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GiurisprudenzaAdozionefamiglia»), che, ridisegnando tra l’altro l’articolo 28della legge 184, ha previsto al riguardo, al 5° e al 6°comma, un regime di autorizzazioni del Tribunaleper i minorenni per gli adottati che hanno raggiuntoi venticinque anni e - entro precisi limiti - ancheper coloro che hanno raggiunto la maggiore età.L’accesso alle informazioni restava invece inibito, aisensi del 7° comma, «se l’adottato non sia stato riconosciutoalla nascita dalla madre naturale e qualoraanche uno solo dei genitori biologici abbia dichiaratodi non voler essere nominato e abbia manifestatoil consenso all’adozione a condizione di rimanereanonimo». Questa confusa dizione è stata daultimo resa più intelligibile dall’articolo 177, 2°comma, del citato d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 sullaprotezione dei dati personali, che così ha disposto:«L’accesso alle informazioni non è consentito neiconfronti della madre che abbia dichiarato alla nascitadi non voler essere nominata ai sensi dell’articolo30, comma 1, del decreto del Presidente dellaRepubblica 3 novembre 2000, n. 396» (2).2. Le pronunce della Corte Costituzionalee della Corte Europea dei Diritti dell’UomoContro tale divieto era stato promosso il 21 luglio2004 giudizio di legittimità costituzionale dal Tribunaleper i minorenni di Firenze, su ricorso di un adultotrentaduenne non riconosciuto alla nascita e adottatonei suoi primi mesi di vita. Il ricorrente aveva lamentatoche con una simile preclusione era recata offesanon soltanto al suo diritto alla propria identitàpersonale, ma anche al principio di uguaglianza, entrambigarantiti dalla Costituzione (articoli 2 e 3),nonché al suo diritto alla salute e all’integrità psicofisica(articolo 32), ma la questione era stata giudicatainfondata dalla Corte Costituzionale con sentenzadel 25 novembre 2005: il legislatore, nel dare prevalenzasenza alcuna limitazione (e quindi in ipoteticocontrasto con l’eventuale futura volontà dell’adottatodi rintracciare la propria madre biologica) alla decisionedella partoriente di restare anonima - osservavail giudice delle leggi - ha giustamente inteso, mediante«una ragionevole valutazione comparativa», da unlato «assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali,sia per la madre che per il figlio», e, dall’altro,«distogliere la donna da decisioni irreparabili, perquest’ultimo ben più gravi» (3).Sulla segretezza conferita dalla legislazione italianaal parto in anonimato, questa volta sotto il diversoprofilo della sua compatibilità con i principi sancitidall’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardiadei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali(firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutivain <strong>Italia</strong> con legge di ratifica 4 agosto, 1955, n.848) (4), è stata infine chiamata a pronunciarsi laCorte Europea dei Diritti dell’Uomo, a seguito di unricorso presentato nel 2009 da una cittadina italiana,nata nel 1943 da donna che si era avvalsa del segreto(5): con lapidaria motivazione, la Corte - purdando atto dell’opposto orientamento espresso sulpunto dalla nostra Corte Costituzionale - ha accoltoil ricorso, affermando perentoriamente che «il dirittoall’identità, da cui deriva il diritto a conoscere lapropria ascendenza, fa parte integrante della nozionedi vita privata», e che, a causa dei divieti frappostidalla legge italiana, la quale - a differenza della legislazionefrancese (6) - non si è preoccupata in al-Note:(2) La condotta di chi rilasci i documenti senza averli resi anonimiè sanzionata dall’articolo 15 del Codice sulla protezione deidati personali, ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile (risarcimentoper l’esercizio di attività pericolose).(3) Corte Costituzionale 25 novembre 2005, n. 425, in questa Rivista,2006, 19 ss. Cfr., al riguardo, D. Paris, Parto anonimo e bilanciamentodegli interessi nella giurisprudenza della Corte costituzionale,del Conseil constitutionnel e della Corte europeadei diritti dell’uomo (con alcuni spunti per una rilettura dell’inquadramentocostituzionale dell’interruzione volontaria della gravidanza),il quale rileva che da un’attenta lettura della motivazionedella sentenza si ricava come lo schema argomentativo sceltodalla Corte costituzionale poggi, più che su un vero e proprio“bilanciamento di diritti”, sulla prevalenza da accordare alla protezionedella vita prenatale (www.forumcostituzionale.it).(4) Articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare): «1.Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare,del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può aversiinterferenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto,a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituiscauna misura che, in una società democratica, è necessariaper la sicurezza pubblica, per il benessere economico del paese,per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per laprotezione della salute o della morale, o per la protezione dei dirittie delle libertà degli altri».(5) Nella parte espositiva (p. 2) della sentenza con la quale ha decisoil caso, la Corte Europea ha erroneamente definito “adoptionsimple” l’affiliazione, con la quale la ricorrente venne affidata dalgiudice tutelare a una famiglia, ai sensi degli allora vigenti articoli404 ss. del codice civile (istituto poi abolito con l’entrata in vigoredella Legge 4 maggio 1983, n. 184 sull’adozione dei minori).(6) Secondo l’articolo 147-2 del Code de l’action sociale et des familles,modificato dalla Legge 22 gennaio 2002, n. 93, il minoreche ha raggiunto l’età di discernimento può, con l’assenso deisuoi rappresentanti legali, essere ammesso dal Conseil Nationalpour l’accès aux origines personnelles (CNAOP) a conoscerel’identità della donna che non l’aveva riconosciuto alla nascita, sequest’ultima - interpellata in proposito - dichiara di rinunciare almantenimento della segretezza del parto (levée du secret). Ciòconsiderato, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva stabilitonel 2003 che in tal modo il diritto alla segretezza del parto viene aessere ragionevolmente conciliato con la possibilità per l’adottatodi conoscere le proprie origini, così salvaguardando il rispetto dellavita privata tutelato dall’articolo 8 della CEDU: cfr. Cour Européennedes Droits de l’Homme, grande chambre, 13 février 2003,affaire Odièvre c. France, n. 42326/98, in http://www.planning-familial.org/actualites/index.php?select=82&mots=(la sua traduzionein lingua italiana è reperibile in Giustizia civile, 2004, 1, 2177ss.).Famiglia e diritto 8-9/2013 823

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