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Scarica il quaderno - Vicenza Jazz

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Tornano i giorni del jazz e <strong>Vicenza</strong>si riscopre una capitale: non è untitolo autoimposto, ma un riconoscimentoche di fatto ci viene dall’esterno.E noi ne siamo orgogliosi perchéquesta musica, nel contempo accattivante e diffic<strong>il</strong>e, ha oramaida anni la forza e la capacità di coinvolgere e far lavorare insieme,far sentire uniti intorno a un fine comune.Quest’anno, poi, <strong>il</strong> coinvolgimento della città si è allargato amacchia d’olio, basti pensare che nella giornata di chiusura saràrealisticamente impossib<strong>il</strong>e prender parte a ogni manifestazione:dalla scena principe dell’Olimpico ai tanti locali e ristoranti,da Palazzo Chiericati all’Oratorio di San Nicola, dagli spazi all’apertoin Corso Palladio al Lamec in Bas<strong>il</strong>ica Palladiana e alConservatorio Pedrollo, dalla Festa della Rua in Trastevere allaFesta dei Bisi in Campo Marzo.Inut<strong>il</strong>e dire che un festival di questo tipo comporta uno sforzodavvero notevole da parte di un gruppo di lavoro che va sinceramenteringraziato in blocco e senza riserve: se artisti spessoimportantissimi, ma anche giornalisti, docenti, addetti ai lavori esemplici appassionati, vengono alle New Conversations cosìnumerosi e contenti, forse è semplicemente perché a <strong>Vicenza</strong><strong>Jazz</strong> si sta bene.3Mario Bagnara


Forte della felice esperienza dellascorsa edizione, New Conversations- <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong> propone anchequest’anno una sorta di rassegnanella rassegna: i concerti e le jamsessions a “La Cantinota – <strong>Jazz</strong>Café Trivellato”, che - partendo dalla mezzanotte circa di monkianamemoria - prolungheranno sino a notte inoltrata gli aromi musicaliprofusi durante tutto <strong>il</strong> giorno da un programma di concerti edhappening mai così fitto e qualificato.4Nel cuore di <strong>Vicenza</strong>, in un luogo che per alcuni aspetti ricorda gliambienti e le atmosfere dove <strong>il</strong> jazz venne alla luce, i giovani talentivicentini e italiani, alcuni dei quali già affermatissimi anche all’estero,daranno vita a una serie di appuntamenti imperdib<strong>il</strong>i, anchein formazioni inedite create appositamente per <strong>il</strong> nostro festival.Le notti di maggio, le notti del vino e delle rose, ci aspettano peressere vissute fino in fondo.Matteo Quero


Alla settima edizione, New Conversations- <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong> cominciaad avere dietro di sé una strisciapositiva diciamo pure importante: cene siamo cautamente convinti unpo’ per volta e ci ha convinto la stampaponendoci con convinzione fra i festival europei degni di nota.Sarebbe dunque abbastanza inut<strong>il</strong>e dar sfoggio di retorica pertener alto un nome che sta benissimo in piedi da sé.Io sono particolarmente contento perché, sull’esempio del <strong>Jazz</strong>Café La Cantinòta, in questo maggio 2002 la nostra città vivrà dijazz in tanti altri locali e nelle ore più disparate, tanto da coprirequotidianamente una fascia oraria vastissima, dal pomeriggio sinoa notte inoltrata.La Trivellato Mercedes Benz, anche per festeggiare l’ottantesimodella società, è perciò ben lieta di appoggiare con immutata passione<strong>il</strong> festival jazz di <strong>Vicenza</strong>, nella convinzione che questi possanorivelarsi in futuro solo i primi passi verso una manifestazionepienamente vicentina, ma soprattutto pienamente europea.5Luca Trivellato


PROGRAMMA6Calgaro-Bonisolo QuartetMichele Calgaro, chitarra; Robert Bonisolo, sax tenore;Marc Abrams, basso; Mauro Beggio, batteriaRoberto Magris QuartetRoberto Magris, piano; Marco Castelli, sax tenore;Lello Barbieri basso; Massimo Manzi, batteriaBracco QuartetOrchestra del Teatro Olimpico Città di <strong>Vicenza</strong>“Stravinskij e <strong>il</strong> jazz”Direttore: Donato Renzetti, Histoire du soldatOpening act: John Noel Roberts, Piano Rag Music, PetrouchkaStand Hard Trio + David Boato & S<strong>il</strong>via DonatiGianni Bertoncini, batteria; S<strong>il</strong>via Donati, voce; David Boato, tromba;Alfonso Santimone, tastiere; Alessandro Fedrigo, bassoEnsemble TheloniousSeven Notes Swing BandSgrenaisadeStefano BollaniDan<strong>il</strong>o Memoli QuintetDan<strong>il</strong>o Memoli, piano; Michele Polga, sax tenore;Roberto Rossi, trombone; Stefano Senni, basso; Massimo Chiarella, batteriaMetropolitan Time Big Band dir. Paolo VignatoMassimo Donà Quintet in “New Rhapsody in Blue”Winds Orchestra Conservatorio Pedrollo“Stravinskij e <strong>il</strong> jazz: Ebony Concerto” - dir. Pierluigi DestroMiroslav VitousUri Caine & Dave DouglasMauro Baldassarre QuartetRosario Giuliani QuartetRosario Giuliani, sax alto; Pietro Lussu, piano;Mario Rosciglione, basso; Marcello Di Leonardo, batteriaMercoledì 15 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Club Marostica - ore 22Giovedì 16 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Club Marostica - ore 22Venerdì 17 MAGGIONuovo Bar Astra - ore 18 .30Teatro Olimpico - ore 21La Cantinota/Trivellato <strong>Jazz</strong> Club - ore 23 .30Sabato 18 MAGGIOParco di V<strong>il</strong>la Cordellina Lombardia Montecchio Maggiore - ore 16Nuovo Bar Astra - ore 18 .30Istituto Musicale Città di Thiene - ore 21La Cantinota/Trivellato <strong>Jazz</strong> Club - ore 23 .30Domenica 19 MAGGIOCampo Marzo - ore 16Teatro Olimpico - ore 21Osteria della Piazzetta - ore 21 .30La Cantinota/Trivellato <strong>Jazz</strong> Club - ore 23 .30


Il festival di <strong>Vicenza</strong> omaggerà Monk in diverse maniere: non soloquella in una certa misura ispirata alla f<strong>il</strong>ologia del concerto allaTown Hall, con la BeBop Orchestra di Paul Motian, ma molte altrepiù o meno libere da qualsivoglia vincolo di st<strong>il</strong>e o linguaggio.Monkiani doc sono Steve Lacy, Mal Waldron e Stan Tracey,monkiano sui generis è Ernst Reijseger (che fin che ti risponde altelefono prende in mano <strong>il</strong> violoncello e ti suona una romanticaReflections), monkiano nel cuore è senza dubbio Stefano Benni.Monk tuttavia non è una piovra che tutto fagocita. A <strong>Vicenza</strong> cisarà spazio per (tutto) lo Stravinskij amante del jazz, ma ricorderemoanche Astor Piazzolla nel decennale della morte, <strong>il</strong> quale nonmolto prima della dipartita, fu protagonista di un bel concerto proprioa <strong>Vicenza</strong>, come solista dell’Orchestra della Città.In realtà, <strong>il</strong> festival nel suo complesso propone un programma chepotrà piacere o non piacere ma che sicuramente è composito,variopinto, comunque originale.E infatti, al di là di nomi grandi e piccoli, vecchi e nuovi, anche questaedizione di “New Conversations” si caratterizza soprattuttoper alcune idee assolutamente sue proprie, quelle che soglionesser chiamate progetti e vedranno alcuni artisti presenti a<strong>Vicenza</strong> in modo esclusivo, al solo scopo di produrre per noi qualcosadi davvero unico: avverrà in più occasioni, ma significativamentecosì sarà - dopo i prologhi stravinskiani - a inizio festival conUri Caine e Dave Douglas, e così all’ultima serata con MalWaldron e Geri Allen, e così, ancora, dal 16 al 24 maggio del 2003,quando ripartiremo da St. Louis Blues per andare dal classico all’avanguardia,dal mainstream alla musica di confine del new age edei suoni elettrici.Un pensiero in particolare, in tutti i casi, questo festival ha semprevoluto riservare ai giovani emergenti (e ce ne sono diversi, dieuropei, italiani e veneti: pensiamo solo a Roberto Dani) e a qualcheriemergente: è <strong>il</strong> caso - non ce ne voglia - di Stan Tracey cheabbiamo ritrovato nella periferia londinese, dopo averlo ripescatodal libro della memoria al capitolo (pensate un po’) di PergineValsugana 1987. Ora è qui, ovviamente, con dedica a Monk. 11


12Igor Stravinskij


Venerdì 17 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21La settima edizionedi New Conversations- <strong>Vicenza</strong><strong>Jazz</strong> si apresignificativamente conun omaggio ad uno deicompositori europei delNovecento che si è confrontatocon maggiorprofitto con <strong>il</strong> jazz e leStravinskij e <strong>il</strong> jazzJohn Noel RobertsOrchestra del Teatro OlimpicoCittà di <strong>Vicenza</strong>“Stravinskij e <strong>il</strong> jazz”John Noel Roberts, Piano Rag Music, PetrouchkaOrchestra del Teatro Olimpico Città di <strong>Vicenza</strong>direttore: Donato Renzetti, Histoire du Soldatmusiche ad esso collegate, prima fra tutte <strong>il</strong> ragtime. Piano RagMusic (1919) è appunto una delle pagine che meglio <strong>il</strong>lustranol’attenzione di Igor Stravinskij verso quella musica sincopata dicui Scott Joplin è stato l’esponente più in vista.Di Petrouchka viene eseguita la trascrizione pianistica che l’autorededicò ad Arthur Rubinstein per farne un monumento delvirtuosismo pianistico novecentesco.L’Histoire du soldat (1918) è uno dei capolavori assoluti dell’interaopera stravinskijana e sancisce la rottura definitiva con leconcezioni orchestrali ottocentesche. Di ispirazione fiabesca,l’Histoire du soldat poggia musicalmente su materiali variegati,dalla canzonetta a marce m<strong>il</strong>itari, da echi di musiche circensi alvalzer, dal tango al ragtime.L’esecuzione è affidata all’Orchestra del Teatro Olimpico che,nata nel 1990 raccogliendo precedenti esperienze cittadine, si èdistinta sin dalla sua fondazione per la dutt<strong>il</strong>ità espressiva delsuo organico. Cosa che le ha permesso di trovarsi a proprioagio anche in progetti ideati da jazzisti come Richard Galliano,Ralph Towner, Enrico Rava, Lee Konitz.John Noel Roberts è pianista apprezzato a livello internazionalee alterna l’attività concertistica a quella didattica, altrettantointensa.13


Venerdì 17 MAGGIOChicca Andriollo& Her Friendsore 18 .30 -Nuovo BarAstraVenerdì 17 Bracco QuartetSabato 18 SgrenaisadeLunedì 20 Chicca Andriollo & Oscar MarchioniMartedì 21 Mauro Baldassarre & Michele CalgaroMercoledì 22 Chicca Andriollo & Michele CalgaroGiovedì 23 Mauro Baldassarre & Diego RossatoVenerdì 24 jam session14Tutte le sere, da venerdì 17 a venerdì 24, <strong>il</strong> Nuovo Bar Astra proponeun aperitivo in jazz nella piazzetta di Contrà Barche; ne sonoprotagonisti alcuni fra i più noti musicisti vicentini di jazz, a iniziaredalla vocalist Chicca Andriollo.Stand Hard Trio+ David Boato & S<strong>il</strong>via DonatiS<strong>il</strong>via Donati, voceDavid Boato, trombaAlfonso Santimone, pianoforteAlessandro Fedrigo, contrabbassoGianni Bertoncini, batteriaore 23 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa CantinotaAlcuni dei più conosciutijazzisti dell’areaveneta riuniti inun quintetto chepropone una accurata selezionedi standard, r<strong>il</strong>etti inuna chiave dagli accenti ritmicifunky e dalle aperturefree, caratteristiche precipue dello Stand Hard Trio alle quali aderisconoi due ospiti, ovvero <strong>il</strong> trombettista David Boato e la vocalistS<strong>il</strong>via Donati. Il gruppo nasce da una idea di Gianni Bertoncini, <strong>il</strong>dotato batterista scledense che da anni ha legato <strong>il</strong> suo nome anchea molti progetti di Claudio Fasoli e della Lydian Soud Orchestra.


Sabato 18 MAGGIOV<strong>il</strong>la Cordellina LombardiMontecchio MaggioreL’Ensemble Theloniousè costituitodai migliori allievi della Scuola Thelonious di <strong>Vicenza</strong> cheeseguiranno brani di Monk in varie formazioni.La SNSB si propone con un organico molto corposo che, guidatoda Santino Crivelletto, si rifà alla grande tradizione bandistica americanae della swing era.Istituto MusicaleCittà di Thiene- ore 16- ore 21Ensemble TheloniousSeven Notes Swing BandStefano BollaniUno di quei miracoli che, quasi inspiegab<strong>il</strong>mente, ogni tantoavvengono in Italia: così Enrico Rava presenta al pubblicoStefano Bollani, talentoso specialista del pianoforte che hada poco pubblicato per Label Bleu <strong>il</strong> cd Les Fleurs Bleues,omaggio allo scrittore Raymond Queneau, inciso parte in pianosolo, parte in trio con gli americani Scott Colley e Clarence Penn.15<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa Cantinota- ore 23 .30Dan<strong>il</strong>o Memoli QuintetAttivo dalla secondametà degli anni Novanta,collaborandocon jazzmen delcalibro di Steve Grossman,Jim Snidero, Tony Scott,Roberto Rossi, tromboneMichele Polga, sax tenoreDan<strong>il</strong>o Memoli, pianoforteStefano Senni, contrabbassoMassimo Chiarella, batteriaEddie Henderson e altri, <strong>il</strong> pianista vicentino Dan<strong>il</strong>o Memoli guidaun quintetto forte di due fiati quali Rossi e Polga. Di recente è uscito<strong>il</strong> disco registrato da Memoli nel 1999 al club Chet Baker diBologna, qualche giorno dopo l’esibizione a “New Conversations -<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” con lo stesso Steve Grossman e John Mosca.


Domenica 19 MAGGIO16Metropolitan Time Big Banddirettore: Paolo VignatoMassimo Donà Quintet“New Rhapsody in Blue”n sentito omaggioalla New York martoriatadall’11 settembre2001, prendendospunto dall’elaborazione di alcuni frammenti della famosaRapsodia in Blue gershwiniana. A renderlo è un quintetto guidatodal trombettista veneziano Massimo Donà, già componente neglianni Settanta della Solar Big Band di Giorgio Gaslini e in seguitopartner del compianto sassofonista Maurizio Caldura; con Donà, cisono Francesco Bearzatti (sax tenore), Lele Rodighiero (tastiere),Nicola Sorato (basso elettrico) e Davide Regazzoni (batteria).La MTBB è un’orchestra-spettacolo fondata e diretta da PaoloVignato che si ispira alle gloriose big band americane degli anni30/50 ma che sa spingersi sino ai colori del sound moderno.Enrico Antonello, Cristiano Dal Bianco, Michele Dal Cortivo, Luciano Rigon:trombe; Miro Miotti: tromba e flicorno; Alessandro Facci, Giuliano Ongaro,F<strong>il</strong>ippo Vignato: tromboni; Alberto Prandina: corno francese; Alessandro Farina,Renato Sandonà, Yuri Valente, Ivo Laghetto, Carlo Salin: sassofoni; CarloTollero: chitarra; Francesco Raineri: piano e tastiere; Paolo Beraldo: basso elettrico;Graziano Colella, Simone Gabbani: batteria; Valentina Scalise: percussioni;Antonietta Sanna, Fabio D’Att<strong>il</strong>io: voci.Winds OrchestraConservatorio Pedrollodirettore: Pierluigi Destro“Stravinskij e <strong>il</strong> jazz: Ebony Concerto”UCdalle ore 16 - Campo Marzoore 21 - Teatro Olimpicooinvolta lo scorsoanno nella ripresadi Sketches of Spaindi M<strong>il</strong>es Davis e G<strong>il</strong>Evans, con la direzione di Maria Schneider e Paolo Fresu nelle vestidi solista, l’Orchestra a fiati del Conservatorio Pedrollo proponequest’anno alcune delle pagine in cui è più evidente l’attrazione diStravinskij verso <strong>il</strong> jazz e <strong>il</strong> suo mondo, ad iniziare dall’EbonyConcerto, scritto dal compositore russo nel 1945 appositamente


Domenica 19 MAGGIOper la band di Woody Herman. Al 1918 risale <strong>il</strong> Ragtime per undicistrumenti, mentre Scherzo à la russe era stata progettata per unacolonna sonora di un f<strong>il</strong>m mai ultimato: le musiche furono quindiadattate nel 1944 per la jazz band di Paul Whiteman.Claudia Abeni; flauto; Antonio Carraro: sax-flauto-clarinetto; Eder Vincenzi: flauto;Ezio Gavasso: clarin. basso; Stefano Negro, Cristian Pauletto, AlbertoSchiavo: clarinetti; Alberto Prandina: corno; Elisabetta Buson, Domenico DeNich<strong>il</strong>o, Marcello Faggionato, Tranqu<strong>il</strong>lo Forza, Marco Peverati: trombe; LucaBraghiroli, Ferdinando Danese, Nicola Fiorio, Thomas Riato: tromboni; PaoloMartini: tuba; Marianna Bordignon, Marco Bressan, Jenny Giacomelli, YariValente: sassofoni; Stefano Antonello: violino di spalla; Vinicio Capriotti, IldaNako, Michele Rossi: violini; Igino Semprebon, Ivan Salmaso: viole; DanieleZini: violoncello; Daniele Benetti: pianoforte; Svetlana Skorobagataia: cimbalom;Andrea Bissoli: chitarra; Gabriella Alba: arpa; Giorgio Galvan: contrabbasso;Guido Facchin, Claudio Marchetti, Michele Mastrotto: percussioni.Teatro Olimpico - ore 21Miroslav Vitous 17Performance solitaria di un autentico virtuoso del contrabbasso,strumento che Miroslav Vitous ha imbracciatodopo aver studiato, sin dall’età di sei anni, prima <strong>il</strong> violinoe poi <strong>il</strong> pianoforte. La notorietà nel mondo del jazz arrivaverso la fine degli anni Sessanta, quando <strong>il</strong> musicista ceco, trasferitosinel frattempo negli Stati Uniti, comincia a collaborare con ArtFarmer, Freddie Hubbard, Bob Brookmeyer. Per un breve periodosuona anche al fianco di M<strong>il</strong>es Davis, ma è con <strong>il</strong> Chick Corea dell’albumNow He Sings, Now He Sobs che Vitous ha modo di emergeredefinitivamente. All’inizio degli anni Settanta sarà tra i fondatoridei Weather Report, formazione alla quale rimarrà legato fino al1973. Successivamente costituisce un trio insieme al chitarristaTerje Rypdal e al batterista Jack DeJohnette, nonché un proprioquartetto (con John Surman, Kenny Kirkland, poi sostituito da JohnTaylor, e Jon Christensen) con <strong>il</strong> quale registra alcuni album per laECM. Per la stessa etichetta incide nel 1985 Emergence, albumper solo contrabbasso che testimonia una profonda ricerca espressivache continua ancora oggi.


