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Rapporto Unicredit Banca sulle Piccole Imprese

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116<br />

Il piccolo commercio dall’economia della prossimità all’economia delle esperienze<br />

la domanda sempre più articolata proveniente dal mondo delle imprese con il quadro regolativo di<br />

Basilea 2.<br />

È chiaro che si tratta di una fase di evoluzione nella quale i diversi attori in gioco (imprese, banche,<br />

rappresentanze, confidi, etc.) vanno ridefinendo i propri rapporti su meccanismi fiduciari formali.<br />

Se un tempo le forme di accumulazione di capitale sociale derivante dalla relazione tra banca e<br />

impresa rimandavano a elementi di cooperazione consuetudinari tra gli agenti di una comunità che<br />

si trasformavano in fattore di produzione, in quanto facilitatore della circolazione di conoscenze tra i<br />

soggetti, i mercati, gli avvenimenti, oggi siamo di fronte ad un processo di costruzione consapevole di<br />

relazioni strumentali che devono necessariamente tenere insieme prossimità ed efficienza.<br />

3.5 Conclusioni (a cura di Enzo Rullani)<br />

Il piccolo commercio ha finora pensato sé stesso, in negativo, come un concentrato di assenze di<br />

debolezze competitive. Quasi che, nel confronto aperto, gli avversari avessero in mano tutte le carte<br />

vincenti. Ma oggi - la risposte che abbiamo avuto nelle interviste lo documentano - non è più così. Anche<br />

il piccolo commercio, se presta la dovuta attenzione all’innovazione e fa gli investimenti necessari per<br />

realizzarla, è in possesso di una risorsa competitiva importante: l’intelligenza diffusa che è in grado di<br />

mettere in comunicazione, sulla base di un rapporto interpersonale, l’universo mondo della tecnologia,<br />

in continua e indefinita espansione, con l’evoluzione altrettanto rapida dei significati, dei desideri, delle<br />

passioni che nascono nella mente e nel cuore di ogni consumatore. E che non possono essere riportate<br />

al banale possesso di un oggetto standard, visto sugli scaffali di qualche ipermercato e comprato senza<br />

troppa cognizione di causa.<br />

È vero, i consumatori di oggi stanno sempre più separando, nella loro visione del mondo, un sistema<br />

di beni e servizi low cost per tutte le cose in cui interessa perdere poco tempo, spendere pochi soldi e<br />

avere a disposizione le prestazioni essenziali. Ogni complicazione e offerta aggiuntiva richiede tempo,<br />

consuma denaro e pregiudica la semplicità di uso. Questi oggetti e servizi low cost dovranno essere<br />

prodotti da una filiera che abbatte i costi in ogni fase della catena del valore, nessuna esclusa. Come<br />

si può fare? Usando le macchine col massimo della standardizzazione, ripetitività e impersonalità<br />

possibile: le ICT consentono oggi di portare i criteri della produzione di massa anche nel campo<br />

dei servizi. Su questa parte del mercato, il piccolo commercio non ha chances: la logica del minimo<br />

costo premia le grandi organizzazione produttive e le intelligenze centralizzate, attrezzate in modo da<br />

ri-utilizzare la stessa conoscenza per migliaia o milioni di volte.<br />

Ma l’economia della modernità che possiamo intravedere all’orizzonte, e che già informa una quota<br />

importante dell’economia di oggi, non si esaurisce certo nelle produzioni low cost. C’è di più e d’altro.<br />

C’è un prepotente bisogno di qualità e di senso, che non riguarda tutti gli aspetti della vita, ma quelli a<br />

cui consumatori, lavoratori, imprenditori, cittadini - con l’aggiunta dei risparmiatori “etici” o sociali -<br />

danno importanza. C’è bisogno, inoltre, di garanzie e di competenze affidabili ogni volta che si affronta<br />

un problema complesso, dove molte sono le soluzioni possibili ma poche le idee su come sceglierle

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