GiurisprudenzaSintesiconsiderando, quale criterio di riferimento, unicamente l’interessedel minore e con esclusione di qualsiasi automaticità,che non riguarda né la prima attribuzione (essendo inconfigurabileuna regola di prevalenza del criterio del prior intempore), né il patronimico (per il quale parimenti non sussistealcun favor in sé) (cfr. Cass. 3 febbraio 2011, n. 2644;Cass. 29 maggio 2009, n. 12670, in questa Rivista 2010,235, con nota di Vesto; cfr. altresì Cass. 17 luglio 2007, n.15953, in questa Rivista 2008, 155, con nota di Stazzone, edin Guida al dir. 2007, 32, 52, con nota di Gragnani). Ne conseguealtresì che, in considerazione dell’assoluta priorità dell’interessedel minore, l’attribuzione del cognome di entrambii genitori non è esclusa dalla pregressa durevole convivenzacon uno solo di essi (Cass. 6 novembre 2009, n. 23635).Inoltre, Cass. 26 maggio 2006, n. 12641 (in questa Rivista2006, 470, con nota di V. Carbone, nonché in Corr. giur. 2006,1210, con nota di V. Carbone, Nuovo dir. 2006, II, 1207, con notadi De Simone, Dir. fam. 2006, I, 1649, con nota di Gazzoni,Dir. e giust. 2006, 25, 10, con nota di Dosi, Familia 2006, II, 951,con nota di E. Carbone, Foro it. 2006, I, 2314, Giust. civ. 2006,I, 1698, Giur. it. 2007, 2198, con nota di Gandolfi), sottolinea comeil diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali diciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta, sicchéil giudice deve avere riguardo al modo più conveniente diindividuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciutofino al momento del riconoscimento da parte del padre, prescindendo,anche a tutela dell’eguaglianza fra i genitori, da qualsiasimeccanismo di automatica attribuzione del cognome.INDENNIZZO AI SUPERSTITIMALATTIA PROFESSIONALECassazione civile, sez. lavoro, 6 giugno 2013, n. 14317Con riferimento al rapporto di lavoro dei ferrovieri, l’equoindennizzo è riconoscibile solo a favore dei dipendenti enon anche a favore dei familiari aventi causa, cui l’indennizzocompete per diritto successorio e non iure proprio.L’equo indennizzo, infatti, ha la funzione di ristorare il dipendentedelle menomazioni subite a causa di infermitàa causa di servizio e, pertanto, la procedura amministrativaper la sua concessione deve da lui essere attivata,quantomeno nella fase iniziale della richiesta di accertamentodella causa di servizio, nel rispetto del termine didecadenza fissato dall’art. 4 del d.m. 2 luglio 1983, n.1622, affinché, nel caso di suo decesso, le fasi successivepossano essere promosse dai sui aventi causa.Il casoIl Tribunale riconosce dipendente da causa di servizio l’affezionepolmonare da cui era affetto P ed il conseguente suodecesso, condannando la s.p.a. RFI al pagamento dell’equoindennizzo a favore della vedova R.La decisione è riformata dalla Corte d’appello, la quale osservache, in base al d.m. 2 luglio 1983, n. 1622, emanato in attuazionedella legge 6 ottobre 1981, n. 564, l’equo indennizzopresuppone la previa presentazione della domanda - entroil termine decadenziale di sei mesi - ad opera del dipendenteanche nel caso di richiesta da parte degli aventi causa di riconoscimentodel collegamento del successivo decesso allacausa di servizio; detta prestazione può essere riconosciutasolo a favore del dipendente che ne abbia fatto domanda enon anche a favore dei congiunti del medesimo che risentonoin via indiretta del pregiudizio, i quali possono giovarsi dell’indennizzosolo a titolo successorio e non anche iure proprio.Nella specie la domanda di equo indennizzo era statapresentata dalla moglie del lavoratore a seguito del decessodel marito, e non dal lavoratore, per cui era inammissibile.La R propone, allora, ricorso per cassazione.La soluzione della Corte di cassazioneed i collegamenti giurisprudenzialiLa S.C. rigetta il ricorso. A tal fine spiega, in via preliminare,che la legge 6 ottobre 1981, n. 564, ha esteso ai ferrovieri l’istitutodell’equo indennizzo già inserito nello stato giuridico deidipendenti civili dello Stato (art. 11); in attuazione di tale normativa,il d.m. 2 luglio 1983, n. 1622, ha previsto che l’equo indennizzodi cui all’art. 68 del T.U. approvato con D.P.R. 10 gennaio1957, n. 3, è concesso al dipendente dell’Azienda autonomadelle ferrovie dello Stato che, per infermità o lesionecontratta per cause di servizio, abbia subito una menomazionedell’integrità fisica (art. 1, comma 1). Qualora alla data di emanazionedel decreto di concessione dell’equo indennizzo il dipendenteinteressato sia deceduto per cause di servizio debitamentericonosciute, a seguito di istanza presentata dagliaventi causa