Domenica 19 MAGGIOUri Caine & Dave Douglasore 21 - Teatro Olimpico18Uri Caine, pianoforteDave Douglas, trombaInedito faccia a facciafra due personalitàdi spicco delpanorama jazzisticocontemporaneo, unite da molteplici e stimolanti esperienze artistichecondivise nell’arco dell’ultimo decennio. Il pianista ha infattipreso parte a vari progetti del trombettista, fra cui l’album SoulOn Soul dedicato a Mary Lou W<strong>il</strong>liams, mentre Douglas è statocoinvolto nella ingegnosa r<strong>il</strong>ettura della musica di Gustav Mahlerofferta in Urlicht / PrimalLight, primo di una nutritaserie di personali omaggiad autori classici(Wagner, Schumann, <strong>il</strong>Bach delle GoldbergVariations) grazie ai qualiUri Caine è assurto allecronache musicali nonsolo jazzistiche.Originalità e versat<strong>il</strong>itàsono doti che non difettanodi certo nemmeno aDouglas, musicista i cuiampi orizzonti sono testimoniatianche dall’interesseper le musiche balcaniche(tra gli ingredientidel Tiny Bell Trio, costituitocon <strong>il</strong> chitarrista BradShepik e <strong>il</strong> batterista JimBlack) e per i suoni elettronici,investigati nelDave Douglas


Domenica 19 MAGGIOUri Cainerecente progetto Witness.Dall’incontro fra Douglas e Caine c’è dunqueda attendersi, al di là delle prevedib<strong>il</strong>i atmosferecameristiche sollecitate dalla formula tromba-pianoforte,un dialogo paritario, frutto dell’integrazionedelle rispettive, forti individualità.Osteria della piazzettaValmarana- ore 21 .30Mauro Baldassarre QuartetMauro Baldassarre è uno dei nomi noti nell’attivo panoramadel jazz vicentino, anche per <strong>il</strong> suo impegno neirapporti fra musicisti, organizzatori e Siae. Ma è,come musicista che qui lo si apprezzerà nel suo st<strong>il</strong>eparkeriano al sax alto, con <strong>il</strong> fratelli Michele e Lorenzo Calgaro(chitarra e basso) ed Enzo Carpentieri (batteria).19<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa Cantinota- ore 23 .30Rosario Giuliani QuartetRecentementescritturato dall’etichettafranceseDreyfus, perla quale ha registrato l’albumLuggage, RosarioRosario Giuliani, sax contraltoPietro Lussu, pianoforteMario Rosciglioni, contrabbassoMarcello Di Leonardo, batteriaGiuliani ha alle proprie spalle numerosi riconoscimenti, a cominciaredal primo premio nel 1996 al concorso intestato allamemoria di Massimo Urbani, una delle massime fonti di ispirazionedel sassofonista di Terracina, e dalla vittoria del “Top <strong>Jazz</strong>2000” quale miglior nuovo talento italiano. Musicista sanguigno,Giuliani fa propri con indiscutib<strong>il</strong>e maestria i più classici st<strong>il</strong>emidel jazz moderno.


Lunedì 20 MAGGIOJoe Zawinul Syndicateore 21 - Sala Palladio - Fiera20Joe Zawinul, tastiere, voceAmit Chatterjee, chitarraEtienne M’Bappe, basso elettricoNathaniel Townsley, batteriaManolo Badrena, percussioniJoe Zawinul è <strong>il</strong> poetadei sintetizzatori, unmusicista che ha saputotrarre vantaggiodalle più moderne tecnologieimprimendovi asua volta la propria visione sonora. Tra i primi a introdurre nel jazz lacalda sonorità del piano elettrico (ai tempi del fortunato sodalizio con<strong>il</strong> sassofonista Cannonball Adderley suggellato dall’hit Mercy,Mercy, Mercy), è stato poi chiamato alla corte del divino M<strong>il</strong>es Davisoffrendo <strong>il</strong> proprio contributo a opere capitali come In A S<strong>il</strong>ent Waye Bitches Brew. Quindi Zawinul è stato co-fondatore, insieme aWayne Shorter e Miroslav Vitous, dei Weather Report, formazioneche ha spalancato nuovi, stimolanti orizzonti. Da sempre attratto damusiche provenienti da ogni angolo della terra, <strong>il</strong> tastierista austriacosi è poi involato per proprio conto, firmando prima <strong>il</strong> compositoaffresco Dialects, varando poi <strong>il</strong> gruppo Zawinul Syndicate.Maurizio Giammarco Trioore 23 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa CantinotaMaurizio Giammarco, sax tenoreLuca Bulgarelli, contrabbassoMarcello Di Leonardo, batteriaGiammarco è unodei sax italiani conmaggior esperienzainternazionale.Attivo sin dai primi anni ’70, ha infatti collezionato un gran numerodi collaborazioni con colleghi italiani e internazionali, da Chet Bakera Lester Bowie, Dave Liebman, B<strong>il</strong>ly Cobham, Peter Erskine, TootsThielemans e quindi Gaslini, Rava, Pieranunzi, Giovanni Tommaso.Ha inoltre diretto numerosi propri gruppi, tra cui Lingomania, concui ha esplorato a fondo i territori del jazz elettrico.


Martedì 21 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21AArundo DonaxPasquale Laino, sax sopranoPietro Tonolo, sax contraltoMario Raja, sax tenoreRossano Em<strong>il</strong>i, sax baritonorundo Donax è <strong>il</strong>nome scientificodella canna concui si costruisconole ance dei sassofoni ma è anche da diversi anniormai <strong>il</strong> nome di un affiatato quartetto di sassofonisti italiani legat<strong>il</strong>’uno all’altro da un approccio musicale che coniuga estremo rigorecon una grande libertà espressiva. Il quartetto ha all’attivo treCD: C’era una volta, dedicato al mondo dell’infanzia, ArundoDonax, con undici composizioniscritte appositamenteper <strong>il</strong> gruppo, fra cui una diCarla Bley, e <strong>il</strong> recentissimoDancers In Love, costituitoesclusivamente da paginedi Duke Ellington e B<strong>il</strong>lyStrayhorn.I componenti di ArundoDonax hanno tutti collezionatonel corso del tempoimportanti esperienze: diPietro Tonolo si ricordaalmeno l’eccellente progettoPortrait Of Duke (conSteve Swallow, G<strong>il</strong> Goldsteine Paul Motian), presentatocon successo nel1999 nel corso della quartaedizione di New Conversations- <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong> e successivamentepubblicato sudisco dalla Label Bleu.Pietro Tonolo (ph. Pino Ninfa)21


Martedì 21 MAGGIOBrad Mehldau Trioore 21 - Teatro Olimpico22Brad Mehldau, pianoforteÈla nuova star delLarry Grenadier, contrabbassopiano jazz: nato aJorge Rossy, batteriaJacksonv<strong>il</strong>le, inFlorida, nel 1970,Brad Mehldau è assurto nel giro di poco tempo, dopo <strong>il</strong> suo trasferimentoa New York verso la fine degli anni Ottanta, ai massimivertici della scena jazzistica internazionale. Messo sottocontratto da una major come la Warner Bros., <strong>il</strong> pianista ha licenziatoa partire dal 1995 una serie di album che ne hanno messopienamente in luce <strong>il</strong> suo travolgente talento. Con in curriculumanche collaborazioni con Lee Konitz, Charlie Haden, CharlesLloyd e Joshua Redman, e incursioni nel delicato terreno delpiano solo, Mehldau si mostra da sempre aproprio agio soprattutto con la classica formuladel trio pianoforte-contrabbasso-batteria,trovando nel bassista Larry Grenadier(richiesto anche da Pat Metheny, ma a<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong> apprezzato due anni fa conPaul Motian ed Enrico Pieranunzi) e nel batteristaJorge Rossy i partner ideali perpotersi lanciare in formidab<strong>il</strong>i cavalcate strumentali,da cui emergono riferimenti sia allatradizione pianistica del jazz che al concertismoclassico europeo. Ciò grazie ad unapoderosa tecnica che Mehldau governa conindiscutib<strong>il</strong>e maestria e sapiente equ<strong>il</strong>ibrioformale, spaziando in un vasto repertorioche da celebri standard si è spinto fino all’universodel rock. Significative sono in talsenso le interpretazioni di brani del cantautoreNick Drake e dei Radiohead, r<strong>il</strong>ettiovviamente in una squisita chiave jazzistica.Brad Mehldau


Martedì 21 MAGGIOAntica Casadella Malvasia- ore 21 .30Organ is mo’ei martedì musicali dell’Antica Casa della Malvasia si inseriscequesto tipico trio ispirato ai suoni del blues, con un orga-Nnico che vede in evidenza l’organo e l’armonica a bocca.Nirvana Caffè degli Artisti- ore 21 .30CiThi EnsembleIl gruppo è composto dagli allievi dei corsi di musica d’insiemedell’Istituto Musicale Città di Thiene, istruiti da Francesco Signorini.Si tratta di: Matteo Dalla Rovere, pianoforte; ManueleScicolone, contrabbasso; Giulio Fabris, batteria; John Carollo,flauto; Roberto Lissa, tastiere; Angelica Michelusi, Manuela Quarini,Marta Dal Passo, Michele Dalla Riva, voci.23<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa Cantinota- ore 23 .30Girotto & MangalaviteApprezzato in vari Xavier Girotto, sax baritono e sopranocontesti, dagli AiresTango ai grup-Natalio Mangalavite, pianofortepi di Roberto Gatto ed Enrico Rava, Javier Girotto suonacon pari ab<strong>il</strong>ità sia <strong>il</strong> sax soprano che <strong>il</strong> baritono(ma imbraccia pure tipici flauti delle regioniandine) e ha m<strong>il</strong>itato per qualche tempoanche nella francese Orchestre National de<strong>Jazz</strong> diretta da Paolo Damiani, firmando <strong>il</strong> suoesordio solistico, Visions, con <strong>il</strong> bandoneonistaDaniele Di Bonaventura. Da poco ha varatoun altro duo insieme a un altro argentino, <strong>il</strong>pianista Natalio Mangalavite.Xavier Girotto (ph. Roberto Masotti)


Mercoledì 22 MAGGIODani-Sclavis-Gregory-Courtoisore 21 - Teatro Olimpico24“Interférences”Louis Sclavis, clarinettiKyle Gregory, trombaVincent Courtois, violoncelloRoberto Dani, batteriaL’idea di questoquartetto francoitalo-americanoèdel batterista vicentinoRoberto Dani, musicistacon all’attivo significativecollaborazioni con Kenny Wheeler, Norma Winstone, TimBerne, Lee Konitz, Richard Galliano, Mick Goodrick e altri ancora.Inizialmente un trio con Michel Godard alla tuba e Kyle Gregory allatromba, <strong>il</strong> progetto “Interférences” assume in occasione di questasettima edizione di “New Conversations - <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” unanuova fisionomia: accanto al leader e al trombettista americano, daalcuni anni residente in Italia, cisono infatti due esponenti di primopiano del jazz transalpino, <strong>il</strong> clarinettistaLouis Sclavis, una delle mentipiù fervide del jazz europeo tutto, e<strong>il</strong> violoncellista Vincent Courtois,affermatosi proprio grazie ad alcun<strong>il</strong>avori dello stesso Sclavis, quali idue dischi ECM L’affrontement desprétendants e Dans La Nuit.Data anche la sua particolare configurazionestrumentale, “Interférences”si nutre sia del più avanzatolinguaggio jazzistico contemporaneo,sia della musica dacamera del Novecento europeo:una proposta, quindi, che valica lebarriera dei generi per sfociarenell’ampio bacino delle “musichedi confine”.Roberto Dani


Mercoledì 22 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Nel decimo anniversariodella scomparsadi AstorPiazzolla, <strong>il</strong> fisarmonicistafrancese RichardGalliano, già applauditoa <strong>Vicenza</strong> in altre occasioni,rende sentito edoveroso omaggio al suoMaestro, uno dei geniRichard Galliano Septet“Piazzolla Forever”Richard Galliano, fisarmonica, bandoneonHervé Sellin, pianoforteJean-Marc Ph<strong>il</strong>lips-Varjabédian, primo violinoSébastien Surel, secondo violinoJean-Marc Apap, violino contraltoRaphael Pidoux, violoncelloStéphane Logerot, contrabbassomusicali del secolo passato. Alla guida di un ampio organico dichiara impronta cameristica, che comprende tra l’altro uno dei piùquotati pianisti jazz d’oltralpe, Hervé Sellin, Galliano, colui che piùdi ogni altro ha contribuito negli ultimi decenni al r<strong>il</strong>ancio della fisarmonicanon solo nel jazz, ripercorre l’affascinante itinerario artisticodi Piazzolla attraverso alcune notissime ma sempresorprendenti composizioni: da Adios Noninoalla altrettanto famosa Libertango, da Oblivion aM<strong>il</strong>onga del Angel, fino a pagine impegnativecome Concerto Para Bandoneon YOrquesta e le Quattro stagioni scritte daPiazzolla ispirandosi al celebre ciclo vivaldiano.Composizioni che hanno elevato <strong>il</strong>tango argentino al rango di autenticamusica d’arte, mirab<strong>il</strong>e fusione tra passionalitàed emozionalità, tra sensualità egrande rigore espressivo, e che Galliano,dall’alto del suo impareggiab<strong>il</strong>e virtuosismostrumentale, ma soprattutto dellasua assidua frequentazione con la musicadi Piazzolla, interpreta con la sensib<strong>il</strong>ità e<strong>il</strong> gusto che gli sono propri.25Richard Galliano


Mercoledì 22 MAGGIOSgrenaisadeore 18 .30 -Bar Borsa26Enrico Antonello, trombaAdalberto Bresolin, sax tenoreGi Gasparin, chitarraGigi Furlan, bassoStefano Porro, batteriaArundo DonaxElias-Johnson-BaronEliane Elias, pianoforteMarc Johnson, contrabbassoJoey Baron, batteriaEcco riuniti in unquartetto atipico eun po’ cameristicoquattro amici del jazz vicentino,a iniziare dal sax rollinsianodi Adalberto Bresolin.Un supertrio capitanatodalla pianistabras<strong>il</strong>iana ElianeElias, già componentedegli Steps Ahead. Al suo fianco una ritmica solidissimaformata dal contrabbassista Marc Johnson, uno degli ultimi collaboratoridi B<strong>il</strong>l Evans, e dal versat<strong>il</strong>e batterista Joey Baron.Rand(o)maniaore 21 .30 -NirvanaCaffé degli Artistiore 22 -Panic <strong>Jazz</strong> ClubMarosticaore 23 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa CantinotaGianluca Petrella, trombone Gruppo tra i più interessantidegli ul-Roberto Cecchetto, chitarraAndrea Lombardini, basso elettricotimi tempi, Rand(o)maniaè gui-U. T. Gandhi, batteriadato dal miglior nuovo talento italiano del “Top <strong>Jazz</strong> 2001”, <strong>il</strong> trombonistapugliese Gianluca Petrella, e annovera due assidui partner diEnrico Rava come Roberto Cecchetto e U. T Gandhi. Ne esce unjazz dinamico, st<strong>il</strong>isticamente avanzato, che fonde con equ<strong>il</strong>ibrio sonoritàacustiche ed elettroniche. Come attesta <strong>il</strong> recente CD Strade.


Giovedì 23 MAGGIOChiesa dei F<strong>il</strong>ippini - ore 18Auditorium Canneti - ore 21Messa GospelGruppo vocale del Conservatorio “A. Pedrollo”diretto da Paola FornasariErnst ReijsegerApprezzato protagonista,in duo con <strong>il</strong>“Round About Monk”pianista Franco Ernst Reijseger, violoncelloD’Andrea, dellapassata edizione di “New Conversations - <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”, <strong>il</strong> violoncellistaolandese Ernst Reijseger è quest’anno impegnato in unaserie di apparizioni solitarie, particolarmente congeniali a metterein risalto <strong>il</strong> suo estro di rigoroso ma nel contempo dissacranteimprovvisatore. La padronanza con cui domina agevolmente <strong>il</strong> propriostrumento gli permette infatti di sfruttarne le risorse anche inmodi inusuali, imbracciandolo come se fosse una chitarra o sfregandole corde per trarre sonorità quantomeno inconsuete.Avvicinatosi alla musica improvvisata nei primi anni ’70, Reijsegerha condiviso le esperienze della ICP Orchestra diretta dal pianistaMisha Mengelberg, dell’Amsterdam String Trio e del Clusone Trio(con <strong>il</strong> sassofonista MichaelMoore e <strong>il</strong> batteristaHan Bennink), collaborandoanche con <strong>il</strong> batteristaamericano Gerry Hemingway,<strong>il</strong> polistrumentistafrancese Louis Sclavis, <strong>il</strong>percussionista indianoTr<strong>il</strong>ok Gurtu e <strong>il</strong> coro sardodei Tenores di Orosei.Ernst Reijseger27


Giovedì 23 MAGGIO28Steve Lacyore 21 - Auditorium Cannetino degli indiscussi“Solos on Monk”Umaestri di unoSteve Lacy, sax sopranostrumento noncerto tecnicamenteagevole come <strong>il</strong> sax soprano, uno dei più profondi conoscitorie interpreti della musica altrettanto complessa di TheloniousMonk: un ritratto sintetico di Steve Lacy non può prescindere daquesti due inconfutab<strong>il</strong>i assunti di partenza. Musicista aperto alconfronto con altre espressioni artistiche - dalla danza alla poesia,alle arti visive - <strong>il</strong> sassofonista americano è uno dei più alti esempidi creatività possib<strong>il</strong>i, artefice di un personale percorso sonoroche dal jazz tradizionale è approdato a un composito universomusicale, f<strong>il</strong>trato dalla frequentazione con <strong>il</strong> free jazz degli anniSessanta e la più radicale improvvisazione europea. Collaboratoreprima di Cec<strong>il</strong> Taylor e poi dello stesso Monk, Lacy ha saputo trarresoprattutto dal secondo preziosi insegnamenti di cui tutt’oggiconserva viva memoria.E tra i numerosiambiti assiduamentepraticati,quello dellasolo performanceè dei più adatti amettere in risaltole mirab<strong>il</strong>i doti diun instancab<strong>il</strong>eimprovvisatorecompositorecome Lacy, virtuosoe insieme inimitab<strong>il</strong>epoeta delsax soprano.(ph. Pino Ninfa)


Giovedì 23 MAGGIOAuditorium Canneti - ore 21Stan Tracey & Bobby WellinsABobby Wellins, sax tenorettivo sin dagli anniStan Tracey, pianoforteCinquanta, <strong>il</strong> settantacinquenneStan Tracey è una delle personalità di maggior risalto deljazz d’oltremanica, nonché uno dei più originali pianisti europei.Nell’arco della sua lunga carriera ha suonato in contesti diversissimitra loro, collaborando con jazzmen statunitensi della staturadi Zoot Sims, Ben Webster e Sonny Rollins, oltre che con numerosimusicisti connazionali, ad iniziare dallo storico sassofonistaRonnie Scott, per proseguire con John Surman (con <strong>il</strong> quale harealizzato in duo nel 1978 l’album Sonatinas) e uomini dell’avanguardiapiù spinta come Trevor Watts e <strong>il</strong> pianista Keith Tippett (unaltro duo documentato da TNT). Come leader Tracey ha direttopiccoli gruppi e ampi organici, facendosi coadiuvare da selezionatipartner, tra i quali spicca <strong>il</strong> tenorista scozzese Bobby Wellins,dieci anni più giovane delpianista ma anch’eglisulle scene dagli anniCinquanta: <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e sassofonisticorimanda curiosamenteal suono delletipiche cornamuse dellasua terra d’origine.Wellins ha, tra l’altro, partecipatonel 1982 alla registrazionedi Spectrum,album dedicato da Traceyalla musica di TheloniousMonk, insieme a DukeEllington massima fontedi ispirazione del pianistalondinese.29


Giovedì 23 MAGGIOEttore Martin Organ Reunionore 21 .30 -NirvanaCaffé degli ArtistiEttore Martin, sax tenoreBruno Marini, organoMassimo Caracca, batteriaIl gruppo propone unjazz coinvolgente ediretto, con la sonoritàtipica delleorgan bands degli anni ’50 e ’60. Il repertorio, composto principalmentedi standards, è costruito ad hoc per mettere in luce <strong>il</strong>particolare sound che sax tenore da un lato e organ groove dall'altroriescono a dare. La musica proposta è solare, divertentee sofisticata al tempo stesso, con un linguaggio musicale semprevivo e comunque fedele alla grande tradizione del jazz.30Moroni-Bonisolo Quintetore 23 .30 <strong>Jazz</strong> Café Trivellato- La CantinotaJoe Magnarelli, trombaUn quintetto che siRobert Bonisolo, sax tenoreesprime nel solcoDado Moroni, pianofortedella strada maestradel jazz. AGiuseppe Bassi, contrabbassoEnzo Zir<strong>il</strong>li, batteriaguidarlo, sostenuti da unaritmica di tutto rispetto, sono <strong>il</strong> pianistaDado Moroni, uno dei jazzistiitaliani di maggior risonanza internazionale,<strong>il</strong> sassofonista canadese,ma da tempo attivissimo in Venetoe non solo, Robert Bonisolo e<strong>il</strong> trombettista newyorkese JoeMagnarelli, musicista che collaborastab<strong>il</strong>mente con la V<strong>il</strong>lage VanguardOrchestra, Maria Schneider,Tom Harrell e altri.Dado Moroni (ph. Pino Ninfa)


