promozione edistribuzione” e orientamento verso i mercati esteri.Le esperienze fin qui condotte evidenziano la peculiarità del sistema delle reti inItalia che consente di superare la spiccata asimmetria dimensionale del tessutoproduttivo italiano e promuove la cultura della condivisione delle competenzeacquisite in specifici territori e settori.19

nell’uso delle tecnologie informatiche.Rispetto al 2009 e al primo semestre 2010, se da una parte si osserva unadiminuzione della formazione per i neo assunti, (che passa dal 17% all’8%),dall’altra si registra un incremento di quella a supporto sia alla mobilità esterna ealla ricollocazione (che passa dallo 0,4% al 14,7%), sia per la formazione legata adoperazioni di delocalizzazione e internazionalizzazione (che aumenta dall’1,9% al4,8%), ad evidenziare un’attenzione verso temi diversamente legati al periodo dicrisi, intervenendo sulle competenze delle risorse umane riallocabili.Una spinta all’incremento della formazione in azienda può derivare dalla diffusionesul territorio delle reti di impresa, nate proprio per arricchire e aggregare ilpatrimonio di competenze e di specializzazioni territoriali. Le reti sono in grado diottimizzare le risorse finanziarie delle imprese, ma soprattutto consentono divalorizzare le competenze e le conoscenze presenti su un territorio, creando servizicondivisi che possono spaziare dalle funzioni di commercializzazione, alla creazionedi marchi e alla ricerca e sviluppo: il sistema di rete tra PMI diviene esso stesso unostrumento di apprendimento continuo. Unioncamere stima in circa 13 mila leimprese (comprese tra i 20 e i 249 dipendenti) che nel biennio 2010-2011 hannostipulato o intendevano stipulare accordi formali di rete a livello provinciale edistrettuale, prevedendo anche rapporti con università e centri di ricerca, secondo ilmodello di sviluppo delle learning region, ossia aree territoriali che sono in grado diprodurre sempre nuove conoscenze e competenze, promuovendone la circolazionetra i soggetti che ne fanno parte.A fine 2011, in base ai dati di Unioncamere, risultano stipulati 247 contratti di reteche coinvolgono 1.265 imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni. Questiriguardano la quasi totalità delle regioni, tra le quali le più attive risultano Veneto,Emilia Romagna, Toscana, Marche e, nel Sud, Puglia e Campania; tra i settorimaggiormente rappresentati, “industria e costruzioni” con oltre l’80% delle impresecoinvolte. Significativa la presenza di reti finalizzate alla circolazione di innovazione,prevista da 51 contratti, secondo il modello della diffusione condivisa dellecompetenze di sviluppo strategico. Tuttavia nel complesso prevalgono finalità legatepiù strettamente allo sviluppo di competenze per il mercato, come “promozione edistribuzione” e orientamento verso i mercati esteri.Le esperienze fin qui condotte evidenziano la peculiarità del sistema delle reti inItalia che consente di superare la spiccata asimmetria dimensionale del tessutoproduttivo italiano e promuove la cultura della condivisione delle competenzeacquisite in specifici territori e settori.19

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