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Rapporto Unicredit Banca sulle Piccole Imprese

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Capitolo 3<br />

da che lato la si guardi - numericamente sempre più importante. Alcune cifre tratte dall’indagine Fif-<br />

Confesercenti sul franchising in Italia del 2005, rendono bene l’idea dell’ampiezza del fenomeno: il<br />

totale dei punti vendita censiti è risultato pari a 10.226, dei quali 2.182 punti vendita diretti e 8.044<br />

in franchising; i franchisor - gli affilianti - stimati nel 2005 sono 803, i franchesee - ossia gli affiliati<br />

- 41.222, il personale occupato è pari a 106.487 unità, mentre il giro d’affari raggiunge i 16,2 miliardi<br />

di euro. Entrando poi nel merito della struttura delle reti, in media ad ogni franchisor corrispondono<br />

66 punti vendita diretti e in franchising, ma un marchio su quattro ha meno di 10 punti vendita. Per<br />

quanto concerne la nazionalità del franchisor è italiana nel 95% dei casi dei quali ben il 13% ha punti<br />

di vendita all’estero.<br />

Come già si è detto in precedenza, è questo un tema che può essere analizzato da due differenti<br />

prospettive, quella dell’affiliante e quella dell’affiliato. La prima prospettiva è ben rappresentata<br />

dalla catena di ristoranti Ristohsawa; la seconda dalla già citata titolare di un punto vendita affiliato<br />

all’azienda produttrice di intimo Yamamay. Per i franchisor la valutazione di questa strategia di crescita<br />

è genericamente positiva: Ristohsawa, nasce come evoluzione di un’esperienza di ristorazione del tutto<br />

particolare, denominata “glisver” dal suo ideatore e titolare e che prevede l’assenza, tra gli ingredienti,<br />

di latte, burro, uova, formaggi, carne, pesce, zucchero e, più in generale, prodotti non biologici. Target<br />

di questa nuova forma di alimentazione sono, come afferma il titolare, “dal diabetico al celiaco, da chi è<br />

l’intollerante al grano, a chi lo ha scelto per ragioni religiose, dall’ebreo al musulmano”, ma, nella sua<br />

versione originale, si trova a dover fare i conti con la necessità di ampliare il proprio bacino d’utenza<br />

per rendere quantitativamente consistente questa nicchia di potenziali consumatori. Necessità questa<br />

risolta con la trasformazione del ristorante in catena di fast food - seppur atipica - in franchising. Due i<br />

vantaggi principali di questa scelta: l’abbassamento drastico dei prezzi, da 70 euro a 20 euro a testa per<br />

un pasto; e l’ampliamento del mercato, attraverso l’apertura di nuovi punti vendita. Stando alle parole<br />

del titolare, è stato un “successo enorme”.<br />

“Nella mia azienda tutti i miei dipendenti hanno il patto di non concorrenza a livello mondiale<br />

per 5 anni perché non ho concorrenza in tutto il mondo e siamo in espansione continuamente,<br />

e da lì ho aperto 6 ristoranti, 2 negozi e 4 ristoranti, ne sto aprendo altri 3 entro la fine del 2007<br />

e diamo lavoro a circa 29 persone. È stata un’avventura particolarissima: deteniamo il primato<br />

di trasformare tutto con niente, e il vantaggio di questa cosa è stata creare una dieta alimentare<br />

salutistica visto che oggi abbiamo tutti problemi alimentari perché mangiamo male da una vita,<br />

abbiamo portato il piatto veloce a un prezzo basso, non più 70e a testa, ma a un prezzo di circa<br />

20e a testa si può mangiare tranquillamente. Diamo posti di lavoro, tutti i mesi cresciamo. È un<br />

successo enorme”. (M. G., titolare Ristohsawa, Pisogne)<br />

In questa logica, peraltro, l’investimento in risorse umane e formazione ha effetti benefici anche sul<br />

sistema nel suo complesso, in quanto è veicolo di competenze professionali e manageriali che, partendo<br />

dall’esperienza di imprese commerciali già strutturate, concorre a formare soggetti che, in diversi casi,<br />

si affrancano per la prima volta al mondo del commercio. In questo modo quindi il franchising può<br />

essere letto come una modalità di crescita culturale a rischio controllato di tutto il sistema commerciale<br />

nel suo complesso.<br />

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