Venerdì 24 MAGGIOConservatorio A. Pedrolloore - 11Maurizio Franco & Paolo Birro“Il pianismo di Monk”Lezione-concertoAuditorium Canneti - ore 21Dopo l’apertura diserata affidata aun solo di ErnstReijseger, spazioalla parola. StefanoStefano Benni & Umberto Petrin“Misterioso: viaggio intorno a Monk”Stefano Benni, voce recitanteUmberto Petrin, pianoforteBenni, uno dei più affermati scrittori italiani degli ultimi decenni,consolida <strong>il</strong> suo legame con la musica e <strong>il</strong> jazz in particolare con unnuovo progetto interamente dedicato alla figura umana e artisticadi Monk. Lo scrittore bolognese è coadiuvato nella circostanza daUmberto Petrin, già collaboratore, tra gli altri, diTiziana Ghiglioni e Guido Mazzon e attuale pianistadella Italian Instab<strong>il</strong>e Orchestra, nonché titolaredi un album-tributo a Monk (Monk’s World, daltitolo di una poesia di Amiri Baraka/Leroy Jones),registrato in solitudine nel 1997 per la Splasc(h).Il viaggio intorno a Monk congegnato da Benni edal musicista lombardo (che da sempre nutre trai propri interessi artistici anche la poesia) si sv<strong>il</strong>uppaquindi partendo da note composizionimonkiane intersecandosi con la lettura di testi diGeoff Dyer, autore del fortunato Natura mortacon custodia di sax, Amiri Baraka, AllenGinsberg, dello stesso Benni e di altri autori.D’altro canto, l’universo monkiano si presta benea interpretazioni letterarie che ne mettono inrisalto ulteriori, affascinanti sfumature.Stefano Benni (ph. Giovannetti/Effigie)31


Venerdì 24 MAGGIOPaul Motian Electric Bebop Orchestra“Monk at Town Hall”ore 21 - Auditorium CannetiUn festival dedicatoChris Cheek, sax tenorea una personalitàPietro Tonolo, sax tenore, sax sopranocosì complessaRossano Em<strong>il</strong>i, sax baritono, clarinetto bassocome TheloniousKyle Gregory, tromba, flicorno Monk non poteva non prevedereuna produzioneRoberto Rossi, tromboneDario Duso, tuba speciale. Ed ecco l’idea diSteve Cardenas, chitarra allestire una apposita compagineorchestrale affi-Jakob Bro, chitarraAnders Christensen, basso elettrico dandone la leadership a unPaul Motian, batteria musicista che con NewRiccardo Brazzale, arrangiamenti e conduzione Conversations - <strong>Vicenza</strong>32<strong>Jazz</strong> ha consolidato nelcorso degli anni la propria collaborazione, al punto da potersi ritenerea pieno titolo un artist in residence: Paul Motian. Il batteristaamericano, noto per i suoi trascorsi alfianco di B<strong>il</strong>l Evans, Keith Jarrett etanti altri grandi del jazz, ha accoltocon entusiasmo l’invito mettendo adisposizione la sua rodata ElectricBebop Band, <strong>il</strong> cui organico è estesonella circostanza ad alcuni solisti italianidi vaglia. Il progetto ha poi unsapore particolare perché si fondasulla ripresa di uno dei più famosialbum monkiani: Monk At Town Hall,frutto dell’incontro tra la musica delpianista e gli arrangiamenti orchestralidi Hall Overton. Non si tratta però diuna semplice riproposizione, ma diPaul Motian (ph. Pino Ninfa)una nuova versione dei sei braniinclusi nell’album (Thelonious,


Venerdì 24 MAGGIOMonk’s Mood, Off Minor, Crepuscule With Nellie, Little RootieTootie, Friday The 13 th ), per i quali Riccardo Brazzale, nelle vestianche di direttore dell’orchestra, ha predisposto nuovi arrangiamentitraendo ispirazione proprio dall’originale st<strong>il</strong>e pianistico dellostesso Monk. Non dunque un’operazione di ripasso storico, bensìuna r<strong>il</strong>ettura di una importante pagina del passato in una chiavediversa, nuova. Così come è naturale che nel jazz avvenga sempre.Nirvana Caffé degli Artisti- ore 21. 30Ensemble TheloniousG33li allievi della Scuola Thelonious di <strong>Vicenza</strong>, già in cartellone<strong>il</strong> 18 maggio a Montecchio Maggiore, documentano<strong>il</strong> lavoro svolto da un gruppo di insegnanti che annoveranomi come Paolo Birro, Robert Bonisolo, Fabrizio Bosso,Dan<strong>il</strong>o Memoli, Michele e Lorenzo Calgaro, Gianni Bertoncini.<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa Cantinota- ore 23 .30Giovanni Amato QuartetIl trombettista campanoGiovanni A-mato ha iniziato nel1990 un’intensaattività che in breve lo haGiovanni Amato, trombaPietro Lussu, pianoforteAldo Vigorito, contrabbassoAmedeo Ariano, batteriaportato ad affermarsi al fianco dei più quotati jazzisti italiani e dinumerosi jazzmen americani (Lee Konitz, Steve Grossman,George Garzone, Jerry Bergonzi, ecc.). Numerose sono anchele sue partecipazioni a trasmissioni televisive nazionali. La suapeculiarità st<strong>il</strong>istica sta soprattutto in un notevole senso delloswing, accompagnato da una sonorità morbida e potente altempo stesso, tipica di quel mainstream jazz anni Cinquanta cheseppe recuperare le radici afroamericane al linguaggio bop.


Sabato 25 MAGGIOMaurizio Franco & Riccardo Bianchi“Django: The Birth Of European <strong>Jazz</strong>”Lezione-concerto34Young Swing Marching BandRaspanti & GlogowskiAdrenalina Clown <strong>Jazz</strong> BandM.O. M<strong>il</strong>an Dixieland Banddiretta da Rossano SportielloLa band nasce all’internodei Civici Corsi di <strong>Jazz</strong> tenuti a M<strong>il</strong>ano dall’Associazione MusicaOggi guidata da Enrico Intra, Franco Cerri e Maurizio Franco.Allievi Conservatorio “A. Pedrollo”Promosso dalla Circoscrizione1 di <strong>Vicenza</strong>, <strong>il</strong> concerto propone musiche di Astor Piazzolla.Ernst Reijseger & Cellos Orchestra“Melodious Cello”Il concerto è frutto dellacollaborazione con <strong>il</strong> ConservatorioPedrollo di <strong>Vicenza</strong>, dove Reijseger ha tenuto uno stagecon gli allievi di Gianantonio Viero e Giovanni Maria Cecchin.Vittorio Ghielmiore 11 - Conservatorio A. Pedrollodalle ore 15 .30 - Centro Storicoin “Fantasie in Blue”in “La Stella e <strong>il</strong> Coyote”ore 16 .30 - Campo Marzoore 17 - Palazzo Trissinoore 17 .30 - Palazzo Chiericatiore 18 .30 - Oratorio S. NicolaOriginale performance della viola da gamba di Ghielmi in “Extempore: le improvvisazioni e le melodie popolari”, grazie alla collaborazionecon <strong>il</strong> festival di musica antica Spazio & Musica.


Sabato 25 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Dopo <strong>il</strong> solo diErnst Reijseger,giunge in scenala voce di SusanneAbbuehl con le musichedi Apr<strong>il</strong>, album didebutto per l’etichettaSusanne Abbuehl“Apr<strong>il</strong>”Susanne Abbuehl, voceWolfert Brederode, pianoforteChristof May, clarinetto, clarinetto bassoPer Oddvar Johansen, batteria, percussionitedesca ECM della cantante svizzera. Si trattra di una delle piùrecenti scoperte del produttore Manfred Eicher che ancora unavolta conferma la sua naturale dote di valorizzatore di talenti.Susanne Abbuehl è infatti una delle più belle e intese voci apparsesulle scene musicali degli ultimi anni, una cantante che mostrauna approfondita conoscenza sia della tradizionevocale jazzistica che di quella di altreculture, in special modo orientali. La suamusica si nutre dunque di ingredienti diversiamalgamati con grande sensib<strong>il</strong>ità, come sievince proprio dall’ascolto di Apr<strong>il</strong>, doveaccanto a composizioni originali sono presentipersonali r<strong>il</strong>etture di un paio di splendidepagine di Carla Bley (Ida Lupino e Closer) e di‘Round Midnight, <strong>il</strong> capolavoro monkiano,forse la più eseguita composizione jazzisticadi tutti i tempi. Nata a Berna, Susanne Abbuehlha alle spalle sia studi classici che jazzistici(anche con Jeanne Lee). In seguito si èavvicinata alla musica del Nord dell’India, dacui ha tratto altri preziosi insegnamenti chehanno appunto contribuito alla definizione delsuo mondo espressivo e di cui lei parlerà inun incontro con gli allievi del corso di musicaindiana al Conservatorio di <strong>Vicenza</strong>.Susanne Abbuehl35


Sabato 25 MAGGIOGeri Allen & Mal Waldronore 21 - Teatro Olimpico36Geri Allen, pianoforteMal Waldron, pianoforteUn altro progettospeciale di NewConversations - <strong>Vicenza</strong><strong>Jazz</strong> 2002.Un inedito faccia a faccia fra due giganti del pianoforte: da unaparte uno dei maestri del pianoforte jazz dell’ultimo mezzo secolo,dall’altra una delle esponenti più in vista del jazz al femmin<strong>il</strong>e, ditrent’anni più giovane dell’<strong>il</strong>lustre collega di strumento ma in gradodi tenergli testa.Grande interprete di Monk, Ellington e Strayhorn, Mal Waldronviene ricordato per i suoi trascorsi a fianco di B<strong>il</strong>lie Holiday, nell’ultimoscorcio di vita e carriera della indimenticab<strong>il</strong>e cantante, diCharles Mingus (gli anniCinquanta di PithecanthropusErectus) e, cosache rispedisce direttamenteanche all’attualità,di Steve Lacy. Ma <strong>il</strong> settantaseiennepianistanewyorkese è soprattuttouno dei quei jazzisti ancorain grado di sorprenderecon quel suo st<strong>il</strong>e personalissimo,che a volte puòapparire un tantino cupoma che in realtà è ricco dimagia come pochi altri.Originaria del Michigan,Geri Allen incarna unadelle più felici sintesi travarie scuole pianistiche,messa in pratica in svariatiGeri Allen


Sabato 26 MAGGIOcontesti: dai gruppi di SteveColeman a un magnifico trio conCharlie Haden e Paul Motian,persino accanto a Ornette Coleman,uno che pure i pianisti liaveva sempre mal digeriti. A <strong>Vicenza</strong>è già stata apprezzata nelleNew Conversations del ’97 induo con <strong>il</strong> marito Wallace Roney.Mal WaldronNirvana Caffé degli Artisti- ore 21. 30Calgaro-Bianchi Guitar DuoMichele Calgaro si propone in uno dei suoi personali progettipreferiti, quello di un tutto-chitarre, assieme aRiccardo Bianchi, altro strumentista ben noto nel panoramadella chitarra jazz nazionale, sin dai tempi del suosodalizio con Enrico Rava, in quartetto con Di Castri e Beggio.37<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa Cantinota- ore 23 .30Daniele Scannapieco QuartetLa conoscenza dellatradizione e del Julian Olivier Mazzariello, pianoforteDaniele Scannapieco, sax tenorelinguaggio modernodel jazz fa Lorenzo Tucci, batteriaPietro Ciancaglini, contrabbassodel sassofonista DanieleScannapieco un musicista eclettico, capace di esprimere concettimusicali anche complessi con una naturale chiarezza espressiva.Il suo talento gli ha permesso di farsi apprezzare in svariaticontesti, suonando al fianco di Dee Dee Bridgewater, MichaelBrecker, Joe Lovano, Donald Harrison e altri titolati jazzmen americanied europei.


Monk lives!Guardando Monkdalla parte delle radicidi Maurizio FrancoVent’anni dalla morte di Monk.Eppure, se la scomparsa “fisica”del compositore nero-americano èancor più lontana nel tempo, in quanto risale al suo abbandonodella vita musicale attiva, avvenuto progressivamente nella primametà degli anni ’70, la sua musica è invece sempre più presentenel nostro paesaggio sonoro. Direttamente, perché diversi suoicapolavori sono entrati a far parte del repertorio jazzistico contemporaneo;indirettamente, poiché nell’odierno modo di concepire<strong>il</strong> jazz non mancano, in alcune tendenze importanti, elementiriconducib<strong>il</strong>i al suo pensiero musicale e a quello di altre imprescindib<strong>il</strong>ifigure “trasversali” della storia della musica africanaamericana.Monk lives, dunque, grazie alla miglior comprensionedelle ragioni, delle modalità stesse del suo agire, che lo resero (elo rendono) irriducib<strong>il</strong>e a qualsiasi st<strong>il</strong>e, come fu per Ellington,Mingus e altri compositori in senso stretto della storia jazzistica,non confinab<strong>il</strong>i in una delle tante nicchie in cui si è soliti ingabbiare<strong>il</strong> complesso percorso storico del jazz. Proprio questa mancanzadi tratti chiaramente definib<strong>il</strong>i ha però provocato, in una musicala cui storiografia si è principalmente rivolta alla ricerca di un“nuovo” fac<strong>il</strong>mente individuab<strong>il</strong>e e semplicisticamente contrapponib<strong>il</strong>eal “passato”, la fioritura di una serie di luoghi comuni che,nel tempo, sono diventati un pericoloso freno all’approfondimentotrasformandosi in comodo appiglio per chi non è intenzionato aproporre altre interpretazioni. Luoghi comuni che hanno favorito lafioritura di un atteggiamento critico retorico intorno a Monk, chesi é talmente consolidato nel tempo da scoraggiare i più ad osaredifferenti interpretazioni della sua musica rispetto a quelle preva-39


Maurizio Franco40lenti , scontate ma “autorevoli”. Un destino condiviso con moltialtri artisti ed estremamente condizionante; basti pensare chesolo nel 1988 è stato pubblicato <strong>il</strong> primo libro su Monk:Thelonious Monk scritto da Yves Buin, e che a tutt’oggi, a parteun recente numero speciale del Black Music Research Journal,curato da Mark Tucker, e un volumetto di riflessioni ad opera diGiorgio Gaslini, a lui sono stati dedicati soltanto altri due libri(ancora una volta grazie alla penna di scrittori di lingua francese,da sempre i più refrattari ad accettare i luoghi comuni e le opinioniprovenienti d’oltreoceano): Blue Monk, di Jacques Ponzio eFrançois Postif, e Thelonious Monk Himself di Laurent De W<strong>il</strong>de.Insieme ad alcuni saggi apparsi negli anni ’80 e nello scorsodecennio, questi studi hanno contribuito ad innescare un processodi revisione critica dell’opera monkiana che proprio in quest’epoca,nella quale cresce la consapevolezza verso <strong>il</strong> “senso dellastoria” come motore importante del cammino del jazz, trova terrenofavorevole per sv<strong>il</strong>upparsi. Il recupero di materiali “antichi”della musica africana-americana: per esempio gli st<strong>il</strong>emi del pianismostride, così presenti nel modo di suonare e comporre diMonk e oggi esplicitamente recuperati da non pochi giovani pianisti,così come a livello generale lo sguardo più ampio alla storiadel jazz e la nuova volontà di non recidere bensì recuperare eripensare (almeno in alcune influenti correnti contemporanee) glielementi portanti dell’estetica jazzistica, aiutano a collegare <strong>il</strong> presentecon <strong>il</strong> passato e a rivedere l’intera impostazione storica concui si è principalmente letto <strong>il</strong> jazz sino alle soglie del 2000. In questainedita cornice l’immagine di Monk appare più chiara e, altempo stesso, dirompente nella sua attualità. Anche la seria rivalutazionecritica dei jazzisti “compositori”, influenzata dal pesocrescente della musicologia afroamericana, e gli approfondimentiintorno al concetto di improvvisazione, appropriazione, performanceaiutano <strong>il</strong> processo di ridefinizione della sua figura di artistae strumentista, mandando in frantumi un ritratto che sembravaimmodificab<strong>il</strong>e. Tra i luoghi comuni da rivedere, uno dei più pervicacié la considerazione di Monk come “mediocre strumenti-


Monk lives!sta”, che mette in campo l’abusato termine di naif, cioè non coltivatosecondo le regole e in fondo nemmeno “professionista”.Eppure egli era un pianista “unico”, quasi senza riscontri tra glistrumentisti moderni per quanto riguardava l’uso della tastiera, <strong>il</strong>tocco, <strong>il</strong> modo di costruire le frasi, di far “suonare” la musica. Aquesta idea, largamente diffusa, di una tecnica carente faceva, efa ancora, da contrappeso quella del Monk eccezionale compositore,che pare <strong>il</strong> frutto di alcuni equivoci sul suo metodo di composizionee di logiche europee in merito alla concezione di “buonpianista”. Dita arcuate, tocco morbido, vellutato, fraseggio scioltosono regole auree in una visione della tecnica pianistica funzionaleall’esecuzione della musica eurocolta; ebbene, in buona parteMonk le abbandona; abbandona (!) perché diverse testimonianzeriferite al suo modo di suonare negli anni ’30 lo dipingono comeun musicista alla Teddy W<strong>il</strong>son, un valido pianista secondo unalogica tradizionale. Tutti sanno, del resto, o dovrebbero sapereche passava quotidianamente ore a studiare la sua originale tecnica,congeniale non ad un pianismo accademico e formalisticoma al suo pensiero compositivo. Inquietante nel suo pianismo“antigrazioso”, fuori da ogni retorica, addirittura imbarazzante percome trasformava un’icona della musica eurocolta in un balafonafricano, esaltando la natura di strumento a percussione del pianofortee proiettandolo in quell’universo “altro” rappresentatodalla terra dei suoni afroamericana, Monk era al tempo stessoconsapevole delle più riposte possib<strong>il</strong>ità sonore del “suo” strumento.Scambiando per errori precise scelte espressive, cheinfatti si ripetono uguali esecuzione dopo esecuzione dimostrandodi non essere “incidenti di percorso”, magari anche “geniali”(ma per saperlo bisogna ascoltare diverse versioni di uno stessobrano, molteplici dischi di Monk), rifiutando a priori <strong>il</strong> suo modoscampanante e percussivo di suonare, con i tasti toccati dalle ditapiatte e, talvolta, addirittura a martello, ci si è in realtà pregiudicat<strong>il</strong>a possib<strong>il</strong>ità di comprendere a fondo anche <strong>il</strong> compositore,inscindib<strong>il</strong>e dal pianista nella pratica stessa del comporre. Le suecomposizioni venivano infatti elaborate sulla tastiera con la com-41


Maurizio Franco42petenza di chi conosce a fondo lo strumento. Molti musicisti compongonoal pianoforte, pochi però scrivono pezzi “pianistici” eMonk era sicuramente tra questi ultimi, come si evince chiaramenteanalizzando le sue partiture, nelle quali si nota quell’intrecciotra mano destra e sinistra um<strong>il</strong>iato da chi, con scarsa cura ecomprensione, pubblica le sue melodie togliendo la chiave dibasso e inserendo sigle vuote di significato. Il modo di scrivere diMonk, prima ancora dell’ascolto, tradisce la sua formazione che,non dimentichiamolo, avvenne nei tardi anni ’20, sotto l’influssodei maestri dello stride piano quali James P.Johnson (tra l’altro,abitava nel suo stesso quartiere), W<strong>il</strong>lie “The Lion” Smith, FatsWaller, sicuramente anche Ellington, oltre che degli specialisti delBoogie Woogie, con quell’uso paritario e intrecciato delle duemani sulla tastiera che in Monk non venne mai meno, nemmenonelle situazioni in trio con basso e batteria. E’ proprio guardandoa quell’epoca che si comprende la sua diversità rispetto alla maggiorparte dei pianisti “moderni”, che riducevano <strong>il</strong> ruolo dellamano sinistra inserendola nella sezione ritmica e amplificavanoquello della destra, trattata a volte come uno strumento a fiato,assegnando quindi un r<strong>il</strong>ievo particolare agli aspetti melodici.Anche quelle anomalie considerate “errori” o “stranezze” armoniche,come i bicordi di seconda minore, fanno parte di un periododella storia musicale afroamericana che i critici di jazz “dalBebop in avanti” (ecco un altro limite per gli studi jazzistici: l’assurdadivisione, durata decenni, tra specialisti degli st<strong>il</strong>i pre-bebope post-bebop) semplicemente non consideravano, così come gliesperti di epoche precedenti non riuscivano a leggere adeguatamentegli aspetti di reale avanguardia presenti nella sua musica.Proprio quei bicordi, per esempio, così come l’ossessiva percussivitàe la straripante poliritmia sono ben presenti nel linguaggiodel blues pianistico chiamato Boogie Woogie e mettono in luceuno dei retaggi, delle radici del procedere monkiano sulla tastiera.Anche lo studio delle sue armonizzazioni evidenzia spesso unaconcezione eurocentrica, che risiede proprio nel voler priv<strong>il</strong>egiarea tutti costi, salvo poi non riuscire a spiegare <strong>il</strong> perché di molte


