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GiurisprudenzaSintesistegno. Il giudice tutelare conferma la nomina dell’amministratorein via definitiva, ritenendo opportuno il conferimentodell’incarico a persona estranea alla famiglia della beneficiaria,in considerazione dei forti contrasti esistenti tra i suoi parenti.Avverso tale decreto la L propone reclamo, chiedendo in viapreliminare la declaratoria di nullità del provvedimento per lamancata instaurazione del contraddittorio nei confronti di tuttii soggetti evocati in giudizio nel procedimento conclusocon il rigetto della domanda di interdizione o di inabilitazione,e, nel merito, la revoca del decreto per essere pienamentecapace di badare ai propri interessi. La Corte d’appello rigettail reclamo, ritenendo infondata la doglianza relativa allamancata convocazione dinanzi al giudice tutelare di tutti coloroche avevano partecipato al giudizio innanzi al Tribunale,avuto riguardo alla completa autonomia dei due procedimenti;nel merito, la Corte osserva che le modalità comportamentalidella donna, il suo totale rifiuto di comprendere le ragionidel provvedimento emanato inducono a ritenere piùche giustificati gli interventi già disposti a sua tutela, la cui efficacia,comunque, è ridotta a mera protezione del suo patrimonio;del resto, i familiari conviventi con la L avevano dimostratodi non essere, nella situazione di conflitto venutasia creare con gli altri congiunti, le persone più idonee ad occuparsidella gestione delle risorse patrimoniali della donna.La L presenta ricorso per cassazione, riproponendo, tra l’altro,la censura relativa all’omessa integrazione del contraddittorionella fase dinanzi al giudice tutelare conseguente allarimessione degli atti del procedimento da parte del Tribunaleex art. 418 c.c., e per l’omessa notificazione del provvedimentodi fissazione dell’udienza innanzi a detto giudice tutelarea tutte le parti del giudizio svoltosi innanzi al giudice rimettente,ancorché non costituite.La soluzione della Corte di cassazioneLa S.C. rigetta il ricorso. Afferma, infatti, che nella proceduraper l’istituzione di un’amministrazione di sostegno, che consistein un procedimento unilaterale, non esistono parti necessarieal di fuori del beneficiario dell’amministrazione, e non è,pertanto, configurabile una ipotesi di litisconsorzio necessariotra i soggetti partecipanti al giudizio innanzi al Tribunale. L’art.713 c.p.c., cui rinvia l’art. 720 bis c.p.c., espressamente limitala partecipazione necessaria al procedimento, come correttamenteposto in rilievo dalla Corte territoriale, al ricorrente, albeneficiario dell’amministrazione di sostegno e alle altre persone,tra quelle indicate nel ricorso, le cui informazioni il giudiceritenga utili ai fini dei provvedimenti da adottare.Risulta, quindi, esatta la conclusione cui la Corte di merito èpervenuta in ordine alla non configurabilità, nella specie, di alcunaviolazione del contraddittorio, per non essere prevista lapartecipazione al procedimento di altri che non fosse la L.I collegamenti giurisprudenzialiSul principio per cui nel giudizio di interdizione parenti ed affinidell’interdicendo non hanno qualità e veste di parti in sensoproprio, avendo essi un compito “consultivo” e cioè di fonti diutili informazioni al giudice, cfr. Cass. 1 dicembre 2000, n.15346; Cass. 15 maggio 1989, n. 2218; conseguentemente lamancata notifica del ricorso ad alcuni dei predetti, a seguito dell’omessaindicazione degli stessi, non determina alcuna nullitàdel procedimento (Cass. 18 febbraio 1982, n. 1023, in Dir. fam.1982, I, 790, Giust. civ. 1983, I, 2085, con nota di Bianco).È stato anche affermato che il procedimento per la nominadell’amministratore di sostegno si distingue, per natura, strutturae funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione;esso, quindi, non richiede il ministero del difensore nelleipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, incui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuarespecificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione aiquali si richiede l’intervento dell’amministratore; è necessaria,per contro, la difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudiceritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiestadell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona,attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenzeanaloghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdettoo l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispettodei principi costituzionali in materia di diritto di difesa edel contraddittorio (Cass. 20 marzo 2013, n. 6861; Cass. 29novembre 2006, n. 25366, in questa Rivista 2007, 121, connota di Chizzini, ed ivi 19, con nota di Tommaseo, nonché inGiust. civ. 2006, I, 2685, Nuova giur. civ. comm. 2007, I, 743,con nota di De Roma, Dir. fam. 2007, I, 1613, Giur. it. 2007,2259, con nota di Socci, Riv. not. 2007, II, 486, con nota di Pedron,Corr. giur. 2007, 199, con nota di Bugetti).FILIAZIONE NATURALEATTRIBUZIONE DEL COGNOMECassazione civile, sez. VI, 5 giugno 2013, n. 14232, ord.In tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlionaturale riconosciuto non contestualmente dai genitori,il giudice deve considerare, quale criterio di riferimento,unicamente l’interesse del minore, con esclusione diqualsiasi automaticità, e può, quindi, disporre di aggiungereil cognome del padre a quella della madre, che haeffettuato per prima il riconoscimento.Il casoIn un procedimento circa l’assunzione di cognome del figlionaturale, riconosciuto da entrambe le parti, il Tribunale per iminorenni attribuisce al minore il cognome paterno, sostituendoloa quello della madre. La Corte d’appello, al contrario,in sede di gravame, dispone l’assunzione del cognomepaterno in aggiunta a quello della madre.Il padre propone, allora, ricorso per cassazione.La soluzione della Corte di cassazioneed i collegamenti giurisprudenzialiLa S.C. rigetta il ricorso. Per il collegio correttamente il giudicea quo esclude ogni automatismo nell’assunzione del cognomepaterno, che viene privilegiato soltanto qualora, aisensi dell’art. 262 c.c., il riconoscimento sia effettuato contemporaneamentedai genitori; il che, nella specie, non si èverificato, avendo il padre riconosciuto il minore solo dopo alcunimesi dalla nascita. Né rileva, al riguardo, la volontà dellamadre di impedire, per alcuni mesi, il riconoscimento paterno;d’altro canto, la madre stessa lamenta un comportamentonegativo della controparte che ruppe la loro convivenza espingeva la gestante all’aborto; e nemmeno la diversa disciplinadella legge dello Stato di origine del padre, consideratala sussistenza della cittadinanza italiana della minore e dellamadre, nonché, per successivo acquisto, dello stesso padre.Del resto, occorre sempre valutare l’interesse del minore aconservare il cognome originario o comunque quello chemeglio rappresenta la sua identità personale. Infatti, la giurisprudenzadi legittimità ha già affermato, in tema di attribuzionegiudiziale del cognome al figlio naturale riconosciutonon contestualmente dai genitori, che il giudice è investitodall’art. 262, comma 2 e 3, c.c. del potere-dovere di decideresu ognuna delle possibilità previste da detta disposizione,Famiglia e diritto 8-9/2013 831

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