nel termine perentorio di sei mesi dalla data dell’eventomortale la morte è ascritta alla prima categoria dellatabella A (misura massima) (art. 1, comma 3). Quanto alle modalitàdi presentazione della domanda, il d.m. stabilisce cheper conseguire l’indennizzo il dipendente deve presentare domandaentro sei mesi dal giorno in cui è stato comunicato ilprovvedimento col quale si riconosce la dipendenza da causedi servizio della menomazione dell’integrità fisica, ovvero entrosei mesi dalla data in cui si è verificata la menomazione dell’integritàfisica in conseguenza dell’infermità o della lesionegià riconosciuta dipendente da cause di servizio (art. 4, comma1). Qualora l’interessato sia deceduto successivamente allapresentazione della domanda di equo indennizzo, e semprechénon ricorra l’ipotesi prevista dal dell’art. 1, comma 3, l’organosanitario deve pronunziarsi con l’indicazione della categoriadi menomazione cui si ritiene possa essere ascritta l’infermitào la lesione alla data della morte (art. 6, comma 2).La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermatoche tale disciplina presuppone che la concessione dell’equoindennizzo sia preceduta dalla presentazione della domandaai sensi dell’art. 4 del citato d.m. da parte del dipendente.L’equo indennizzo può, infatti, essere riconosciuto solo a suofavore, avendo detto istituto la funzione di ristoro al dipendenteper la menomazione da lui subita per infermità ascrivibilea causa di servizio. I congiunti aventi causa che risentanoin via indiretta un pregiudizio per la morte del dipendentepossono, invece, giovarsi dell’indennizzo in questione solo atitolo successorio e non anche iure proprio. In sostanza, titolaredell’indennizzo resta soltanto il dipendente che ha subitola menomazione, mentre ai suoi aventi causa esso spettaiure successionis, atteso che costoro, anche se suoi congiuntistretti, risentono un danno solo indiretto.Presupposto per la concessione dell’equo indennizzo è dunquela domanda avanzata dall’interessato entro il termine perentorioprevisto dall’art. 4 del suddetto d.m. Se essa non èstata avanzata gli eredi non possono far valere alcuna pretesacollegata all’ascrivibilità della morte all’infermità dipendenteda servizio.È stato anche affermato che per i ferrovieri, al pari che per i dipendenticivili dello Stato, la concessione dell’equo indennizzoconsta di un procedimento articolato in due fasi distinte, direttela prima al riconoscimento della causa di servizio e la successivaal riconoscimento dell’equo indennizzo, con distinti edautonomi termini per dette fasi (Cass. 7 ottobre 2004, n.832Famiglia e diritto 8-9/2013
GiurisprudenzaSintesi20006; Cass. 9 febbraio 2004, n. 2390; Cass. 28 novembre2001, n. 15059). Deve essere, quindi, il dipendente a chiederepersonalmente - nel rispetto del termine di decadenza - quantomeno l’accertamento della causa di servizio. Ove il dipendenteabbia soddisfatto quest’onere, nel caso intervenga il decesso,le fasi successive potranno essere attivate dai suoi aventi causaai sensi dell’art. 4, comma 3, per il quale la domanda può essereproposta, con le modalità previste dal comma 1, anche dagliaventi causa del dipendente o del pensionato deceduto (cfr.Cass. 11 ottobre 2007, n. 21332; Cass. 8 aprile 1999, n. 3442).Nel caso di specie, la domanda per il riconoscimento della dipendenzada causa di servizio venne presentata non dal defuntoP ma dalla vedova, successivamente al decesso delconiuge; pertanto, il ricorso è dichiarato inammissibile.COMPETENZATRIBUNALE PER I MINORENNICassazione civile, sez. VI, 11 giugno 2013, n. 14720, ord.Sussiste la competenza del Tribunale per i minorenni, enon del Tribunale ordinario, in relazione alla domanda dirientro di minore trasferito all’estero, essendo tale domandadel tutto estranea al procedimento di separazionepersonale pendente tra i genitori.Il casoIl Tribunale per i minorenni richiede d’ufficio il regolamento dicompetenza avverso il provvedimento con cui il Tribunale hadeclinato la propria competenza funzionale in relazione aduna domanda di rientro immediato in <strong>Italia</strong> della minore M,trasferita all’estero, nell’ambito di un procedimento di separazionetra i genitori R e K.La soluzione della Corte di cassazioneed i collegamenti giurisprudenzialiSecondo i giudici di legittimità non sussiste la competenzadel Tribunale ordinario riguardo ad una domanda di rientro diminore trasferito all’estero, essendo tale domanda del tuttoestranea al procedimento di separazione personale tra i genitori(pendente, nel caso di specie, presso il Tribunale). Sussiste,invece, la competenza del Tribunale