Monk lives!delle sue scelte, un parametro che per Monk come per gran partedei jazzisti, soprattutto nero-americani, può rivestire un ruolo coloristicoe di servizio, sottostrutturale più che di comando e di guidanella realizzazione dell’architettura dei brani. Oppure derivaredirettamente dalla melodia, come avevano intuito sin dagli anni’50 <strong>il</strong> sassofonista Steve Lacy, che non a caso è uno dei maggioriinterpreti della musica monkiana, e Cec<strong>il</strong> Taylor, un altro interprete,negli anni giovan<strong>il</strong>i, dei suoi temi. Se molte soluzioni armonichedel pianista non si comprendono, <strong>il</strong> motivo risiede nell’inadeguatezzadegli strumenti analitici dell’armonia funzionale europeaapplicati al jazz, in quanto indifferenti al delicato, ambiguo rapportotra sistema tonale e concezioni modali che investe la naturastessa di questa musica. E poi, perché arrovellarsi sulle armoniedi Monk e tralasciare lo studio del parametro ritmico, questosi strab<strong>il</strong>iante e mostruosamente complesso? Perché concentrarsifuriosamente sui dettagli e non sulla sostanza? Ritmo, melodiae armonia nella musica di Monk formano un inestricab<strong>il</strong>e matassa,ma <strong>il</strong> terzo elemento è l’ancella degli altri due. In fondo dovrebbebalzare fac<strong>il</strong>mente all’occhio (e all’orecchio) che la matrice ritmicadella musica di Monk dava vita a trame intricate, così complessenella loro ordinata,“pensata” asimmetria, darichiedere addirittura l’ut<strong>il</strong>izzodi tempi di esecuzione daiquali sono escluse le volaterompicollo. I brani di Monkvanno scolpiti nel suono,costruiti con cura per permettere<strong>il</strong> corretto intreccioverticale dei ritmi, la giustacollocazione delle frasi.Anche l’immagine che si èvoluto dare di lui indicandolocome gran maestro delBebop, calza poco con la43


Maurizio Franco44realtà del suo st<strong>il</strong>e. Certo, alcune sue idee, o più probab<strong>il</strong>mente leconseguenze che altri hanno tratto dalle sue soluzioni armoniche,ritmiche e melodiche, hanno agito come elementi di spinta in unascena jazzistica in fermento come quella dei primi anni ’40, manon per questo si può considerare Monk <strong>il</strong> tipo di musicistaimprovvisatore esaltato dalla poetica bop e tutto intento a crearenuove melodie su giri di accordi, considerando come un pretestoi temi che suonava. Monk ut<strong>il</strong>izzava invece strategie improvvisativelegate alla variazione, come avevano fatto prima di lui FatsWaller e tanti altri, perché come compositore di jazz sv<strong>il</strong>uppava isuoi brani nella performance, ricomponendoli con cura chorusdopo chorus, secondo una prassi poco frequentata dai boppers.In realtà, proprio in virtù della polivalenza delle sue armonie (equindi della sensazione di indebolimento o di straniamento delcentro tonale che da quelle derivava) e della prevalenza degli elementitematici e ritmici nel suo pensiero musicale, si può considerarloun artista più vicino alle ricerche del periodo compreso trala metà degli anni ’50 e buona parte del decennio successivo. Unperiodo in cui <strong>il</strong> recupero delle forme arcaiche della musica nera,lo svincolo dal determinismo dei changes del bop, la rinnovataattenzione per la melodia, l’esuberanza ritmica, divennero punti diriferimento per una trasformazione e un arricchimento del linguaggiojazzistico. Se Parker, per esempio, fu soprattutto un compositoreistantaneo, un improvvisatore nel senso più profondo deltermine, Monk fu invece un autore che nella performance sottoponevale sue composizioni a un gioco improvvisativo pensatoper non smentirle ma amplificarle, esaltarle, mettendone in evidenzale pieghe più riposte, le molteplici possib<strong>il</strong>ità di sv<strong>il</strong>uppo. Avent’anni dalla morte, Monk rimane quindi una figura emblematicaper capire nel profondo <strong>il</strong> jazz: dallo studio attento, privo di retoricae pregiudizi, della sua opera si può partire per r<strong>il</strong>eggere inmaniera diversa <strong>il</strong> percorso storico di un’arte senz’altro occidentalee americana nelle origini ma portatrice di un atteggiamentoespressivo, di una f<strong>il</strong>osofia del fare musica che non nascondebensì esalta <strong>il</strong> suo retaggio africano.


Around«Round Midnight»di Claudio SessaLa storia delle esecuzioni di quellache è stata definita “la più classicaballad del jazz moderno” è particolarmenteinteressante. Lungo quasi sei decenni d’incisioni, laceleberrima composizione monkiana ha inglobato al propriointerno molti contributi; nell’immagine che oggi ne possediamosono presenti, oltre a quella del grande pianista, echi di altregrandi personalità, fra le quali Cootie W<strong>il</strong>liams e Dizzy G<strong>il</strong>lespie,M<strong>il</strong>es Davis e G<strong>il</strong> Evans, Dexter Gordon e Herbie Hancock, inuno stratificarsi di suggestioni che ben rappresenta, in miniatura,l’evolversi di questa musica.‘Round Midnight, composto da un giovanissimo TheloniousMonk sul finire degli anni Trenta, ha conosciuto <strong>il</strong> battesimo insala d’incisione <strong>il</strong> 22 agosto 1944, grazie a Cootie W<strong>il</strong>liams(impropriamente accreditato anche come coautore del brano),leader di una big band che comprendeva Bud Powell al pianoforte:qualche mese dopo, un documento live dell’orchestra,con Charlie Parker come ospite speciale, mostra che <strong>il</strong> tema èla sigla della formazione. La prima testimonianza del brano checomprenda fra gli interpreti <strong>il</strong> proprio autore è un’esecuzionerealizzata <strong>il</strong> 6 luglio 1946 al Savoy di New York (catturata da unatrasmissione radio) dalla big band di Dizzy G<strong>il</strong>lespie; lo stessoG<strong>il</strong>lespie l’aveva già inciso in studio in California nel febbraio1946 con un sestetto. Quando dunque Monk crea per la BlueNote la versione “ufficiale” di ‘Round Midnight, <strong>il</strong> 21 novembre1947, <strong>il</strong> brano ha già una piccola storia. Soprattutto, ha già ricevutole stimmate g<strong>il</strong>lespiane, un’introduzione e una coda chetutti gli esecutori considereranno parte integrante della compo-45


Claudio Sessa46sizione; lo stesso Monk apre la sua incisione con l’introduzionescritta dal trombettista (1) .La versione Blue Note ha però qualcosa di notevolmente diversodalle precedenti. Benché ‘Round Midnight sia fra i brani più“orecchiab<strong>il</strong>i” di Monk (2) , l’armonizzazione del tema (eseguito inquintetto, con tromba e sax contralto) mostra un sott<strong>il</strong>e straniamento,più percettib<strong>il</strong>e nei frammenti dell’esposizione tematicain cui i fiati sono in primo piano. Monk, infatti, con un’ab<strong>il</strong>eorchestrazione realizza un sott<strong>il</strong>e intarsio di pieni e vuoti, neiquali <strong>il</strong> suo pianoforte non solo è l’unico strumento solista maanche la voce guida alla quale sax e tromba si accodano. Propriola pregnanza di quest’unica voce stab<strong>il</strong>isce un modello interpretativodominante: d’ora in poi ‘Round Midnight “dovrà” essereappannaggio di uno, al massimo due solisti, pena lo stemperarsidella sua tensione introspettiva. Si pensi che la versione(molto riuscita) del sestetto di G<strong>il</strong>lespie alternava in meno di treminuti tromba, piano (nell’introduzione), tromba, vibrafono, saxtenore, piano (nell’unico chorus) e ancora tromba nella coda. Èpur vero che ancora G<strong>il</strong>lespie darà vita, nel 1948, a una versioneorchestrale del brano (purtroppo mai realizzata in studio) cherimane in assoluto fra le più br<strong>il</strong>lanti, e nella quale si alternanopiano, sax alto, trombone e tromba (cito dal concerto pariginodel 28 febbraio, che dura del resto quasi nove minuti); ma inquesta fantasmagoria per big band, probab<strong>il</strong>mente arrangiata daG<strong>il</strong> Fuller, <strong>il</strong> carattere del brano è più quello di una lunga nottebrava che non di quel lunare rimuginio solipsistico voluto dall’autore.Si sa che la popolarità di Monk, come interprete e come autore,si sarebbe affermata solo nella seconda metà degli anniCinquanta. Ciononostante non si può dire che ‘Round Midnightnon sia frequentata dai jazzisti, fin dai primi anni Cinquanta. Frale esecuzioni più interessanti si conta in primo luogo quella sofisticatae concertistica di Mary Lou W<strong>il</strong>liams del 1953 (per pianosolo), poi quella raffinata di Stan Getz con Jimmy Raney dellostesso anno e quella introspettiva di Bud Powell del 1954;


Around «Round Midnight»Parker aveva <strong>il</strong> brano in repertorio all’aprirsi del decennio, benchénon l’abbia mai portato in studio di registrazione; due musicistitanto diversi quanto M<strong>il</strong>t Jackson e Benny Carter lo inciserofra 1951 e 1952, Bob Cooper nel 1955, e nei primi mesi del1956 s’incontrano le versioni di June Christy, Hampton Hawes,Kenny Dorham, Babs Gonzales. Ma tutti questi dischi impallidisconoall’apparire della versione Columbia di M<strong>il</strong>es Davis, delsettembre 1956.Davis aveva da tempo in repertorio <strong>il</strong> brano, e anzi ne aveva giàdata una versione storica nel 1953: storica per la presenza contemporanea,al suo fianco, di Charlie Parker e Sonny Rollins, manon particolarmente r<strong>il</strong>evante sul piano estetico. Ora invece lasua ‘Round Midnight s’incide nei cuori di ascoltatori, critici emusicisti. I dati r<strong>il</strong>evanti dell’interpretazione (che secondo alcuniè stata arrangiata da G<strong>il</strong> Evans) sono <strong>il</strong> lancinante intimismo dellatromba sordinata, cui vengono affidate anche introduzione ecoda, e <strong>il</strong> potente contrasto con l’impetuoso assolo di sax tenore,opera di John Coltrane, che occupa la seconda metà delbrano. Questo assolo è “lanciato” da un interludio scritto, chesposta la dinamica del brano da piano a forte, già noto ai cultoridi ‘Round Midnight: era infatti eseguito dalla big band diG<strong>il</strong>lespie fin dal ’48 al centro del brano, ma senza ingenerare latensione davisiana (3) .Curiosa coincidenza, appunto ‘Round Midnight aveva segnato la“rinascita” del trombettista, l’anno prima, al Festival diNewport; e al fianco di Davis c’era proprio Monk. La recentepubblicazione di quel concerto mostra che <strong>il</strong> brano ha poco ache vedere con la versione del ‘56; non c’è traccia di interludio,Davis suona (benissimo) senza sordina e divide lo spazio solisticocon <strong>il</strong> pianista (4) . Successive versioni davisiane saranno invecericalcate sul capolavoro Columbia: le migliori sono quella diun mese e mezzo dopo, con lo stesso gruppo, per la Prestige,quella disincarnata del 1961 al Blackhawk di San Francisco conHank Mobley al tenore e quella del 1965 al Plugged Nickel diChicago, creativamente disordinata e armonicamente “distor-47


Claudio Sessa48ta”, in cui la sequenza solistica si allarga anche al pianoforte diHerbie Hancock (che segue <strong>il</strong> sax di Wayne Shorter).L’exploit del trombettista non esaurisce la ricerca dei musicistisul brano; anzi, proprio negli anni immediatamente successivivengono realizzate alcune delle sue versioni più interessanti.Per cominciare, torna alla ribalta Monk stesso. Il pianista, dopo<strong>il</strong> 1947, visiterà altre quattro volte <strong>il</strong> proprio tema in studio d’incisione:in quartetto con Gerry Mulligan e tre volte da solo, nel1954, nel ‘57 e nel ‘68 (non si contano poi le esecuzioni dalvivo). Ma senza dubbio la versione solitaria del 1957 si stagliasulle altre. È un brano sospeso, astratto, forse una polemicarisposta all’aggressività scatenata nella seconda parte dell’incisionedi Davis; lungo i suoi due chorus (più introduzione e coda)<strong>il</strong> pianista fa cadere inquietanti s<strong>il</strong>enzi, corone asimmetriche checostruiscono paradossalmente l’ossatura del brano; eppure l’esecuzioneprocede con logica implacab<strong>il</strong>e sull’orlo di questo precipiziofatto di s<strong>il</strong>enzio. Nel 1982 è stata fortunosamente ritrovatae pubblicata tutta la preparazione di questo brano, ventidue<strong>il</strong>luminanti minuti di musica.Nel 1958 G<strong>il</strong> Evans incide ‘Round Midnight con una big band eCannonball Adderley come solista. È una versione raffinatissima(e lontanissima da quella di Davis, ci fosse o no <strong>il</strong> suo intervento),che aggiorna <strong>il</strong> sound crepuscolare e lubrico dell’orchestra diClaude Thornh<strong>il</strong>l, ma <strong>il</strong> cui senso sta soprattutto nella sequenzain cui si colloca, una minuscola storia del jazz dove <strong>il</strong> branomonkiano fa da riflessivo contraltare agli esuberanti temi cheprecedono e seguono, Lester Leaps In di Young e Manteca diG<strong>il</strong>lespie. Poche settimane prima un antico collaboratore diEvans e Thornh<strong>il</strong>l, Lee Konitz, aveva dato del tema di Monk unalettura fulminante e profetica, grazie al cameristico arrangiamentodi B<strong>il</strong>l Russo per piano, chitarra, percussioni e gruppod’archi: aperta da una sognante introduzione originale per triangoloe violini collocati su un registro acutissimo, la rigorosa esecuzionekonitziana si sdipana lungo un tempo sonnambolico,esitante, diviso fra l’elasticità dell’accompagnamento chitarristi-


Around «Round Midnight»co (opera di B<strong>il</strong>ly Bauer) e i drammatici interventi degli archi.Meritano di essere segnalate, di questo periodo, anche alcuneincisioni dal vivo: l’elegante versione del Modern <strong>Jazz</strong> Quartet(più volte registrata), quella più aggressiva dei <strong>Jazz</strong> Messengers(proposta nel 1960), quella turgida del <strong>Jazz</strong>tet di Art Farmer eBenny Golson (dell’anno dopo); nonché la presenza del brano inuno dei primi dischi interamente dedicati a Monk, “Looking AtMonk” di Johnny Griffin e Eddie Lockjaw Davis, notevole ancheper la presenza di due futuri collaboratori del pianista, LarryGales e Ben R<strong>il</strong>ey (5) . Ma la successiva pietra m<strong>il</strong>iare, nella storiadelle interpretazioni di ‘Round Midnight, è senz’altro quella datadal sestetto di George Russell nel 1961. Calata in un’atmosferafortemente espressionistica, evidenziata da una misteriosa,inquietante introduzione nella quale <strong>il</strong> leader gioca con le cordedel pianoforte, l’esecuzione è dominata dal sassofono contraltodi Eric Dolphy, che deforma e umanizza, allungandole o comprimendole,le frasi melodiche del tema, lanciandosi poi in unastraziante perorazione solistica. Russell riprenderà <strong>il</strong> tema (ancorpiù “straniato” nell’arrangiamento) quattro anni dopo, in uncelebre concerto a Stoccarda, avendo come complice DonCherry, che con la sua tromba tascab<strong>il</strong>e sembra quasi voler commentarele evoluzioni dolphyiane.Per certi versi all’estremo espressivo opposto è l’iridescenteversione del brano offerta da B<strong>il</strong>l Evans nel celebre album in cuisovrappone le tracce di tre pianoforti. Qui la sofferta intensitàespressiva è moltiplicata dall’ovvio scarto temporale intercorrentetra le registrazioni delle singole linee melodiche, che permetteall’autore un lavoro di analisi della struttura: ci troviamo difronte a una geniale fusione fra la “composizione istantanea” distampo jazzistico e l’elaborazione formale d’ambito accademico.Si noti che Evans fa propri tutti i passaggi strutturali ormai stratificatinell’opera (introduzione, interludio, coda), fondendoli peròquasi insensib<strong>il</strong>mente nella monolitica struttura dell’esecuzione.Il pianista tornerà spesso (in trio) sul brano fra <strong>il</strong> 1964 e <strong>il</strong> 1967,dando più volte <strong>il</strong> meglio nelle poetiche introduzioni al tema.49


Claudio Sessa50Fra le più belle versioni orchestrali di ‘Round Midnight negli anniSessanta c’è senz’altro quella realizzata da Tadd Dameron nel1962 per sostenere un magnifico assolo di M<strong>il</strong>t Jackson; apertacon una piccola, geniale trovata, quella di citare l’inizio del bridgecon un sax alto (James Moody?) dalla voce ariosa, quasi acantare una serenata alla mezzanotte incombente, si snoda conopulenza su tonalità pastello che danno perfetto r<strong>il</strong>ievo alvibrafono del solista. Più macchinosa, ma <strong>il</strong>luminata dalla voce“trasversale” di Betty Carter, è quella di Oliver Nelson dellostesso anno. Non si può terminare la carrellata delle maggioriesecuzioni del decennio senza citare Sonny Rollins, protagonistadi una delle versioni più asciutte del brano monkiano (unchorus e mezzo, senza introduzioni o code, che alterna asimmetricamente<strong>il</strong> suo sax tenore e <strong>il</strong> piano di Hancock), e IllinoisJacquet, che nel 1969 dà vita a un’inattesa versione per fagotto:per quanto incongrua possa parere, l’esecuzione sprofonda<strong>il</strong> tema in un’atmosfera ancor più “notturna” del solito e l’interpretazionedi Jacquet (sempre molto vicina alla linea melodica)è ricca di fascino.Ignorata dai grandi protagonisti del free (6) e dalla successiva stagionedel jazz elettrico, la ballad monkiana conosce negli anniSettanta qualche notevole interpretazione di musicisti “classici”:prima fra tutti Sarah Vaughan, che già l’aveva affrontata instudio nel 1964 e dieci anni dopo ne dà una toccante versionedal vivo davanti a un pubblico giapponese. Piuttosto convenzionalenell’arrangiamento (per trio ritmico e voce), fatta salva l’introduzionedi stampo davisiano, l’esecuzione si fonda tutta sullaluminosa dutt<strong>il</strong>ità espressiva dell’interprete, qui ben lontana dacerti suoi gratuiti eccessi virtuosistici.Pochi anni prima, nel 1971, Max Roach aveva presentato aMontreux un arrangiamento per big band (rielaborato per piccologruppo in studio, dieci anni dopo) con <strong>il</strong> pregio dell’originalità:l’esecuzione si apre con un assolo di batteria e l’esposizione, intutti, dell’ultima frase del bridge, fortemente connotata ritmicamente.L’idea però snatura non poco lo spirito del brano, che si


