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Rapporto Unicredit Banca sulle Piccole Imprese

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Il piccolo commercio dall’economia della prossimità all’economia delle esperienze<br />

nell’introduzione, di “mediatore di filiera”, di sintonizzatore dei desideri dei consumatori con tutto ciò<br />

che la produzione offre. Affinché il piccolo commercio possa assumere questo ruolo è necessario che<br />

riesca a recuperare un capitale di fiducia simile a quello del commercio di vicinato, riuscendo tuttavia a<br />

passare dalla comunità locale alla vicinanza ideale e di senso, dalla prossimità all’attrattività.<br />

Le quattro strategie che verranno di seguito analizzate rappresentano altrettante sfaccettature del<br />

passaggio in atto dal commercio fordista a quello postfordista ed ognuna di esse sottende la costruzione<br />

di nuove reti di relazione. Se si parla di creazione di senso, infatti, ci si riferisce ad una relazione tra<br />

commerciante e cliente volta a dare un valore alla transazione che vada al di là del costo e del valore<br />

d’uso del bene, cosa che presuppone un surplus nella qualità di servizio come nell’empatia tra i soggetti<br />

della transazione. Se invece si parla della creazione di community ci si riferisce a reti di relazioni fra<br />

gli utenti di un determinato prodotto o servizio poste in essere dal venditore del medesimo. Che anche<br />

la creazione di ragnatele del valore, orizzontali o verticali che siano, attenga alla sfera delle relazioni<br />

è implicito sin dal termine. E anche la strategia del global service mira a creare un rapporto fiduciario<br />

sempre più stretto tra commerciante e cliente, in questo caso a partire da un servizio che va oltre la<br />

vendita e che necessita, a sua volta, di una marcata specializzazione da parte del commerciante.<br />

Nell’analizzare queste quattro strategie è opportuno evitare due errori d’interpretazione: il primo, quello<br />

di considerarle come alternative l’una all’altra. È vero l’opposto, in realtà: è, ad esempio, molto difficile<br />

creare una community senza che vi sia una condivisione di senso attorno al prodotto o al servizio<br />

in questione e affinché ciò avvenga è necessario che la relazione tra commerciante e cliente non si<br />

esaurisca in una fredda e semplice transazione, ma che vi sia un valore aggiunto insito in essa non<br />

direttamente riferibile alla sfera economica, bensì a quella emotiva. Allo stesso modo è possibile che tale<br />

creazione di senso sottenda un rapporto di estrema fiducia tra le parti tale da andare oltre la transazione<br />

e in grado di trasformarsi in un rapporto più propriamente riferibile a ciò che si è precedentemente<br />

denominato global service.<br />

Tali strategie possono quindi considerarsi complementari, addirittura talvolta legate da un rapporto<br />

di causalità l’una con l’altra. Tuttavia, non è corretto nemmeno - e questo è il secondo errore<br />

- considerarle come assolutamente imprescindibili: non è detto, in altre parole, che ogni impresa<br />

commerciale debba crearsi una propria community o implementare una rete di relazione orizzontale<br />

con altre realtà simili ad essa. Ogni settore, ogni realtà territoriale o virtuale, finanche ogni soggettività,<br />

ha i suoi canoni di comunicazione e le sue peculiarità relazionali. È l’adattamento razionale al proprio<br />

contesto di riferimento di queste strategie idealtipiche che decreta il successo o l’insuccesso delle<br />

realtà commerciali in questione.<br />

Quel che seguirà, pertanto, è il racconto del processo di adattamento dei casi territoriali presi in esame.<br />

La creazione di senso nel processo di vendita<br />

“I’m lovin’ it”. È questo, da qualche anno ormai, il claim pubblicitario che accompagna il logo della<br />

catena di fast food Mc Donald’s, ed è solo la punta dell’iceberg, il caso più evidente, di una strategia<br />

molto diffusa: quella di far innamorare le persone di un marchio, di un prodotto, di un’azienda.

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