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GiurisprudenzaIdentità personalemento del prenome o del cognome da parte delle autoritànazionali determina di per sé un’illegittima ingerenza,dovendo l’intervento statuale, quando giustificato dallalesione della dignità del minore, sotto il profilo dell’identitàpersonale, limitarsi al rifiuto.Il quadro normativo interno che regola l’ambito dellascelta dei genitori nell’imposizione del prenome al propriofiglio minore deve, conseguentemente, essere interpretatoalla luce della qualificazione del diritto al nomecome diritto fondamentale della persona umana e dell’inclusioneda parte della giurisprudenza EDU della sua tutela,nell’ambito del diritto alla vita privata e familiare. IlD.P.R. n. 396 del 2000, artt. 34 e 35 dettano una disciplinadel diritto alla scelta del nome del tutto coerente conl’accertata collocazione ed ampiezza del diritto. L’interventocorrettivo dell’autorità statuale è correlato esclusivamentealla tutela effettiva della dignità personale, inquanto direttamente e continuativamente condizionatadall’elemento dell’identità personale costituito dal nome.L’art. 34 vieta l’imposizione di nomi ridicoli o vergognosi,del tutto coerentemente con il limite della Corte EDUdei nomi “inusitati”.L’art. 35 introduce un ulteriore limite all’esercizio dellascelta, costituito dalla corrispondenza del nome al sesso,al fine di escludere che un profilo d’indubbio rilievo dellapropria identità come il genere possa essere posto indubbio o ingenerare ambiguità incidenti sul rispetto delladignità personale.In questa cornice che delimita i confini della libertà discelta del nome, il legislatore, nell’art. 34, comma 2, riconosceil diritto di imporre ai minori, cittadini italiani,nomi stranieri “ espressi in lettere dell’alfabeto italiano,con la estensione alle lettere J, K, X, Y, W, e, dove possibileanche con i segni diacritici propri dell’alfabeto dellalingua di origine del nome”. Da questa previsione riemergela duplice dimensione, individuale e relazionale,della funzione identificativa e distintiva del nome, attraversoil riconoscimento dell’importanza, nella definizionedell’identità personale, del collegamento con il proprionucleo familiare e il bagaglio culturale, nazionale egeografico che lo determinano. Il legislatore italiano,anche in considerazione del crescente fenomeno di contaminazioneed integrazione di culture, determinato dallalibera circolazione nei paesi UE e dall’intensità del fenomenomigratorio, ha escluso di poter limitare il dirittoalla scelta del nome mediante parametri di natura nazionalistica,peraltro censurati dalla Corte EDU, ed haaperto la possibilità di scelta a tutti i nomi di originestraniera, salvi i limiti, strumentali al rispetto della dignitàpersonale, costituiti dai divieti contenuti nell’art.34, comma 1 e nell’art. 35. Pertanto, alla luce della letturacoordinata delle due disposizioni sopra citate, risultaagevole la soluzione dei quesiti posti dai due motividel ricorso. Il nome A., in numerosi contesti nazionalistranieri europei (Slovacchia, Inghilterra, Spagna, Germania,Olanda, Danimarca ed Ungheria) ed extraeuropei(in particolare gli Stati Uniti) ha una valenza biunivoca,potendo essere indifferentemente utilizzato persoggetti femminili e maschili. Anche nel nostro paesenon è infrequente imbattersi in persone di sesso femminile,di nazionalità o provenienza estera, che abbianoquesto prenome. Il provvedimento impugnato, ritenendoriferibile il prenome “ A.” esclusivamente ad una personadi sesso maschile, ha, invece, collocato la valutazionedella legittimità della scelta operata dai ricorrenti,esclusivamente nel solco della tradizione italiana, senzatenere conto dell’attuale incidenza di fattori d’interferenza,provenienti da culture straniere, cui viene riconosciutadiretta dignità e tutela dalla disciplina normativaitaliana, mediante il citato art. 34, comma 2, favorita,nella specie, dalla formulazione letterale del nome stesso.In questa accezione rigidamente nazionalistica, ilprenome “A.” è stato anche considerato nella circolareesplicativa n. 27 del 1/6/2007 del Ministero degli Interni,ma deve essere precisato che tale atto non ha efficacianormativa ma esclusivamente esemplificativa, nondeterminando alcun vincolo in sede di accertamentogiurisdizionale.Pertanto, la natura sessualmente neutra del nome A.,nella maggior parte dei paesi europei, nonché in moltipaesi extraeuropei, tra i quali gli Stati Uniti, per limitarsiad un ambiente culturale non privo d’influenze nel nostropaese, unita al riconoscimento del diritto d’imporreun nome di provenienza straniera al proprio figlio minorenei limiti del rispetto della dignità personale, così comedefinita nel D.P.R. n. 396 del 2000, art. 34, comma 1e art. 35, non può che condurre ad una soluzione oppostaa quella fornita dalla sentenza di secondo grado. Ilnome A., anche per la sua peculiarità lessicale, non puòdefinirsi né ridicolo né vergognoso se attribuito ad unapersona di sesso femminile, né potenzialmente produttivodi un’ambiguità nel riconoscimento del genere dellapersona cui sia stato imposto, non essendo più riconducibile,in un contesto culturale ormai non più rigidamentenazionalistico, esclusivamente al genere maschile.La ratio del divieto di attribuire un nome non corrispondenteal sesso del minore è sempre quella fondatasul massimo rispetto della dignità personale. Un segnodistintivo così rilevante come il nome non può avere uncontenuto di evidente confusione su un carattere, qualeil genere, di primario rilievo. Ma quando la caratterizzazionedi genere, come nel caso del nome A., ha perso lasua valenza distintiva esclusiva a causa dell’uso indifferenziatoper entrambi i generi, in molti paesi stranieri,del nome in questione, la scelta dei genitori, alla lucedell’art. 34, comma 2, è del tutto legittima perché nondetermina alcuno sconfinamento nella lesione della dignitàpersonale.Il ricorso deve, in conclusione, essere accolto. Il provvedimentodella Corte d’Appello di Firenze deve essere cassatoe, non essendo necessari ulteriori accertamenti difatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art.384 c.p.c., comma 2. Ne consegue il rigetto del ricorsoproposto dal pubblico ministero avverso l’imposizionedel prenome “A.” alla figlia minore dei ricorrenti ela cancellazione della rettifica dell’atto dello stato civiledisposta all’esito del giudizio di primo grado con la qualeil prenome della minore è stato sostituito con “G.A.”.Non vi è luogo ad una statuizione sulle spese in ragionedella qualità della parte soccombente.768Famiglia e diritto 8-9/2013

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