Around «Round Midnight»trasforma in un baccanale ritmico. Meglio, allora, la ripresa roachianaper quartetto, affidata solisticamente al contrabbasso.Citiamo qui un’altra versione orchestrale di un batterista, CharliePersip, realizzata nel 1984: è ancora un arrangiamento (a firmadel sassofonista Orpheus Gaitanopoulos) dalla forte connotazioneritmica, decisamente ingegnoso, che rende comunque“solare” un brano pensato dall’autore secondo tutt’altra cifraespressiva.Negli anni Settanta si nota anche un accentuato interesse daparte dei jazzisti europei per <strong>il</strong> nostro brano. Merita una segnalazione,in particolare, la sofisticata versione datane nel 1975dalla Brass Band di Mike Westbrook: in primo piano, al saxsoprano, è Dave Chambers, ma è soprattutto <strong>il</strong> prezioso tessutoordito dall’arrangiatore attorno al tema a rendere quest’interpretazioneparticolarmente significativa. Qualche anno dopo,Michel Petrucciani dipingerà, solo al pianoforte, un ampio affrescosapientemente b<strong>il</strong>anciato fra scavo armonico e abbandonomelodico, afflato emotivo e coerenza architettonica.Herbie Hancock, continuatore della logica davisiana, è fra i piùassidui frequentatori del tema nei primi anni Ottanta: vannoricordate la versione in quartetto con l’emergente WyntonMarsalis alla tromba e soprattutto quella in duo dal vivo conWayne Shorter, entrambe disegnate appunto sulla strutturaideata da Davis, con <strong>il</strong> drammatico stacco a metà brano. A propositodi duetti, merita anticipare qui che la formula avrà semprepiù successo, come mostra qualche versione dal vivo diSteve Lacy (che non deve amare molto <strong>il</strong> tema, se salvo errorinon ha mai ritenuto, lui assiduo monkiano, di portarla in studiod’incisione a proprio nome) con Mal Waldron, <strong>il</strong> bel ritratto realizzatonel 1988 da Ran Blake e Anthony Braxton o le più recentiincisioni di Uri Caine con Don Byron, di James Carter conCraig Taborn, di Ph<strong>il</strong> Woods con Franco D’Andrea.Hancock è anche <strong>il</strong> coordinatore della colonna sonora (premioOscar) del f<strong>il</strong>m di Bertrand Tavernier Autour de minuit, uno deidue fatti capitali per ‘Round Midnight avvenuti in Francia nel51


Claudio Sessa521986. Sullo schermo <strong>il</strong> tema si ascolta tre volte: dalla voce diBobby McFerrin, mimeticamente modulata sul timbro della sordinaHarmon di Davis (ma in una versione ben più “normalizzata”di quella celebre del ’56), dal rigoglioso piano solo diHancock e da un ampio gruppo (con Shorter, Dexter Gordon ePalle Mikkelborg) che divide <strong>il</strong> brano in vari episodi, con qualcheforzatura storica (la versione è molto più attuale rispetto all’epocadel f<strong>il</strong>m) ma un’ottima resa espressiva, tesa e dolente.Il f<strong>il</strong>m simboleggia l’apice di un periodo nel quale sempre piùspesso viene evocato <strong>il</strong> nome di Monk; è però da notare chespesso gli album dedicati al grande compositore non si soffermanosulla sua ballad pred<strong>il</strong>etta. L’elenco sarebbe lungo, dallostorico “Reflections” di Steve Lacy del 1958 ai dischi del gruppoSphere, da “Six Monk’s Compositions” di Braxton del 1987a “Wynton Marsalis Plays Monk” del 1993-94; evidentementenon è sempre fac<strong>il</strong>e inserire questo peculiare notturno in unaffresco monkiano a più voci. Anche nel doppio album dedicatonel 1984 al musicista dal produttore Hal W<strong>il</strong>lner, “This Is TheWay I Feel Now”, <strong>il</strong> brano più deludente è proprio‘RoundMidnight, affidato a Joe Jackson nella veste di pianista e arrangiatore(7) : nel campo delle interpretazioni pop non c’è dubbio chela più originale e sentita resti quella di Robert Wyatt (con DaveMcRae alle tastiere) di un paio d’anni prima, caratterizzata fral’altro dall’uso di un testo diverso da quello scritto in origine daBernie Hanighen.In Francia, nel 1986, viene anche registrata una delle più straordinarieinterpretazioni del brano di Monk. Ne è responsab<strong>il</strong>eHelen Merr<strong>il</strong>l, in trio con Gordon Beck al piano e Lacy al saxsoprano. La sua voce brumosa entra subito in medias res,variando la linea melodica alla maniera di B<strong>il</strong>lie Holiday: un procedimentoche si sposa a meraviglia con <strong>il</strong> commento strumentaleintrecciato da Lacy, poi autore di un superbo assolo. Al confrontoimpallidisce anche la bella versione di Carmen McRae,realizzata due anni dopo in un album tutto monkiano ut<strong>il</strong>izzandoin un appropriato collage sia le parole di Hanighen sia quelle


Around «Round Midnight»scritte successivamente da Jon Hendricks.Al 1989 risale una curiosa elaborazione in chiave fusion delbrano da parte di Victor Ba<strong>il</strong>ey. Ben sostenuto dalle tastiere diJim Beard e dal sax soprano di Branford Marsalis, <strong>il</strong> bassista realizzaun’esecuzione superficiale ma elastica e accattivante, chenon dovrebbe spiacere a Sting. Ma in ambito “elettroacustico”la miglior riuscita è senz’altro quella del gruppo Cold Sweat, chenel 1990 ut<strong>il</strong>izza <strong>il</strong> veterano cantante Andy Bey (sui testi diHanighen e di Babs Gonzales) per una ‘Round Midnight funky estraordinariamente tesa, afosa come una notte estiva, <strong>il</strong>luminataanche dal sax tenore di George Adams. Sempre nell’ambitodi un funky contemporaneo, drammatizzato, vanno ricordate leversioni di Cassandra W<strong>il</strong>son e di Steve Coleman, mentre lapalma dell’originalità timbrica va probab<strong>il</strong>mente a MiyaMasaoka, che nel 1997 (ottimamente affiancata da ReggieWorkman e Andrew Cyr<strong>il</strong>le) realizza due diverse versioni (unaintitolata A Shinto “Midnight”) suonando <strong>il</strong> koto giapponese conintensità e attenzione per una ricerca mai gratuita, rintracciandoun’affinità profonda fra l’astrazione monkiana e la fissità dellamusica classica nipponica.Non sarebbe giusto però ignorare qualche eccellente versione“canonica” del brano incisa in anni recenti. Quella di JoeHenderson, in trio con Rufus Reid e Al Foster, ha l’urgenza dell’anticainterpretazione di Rollins unita alla coscienza d’interveniresul panorama contemporaneo. Quella del trio Lee Konitz –Brad Mehldau – Charlie Haden avrebbe <strong>il</strong> sapore di una “superjam session” fra maestri, se <strong>il</strong> giovane pianista non desse unvalore aggiunto in intensità (nell’introduzione, nell’accompagnamento,in assolo) che impreziosisce prepotentemente l’esecuzione.Fred Hersch, in un album tutto monkiano, usa <strong>il</strong> tema inapertura e in chiusura quasi a ricondurre l’universo del maestroesplorato a una cifra intima, solipsistica, di notevole pregnanza.Keith Jarrett, infine, visita dal vivo la ballad monkiana con <strong>il</strong> suosuperlativo trio facendone sprigionare tutti i valori melodici, inun incanto sonoro (attentissimo alle dinamiche, alle sfumature,53


Claudio Sessa54all’interazione coloristica dei tre strumenti) di rarissima efficacia.Un discorso a parte meriterebbe la vasta scena del jazz italiano.Un’analisi delle incisioni nazionali nel periodo 1948-83 dimostrache ‘Round Midnight era un tema pochissimo frequentato finoa vent’anni fa: solo undici registrazioni documentate, la primaessendo nel 1959 quella di Armando Trovajoli (8) . Dopo, invece,c’è stato un vero d<strong>il</strong>uvio di interpretazioni, da quelle per solo saxdi Carlo Actis Dato o di Pietro Tonolo ad arrangiamenti comequello per settetto di Riccardo Brazzale o per i gruppi di sassofonicome <strong>il</strong> Saxea Quartet o <strong>il</strong> Saxensemble, dalla ricerca diUmberto Petrin a quella di Bruno Romani, dal canto strumentaledi Paolo Fresu a quello vocale di Dan<strong>il</strong>a Satragno, e ci fermiamoqui con tante scuse ai m<strong>il</strong>le assenti. La nostra conclusione èdedicata a tre diversissimi esempi.Enrico Rava, nel 1978, “cita” <strong>il</strong> tema (e la sua coda) duettandocon <strong>il</strong> trombone di Roswell Rudd con un distacco non dissim<strong>il</strong>eda quello che usava, qualche anno prima, Lester Bowie neiriguardi del colemaniano Lonely Woman; c’è dunque una disincantataprospettiva storica in questa stringata versione, ma c’èanche un profondo amore per <strong>il</strong> suono (con un ovvio rimando aDavis), per l’intreccio fra due umanissime voci che raccontanoun po’ tutto <strong>il</strong> senso del jazz, e anche per quel rapporto frasuono e s<strong>il</strong>enzio che era una delle prerogative principali di Monk.Nel 1981, Giorgio Gaslini è ancor più essenziale, all’interno delsuo celebre disco-omaggio all’americano; ma qui <strong>il</strong> tema, omeglio l’evocazione tematica, è dissezionata in modo stravolto,facendola scontrare con <strong>il</strong> suono di due car<strong>il</strong>lon abbandonati frale corde del pianoforte. Monk diventa sublime pretesto per unkoan che parla anche delle avanguardie accademiche, benintesoper riconfermare la forza dell’“umanesimo” jazzistico. Nel1991, infine, Enrico Pieranunzi (di cui andrebbe anche ricordatala partecipazione a un bel ‘Round Midnight inciso da CharlieHaden con Chet Baker) inserisce Monk nel suo disco forse piùliberamente dialogico (con Enzo Pietropaoli e Fabrizio Sferra) perriaffermare la pregnanza tellurica della sua musica e al tempo


Around «Round Midnight»stesso la coerenza delle sue scelte estetiche: <strong>il</strong> tema è precedutoda un’introduzione quasi seriale, che “ragiona” sulla melodiamonkiana prima di abbandonarsi alla sua citazione, quindi sene allontana per evocare da una personalissima prospettiva l’atmosferalunare del modello. E <strong>il</strong> brano finisce così, nel nulla,richiudendosi nelle vibrazioni delle corde del contrabbasso. (1) Sulla genesi e gli aspetti formali della composizione v. Stefano Zenni,Anatomia di quindici capolavori e Le opere e i giorni del “genio”, “Musica<strong>Jazz</strong>”, dicembre 1992 e gennaio 1993. Il titolo del brano è ‘RoundMidnight; la popolarità della versione davisiana ha però ingenerato moltaconfusione, dato che <strong>il</strong> brano (correttamente intitolato) compariva neldisco “Round About Midnight”. Quest’ultima lezione era comunque giàut<strong>il</strong>izzata da alcuni musicisti negli anni Quaranta: si ascolti l’introduzione diG<strong>il</strong>lespie al brano nel concerto di Pasadena.(2) “Fra tutte le mie composizioni, quelle che preferisco sono certamente55Blue Monk e ‘Round Midnight- i miei due brani più fac<strong>il</strong>i, non è vero?”:Monk intervistato da François Postif, in Les grandes interviews de “<strong>Jazz</strong>Hot”, L’Instant, Parigi 1989.(3) Nella versione registrata a Pasadena l’interludio è all’inizio del brano, maun confronto dell’arrangiamento mostra che ascoltiamo solo la secondametà dell’esecuzione.(4) C’è invece un contrasto piano/forte nella versione registrata da Davis inCalifornia nel settembre 1953 e documentata sul disco Fantasy “AtLast!”, pubblicato nel 1985: qui l’assolo di tromba (che copre tutta l’esecuzione)è diviso in due da un intervento rullato di Max Roach, che cambial’accentuazione ritmica e drammatizza la seconda parte dell’interpretazione.


Claudio Sessa56(5) Senz’altro degne di nota, ma per me irrintracciab<strong>il</strong>i, sono due versioni dimusicisti premoderni ben attenti agli sv<strong>il</strong>uppi del jazz contemporaneo:quella di Rex Stewart (con Coleman Hawkins) del 2-12–57 e quella di PeeWee Russell del 4-12-62.(6) Se non in anni molto più tardi: è quanto fa Sun Ra in un disco Hat Artdel 1980 e Archie Shepp in qualche incisione dello stesso periodo. Nel1990 si aggiungerà anche una versione dell’Art Ensemble Of Chicago,gruppo che a rigore non appartiene comunque al free jazz storico.(7) Il brano è realizzato con <strong>il</strong> concorso di un’ampia sezione d’archi; su questastrada, con un’attenzione più sofisticata alla tradizione accademica, sisono incamminati anche <strong>il</strong> Kronos Quartet (nel 1984) e Chick Corea (nel1995, con quartetto d’archi e pianoforte) per le loro riuscite versioni delcapolavoro monkiano.(8)Gli altri interpreti sono L<strong>il</strong>ian Terry e Giorgio Gaslini (due versioni ciascuno),Renato Sellani, Sergio Mandini, Guido Manusardi, Marco DiMarco, Enrico Rava e Tiziana Ghiglioni. I dati sono tratti dalle centoventipagine di discografia contenuta in Arrigo Zoli, Storia del jazz moderno italiano– I musicisti, Azi, Roma s.d. (ma 1983).NOTA DISCOGRAFICA. Sono qui indicate le date d’incisione, le casediscografiche originali e (eventualmente, in parentesi) un’etichetta oggipiù fac<strong>il</strong>mente reperib<strong>il</strong>e delle principali versioni di ‘Round Midnight citate.L’ordine seguito è lo stesso del testo.COOTIE WILLIAMS, 22-8-44 Hit (Affinity); DIZZY GILLESPIE, 7-2-46 Dial(Masters Of <strong>Jazz</strong>); THELONIOUS MONK, 21-11-47 Blue Note; DIZZY GIL-LESPIE, 28-2-48 Vogue (Bmg); MARY LOU WILLIAMS, 23-1-53 Vogue(Bmg); STAN GETZ, 23-4-53 Prestige (Ojc); BUD POWELL, 16-12-54Verve; MILES DAVIS, 10-9-56 Columbia; THELONIOUS MONK, 5-4-57Riverside (Ojc); GIL EVANS, 9-4-58 Pacific <strong>Jazz</strong> (Blue Note); LEE KONITZ,6-2-58 Verve; GEORGE RUSSELL, 8-5-61 Riverside (Ojc); GEORGE RUS-SELL, 31-8-65 Mps; BILL EVANS, 9-2-63 Verve; MILT JACKSON, 19-6-62Riverside (Ojc); BETTY CARTER, 6-12-62 Atco (Atlantic); SONNY ROL-LINS, 14-2-64 Rca; ILLINOIS JACQUET, 16-9-69 Prestige (Ojc); SARAHVAUGHAN 24-9-73 Mainstream; MAX ROACH, 15-6-71 Passport; MAXROACH, 1981? Columbia; CHARLIE PERSIP, 12 o 13-9-84 Soul Note;


Around «Round Midnight»MIKE WESTBROOK, 10-75 Transatlantic (Line); MICHEL PETRUCCIANI,15-12-81 Owl; HERBIE HANCOCK, 28-7-81 Columbia; HERBIE HAN-COCK – WAYNE SHORTER in AA.VV. (“<strong>Jazz</strong> At The Opera House”), 22-2-82 Columbia; AA.VV. (“Round Midnight” e “The Other Side Of RoundMidnight”), 1986 Columbia e Blue Note; JOE JACKSON in AA.VV. (“ThisIs The Way I Feel Now”), 1984 A&M; ROBERT WYATT, primavera 1982Mighty Reel (Rough Trade); HELEN MERRILL, 3-86 Owl; CARMENMcRAE, 4-88 Novus; VICTOR BAILEY, 1989? Atlantic; COLD SWEAT, 8-90 Jmt; MIYA MASAOKA, 10 o 11-7-97 Dizim; JOE HENDERSON, 26-3-91 Red; LEE KONITZ – BRAD MEHLDAU – CHARLIE HADEN, 21 o 22-12-96 Blue Note; FRED HERSCH, 2-97 Nonesuch; KEITH JARRETT, 5-7-99 Ecm; ENRICO RAVA, 3-78 Ecm; GIORGIO GASLINI, 5-81 Soul Note;ENRICO PIERANUNZI, 11-2-91 Yvp.57


Thelonious Monkalla Town HallUn grandioso musicistain un teatro maestosodi Mitchell Feldman(traduzione di Loretta Simoni)Sono un tipico newyorkese che considerala sua città natale la più affascinantedegli Stati Uniti. L.A. può essere un crogiolo di etnie,Washington D.C. più ricca di monumenti e San Francisco più tolleranteverso st<strong>il</strong>i di vita alternativi. Ma l’abbondanza delle tradizioniculturali ed estetiche mischiate in quel melting pot chiamato “Lagrande mela” ha fatto sì che New York diventasse la capitale culturaledel Nord America, se non dell’emisfero occidentale. EllisIsland, oltre <strong>il</strong> limite meridionale di Manhattan, era <strong>il</strong> principalepunto d’accesso per le ondate di emigranti europei che invaserogli Stati Uniti nel XIX e XX secolo, portando con loro un pezzo delvecchio mondo. Assieme a città del mid-west come Chicago,Kansas City, St. Louis e Detroit, New York fu anche una potentecalamita che attrasse m<strong>il</strong>ioni di afro-americani partiti dal profondosud per <strong>il</strong> nord alla ricerca di migliori opportunità. Il gospel, <strong>il</strong> bluese altri generi della musica nera viaggiarono con loro da NewOrleans e da altre comunità del Delta, risalendo <strong>il</strong> Mississippi, ramificandosie trovando a New York un ambiente fert<strong>il</strong>e in cui <strong>il</strong> jazzpoté fiorire, facendo della City la Mecca di questa forma d’arte.59Thelonious Sphere Monk, l’ineguagliab<strong>il</strong>e compositore, improvvisatoree strumentista a cui quest’anno è dedicato <strong>il</strong> Festival <strong>Jazz</strong>di <strong>Vicenza</strong>, era uno di quegli emigranti del sud che trovarono fortunaa New York. È impossib<strong>il</strong>e separare l’artista e la sua musicadalla città. Fu a New York, infatti, che egli realizzò una br<strong>il</strong>lanteopera omnia, composta – a seconda della fonte consultata – dasettantacinque, ottantuno o novantuno composizioni considerate


Mitchell Feldmanpatrimonio fra i più preziosi della storia della musica del XX secoloin generale e del jazz moderno in particolare. I capolavori di Monkvanno da ballads come ‘Round About Midnight e Ruby My Dear,a lavori sulla struttura blues come Straight No Chaser, Misteriosoe Blue Monk, a forme-canzoni costruite sia su riff orecchiab<strong>il</strong>icome Epistrophy e Well You Needn’t, sia su linee complessecome Evidence, Four in One e Criss Cross.60New York era <strong>il</strong> luogo dove – a cominciare dal 1940 quando fuingaggiato da Teddy H<strong>il</strong>l come pianista “in residence“ al Minton’sPlayhouse di Harlem - Monk divenne uno degli architetti delbebop, lo st<strong>il</strong>e rivoluzionario che egli seppe presto trascendere.New York era la città dove avevano sede le etichette per cui registrava– Blue Note, Prestige, Riverside e Columbia; era <strong>il</strong> luogodelle sconfitte, come la sospensione, dal 1951 al 1957, della suacabaret card (che permetteva ai musicisti di lavorare in locali dovevenivano serviti alcolici), ma anche <strong>il</strong> luogo dei trionfi, come la sualeggendaria permanenza biennale al Five Spot <strong>Jazz</strong> Club, che ebbeinizio quando la card gli fu riconcessa. Monk trascorse praticamentetutta la vita nello stesso appartamento nel Phipps HousingProject nella zona di San Juan H<strong>il</strong>l del West 60s di Manhattan, <strong>il</strong>quartiere dove si trasferì dalla North Carolina con sua madre nel1922, all’età di cinque anni (1) .Genio eccentrico e inquieto, con una storia d’instab<strong>il</strong>ità psicologicaalle spalle, Monk si trovava più a suo agio con <strong>il</strong> pianoforte che conla gente. A differenza di Sun Ra, che sosteneva di provenire da unaltro pianeta, ma era nato in Georgia, Monk sembrava vivere veramentein un’altra dimensione. Leggenda vuole che egli fosse lospirito gemello di John Nash, <strong>il</strong> matematico americano vincitoredel premio Nobel, impersonato da Russell Crowe in A BeautifulMind, f<strong>il</strong>m vincitore degli ultimi Oscar.Alla Town Hall Monk si esibì come leader per due volte, nel febbraiodel 1948 e del 1959. Era per lui logico presentare la sua musi-


