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GiurisprudenzaMinoriCorte d’appello di Brescia, sez. per i minorenni, 17 maggio 2013, decr. - Pres. e Rel. CampanatoFiliazione - Affidamento minori - Consulenza tecnica contestata - Motivazione insufficiente - Giudizio di rinvio - Fattispeciein tema di sindrome di alienazione parentale - Disturbi relazionali del minore - Provvedimenti in meritoL’oggettivo riscontro di disturbi della personalità del minore manifestatisi in forme anomale d’avversione neiconfronti del padre, quando sia provato che sono causati dal comportamento alienante e possessivo dellamadre, giustifica gli opportuni provvedimenti giudiziali nell’interesse del minore e ciò anche indipendentementedalla loro qualificazione in termini di sindrome di alienazione parentale essendo sufficiente ricondurli aproblemi relazionali molto frequenti nelle famiglie in crisi.OmissisG.O., madre del minore L., con ricorso depositato il9.4.2013 ha riassunto avanti a questa corte il procedimentoconclusosi innanzi la Corte d’Appello di Veneziain data 13 luglio/2 agosto 2012 ed impugnato davanti allaCorte di Cassazione, annullato dalla stessa in data 20marzo 2013 con rinvio alla Corte d’appello di Brescia.OmissisII provvedimento della Corte territoriale veneziana è statocassato per vizio di motivazione su di un punto decisivo econtroverso della causa, vale a dire per non avere affrontatoil tema dell’attendibilità scientifica della teoria posta allabase della diagnosi di sindrome da alienazione parentale,pur avendo posto la consulenza di cui richiama ampibrani nella sua motivazione a fondamento della decisione.La corte di legittimità, nel rinviare alla corte territoriale bresciana,il procedimento richiama le critiche avanzate dalmondo scientifico e dalla stessa difesa della madre e prescrivedi verificare il fondamento della teoria richiamata dalla Ctu.La difesa della ricorrente sostiene che la teoria della PASrisalente a Gardner e seguita in <strong>Italia</strong> da alcuni autori comeil prof. Gulotta e le dott. Cavedon e Liberatore richiamaotto elementi significativi per l’individuazionedella ritenuta psicopatologia, dei quali la Ctu De Nicolane individua sei in L. pervenendo alla infausta diagnosisulla quale si fonda il provvedimento cassato.Dal riscontro di questi sigma l’esperto dimostra la manipolazionematerna in danno del minore, senza alcun riferimentoal comportamento della madre.Inoltre dalla rilevazione di una malattia che viene contestatasarebbe scaturito un atteggiamento salvifico paternoche avrebbe indotto il padre ad un atteggiamentoconnotato da aggressività ed ossessività al punto da presentareoltre venti denunce penali nei confronti dellamoglie. Pertanto sarebbe stata la errata diagnosi di PAS,stato patologico inesistente, a scatenare il conflitto tra igenitori e a diventare essa stessa causa del conflitto, moltiplicandola drammaticità della situazione in cui vi sarebbe,senza alcuna prova, un genitore vittima (genitorebersaglio) di un genitore criminale (genitore alienante)ed un figlio affetto da psicopatologia.Di conseguenza anche la terapia proposta, vale a dire l’interruzionein maniera radicale di ogni rapporto del genitorealienante con il minore sarebbe del tutto priva difondamento scientifico e nel caso in esame avrebbe prodottogrande frustrazione nel bambino.Secondo la parte resistente, la comunità scientifica riconoscein modo pressoché unanime questo disturbo relazionalepsicopatogenico.Invero vi sono psicologi e psichiatri importanti che hannosottoscritto alcuni documenti in cui si dà atto dell’esistenzadi tale forma di alienazione, come risulta dalla documentazioneprodotta dal convenuto. La SINPIA, Societàitaliana di Neuro psichiatria Infantile la riconoscesin dal 2007; essa risulta essere inserita nel DSM IV nellasezione problemi relazionali genitore-bambino; moltesono le pubblicazioni che riguardano 1’alienazione genitoriale(doc. 8). Si deve aggiungere che anche la Corte dicassazione con la sentenza n. 5847/12 pubblicata l’8.3.13non ha posto in discussione la diagnosi di PAS posta afondamento del provvedimento impugnato.II fatto che altri esperti neghino il fondamento scientificodi tale sindrome non significa che essa non possa essereutilizzata quanto meno per individuare un problemarelazionale molto frequente in situazione di separazionedei genitori, se non come una propria e vera malattia.Più volte è stato ritenuto in decisioni giurisprudenzialiche l’atteggiamento del bambino che rifiuta l’altro genitore,per un patto di lealtà con il genitore ritenuto più debole,può condurlo ad una forma di “invischiamento” capacedi produrre nella sua crescita non solo una situazionedi sofferenza, ma anche una serie di problemi psicologicialienanti.II problema è verificare se i disturbi certamente rilevati dalCtu a carico del minore, riconosciuti dalla stessa madre, sianoriconducibili alla responsabilità della madre in quantogenerati dal suo comportamento nei confronti del padre.Questi, la cui personalità è parimenti stata posta in discussionedal consulente per la sua rigidità, ha riconosciuto all’attodella separazione l’importanza che il bambino crescessecon la madre, accettando l’affidamento esclusivo allamedesima, come all’epoca era prassi, non essendo ancorastata attuata la modifica dell’art. 155 c.c. che presupponedi regola l’affidamento condiviso, ma riservando a sestesso la frequentazione con il figlio da attuarsi in terminimaggiormente ampi con la crescita del medesimo.Nessuna colpa può ravvisarsi, né gli è stata addebitata dacontroparte per il comportamento del figlio che ad un certopunto ha manifestato un atteggiamento straordinariamenterepulsivo e pervicace, giungendo al punto da nonvolere nemmeno scendere dall’autovettura con la quale lamadre lo portava agli appuntamenti programmati con il padre,né voler entrare nella stanza dove questi si trovava edal punto anche di rivolgergli epiteti ingiuriosi e manifestazionigravi di avversione, come prenderlo a calci e pugni.L’uso degli epiteti utilizzati per offendere il padre inoltrenon è quello tipico di un bambino, ma sembra veramentesuggerito dalle espressione degli adulti.Famiglia e diritto 8-9/2013 749

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