per i minorenni,espressamente indicata dalla legge n. 64 del 1994, in ordinea tutte le questioni in cui può essere coinvolto un minore, neicasi previsti, tra l’altro, dalla Convenzione dell’Aja, del 25 ottobre1980, resa esecutiva con legge n. 64 del 1994, di Lussemburgodel 20 maggio 1980, dell’Aja del 28 maggio 1970.Pertanto, la Corte di cassazione dichiara funzionalmentecompetente il Tribunale per i minorenni.Analogamente, già la S.C. aveva affermato, in tema di affidamentodi minori, che, dovendo il discrimine tra la competenzadel Tribunale ordinario e quella del Tribunale per i minorenni essereindividuato in riferimento al petitum ed alla causa petendi,rientrano nella competenza del Tribunale per i minorenni, aisensi del combinato disposto degli art. 333 c.c. e 38 disp. att.c.c., le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelarie temporanei idonei ad ovviare a situazioni pregiudizievoliper il minore, anche se non di gravità tale da giustificare la declaratoriadi decadenza dalla potestà genitoriale, di cui all’art.330 c.c., mentre rientrano nella competenza del Tribunale ordinario,in sede di separazione personale dei coniugi, di annullamentodel matrimonio o di pronunce ex legge n. 898 del1970, le pronunzie di affidamento dei minori che mirino soload individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersicura del figlio, al fine di consentirgli una crescita tranquilla edequilibrata (Cass. 16 ottobre 2008, ord. n. 25290; Cass. 15marzo 2001, n. 3765, in Giust. civ. 2001, I, 2658).AMMISSIBILITÀTUTELA CAUTELARETribunale di Milano 17 aprile 2013, ord.Il diritto di famiglia prevede rimedi speciali, tipici e settoriali,per porre rimedio a ciascuna delle possibili violazioniche uno dei partners dovesse porre in essere; pertanto,difetta la residualità richiesta dall’art. 700 c.p.c.per l’ammissibilità dello strumento cautelare.Il casoX, coniugata con Y, lamenta di essere stata abbandonata dalmarito, che avrebbe instaurato un regime di mobbing domesticocon turbative e molestie ricollegate alla perdita del lavoroda parte della stessa ricorrente; il che avrebbe avutogravi conseguenze anche sulla salute della donna, conseguenzeda correlarsi proprio al comportamento del marito.Pertanto, la donna propone ricorso d’urgenza ex art. 700c.p.c., chiedendo che il Tribunale ingiunga al marito il versamentodi una somma mensile, oltre un contributo una tantum.La soluzione del Tribunale ed i collegamentigiurisprudenzialiIl Tribunale ritiene il ricorso manifestamente inammissibile.Infatti, precisa che il diritto di famiglia prevede rimedi speciali,tipici e settoriali, per porre rimedio a ciascuna delle possibiliviolazioni che uno dei partners dovesse porre in essere:garanzie per l’assegno di mantenimento (art. 156 c.c.); provvedimentiatipici per le condotte aggressive (art. 342 bisc.c.); sanzioni e risarcimento del danno. In caso di gravi inadempienzeo di atti che comunque arrechino pregiudizio alminore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalitàdell’affidamento (art. 709 ter c.p.c.); modifica o revoca deiprovvedimenti interinali (art. 709, ultimo comma, c.p.c.); ingiunzionidi pagamento in ragione delle condizioni della separazioneo divorzio, costituenti titolo esecutivo; sequestrodei beni del coniuge allontanatosi (art. 146 c.c.); presentazionedella domanda di separazione o divorzio. In particolare,poi, nel caso in cui uno dei coniugi ponga in essere condottelesive della persona dell’altro coniuge, è possibile ricorrere ingiudizio ex art. 342 bis c.c. e 736 bis c.c., ed in quella sedesono anche ammesse statuizioni di tipo economico.Pertanto, nel caso di specie, difetta la residualità richiesta dall’art.700 c.p.c. per l’ammissibilità dello strumento cautelare.Già in precedenza la giurisprudenza di legittimità aveva affermatoche il potere di emettere i provvedimenti di cui all’art.700 c.p.c. deve ritenersi precluso al giudice non soltanto inpresenza degli specifici “casi regolati nelle precedenti sezioni”(ossia nelle sezioni 1/2/3 del capo terzo - titolo primo - libroquarto del codice di rito), ma in ogni altro caso in cui lalegge stabilisca per situazioni e rapporti determinate unacompleta disciplina procedimentale, comprensiva anche deiprovvedimenti provvisori ed urgenti, designando il giudicecompetente ad adottarli (Cass. 8 settembre 1992, n. 10292,in Giust. civ. 1992, I, 2642, in materia di modifica delle condizionidella separazione riguardanti i coniugi e la prole; cfr.anche Cass. 11 febbraio 1972, n. 381, in Giust. civ. 1972, I,847, Dir. fam. 1972, I, 447, Foro it. 1972, I, 2051).Famiglia e diritto 8-9/2013 833