Thelonious Monk alla Town Hallca così personale in quel teatro tradizionalmente aperto ad artistianticonformisti e visionari, geni autentici che potevano esprimerv<strong>il</strong>iberamente le loro opinioni. Commissionato dalla Lega perl’Educazione Politica (un gruppo suffragista costituito per promuoverel’approvazione del diciannovesimo emendamento alla costituzionestatunitense, che riconosceva alle donne <strong>il</strong> diritto di voto),<strong>il</strong> teatro fu progettato dall’affermato studio McKim, Mead & White– architetti neoclassicisti <strong>il</strong> cui lavoro era chiaramente influenzatoda Palladio.Grazie alla sua eccezionale acustica, la Town Hall, così come laCarnegie Hall, era un luogo di prim’ordine per gli artisti classici aldebutto newyorkese. Vi si esibirono, fra gli altri, Sergei Rachmaninoff,Ignace Paderwaski, L<strong>il</strong>y Pons e Yehudi Menuhin; <strong>il</strong> 30 dicembre1935 vi debuttò <strong>il</strong> contralto Marian Anderson cui, in altri luoghidegli Stati Uniti, la discriminazione razziale aveva negato la possib<strong>il</strong>itàdi intraprendere la carriera operistica. Leonard Bernstein,Mar<strong>il</strong>yn Horne, Leontyne Price, Paul Robeson, Ph<strong>il</strong>ip Glass, BobDylan, Eubie Blake, Art Blakey, Stan Getz e B<strong>il</strong>lie Holiday sono soloalcuni dei nomi più <strong>il</strong>lustri apparsi alla Town Hall.61Orrin Keepnews incontrò Monk per la prima volta nel 1948, nell’appartamentodel fondatore della Blue Note, Alfred Lion, alGreenwich V<strong>il</strong>lage. Intervistò subito <strong>il</strong> pianista per un articolo uscitonel periodico jazz “The Record Changer”, pubblicato da B<strong>il</strong>lGrauer, e nel marzo 1955 ingaggiò Monk alla Riverside, l’etichettache lui e Grauer avevano fondato nel 1952. Recentemente,Keepnews mi ha raccontato alcuni aneddoti su come divenne <strong>il</strong>produttore del pianista e sul concerto della Town Hall registratodalla Riverside (2) .“Capimmo che c’era una reciproca insoddisfazione tra Monk e laPrestige, la sua etichetta dell’epoca, e organizzammo un incontro.Monk mi sbalordì non solo ricordando chiaramente <strong>il</strong> nostro primocolloquio, ma dicendomi che <strong>il</strong> mio articolo era <strong>il</strong> primo pezzo su di


Mitchell Feldmanlui che fosse mai apparso su un periodico nazionale. Alla fine sidichiarò disponib<strong>il</strong>e a tentare la fortuna con la nostra nuova, piccolaetichetta. La Prestige era pronta a liberarlo dal contratto seMonk avesse rimborsato loro la somma di 108 dollari e 27 centesimi.Gli diedi del contante, anziché un assegno, di modo che laPrestige non potesse sospettare che un’altra etichetta stesselavorando nell’ombra.”62“Il pubblico del concerto alla Town Hall era <strong>il</strong> più numeroso e qualificatoche abbia mai assistito a una performance di Monk”, continuòKeepnews. “La Riverside non sponsorizzava quell’evento,ma era comunque coinvolta per la registrazione dal vivo. Monkprese molto sul serio le numerose prove con la sua band di diecielementi. Donald Byrd, che a quel tempo lavorava con i “<strong>Jazz</strong>Messengers” all’Apollo Theatre, arrivò più volte in ritardo alleprove pomeridiane. Monk sapeva bene che minacciare di cacciareByrd non avrebbe sortito alcun effetto, per l’ovvia ragione chequelle parti non potevano essere affidate a un qualsiasi trombettista.Così decise di essere molto categorico e gli disse che se fossearrivato in ritardo un’altra volta sarebbe stato sostituito da LeeMorgan. La minaccia funzionò”.Negli anni ’50 le tecniche di registrazione di un concerto dal vivoerano agli albori e alla Town Hall Keepnews ut<strong>il</strong>izzò un unico registratoreportat<strong>il</strong>e Ampex a due piste che sistemò nelle quinte.“Parlai con Monk”, continuò Keepnews, “dell’eventualità di doverinterrompere la registrazione nel caso avessimo avuto bisogno diqualche secondo per cambiare bobine. Attraverso un segnale convenuto,alla fine di ogni pezzo io avrei dovuto segnalargli se fosseservito del tempo per poter sostituire <strong>il</strong> nastro prima di iniziare <strong>il</strong>brano successivo. Nel primo pezzo, Thelonious, non erano previstiassoli di fiati ed era piuttosto breve. Monk mi guardò attentamentee io gli feci cenno che tutto stava andando bene; così attaccò <strong>il</strong>secondo brano (3) . Era piuttosto lungo, quindi avremmo dovuto perforza sostituire le bobine prima del pezzo successivo (4) . Ma stavol-


Thelonious Monk alla Town Hallta, giunto alla fine del terzo brano, Monk, senza pausa, attaccòLittle Rootie Tootie. Inserimmo un nuovo nastro <strong>il</strong> più velocementepossib<strong>il</strong>e, ma perdemmo quasi tutto <strong>il</strong> chorus del tema d’apertura!Durante l’intervallo dissi a Monk che ci aveva messo nei guai.In qualche modo avremmo dovuto sistemare in quattro e quattr’ottola parte iniziale o eliminare <strong>il</strong> pezzo dalla registrazione, ma inquesto caso la durata del disco sarebbe stata troppo breve. Monksembrava tranqu<strong>il</strong>lo, ma era chiaro che stava pensando a comerisolvere <strong>il</strong> problema. Paradossalmente, a salvarci fu un altro erroredi pianificazione: le prove erano state interamente dedicate aibrani del concerto, senza prevedere bis. Dopo <strong>il</strong> prolungato applausoche seguì l’ultimo brano (5) , Monk decise insolitamente di parlareal pubblico. Disse che stavamo registrando e che sarebbe statonecessario ripetere un brano (6) dato che “i tecnici avevano combinatoun casino”. Il bis diventò un secondo take di Rootie Tootie ecosì potemmo copiare <strong>il</strong> primo tema del bis e incollarlo all’inizio dell’esecuzionemonca della prima versione.63Il concerto del 1959 alla Town Hall ricevette critiche contrastanti:per qualcuno la performance mancava della spontaneità e dell’energiache era lecito attendersi da un’esibizione dal vivo, mentregli arrangiamenti di Hall Overton si limitavano a orchestrare per lasezione fiati linee del piano o melodie scritte o precedentementeregistrate dal pianista. Eppure Monk fu soddisfatto della grandeaffluenza di pubblico e considerò quell’evento fra i più importantidella sua carriera. La riproposizione di quello stesso programma,quarantatre anni dopo, da parte di Paul Motian e della ElectricBeBop Band, con i nuovi arrangiamenti di Riccardo Brazzale, è certamenteun modo adeguato per commemorare <strong>il</strong> ventesimo anniversariodella morte di questo straordinario artista (7) .


Mitchell Feldman(1)Nel 1972 Monk si stab<strong>il</strong>ì in una stanza, da cui usciva raramente,nella casa del New Jersey della sua mecenate storica,la baronessa Pannonica de Koenigswarter. Smise disuonare <strong>il</strong> pianoforte nel 1976 e visse in quasi completoisolamento fino alla morte, avvenuta <strong>il</strong> 17 febbraio 1982.(2)Dal 1955 al 1961 Monk realizzò tredici album sotto contrattocon la Riverside. Un quattordicesimo titolo del catalogoRiverside è un doppio cd contenente materiale relativoad alcuni concerti europei, che l’etichetta ebbe adisposizione come parte di un accordo contrattuale cheestingueva gli obblighi di Monk in ordine alle registrazionie gli permetteva di firmare per la Columbia.(3)Era Friday The 13 th .(4)Monk’s Mood(5)Crepuscule With Nellie64(6)Little Rootie Tootie(7)Nel 1999 Motian pubblicò un CD per Winter e Wintercon la Electric Bebop Band. Il disco era dedicato alla musicadi Monk e Bud Powell e comprendeva una travolgenteversione di Little Rootie Tootie, brano che Motian suonòcon Monk una sola volta, nella metà degli anni 50, comesostituto del batterista Arthur Taylor che non si era presentatoa una serata all’Open Door di New York.


Eulogia per Thelonious,<strong>il</strong> principedella variazioneELOGIO FUNEBRE SCRITTOdi Ira Gitler ©1982(traduzione di Loretta Simoni)E PRONUNCIATO DA IRA GITLERThelonious Sphere Monk. Un nomeAL FUNERALEpeculiare quanto l’uomo che seppeDI THELONIOUS MONK amplificare quella peculiarità. UnST. PETER’S CHURCH, NEW YORK nome che ha contribuito ad aumentare<strong>il</strong> mistero e l’aura leggendariache ha sempre circondato questo artista.Un articolo pubblicato in PM – un giornale newyorkese degli anni’40 – presentava un’immagine di Monk altrettanto originale epeculiare. Un organizzatore di concerti dell’area metropolitana ut<strong>il</strong>izzava<strong>il</strong> nome di Monk nelle locandine dei concerti, pur senzaaver mai firmato un contratto con lui. E così, Thelonious, cheovviamente non si presentava alle serate, cominciò a guadagnars<strong>il</strong>a reputazione di artista inaffidab<strong>il</strong>e. “Un genio eccentrico” era<strong>il</strong> termine che gli veniva affibbiato.In una lettera mai spedita, la baronessa Nica de Koenigswarter,sua grande amica, replicò a quell’affermazione con queste parole:“Verrà finalmente <strong>il</strong> giorno in cui qualcuno troverà un terminemeno trito e più appropriato per questo genio speciale. Perchénon CONcentrico, per esempio, cioè che ha un centro comune,come i cerchi o le sfere, uno dentro l’altro”.E quando lo stesso autore dell’articolo definì Monk “un uomo nonavvezzo a buona parte della vita che si svolge fuori da se stesso”,Nica rispose, sempre in quella lettera mai spedita: “In realtàThelonious è affascinato e assolutamente attento a tutto ciò cheesiste in questo e, forse, fuori da questo mondo… dal volo di unafarfalla o di un uccello, all’assetto dei governi, all’astronomia, allamatematica”. La matematica era infatti una delle materie in cui65


Ira Gitler66Monk eccelleva quando frequentava la Stuyvesant High School,dove giocava anche a basket. Era un uomo d’azione: un fantasticogiocatore di ping pong. “Mi piace <strong>il</strong> basket”, mi disse una volta.“Il baseball è uno sport troppo lento. Mi piace <strong>il</strong> tennis. Nel baseballpuoi startene là anche un’intera giornata senza muoverti”. Disolito lo incontravo a qualche incontro di pug<strong>il</strong>ato. Aveva un fiutoparticolare nell’individuare campioni in erba.Le sue radici musicali affondavano nella tradizione afro-americana,nel blues e, più avanti, nella scuola pianistica “stride” diHarlem: James P. Johnson, Fats Waller, W<strong>il</strong>lie “The Lion” Smithe, soprattutto, Duke Ellington.Monk fu tra i principali architetti e teorici del jazz moderno. Moltedelle sue più importanti composizioni furono scritte poco prima edurante quell’evoluzione-rivoluzione chiamata Bebop che stavanascendo, nei primi anni ’40, al Minton’s e al Monroe’s UptownHouse. A proposito del suo brano Woody’n You, Dizzy G<strong>il</strong>lespienon aveva problemi nell’indicare nel linguaggio armonico di Monkla sua fonte primaria d’ispirazione.Budd Johnson, <strong>il</strong> grande sassofonista e arrangiatore che in queigiorni era solito far vista a Monk nella sua casa nella West 63 rd ,nel quartiere di San Juan H<strong>il</strong>l a Manhattan, afferma: “Saresti riuscitoa suonare in quello st<strong>il</strong>e solo suonando i brani di Monk, perchésolo essi avevano quel tipo di progressione armonica”.Al ritorno dal servizio m<strong>il</strong>itare, alla fine della Seconda GuerraMondiale, <strong>il</strong> pianista Allen Tinney, un habitué del Monroe’s, noncapiva “perché Charlie Paker fosse diventato famoso, e come luiDizzy G<strong>il</strong>lespie. Allora, dato pure che noi si stava suonando moltidei suoi motivi, mi chiesi: “Che è successo a Monk. In quel periodoandavamo da un after-hour ad un altro. Dopo la chiusura delMonroe’s ci recavamo nell’appartamento di Mat Maddox. Eranocirca le nove o le dieci del mattino. E stavamo là fino alle 12 o all’unadel pomeriggio, suonando in una piccola stanza con un pianoforte.Eravamo io, Monk, Vic Coulson e George Treadwell”.“Era un po’ amareggiato”, dice Budd Johnson, “perché tutti avevanodei riconoscimenti. Io stesso avevo sentito Monk tirar fuori


Eulogia per Theloniouscerte soluzioni prima che chiunque altro lo avesse fatto con branipropri. Ma lui diceva: “Farò avere loro questo pezzo e mi scriveròqualcos’altro”. In quello stesso periodo Monk aiutò e incoraggiò <strong>il</strong>giovane Bud Powell. Secondo Kenny Clarke egli scriveva per Budcome un compositore per un cantante”.La grandezza di Monk era ben conosciuta a Dizzy G<strong>il</strong>lespie.Charlie Parker portò <strong>il</strong> giovane M<strong>il</strong>es Davis ad ascoltarlo. ColemanHawkins scritturò Thelonious per i suoi dischi. Tuttavia, anche l’albumche comprendeva <strong>il</strong> classico ’Round Midnight, registrato daMonk con <strong>il</strong> suo gruppo per la Blue Note, incontrò al suo apparire,nel 1947, solo tiepidi favori da parte sia del pubblico che dellacritica.Nel 1948, Paul Bacon scrisse la prima recensione davvero acutasu Monk nel periodico The Record Changer: “Non ha inventatouna nuova combinazione di cose”, scriveva Bacon, “ma ha sicuramenteguardato per anni alla musica con grande lucidità, riuscendoa vedere oltre. Esegue riff che sono più vecchi di BunkJohnson, ma che non suonano allo stesso modo; <strong>il</strong> suo beat èfam<strong>il</strong>iare eppure riesce a fare anche qualcosa di strano – riesce afar sembrare <strong>il</strong> ritmo quasi separato, sicché ciò che fa può esserdentro ma anche fuori di esso. Per un lungo tratto, può suonaresolo ed esclusivamente frasi scorrevoli per poi di colpo aumentarela velocità di esecuzione, ripetendone piccole parti con un’intensitàindescrivib<strong>il</strong>e. La sua mano destra non è costante – vagacon scaltrezza fra i tasti, talvolta eseguendo solo qualche nota, talvoltasuonando con energia sul beat, di solito aumentandone lavarietà e talvolta restando ferma. In ogni caso, Monk sta davverofacendo uso di tutto lo spazio inut<strong>il</strong>izzato attorno al jazz e ci fa capireche vi sono ancora tante porte da aprire”.Monk possedeva la chiave per aprire molte di quelle porte, masfortunatamente incontrava qualche difficoltà a passare attraversoaltre: quelle degli agenti, dei proprietari di club e dell’ufficiocomunale che si occupava delle cabaret card. Sopravvisse graziealle sue registrazioni per la Blue Note e, più tardi, per la Prestige,e grazie agli sforzi di Nellie, la sua risoluta consorte.67


Ira Gitler68Nonostante tutto, Monk seppe conservare tutta la sua integrità edignità. Aveva l’aspetto e <strong>il</strong> portamento di un condottiero e mantenevaun’essenziale regalità, indipendentemente dal tipo di cappelloindossato: <strong>il</strong> basco, <strong>il</strong> cinese, quello da cowboy alla LBJ (1) , oquello a tesa corta, per citarne solo alcuni.La metà degli anni ’50 segnò l’inizio di un’importante svolta.Cominciò a registrare per la Riverside in diversi contesti, incontrando<strong>il</strong> gusto della critica e del pubblico dei jazzof<strong>il</strong>i. Nel 1957tornò in possesso di una cabaret card e iniziò con <strong>il</strong> suo quartettoal Five Spot in Cooper Square. Il lungo ingaggio contribuì all’affermazionedel nome del club, di Monk e del suo stellare sideman,John Coltrane. Di tanto in tanto Monk abbandonava <strong>il</strong> pianofortee lasciava “girovagare” Trane, accompagnato da basso e batteria.In quelle occasioni danzava “stutter-steps” e “shuffle” vicino alpiccolo palco, tenendo i gomiti in fuori, sopra i fianchi, con lo stessomeraviglioso senso del tempo che aveva quando suonava. Ladanza aiutava Monk a capire se la musica aveva swing a sufficienza.Quelle melodie cantab<strong>il</strong>i in modo così unico e quelle squisitearmonie dovevano avere swing. Come disse nel 1959 adArthur Taylor, <strong>il</strong> suo batterista: “Quando inizi un brano devi perforza avere swing. Quando sei a metà ne devi avere <strong>il</strong> doppio ealla fine del pezzo quattro volte tanto.”Al <strong>Jazz</strong> Gallery, locale aperto da Joe Termini, già proprietario delFive Spot, qualche isolato più a est, Monk aveva più spazio perdanzare e così talvolta girava per tutta la stanza. Una sera mi trovavoin fondo al locale con un gruppetto di persone. Ci passòdavanti diverse volte, da diverse direzioni, lanciandoci qualche piccoloaforisma: “ll nero è bianco. Due sono uno.” Non c’era bisognodi spiegazioni. Ognuno rifletteva e giungeva alle proprie conclusioni,proprio come accadeva con la sua musica. Avrebbe potutoaggiungere un altro suo brano pred<strong>il</strong>etto – Always Know. Se s<strong>il</strong>egge “know” al contrario, capovolgendo la “w”, si ottiene Monk.Lasciava agli altri le definizioni di jazz: “Che discutano pure”, diceva.“I musicisti non hanno tempo per parlare di quelle fesserie.Che lo facciano i fans”.


Eulogia per TheloniousEra un artigiano. “Lo senti <strong>il</strong> bridge?”, mi disse una volta riferendosial brano di un altro autore. “Io non potrei mai scrivere così.Io mi riconosco appena nel mio proprio bridge”.Le sue composizioni hanno la capacità di rinnovarsi di continuo.All’inizio degli anni ’60, quando la Riverside pubblicò un albumcomposto interamente da versioni di ’Round Midnight, <strong>il</strong> suo editoreaveva individuato più di 135 registrazioni di quel pezzo. E finoa oggi? Who Knows?, per citare un altro titolo di Monk.Per Monk e <strong>il</strong> suo gruppo – che annoverava <strong>il</strong> fido Charlie Rouseal sax tenore - gli anni ’60 furono <strong>il</strong> periodo dei successi nei club,nei festival internazionali e nei concerti. Il suo messaggio arrivò auna nuova generazione di musicisti. Il trombonista GrachanMoncur ebbe a dire: “La maggior parte dei migliori musicisti contemporaneisi è affermata attraverso Monk. Anche per me è statouna buona guida, non solo nella concezione ritmica ma, in generale,soprattutto nel fatto di imparare ad ascoltare.”Un pomeriggio, alla fine degli anni ’50, mi ero recato a fargli visita:arrivarono due giovani trombettisti, Freeman Lee, dall’Ohio eBlue Mitchell, dalla Florida, per prendere lezioni dal maestro.Tirarono fuori i loro strumenti e i tre suonarono insieme per un’ora.Niente basso. Niente batteria. Monk forniva da solo l’interasezione ritmica. Non parlava granché. Insegnava solo con gliesempi, come la sua musica che continua tuttora ad insegnarciqualcosa, a pervaderci e a divertirci sempre più a mano a manoche passa <strong>il</strong> tempo. Monk è stato uno dei più importanti compositoridel 20° secolo.Lo scrittore Stanley Crouch ha trovato un’azzeccata analogia traMonk e Picasso. La baronessa De Koenigswarter ne ha trovatoun’altra, altrettanto valida, con Beethoven. È contenuta in unbrano de Il libro del riso e dell’oblio di M<strong>il</strong>an Kundera dove, a uncerto punto, si legge: “Per Beethoven leggasi Thelonious”.“Le variazioni rappresentano un viaggio, ma non attraverso <strong>il</strong>mondo esterno. Ricordate <strong>il</strong> pensée di Pascal su come l’uomoviva tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Il viaggionella forma della variazione conduce al secondo infinito, quello69


Ira Gitler70della varietà interna nascosta in tutte le cose. Nelle sue variazioni,Thelonious scoprì un altro spazio e un’altra direzione. In questosenso esse costituiscono una sfida a intraprendere <strong>il</strong> viaggio,un’altra “invitation au voyage”… La variazione è la forma di massimaconcentrazione. Consente al compositore di attenersi al suocompito, di andare al nocciolo delle cose. Il compito in questioneconsiste in un tema, spesso composto da non più di sedici misuree Thelonious va nel profondo di quelle sedici misure come unminatore che scende nelle viscere della terra.Il viaggio verso <strong>il</strong> secondo infinito non è meno avventuroso di unviaggio epico e assomiglia molto alla discesa del fisico nella meravigliosaessenza interna dell’atomo. Attraverso ogni variazioneThelonious si allontana sempre più dal tema principale, <strong>il</strong> qualearriva a non assomigliare più alla variazione finale, così come unfiore è ben diverso dalla sua immagine al microscopio… Non c’èda meravigliarsi, allora, che la forma della variazione sia divenutala passione del Thelonious maturo. Il quale sapeva benissimo chenulla è più insopportab<strong>il</strong>e del perdere una persona che abbiamoamato, come quelle sedici misure e l’universo interno delle loroinfinite possib<strong>il</strong>ità”.(1)Lyndon Baines Johnson, 36° presidente degli Stati Uniti (n.d.t.)


