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GiurisprudenzaAdozionenità in cui vive. Si tratta di una valutazione complessivadella persona, che comprende elementi di diversa natura,l’insieme dei quali consente a ciascuno di “costruirsi” unapropria identità. L’immagine che ciascuno ha di se stessoè dunque la risultante di diversi elementi tra i quali i legamibiologici rivestono un rilevante ruolo.Nel diritto internazionale pattizio si rinvengono disposizionia tutela del diritto all’identità personale ed alla ricercadelle proprie radici: gli artt. 7 e 8 della Convenzionedi New York affermano il diritto del fanciullo a conoscerei propri genitori, sancendo altresì l’impegno per gliStati contraenti a garantire il rispetto del diritto del minorea preservare propria identità, comprendente nazionalità,nome e relazioni familiari; mentre l’art. 30 dellaConvenzione dell’Aja impone agli Stati contraenti, nellamisura consentita dalla propria legge, di assicurare l’accessodel minore o del suo rappresentante alle informazioniconservate sulle sue origini, in particolare quelle relativeall’identità della madre e del padre.Contribuisce a precisare i contorni del diritto alla identitàanche la recente sentenza della CEDU 25/9/2012, Godellic. <strong>Italia</strong>, in cui al punto 46 (si) ricorda che “l’articolo8 protegge il diritto all’identità e alla serenità personalee quello di annodare e sviluppare relazioni con i proprisimili e il mondo esterno”. A questa serenità contribuisconoil poter disporre dei dettagli sulla propria identitàdi essere umano e l’interesse vitale, protetto dalla convenzione,ad ottenere informazioni necessarie alla scopertadella verità concernente un aspetto importante dellapropria identità personale, ad esempio l’identità dei genitori(Mikulie, precitato, §§ 54 e 64). La nascita, e lecircostanze specifiche di questa, danno risalto alla vitaprivata del bambino prima e dell’adulto poi, e devono esseregarantite dall’articolo 8 della Convenzione che trovadunque applicazione nella fattispecie.Il diritto a conoscere le proprie origini costituisce unaspetto del più ampio diritto all’identità personale; quindianche il diritto a conoscere le proprie vere origini, chepuò contribuire in maniera determinante a delineare lapersonalità di un essere umano, può e deve trovare tutelanei principi fissati dall’art. 2 Cost., nell’ambito di una difesadell’identità individuale nella complessità ed unitarietàdi tutte le sue componenti. In tale prospettiva, il negarea priori l’autorizzazione all’accesso alle notizie sullapropria famiglia biologica per il solo fatto che il genitoreabbia dichiarato di non voler essere nominato sembraporsi come una violazione del diritto di ricerca delle proprieorigini e dunque del diritto all’identità personale dell’adottato,rappresentando la conoscenza della propria famigliabiologica un elemento cruciale per la costruzioneculturale, nazionale e sociale della persona.L’esigenza di tutelare in modo assoluto il diritto alla riservatezzadella madre biologica dovrebbe rispondere soprattuttoall’interesse pubblico di disincentivare il ricorsoa metodi di interruzione della gravidanza o, nei casipeggiori, di evitare l’infanticidio.Ma garantire il segreto significa anche tutelarla da unpassato da dimenticare perché disonorevole o doloroso,soprattutto nel quadro culturale e sociale di qualche decenniofa, in cui un figlio illegittimo era consideratoun’onta: in quest’ottica, peraltro, il semplice prevedere lapossibilità di confermare, su istanza del figlio, la decisionepresa molti anni prima in ordine alla scelta di rimanerenell’anonimato non sembrerebbe comportare alcunpericolo per gli interessi di cui sopra, posto che la madrepotrebbe sempre ribadirla e dunque decidere di restareanonima. Se l’esigenza principale è dunque quella di tutelareil diritto al riserbo della madre, non si vede perchési debba escludere che essa - fermo restando il necessarioe preventivo atto di impulso del figlio - si possa esprimerenuovamente sul merito; il suo diritto all’anonimato resterebbe,infatti, ugualmente garantito e di conseguenzala preclusione del comma 7 non appare giustificata in vistadella tutela di un interesse prevalente.Quanto sopra anche in considerazione del mutato sentiredella nostra società, in cui un figlio nato fuori dal matrimonionon è più concepito come un disonore: basti considerareil continuo crescere delle famiglie di fatto, dellemadri non coniugate e non conviventi, del ricorso ai metodidi inseminazione artificiale, ecc. Infine, siffatta possibilitànon potrebbe nemmeno comportare, nell’otticadella famiglia adottiva, nessun pericolo in più rispetto aquelli cui non sia già tuttora esposta a seguito della possibilitàconcessa all’adottato dai nuovi commi 5 e 6. Il genitoreche abbia scelto di non voler essere nominato almomento della nascita del proprio figlio dovrebbe apparire,oltretutto, molto meno pericoloso (in vista di potenzialipretese “restitutorie”) agli occhi dei genitori adottivirispetto a quello che si sia reso “conoscibile” o a quello,ancora di più, il cui figlio sia stato adottato dopo qualcheanno dalla nascita, magari anche contro la propria volontà.Il legislatore del 2001, nel riformare l’art. 28 della leggen. 184/83 in ordine all’accesso alle informazioni circa leproprie origini da parte dell’adottato, ha mostrato di recepirei suggerimenti pervenuti dalle scienze giuridiche,psicologiche e sociali e concernenti l’importanza del dirittodell’adottato alla conoscenza dei propri dati biologiciquale esplicazione del diritto alla costruzione della propriaidentità personale; ma con la previsione di cui alcomma VII, d’altra parte, rischia di precludere irrazionalmente,nella maggior parte dei casi, ciò che voleva consentire.In particolare, asserito contrasto con l’art. 3 Cost.La rigida preclusione di cui all’art. 28, comma 7, contrastaanche con l’art. 3 Cost. in relazione al principio dieguaglianza, in quanto sottopone ad una diversa disciplinal’adottato la cui madre non abbia dichiarato alcunché- nel qual caso è richiesta solo l’autorizzazione del Tribunaleper i minorenni, peraltro nemmeno necessaria nelcaso di morte o irreperibilità dei genitori adottivi - equello la cui madre abbia dichiarato di non voler esserenominata, senza tenere in alcuna considerazione l’eventualitàche possa aver cambiato idea e lei stessa desideri,dopo tanto tempo, avere notizie di quel figlio che, in circostanzesicuramente drammatiche, si era determinata adabbandonare.818Famiglia e diritto 8-9/2013

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