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Baisi: habemus Giunta - La Voce del Nord Est Romano

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CINEMAvenerdì 9 Maggio 2008Questa settimana Dentro ha visto per voi“Racconti da Stoccolma” e “L’amore non basta”Racconti da StoccolmaQuando la Musica decide il ritmo e il registrodi un film: si potrebbe dire proprio così per queste3 storie di ordinaria violenza metropolitanache formano un'ottimistica opera-denuncia, chea Berlino ha avuto il Premio Amnesty International,girata con pochi mezzi e una certa fissità daAnders Nilsson: tre storie che si svolgono parallelamentenella notte di Halloween in un'algidaStoccolma annunciata da un cimitero notturnodove volano foglie e ardono fiammelle pietose.Tre storie che non s'intrecciano se non per unattimo, quantunque simbolico e decisivo: unaeroporto, un volo verso una terra nuova, unalibertà, un cambiamento. "Forse è ora di cominciarea vivere" dice Leyla (Oldoz Javidi), protagonista<strong>del</strong>la prima vicenda, famiglia musulmanache uccide brutalmente la sorella occidentalizzata,"puttana"; "perché devi sempre portare ladisgrazia a questa famiglia? Perché continui afarci vivere questa vergogna?". Carina (Lia Boysen)invece è premiata come migliore giornalistama nel festeggiamento non cita il marito collegae balla con un altro; da questo spunto irritante si snoda tra invidia e gelosia la violenza estremamalata <strong>del</strong> coniuge, e si scopre che da dieci anni esplode per minime occasioni in presenzadei figli; Carina lotterà presso il Parlamento Europeo per liberare le donne da questa condizione.Aram (Reuben Sallmander) infine è il proprietario di un night, il cui fratello, e il buttafuoriche lo ama in segreto, sono massacrati da un branco: testimoni pericolosi, vengono minacciatima non cederanno, e il denaro offertogli per tacere al processo, viene destinato al Fondo Vittime<strong>del</strong> Crimine. Il film è dominato da un senso di minaccia sempre incombente. Spesso neifilm la minaccia, espressa da atmosfere, suoni, dettagli di ambienti e dettagli di un corpo chenon sai ancora a chi appartengano, è più efficace <strong>del</strong>l'azione violenta esplicita perché mette inrisonanza sentimenti ancestrali: terrore umano anche simbolico, compresso e innominabile,l'attesa angosciosa di una sempre possibile catastrofe personale o sociale. Qui la Musica (BengtNilsson), dicevamo, contribuisce non poco a questo effetto introducendo anche un valido elementoartistico in un film che sarebbe stato altrimenti un mix di documentario e fiction.Albino Di GiorgioL'amore non bastaMartina (Giovanna Mezzogiorno) e Angelo (AlessandroTiberi), in questo caotico e sconnesso terzo millennio,hanno il fegato d'amarsi ancora. Non sembrano peròaverne a sufficienza per restare insieme. Minidramma inchiave ironica, commedia dolceamara, L'amore non bastanon vuol risolversi tra poli opposti: Stefano Chiantini,qui alle prese col suo terzo lungometraggio, porta sulloschermo una vicenda di assenze e ritorni, fughe e non detti,timbro variabile ed equilibrio incerto. Insomma: tante(?) idee, ma confuse. "Mi sembra che ormai esistano solostorie che restano in sospeso e si perdono per strada". Èaddirittura con una citazione da Calvino che questa tragicommediaapre i battenti, introducendo in una canonicastoria d'amore <strong>del</strong> Duemila lo spettatore un po' spiazzato:gli innamorati di quest'Italia precaria vivono storie altrettantofragili, in grado di appassire per mera incuria, senzaun vero perché. Qui i protagonisti si sfiorano senza toccarsimai davvero e ballano sulle stesse note pur restandoin camere diverse, vittime <strong>del</strong>l'incomunicabile disagio chenel film è solo implicato e mai reso vivo e palpitante. Lei,hostess con rimpianto, un piede sull'aereo e l'altro in facoltà,a un passo dalla tesi e uno dal check-in, chiama lui Pane-e-olio e ne adora il disarmante candore. Luiimpila maniacalmente i confetti di detersivo per lavastoviglie e sa tappezzare la cucina di fiori per celebrareuno dei tanti riavvicinamenti fugaci. Lei ha un patrigno rivoltante e un fratellino <strong>del</strong>izioso, unicilegami con la realtà per la sfiorita bellezza <strong>del</strong>la madre che faceva la vita. Lui scrive e vaga accompagnatodal paterno grillo parlante, freudiano depositario di colpe infinite e infinite assoluzioni. Quadrettostraniante e appetitoso, sulla carta. Ma qui tutto è descritto e narrato per accumulazione, in bilico tra lafiction e la produzione alternativa, preda di una schizofrenia registica di cui il soggetto pur godibile nonpuò non risentire. È una scena insicura e mobile quella che Chiantini dirige in un progetto intriganteche purtroppo non riesce a valorizzare gli indubbi talenti che vi partecipano. <strong>La</strong> coppia Mezzogiorno-Tiberi, infelicemente assortita per il soccombere di lui imberbe rispetto al vissuto dolente e ingombranteche Giovanna suggerisce con un solo sguardo, stride già di suo. Papaleo (si) diverte nel ruolo dicoscienza almeno quanto si è divertito nello scriverlo, gli auguriamo, ma non strappa la risata che nonsfugga da sé. Haber indulge sprecato nella macchietta senza far danno né aver vanto. E il pubblico restacosì, un po' basito, tra color che son sospesi. In una parola, ignavi.Domitilla Pirro

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