Sulle fortunedel TangoA dieci anni dalla mortedi Astor Piazzolladi Claudio DonàAstor Piazzolla (Mar del Plata, 11marzo 1921 – Buenos Aires, 4 luglio1992) ha avuto <strong>il</strong> grande merito di portare <strong>il</strong> tango, quello vero,fuori dell’Argentina e di averlo fatto conoscere a tutto <strong>il</strong> mondograzie alle sue personalissime elaborazioni musicali.Il tango è, per definizione, argentino; già nell’anno della nascita diPiazzolla rappresentava motivo di orgoglio nazionale. All’inizio èsoprattutto danza, poi diventerà anche canzone. È infatti comeballo che <strong>il</strong> tango conosce <strong>il</strong> suo primo vero successo internazionale,all’inizio del ‘900. Quel che la musica racconta è sempre unpo’ misterioso, specie per chi non ne conosca a fondo <strong>il</strong> linguaggio,mentre <strong>il</strong> messaggio della danza è molto più immediato ecomprensib<strong>il</strong>e. In più c’è nel tango, come in altri precedenti balli,un esplicito significato erotico, che fa indignare molti moralisti.Anche per Erik Satie (lo scrive nel 1914) <strong>il</strong> tango è, né più némeno, la “danza del diavolo”. All’incirca nello stesso periodo, piùa nord, negli Stati Uniti d’America, <strong>il</strong> blues rappresenta l’altrettantotemuta “musica del diavolo”. Il tango, in modo molto sim<strong>il</strong>e alblues, non inizia a sv<strong>il</strong>upparsi fra le classi culturalmente elevatedella medio-alta borghesia, ma fra la popolazione più povera, nellebaracche degli immigrati, in ambienti dove le regole della malavitasi accompagnano allo squallore. Nasce, per esser precisi, intornoal 1880 nella regione del Plata, diffondendosi però più nell’areadi Buenos Aires che non in quella di Montevideo.Quando <strong>il</strong> tango emigra, con grande ed inaspettato successo,nelle sale da ballo europee, in Argentina comincia gradualmentea trasformarsi da forma danzata a forma cantata, ed in breve71


Claudio Donà72tempo emerge con prepotenza la figura di Carlos Gardel, consideratoancor oggi <strong>il</strong> più grande cantante di tango di tutti i tempi,imprescindib<strong>il</strong>e punto di riferimento per tutte le successive generazionidi musicisti argentini. Fra l’altro, con <strong>il</strong> già celebre Gardel,un giovanissimo Piazzolla ha anche occasione di suonare.Musicalmente <strong>il</strong> tango è figlio bastardo della tradizione africanacosì come di quella occidentale, ma riesce a fondere mirab<strong>il</strong>mentele raffinate armonie europee con i ritmi neri dell’Africa.Originato dall’incontro fra habanera, un ballo del Centro America,e m<strong>il</strong>onga (danza argentina lenta, su tempo pari, estremamentelirica e melanconica), <strong>il</strong> tango è all’inizio molto semplice ritmicamente,venendo per lo più pensato in due parti. Con <strong>il</strong> passare deltempo la sua struttura si amplia, i ritmi si fanno più complessi el’organico strumentale chiamato ad interpretarlo più ricco. Maqueste sono per lo più messe a punto, variazioni marginali: nonsarebbe cambiato molto nel tango se ad un certo punto non fosseapparsa all’orizzonte la figura rivoluzionaria di Astor Piazzolla.Dentro moduli ormai convenzionali <strong>il</strong> grande compositore d’origineitaliana porta <strong>il</strong> contrappunto classico e le armonie più avanzate;complica le strutture con forme musicali più elaborate, innestandov<strong>il</strong>e tecniche colte europee ma trasformando al tempostesso <strong>il</strong> ritmo e <strong>il</strong> fraseggio, grazie all’influenza altrettanto determinantedel jazz e dell’improvvisazione.Quando si dice Piazzolla, si dice tango e bandoneon, strumento dicui diverrà sino alla morte specialista insuperato. Il bandoneon,diretto discendente della fisarmonica, viene inventato nel 1846dal tedesco Heinrich Band e, per misteriose ragioni, conosce unostraordinario successo soprattutto in Argentina, dove vince laconcorrenza di tutti i diversi tipi di fisarmonica diventando, a partiredagli anni Venti, la voce per eccellenza del tango. AstorPiazzolla è, come la maggior parte dei compositori di tango, figliodi emigranti italiani: nato a Mar del Plata nel 1921, passa però l’infanziaa New York, a Little Italy, dove cresce con l’interesse per lamusica colta ed <strong>il</strong> jazz, che in quegli anni fa risuonare le sue notein ogni angolo della città. Studia pianoforte e bandoneon, quindi


Sulle fortune del Tangoritorna, poco più che adolescente, in Argentina, stab<strong>il</strong>endosi nellacapitale. Suona dapprima in complessi di tango – ha così l’opportuntàdi accompagnare Gardel – e poi studia sia composizione conAlberto Ginastera, forse <strong>il</strong> maggiore compositore argentino diarea classica, sia direzione d’orchestra con Herman Scherchen.Nel 1954 una borsa di studio lo porta a Parigi, dove ha modo diperfezionarsi con Nadia Boulanger, eccezionale figura di didatta,responsab<strong>il</strong>e della formazione musicale di un’intera generazionedi musicisti americani, che lo convince a rinunciare alle sue aspirazionidi compositore “classico”, ma a sfruttare piuttosto le suedoti naturali, che lo riportano inevitab<strong>il</strong>mente al tango. Da alloraPiazzolla comporrà oltre 750 brani musicali, e la sua fama varcheràpresto i confini della sua patria per consolidarsi, già all’inizio deglianni Sessanta, davvero in ogni angolo del mondo.Alla testa di varie formazioni (ottetti, orchestra, nonetti, e finalmentel’insuperato quintetto “Nuevo Tango”) <strong>il</strong> musicista di Mardel Plata dà <strong>il</strong> via alla sua grande stagione di compositore ed esecutoredi tanghi. Ma non opera sul tango, come già ricordato, soltantoprofonde modifiche strutturali, sia ritmiche che armoniche.Introduce novità anche nella strumentazione usata per eseguirlo,facendo per esempio largo uso della chitarra elettrica, che producenuovi e suggestivi impasti sonori. Tuttavia al centro della musicadi Piazzolla rimarrà sempre lo struggente suono del bandoneon,di cui è un virtuoso assoluto ed attraverso cui dà voce aduna quanto mai ampia e sfumata gamma di emozioni. Val comunquela pena di sottolineare come, in questo pur variegato crogiuolodi suoni e influenze musicali, rimarrà sempre forte ed assolutamentecentrale <strong>il</strong> ruolo esercitato dal tango, vero carattereredominante di tutta la musica di Piazzolla.Con <strong>il</strong> “Quinteto” <strong>il</strong> Nostro esegue oltre ai suoi anche alcuni tanghidel repertorio popolare. Compie, con questo gruppo, un’operazioneche può essere in qualche modo paragonata a quella operatanel jazz da John Lewis con <strong>il</strong> “Modern <strong>Jazz</strong> Quartet”. Non èun caso che <strong>il</strong> “Nuevo Tango” di Piazzolla ed <strong>il</strong> “M.J.Q.” di Lewisvengano accettati anche dal mondo piuttosto chiuso della musica73


Claudio Donà74classica, riuscendo ad inserirsi, pressochè negli stessi anni, nellestagioni di concerti da camera americane ed europee, facendosicosì apprezzare da un pubblico più numeroso: non solo da quellodei festival e delle rassegne jazz quindi, ma anche da quello piùelitario che generalmente presta la sua attenzione esclusivamentealla musica colta occidentale.La logica, inevitab<strong>il</strong>e conseguenza di ciò è che, se più di mezzosecolo fa <strong>il</strong> tango era per tutti Caminito, oggi <strong>il</strong> tango è per la maggioranzadelle persone soprattutto Piazzolla. Eppure, al contrario,proprio a causa di questa sua dichiarata e ricercata “complessità”(o “diversità”), in Argentina Astor Piazzolla è stato considerato permolti anni un “traditore”, colui che ha osato rinnovare (o “rinnegare”)la tradizione più ortodossa. Non è un caso quindi che abbiasuonato con orchestre sinfoniche, composto una mini-opera(“Maria de Buenos Aires”) ed un oratorio (“El Pueblo Joven”),che abbia collaborato attivamente con jazzisti del calibro di GerryMulligan e Gary Burton, o composto avvincenti colonne sonorecinematografiche (per l’ “Enrico IV” di Marco Bellocchio e per gliultimi tre f<strong>il</strong>m del connazionale Fernando E.Solanas). In realtà, proprionel tradimento, nel suo voler “essere diverso”, che non èaltro poi che originale genialità, sta la sua grandezza.Cosa rimane oggi, a dieci anni dalla morte, di Astor Piazzolla?Intanto uno sterminato repertorio, ricco di melodie memorab<strong>il</strong>i,ma anche una miriade di piccoli complessi disseminati in tuttaEuropa e votati all’interpretazione della sua musica. In Franciasoprattutto, dove <strong>il</strong> suo lungo soggiorno ha influenzato profondamentel’ambiente culturale – ma oltre a Piazzolla, Parigi ha ospitatoun gran numero di artisti argentini esuli, fra cui molti pregevolimusicisti di tango – ma anche negli altri paesi europei, Italiacompresa. C’è chi interpreta fedelmente le sue partiture – per lopiù piccoli ensemble di provenienza classica – e c’è chi, soprattuttoi jazzisti, usa i suoi indimenticab<strong>il</strong>i temi (da Adios Nonino aLibertango, da Vuelvo Al Sur a Oblivion) per improvvisare.Una parte del merito della riscoperta e della rivalorizzazione diPiazzolla, così come del tango, si deve soprattutto all’imprevedi-


Sulle fortune del Tangob<strong>il</strong>e, clamoroso successo che ha portato alla ribalta del jazz internazionale,nella seconda metà degli anni Novanta, <strong>il</strong> fisarmonicistanizzardo (ma all’occorrenza anche ottimo interprete di bandoneon)Richard Galliano. Ma <strong>il</strong> tango, anche negli anni immediatamentisuccessivi alla morte di Piazzolla, non è mai veramente passatodi moda. Lo testimonia <strong>il</strong> recente proliferare delle scuole didanza che mettono questo genere di ballo al centro dei loro programmi.Un altro grande bandoneonista argentino, Dino Saluzzi, ha cercatoun approccio più personale alle proprie radici culturali, legatenaturalmente al tango, avvicinandosi in maniera molto più decisache <strong>il</strong> suo maestro al jazz. Ciò soprattutto a seguito del lavorosvolto nella prima metà degli anni Settanta a fianco del sassofonistaGato Barbieri, suo connazionale, che dopo aver firmato lacolonna sonora del f<strong>il</strong>m di Bernardo Bertolucci “Ultimo Tango aParigi” ha forse toccato l’apice del suo già largo successo. Saluzziè oggi <strong>il</strong> più acclamato virtuoso di bandoneon attivo sulla scenainternazionale, ma è soprattutto musicista originale e jazzista dirango, capace di piegare le proprie radici culturali, intrise di tango,naturalmente, al proprio personale credo espressivo.75


76Igor Stravinskij in un disegno eseguito dal figlio Théodore


L’influenza del jazzsulla musica europeada André HodeirVerso <strong>il</strong> 1930, nei cosiddetti ambientid’avanguardia, si dava ormaiper certo che <strong>il</strong> maggior contributo offerto dal jazz fosse quello diavere stimolato la musica europea suggerendole nuovi elementiritmici, melodici e sonori, non esclusa, forse, anche una lezione disemplicità. Questo concetto avrebbe finito per radicarsi in parecchicervelli se non fosse stato energicamente combattuto. Conquel suo sfondo di primitivismo, così corrosivo riguardo alla tradizioneoccidentale, esso pareva fatto apposta per irretire più d’unmalato di esotismo. Si cominciava col citare l’influenza della sculturanegra su Picasso e di qui era poi tutto un fiorire di argomentazioniintorno al gioco delle analogie e sugli inevitab<strong>il</strong>i vicendevolirapporti tra arte e arte. Come se ciò non bastasse, la tesi trovavaun conforto anche nelle dichiarazioni degli stessi compositoriche si erano “ispirati al jazz”.Certo potrà sembrare temeraria l’idea di rimettere in discussioneuna tesi che reca <strong>il</strong> sig<strong>il</strong>lo di garanzia d’uno Strawinsky. Alcuni r<strong>il</strong>ievidi ordine cronologico ci invitano tuttavia a scrutare un poco piùda vicino una situazione storica intorno alla quale si è, forse, ricamatopiù del necessario. Una prospettiva di oltre trent’anni ci consenteoggi di distinguere con una certa sicurezza quel che vi fu divalido nel periodo di jazz che va dal 1920 al 1925. È sufficiente,del resto, riportarsi alle cronache del tempo per accorgersi comela musica allora comunemente chiamata “jazz” non avesse granche a spartire con la tradizione di New Orleans. Naturalmente puòdarsi che taluni artisti europei abbiano attinto alla sorgente originale(poi difatti vedremo come almeno uno non la ignorò total-77


André Hodeir78mente); come non si può escludere che sotto le svisature inerentialla comp<strong>il</strong>azione degli spartiti e le ulteriori mortificazioni inflittedai paladini del jazz “commerciale”, questi artisti siano riusciti aracimolare qua e là qualche grano di autentico jazz. Quale uso neabbiano quindi fatto, e quale sia stata l’importanza di questa applicazione,è ciò che cercheremo di appurare attraverso qualchebreve indagine.Innanzitutto dobbiamo precisare che non tutta la musica occidentaleè stata “influenzata” dal jazz. Dei cinque grandi contemporaneidi cui si comincia oggi a riconoscere la superiorità,Schoenberg, Berg, Webern, Bartok e Strawinsky, solo quest’ultimoè stato toccato dalla musica venuta da oltre oceano. Se,volendo comp<strong>il</strong>are un elenco di lavori “influenzati”, dovessimoprocedere con un certo rigore, non resterebbero in gioco che tremusicisti, dai meriti di grado tra loro ben diverso: Strawinsky,Ravel e M<strong>il</strong>haud.Per cominciare, ci dobbiamo chiedere: “Quale jazz hanno conosciuto?”Per quanto concerne Ravel, la risposta non è fac<strong>il</strong>e datoche possiamo basarci solo su testimonianza riferita. Non duriamouna gran fatica a immaginarci l’autore del Dafne all’agguato del“dernier cri” e preoccupato, dopo avere seguito Debussy e flirtatodi sfuggita con Schoenberg, di non lasciarsi scappare la grannovità, non più tanto freschissima del resto, senza averla almenoun poco sfruttata. Gli aneddoti non mancano. Questi ci mostranoRavel intento ad applaudire con lo stesso entusiasmo tantoJimmie Noone quanto l’orchestra del Moulin-Rouge. Abbiamoperò imparato a non fidarci eccessivamente degli aneddoti.Ha molta più importanza ciò che ci dice Strawinsky nella Cronacadella mia vita. “Bisogna proprio (?) che io vi segnali”, egli scrive,“un’opera da me composta subito dopo aver portato a termine lapartitura del Soldat e che, sebbene di proporzioni modeste, èmolto significativa riguardo ai pruriti che <strong>il</strong> jazz allora mi mettevaaddosso. Mi avevano spedito, su mia richiesta, una intera catastadi questa musica...”. Strawinsky, molto probab<strong>il</strong>mente, avevaavuto occasione di ascoltare dei ragtimes (ma suonati da chi? e in


L’influenza del jazzquale circostanza?) e di qui la sua curiosità e <strong>il</strong> suo desiderio dicontrollarne <strong>il</strong> testo. Dobbiamo dunque arguire che fu solo attraversol’interpretazione degli spartiti che egli approfondì quella sua,prima occasionale conoscenza? L’ipotesi, che è più che verosim<strong>il</strong>e,spiegherebbe assai bene <strong>il</strong> perché di certi errori dei quali occorreràche teniamo conto. Se la si prende per buona, si dovrà puranche riconoscere l’inadeguatezza di un sim<strong>il</strong>e mezzo di studionei confronti di un fenomeno musicale che è, anche quando nonsembra, sempre recalcitrante alle briglie della trascrizione.Dei tre musicisti citati, è senza dubbio M<strong>il</strong>haud quello che ebbepiù diretti contatti col jazz. La sua produzione, assai cospicua, cirivela in che modo un compositore europeo degli anni intorno al1920 poteva sentire e assim<strong>il</strong>are questa musica. Non sarà malericordare, ancora una volta, come per l’europeo la parola “jazz”evocasse indifferentemente sia <strong>il</strong> piccolo complesso negro sia lagrossa formazione bianca alla Paul Whiteman, non escluse quelleorchestrine di fantasisti combinate a base di clacson, di raganelle,di sirene, di fischietti da capostazione, e chi più ne ha più nemetta. Fu, a quanto pare, un’orchestra bianca di genere moltostylé la prima ad esser conosciuta da M<strong>il</strong>haud. Anzi è stato propriolui stesso a indicarci, quale responsab<strong>il</strong>e del suo “primo contatto”col jazz, “l’orchestra B<strong>il</strong>ly Arnold venuta da New York”. Fudunque la pimpante “novità” dei ritmi e dei timbri impiegati daB<strong>il</strong>ly Arnold a conquistare M<strong>il</strong>haud? Non c’è dubbio. Ed è altrettantoindubbio che, nei suoi panni, molti colleghi suoi contemporaneiavrebbero reagito esattamente come lui. “Mi venne alloral’idea”, racconterà più tardi, “di ut<strong>il</strong>izzare questi ritmi e questi timbriin un lavoro di musica da camera; ma prima occorreva che iopenetrassi più intimamente i segreti di questa nuova forma musicale,la cui tecnica mi procurava ancora un senso d’angoscia”.L’occasione doveva presentarglisi nel 1922, col suo primo viaggionegli Stati Uniti. Dopo avere ascoltato all’Hotel Brunswick diBoston “ un eccellente jazz” (sic), ecco l’autore de L’Homme etsan désir imbattersi, visitando Harlem, in “una musica totalmentediversa” da quella che già conosceva: “...le linee melodiche79


André Hodeir80scandite dalla percussione (sic) si accavallavano nel contrappuntoin una affannosa ridda di ritmi spezzati, contorti”. Questa descrizione,per lo meno pittoresca ci fa sospettare che M<strong>il</strong>haud si siatrovato, di colpo, alla presenza di un jazz autentico. Di contro, allorchèpassa ad <strong>il</strong>lustrarci alcuni spettacoli dove “i ballerini eranoaccompagnati da un flauto, da un clarino, da due trombe, da untrombone, da una complicata batteria tutta disposta intorno a unsolo strumentista, da un pianoforte e da un quintetto ad archi”,egli si riferisce evidentemente a teatri di operetta o di rivista:ambienti nei quali (e la stessa combinazione degli strumenti ce lodimostra) <strong>il</strong> jazz era di casa non più di quanto sia di casa oggi alleFolies-Bergère; anche se è vero che dei buoni jazzmen furono talvoltaaggregati (come Louis Armstrong al teatro Vendòme diChicago) all’orchestra di fossa. È pertanto a un modello del genereche dovette ispirarsi M<strong>il</strong>haud per la Creation du Monde.“Questa opera”, egli farà poi notare, “mi offrì finalmente la possib<strong>il</strong>itàdi servirmi degli elementi di jazz da me raccolti e studiaticon tanta cura. Formai un’orchestra, come quelle di Harlem, didiciassette solisti, e ricorsi allo st<strong>il</strong>e jazz senza riserve, mischiandovielementi d’ispirazione classica”.Quattro anni più tardi, Darius M<strong>il</strong>haud si trova di nuovo a passaredagli Stati Uniti. Durante la sua prima visita, interrogato dai giornalistia proposito della musica americana, egli aveva affermatoche <strong>il</strong> jazz ne costituiva <strong>il</strong> frutto più interessante. (Faremo notare,così di sfuggita, che a quell’epoca non ancora gli si era rivelato <strong>il</strong>jazz negro.) Ma ora è <strong>il</strong> 1926, e <strong>il</strong> suo atteggiamento è completamentecambiato. “Convocai di nuovo i giornalisti americani”, cosìlui stesso narra, “per fargli sapere che <strong>il</strong> jazz non mi interessavapiù”. Quale la causa di un così rapido raffreddamento? Il jazzmedesimo, forse? No: tutto dipendeva “dagli snob, dai bianchimalati di esotismo”. Non sembra quasi che ciò nasca dal dispettodi sapere che, dopo di lui, altri “turisti della musica negra” l’avevano“esplorata nelle sue più intime pieghe”? (Opinione, tral’altro, decisamente eccessiva). Ma c’è qualcosa di più grave:dato che era sbarcato negli Stati Uniti con idee preconcette, non


L’influenza del jazzavrebbe fatto meglio a evitare queste impennate sul jazz, e proprionel momento della sua più prodigiosa evoluzione? Il compositorefrancese non sentirà neppure la curiosità di documentarsisu un tizio, tale Louis Armstrong, di cui si va cominciando, nonostantetutto, a parlare insistentemente. L’anno successivo DariusM<strong>il</strong>haud pubblica un volume d’estetica musicale intitolato Studi.La famosa influenza del jazz non è per lo più di un vago ricordo:“L’influenza del jazz è ormai tramontata, come un benefico temporaleche ci fa ritrovare, dopo, un cielo più limpido, un clima piùstab<strong>il</strong>e”, egli commenta. “Lo spirito classico a poco a poco rinasce,a rimpiazzare gli orgasmi mozzati dalla sincope”. M<strong>il</strong>haudnon disdegna peraltro di gettare uno sguardo intenerito su questamusica, che conserva, dice, “una straordinaria varietà d’espressione”.E aggiunge: “Naturalmente, per giudicarlo, bisogna averea che fare con un jazzband serio (sic), formato di musicisti solidi(?) e che usino orchestrazioni di indiscutib<strong>il</strong>e valore, sul genere diquelle di Irving Berlin”. Tanto per che <strong>il</strong> lettore sappia di che cosasi tratta, precisiamo che Irving Berlin è quell’analfabeta integrale(non sapeva neppure, a quanto risulta, leggere in chiave di violino)la cui imperitura memoria è assicurata dai capolavori recanti <strong>il</strong> titolodi A fella with an umbrella e Alexander’s ragtime band.Un ultimo scrupolo sfiora Darius M<strong>il</strong>haud, allorché scrive:“Troviamo, accanto al jazz, anche un altro tipo di musica, che sebbenederivi dalla stessa fonte ha preso, in seno all’ambientenegro, uno sv<strong>il</strong>uppo completamente diverso”. Ma nessuno più sifida ormai a questo punto, del senso di valutazione del nostroautore, già essendosi imbattuti, nella pagina precedente, in questasbalorditiva dichiarazione (scritta diversi anni dopo l’esperienzadi Harlem): “Nel 1920-21 bastava andare al bar Gaya, in viaDuphot, e ascoltare Jean Wiener al piano, e Vance Lowry al sassofonoe alla chitarra, per avere <strong>il</strong> ritorno di una musica jazz presentatain una forma assolutamente completa, purissima, vergine”.Vance Lowry è stato per noi, uomini della generazione successiva,uno di quei genii leggendari che peraltro abbondano nellapreistoria del jazz. In compenso, in più d’una occasione, ci è capi-81


André Hodeir82tato di sentire Jean Wiener che penosamente cercava, da solo oin compagnia del suo partner Clement Doucet, di “fare del jazz”alla maniera sua: personalissima, ahimè, non c’è che dire.Eccoci dunque <strong>il</strong>luminati riguardo alla spensieratezza (stavamoper scrivere la sordità) di un compositore che trovatosi di fronte atre musiche sostanzialmente differenti non è riuscito a evitareuna confusione che altri, meno musicisti di lui, dovevano felicementesuperare qualche anno dopo.Le dichiarazioni di Darius M<strong>il</strong>haud, quelle, più rare, di Strawinsky,e l’ atteggiamento stesso di Ravel dimostrano piuttosto chiaramenteche nessuno di essi riuscì mai a cogliere l’intimo significatodel jazz. Certi errori di interpretazione e di giudizio non si spiegano,specie negli ultimi due, che innegab<strong>il</strong>mente furono grandimusicisti, se non col fatto di avere frequentato troppo poco <strong>il</strong> jazzautentico. Ciò che contava nel jazz edizione 1923, oggi lo sappiamo,era King Oliver; con la sua orchestra e con i suoi discepoli,quasi tutta gente di New Orleans che era venuta a trapiantarsi aChicago.Nessuno dei nostri grandi compositori, ci potete scommettere, haavuto mai occasione di imbattersi in uno di questi musicisti. Conchi hanno avuto a che fare, allora? È presumib<strong>il</strong>e che essi abbianoconosciuto <strong>il</strong> jazz nel suo aspetto più dimesso, prendendo permanifestazioni tipiche dell’animo negro ciò che era soltantomerce dozzinale. Probab<strong>il</strong>mente sono stati deviati dalle contraffazionicommerciali. E dev’essere accaduto così anche per M<strong>il</strong>haud,per quanto, come abbiamo visto, gli fosse stata offerta l’occasionedi conoscere dei prodotti più genuini. Ciò che veramente stupisceè come abbia potuto Ravel, sia pure per poco tempo, interessarsia così evidenti cianfrusaglie.Strawinsky e M<strong>il</strong>haud non si limitarono, con le loro dichiarazioni,a sottolineare l’interesse artistico del jazz (o di ciò che scambiaronoper jazz), ma dimostrarono anche una gran voglia di sperimentarecerti, per loro inediti, elementi st<strong>il</strong>istici, adattandoli alla loromusica: come del resto confermano alcune loro opere. Il ragtimedella Histoire du Soldat, <strong>il</strong> Ragtime per undici strumenti e <strong>il</strong> Piano-


L’influenza del jazzRag-Music di Strawinsky, aprono la strada. Poi vien dietroM<strong>il</strong>haud, con la Creation du Monde. Ravel chiude l’avanzatacon <strong>il</strong> fox-trot de L’Enfant et les sort<strong>il</strong>èges e coni suoi due Concerti per pianoforte. È a queste pagine, lepiù rappresentative di quella che è stata chiamata, in terminiabbastanza arditi, “l’età del jazz” in Europa, che no<strong>il</strong>imiteremo <strong>il</strong> nostro esame. Cercheremo di scoprire ciòche i tre compositori hanno saputo ricavare dagli elementidel jazz autentico, e ciò che invece deriva loro daljazz commerciale. Ci sforzeremo quindi di stab<strong>il</strong>ire in chemodo, e fino a che punto, ognuno dei tre sia riuscito afarne tesoro.Che cosa poteva offrire al musicista europeo, dal puntodi vista melodico, <strong>il</strong> jazz dei primi due periodi? Decisamentenulla più di quanto quest’ultimo avesse a suavolta desunto dal folclore negro-americano: vale a dire lascala del blues. Ed effettivamente, in questo senso, l’influenzaè palese. In qualcuna delle opere da noi scelte,si trovano vari notevoli spunti melodici tratti dal linguaggiodel blues e dello spiritual. (…)Dal punto di vista del ritmo, <strong>il</strong> jazz avrebbe potuto, forse,fruttare di più. Non possiamo, tuttavia, affermarlo conmatematica sicurezza. I nostri autori hanno fatto larghissimouso della sincope (che non fu inventata dal jazz, masolo trasformata) e delle varie combinazioni ritmiche sudi essa imperniate. Vi hanno forse trovato, rispetto allametrica normale e all’accentazione classica, un senso d<strong>il</strong>iberazione? Chissà. Le innovazioni presentate dal Sacredu Printemps, in altro senso ragguardevoli, avevano delresto già fornito una risposta a tali quesiti.Maurice Ravel adottò i criteri ritmici del jazz solo inmodo assai elementare. Nulla delle sue opere autorizzaa farsi un’<strong>il</strong>lusione diversa in questo senso. Non si capisceper quale aberrazione certi critici abbiano potutousare la parola jazz dissertando sugli accenti sdruccioli83


André Hodeir84del Concerto per la mano sinistra, dato che siamo qui, sicuramente,molto più vicini al folclore delle Ant<strong>il</strong>le.Nella Création du Monde <strong>il</strong> ritmo del jazz gode di maggior comprensione.Già nella scelta del metro si avverte lo scrupolo dicomporre rispettando lo spirito del jazz. Salvo due o tre cambiamentidi battuta, d’altronde brevissimi, l’opera si attiene tuttaquanta al 2/2, qualunque sia la specie di tempo adottata. A partiredalle prime battute del Preludio, compaiono le formule sincopate.Inizialmente non hanno alcun carattere jazzistico. Solo conla Fuga sarà possib<strong>il</strong>e intravedere quei segni di f<strong>il</strong>iazione chesarebbe stato del tutto inut<strong>il</strong>e cercare nel pezzo precedente. Ilsoggetto della Fuga è ritmicamente piuttosto rigido; non moltopiù rigido, tuttavia, di quanto non lo fossero le formule care ai jazzmendegli anni 1920-25. Affidato a un buon arrangiatore di jazz,esso potrebbe anche venir “swingato”, nonostante che la conformazionedel passaggio d’inizio, che è poi <strong>il</strong> principale, non paiadecisamente la più adatta a fac<strong>il</strong>itare lo swing.Espresso ritmicamente, questo tratto corrisponde a una serie ditre ottavi raggruppati in anacrusi e seguiti da un quarto accentatosul movimento forte. Parecchi punti del soggetto si valgono diquesto ritmo. Il contro-soggetto mette in r<strong>il</strong>ievo per mezzo diaccenti la parte debole del movimento: e quindi, per contrasto, <strong>il</strong>movimento stesso. Tutti questi ritmi sono in conflitto tra loro,oppure qualche volta coincidono. L’impressione di disordine chene deriva è stata certamente voluta. L’autore non sembra esserestato tuttavia perfettamente padrone delle forze che andava scatenando.(…)Per quanto <strong>il</strong> Ragtime per undici strumenti scritto diversi anniprima della Création, la composizione di Strawinsky dimostra unsenso jazzistico nettamente più sv<strong>il</strong>uppato. Le formule impiegatedal compositore russo tendono a una scioltezza ritmica che leapparenta in certo qual modo ai riffs dei jazzmen. Si tratta forsedi un prodotto del suo estro? È molto più probab<strong>il</strong>e che esse derivinoda un adattamento, piuttosto geniale, bisogna convenirne, dielementi preesistenti. (…)


L’influenza del jazz“Chi di noi, ascoltando della musica jazz”, scriverà, “non ha provatoun senso di divertimento prossimo alla vertigine quandosolo-strumentista o un ballerino, pur ostinandosi a marcare accentiirregolari, non riuscivano a distrarre <strong>il</strong> proprio orecchio dalla giustametrica scandita dagli strumenti a percussione?”.Di questa stab<strong>il</strong>ità e di questa indicazione del metro assiduamenteespresse dalle pulsazioni del jazz, nel Ragtime per undici strumentinon si ritrova, certo, nient’altro che un’eco sbiadita. A trattiperò gli spartiti del contrabbasso e della batteria paiono alludere,sotto la scrittura tradizionale, a un beat propriamente jazzistico.Saremmo dunque molto vicini a certe partiture di jazz, peraltro diepoca posteriore. L’opera di Darius M<strong>il</strong>haud invece non dà mai,neppure un attimo, questa impressione. Il fatto è che l’autoredella Création ha voluto mettere troppa carne al fuoco, quanto aritmi di jazz. Introducendovi anche un certo tipo di poliritmia, egliha finito col distruggere le stesse basi su cui si poggiava. La batteriaesercita, nella Fuga, un “pedale” ritmico che spezzetta <strong>il</strong>periodo di quattro battute in quattro 3/4 più un 4/4. Può anchedarsi ne risulti un effetto divertente; ma dov’è andata a finire quellafamosa stab<strong>il</strong>ità di percussione, puranche sottintesa, che è lavita, <strong>il</strong> ritmo del jazz?E qui tocchiamo <strong>il</strong> fondo del problema. I ritmi del jazz, in se moltosemplicisti, non assumono quel potere di “vertigine” cui alludeStrawinsky, se non quando vengono messi a contrasto con unbeat incessante. Con l’eliminare la pulsazione di base, i nostriautori hanno ucciso quel principio d’attrazione fuori del quale nonpuò verificarsi <strong>il</strong> fenomeno dello swing. Come accade per l’elementopositivo della corrente elettrica, che quando è privato delsuo contrario, l’elemento negativo, non ha più alcun potere, cosìè per <strong>il</strong> ritmo sincopato, che se lo si separa dal suo prezioso coefficienteperde le sue virtù dionisiache, e diventa una cosa insignificante.Per non aver capito questo, i nostri autori non han ricavatodal jazz altro che un’infima parte della sua sostanza. Sia dalpunto di vista estetico sia da quello tecnico, le opere, o i frammentidi opere indicati in questo breve saggio debbono perciò85


André Hodeir86essere considerati alla stregua di veri e propri fallimenti.Anche qualora fossero stati perfettamente ideati in astratto, que<strong>il</strong>avori sarebbero rimasti egualmente, rispetto alle intenzioni, bloccatia metà strada. Nella pratica, infatti, si frappone, tra <strong>il</strong> creatoree l’ascoltatore, quell’indispensab<strong>il</strong>e intermediario che è l’interprete.Ora chiunque abbia raggiunto una certa fam<strong>il</strong>iarità col jazz sabenissimo che anche i ritmi meglio congetturati restano senzasignificato se non sono eseguiti con swing: così come d’altrondenon basta un timbro, o una serie di timbri stereotipati, a tradurrein pratica la “sensib<strong>il</strong>ità sonora” del jazz, ma occorre ricostituirlavia via, sul f<strong>il</strong>o della frase. Né lo swing, né <strong>il</strong> vario e variab<strong>il</strong>e assortimentodelle risorse sonore, possono essere adeguatamente fissatisulla carta. Se si riconosce la virtù propriamente creatrice diquesti due elementi, bisognerà in più bene ammettere che nessunaopera di jazz compiutamente esiste prima della sua esecuzione.Partiture di musica jazz tuttavia esistono. Si tratta però, salvoeccezioni, di lavori di circostanza, in genere composti ad uso dideterminata orchestra e ad opera di un musicista che già conoscebene, in partenza, le caratteristiche tecniche e st<strong>il</strong>istiche dellagente per cui lavora.Le dichiarazioni di un Duke Ellington dimostrano chiaramente che<strong>il</strong> compositore non trascura mai, finché <strong>il</strong> suo lavoro è in gestazione,di mantenere contatti con gli orchestrali. Costui può infatti“servirsi dell’orchestra” solo nella misura in cui conosce le proprietàmusicali degli uomini che la compongono. Scrivere unarrangiamento cool per una formazione del tipo del LionelHampton 1946, sarebbe ad esempio una cosa inut<strong>il</strong>e, altrettantoche ordinare una manovra di cavalleria a un reparto di fantaccini.Peraltro è proprio ad assurdità di questo genere che si rivolgono itentativi dei compositori europei. “Ut<strong>il</strong>izzare”, così come intenderebbeDarius M<strong>il</strong>haud, “questi ritmi e questi timbri” (del jazz),significa presupporre che esistano interpreti capaci di riprodurregli uni e di imbroccare gli altri. C’è qui una doppia impossib<strong>il</strong>ità difatto. Per quanto ab<strong>il</strong>e tecnico, per quanto fine musicista possa


L’influenza del jazzessere, nessun interprete educato alla scuola classica può farsigrandi <strong>il</strong>lusioni a questo proposito. Per assim<strong>il</strong>are <strong>il</strong> linguaggio deljazz sarebbe necessario frequentare molto a lungo questa musica.Ma quale strumentista “sinfonico”, quale concertista, qualespecialista di musica da camera dispone del tempo che occorreper maturare validamente questa esperienza? L’insuccesso delleorchestre cosiddette di jazz sinfonico, dove i musicisti, provenientiper lo più dalle varie “accademie”, “f<strong>il</strong>armoniche” o “stab<strong>il</strong>i”,fanno terrib<strong>il</strong>i sforzi per suonare “alla maniera dei jazzisti”, èchiaramente indicativo. E non è affatto indispensab<strong>il</strong>e ricordare ivibrato abnormi, spropositati, i glissando inopportuni, le sincopitroppo precipitose che costituiscono <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio di queste ibrideavventure. Ora ci chiediamo: si sono mai preoccupati M<strong>il</strong>haud,Ravel, Strawinsky, di fare eseguire i loro lavori da gente specializzatain musica jazz? (…)Adattare <strong>il</strong> linguaggio jazz alla musica europea non sarebbe possib<strong>il</strong>eche a due condizioni: prima di tutto bisognerebbe che l’interpretefosse in grado eseguire con un minimo di swing i ritmi propostiglidal compositore; in secondo luogo <strong>il</strong> compositore dovrebbedal canto suo conoscere la “sensib<strong>il</strong>ità sonora” dell’esecutore,e quindi far di tutto per adattare la propria musica a quella sensib<strong>il</strong>ità,così come si comporta un commediografo quando scriveuna parte ad uso di un determinato attore. Ma questi due precettisono appena accennati, che subito se ne vede l’ assurdità.Che sostanziale differenza vi sarebbe, infatti, tra la “musica classica”così ottenuta e questa “musica jazz” composta? Nessuna.Ci troveremmo di fronte a una musica jazz autentica a un puntotale che sarebbe assolutamente inut<strong>il</strong>e, per le ragioni già viste,ricercarne gli interpreti fuori del campo jazzistico.Un vero e proprio scambio tra la musica europea e <strong>il</strong> jazz appareinsomma impossib<strong>il</strong>e. Una di queste due arti presta degli elementiall’altra, ma tali prestiti avvengono solo in un senso: è <strong>il</strong> jazz,infatti, che può nutrirsi delle acquisizioni europee; mentre la tradizioneoccidentale non riesce né a masticare né a digerire i fruttidel jazz. Si ha un bel riempire di pistoni le trombe, e far scivolare87


André Hodeirle coulisses dei tromboni, e caricare i portamenti del clarinetto, emoltiplicare gli accessori della batteria, e spezzare bruscamente lefigurazioni ritmiche: tutto ciò ha un effetto solo pittoresco e immediato;ma quanto al resto, quanto a fare del buon jazz voglio dire,lunga è la strada. Che cos’è un suono wa-wa staccato dalla suanaturale cornice? Che cos’è la blue note senza l’inflessione? Checos’è una sincope senza lo swing? Sim<strong>il</strong>i all’animale della favolache tentava di bere la luna, Strawinsky, Ravel e M<strong>il</strong>haud si sonoarrabattati alle prese con dei riflessi. Le opere che han cercato diricavare una sostanza da questa arrischiata metamorfosi, presentano<strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio negativo comune di tutte le vane imprese. 88da Uomini e problemi del jazz di André HodeirPiccola Biblioteca Longanesi (1980)


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IndiceI salutidi Mario Bagnaradi Matteo Querodi Luca Trivellato34596Programma generaleAn upside-down world di Riccardo BrazzaleVenerdì 17 maggioSabato 18 maggioDomenica 19 maggioLunedì 20 maggioMartedì 21 maggioMercoledì 22 maggioGiovedì 23 maggioVenerdì 24 maggioSabato 25 maggio610131516202124273134Monk lives! Guardando Monk … di Maurizio FrancoAround «Round Midnight» di Claudio SessaThelonious Monk alla Town Hall di Mitchell FeldmanEulogia per Thelonious di Ira GitlerSulle fortune del tango di Claudio DonàL’influenza del jazz sulla musica europea da A. Hodeir394559657177tutti i testi redazionali, pubblicati in questo volume,sono stati scritti da roberto valentino per l’assessoratoalle attività culturali del comune di vicenzafinito di stampare nel mese di maggio 2002dalla tipografia peretti - quinto vicentinoper conto di agorà onlus - duev<strong>il</strong>lewaystation@goldnet.it

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