GiurisprudenzaIdentità personaleEtimologia del nomeCASSAZIONE CIVILE, sez. I, 20 novembre 2012, n. 20385 - Pres. Luccioli - Rel. AciernoPersona fisica e diritti della personalità - Potestà genitoriale - imposizione del nome - scelta dei genitori esercenti la potestà- parametri normativi - Imposizione del prenome “Andrea” a persona di sesso femminile - Legittimità(D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, artt. 34, 35, 95, 96; c.c. art. 6)L’imposizione del prenome “Andrea” ad una neonata non viola il disposto dell’art. 34 D.P.R. 3 novembre 2000,n. 396, che vieta l’uso di nomi ridicoli o vergognosi, non potendo, detto prenome, per la sua peculiarità lessicale,così ritenersi ove attribuito ad una persona di sesso femminile ed essendo, altresì, rispettoso del dettatodell’art. 35 del D.P.R. richiamato, che impone la corrispondenza del nome al sesso, posto che il prenome‘Andrea’ ha natura sessualmente neutra, essendo utilizzato, nella maggior parte dei paesi europei ed extraeuropei,per soggetti femminili e maschili indifferentemente, e, pertanto, non è produttivo di alcuna ambiguità.Conforme Trib. Torino 9 aprile 2008ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALIDifforme Trib. Milano 20 febbraio 2003; Trib. Catanzaro 14 aprile 2009; Trib. Varese 23 luglio 2010Svolgimento del processoIn accoglimento del ricorso del pubblico ministero, il Tribunaledi Pistoia aveva disposto la rettificazione dell’attodello stato civile nel quale risultava imposto alla figlia deisignori M.G. e Z.P. il prenome “A.”, ordinandone la sostituzionecon “G.A.”, in modo che il nome completofosse Z.G.A.. Avverso tale provvedimento hanno propostoreclamo i genitori della minore, deducendo che il nome“ A.”, contrariamente a quanto sostenuto dal giudicedi primo grado, avrebbe assunto, anche in <strong>Italia</strong>, una valenzaanche femminile, oltre che maschile, con la conseguenzache nessun impedimento si sarebbe dovuto frapporreall’imposizione del nome stesso ad una persona disesso femminile. La Corte d’Appello di Firenze ha rigettatoil proposto reclamo affermando che il nome “ A.” hanella tradizione culturale italiana una valenza esclusivamentemaschile, con la conseguenza che, nella situazioneattuale e salvo modifiche future, l’imposizione di questonome in via esclusiva viola il D.P.R. n. 396 del 2000, art.35, ai sensi del quale il nome imposto al bambino devecorrispondere al sesso.Avverso tale decreto hanno proposto ricorso per cassazioneM. G. e Z.P. affidandosi a due motivi.Motivi della decisioneNel primo motivo viene censurata, ai sensi dell’art. 360c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione del provvedimentoimpugnato sotto diversi profili.In primo luogo viene lamentato che il rigetto del reclamosia stato fondato esclusivamente sull’origine etimologicae la tradizione culturale formatasi in <strong>Italia</strong> in ordine all’elementoonomastico del nome A. In secondo luogo,viene censurato che non si sia tenuto conto dell’intervenutacircolare interpretativa n. 27 del 2007 del Ministerodegli Interni nella quale, per chiarire la portata del divietodi assegnare alla prole nomi non corrispondenti alsesso, è stata utilizzata come ipotesi esplicativa propriol’imposizione del nome A., a comprova del carattereesclusivamente maschile del nome usato come esempio.Questa necessità, secondo la parte ricorrente dimostra, alcontrario, che numerose sono state le istanze di questotenore a conferma di un nuovo maturato sentire collettivo,che si palesa diametralmente opposto a quello posto afondamento del provvedimento impugnato. In terzo luogoviene censurato che si sia omesso di motivare in ordinealle deduzioni difensive relative all’interpretazione coordinatadell’art. 34, commi 4 e 2, citato D.P.R.. Il comma4, a tenore del quale l’Ufficiale di stato civile chiamatoa registrare una femmina di nome A. deve informare igenitori della possibilità che da questa loro scelta discendaa loro carico un procedimento di rettifica davanti adun Tribunale su istanza della competente Procura dellaRepubblica, ingenera nei destinatari dell’avviso un timorereverenziale tale da produrre nella maggior parte deicasi una desistenza dall’istanza. Il comma 2, consentendol’attribuzione di nomi stranieri ai bambini aventi la cittadinanzaitaliana, con espressa possibilità di estensione allelettere J, K, Y, X, W, anche con facoltà d’impiegare i segnidiacritici propri dell’alfabeto della lingua di originedel nome prescelto, introduce un principio pregevole econdivisibile perché tiene nel debito conto le trasformazionidel contesto linguistico prodottesi nel tempo dietrole spinte delle ingerenze straniere. Il nome A., proprio invirtù della valenza assunta in molti paesi europei, dovrebbeessere ritenuto sessualmente neutro, secondo lalingua italiana, e conseguentemente attribuibile anchead una persona di sesso femminile, come dimostra l’attualediffusione di questo prenome tra le donne straniereche vivono nel nostro paese. Peraltro, il giudice di secondogrado trascura di considerare che si determinerebbeun’ingiustificata discriminazione a carico dei cittadiniitaliani anche di nascita, rispetto agli stranieri, naturaliz-766Famiglia e diritto 8-9/2013
GiurisprudenzaIdentità personalezati italiani, che possono preservare il loro nome originario.Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsaapplicazione del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 35 in relazioneall’art. 3 Cost. e art. 34, medesimo decreto. Unalettura costituzionalmente orientata del predetto art. 35dovrebbe condurre alla legittimità dell’imposizione delnome A. ad una persona di sesso femminile, se non si voglionoignorare i significativi cambiamenti nel sentire socialee le nuove tendenze linguistiche dovute al processod’integrazione in atto nel nostro paese. L’art. 34, comma2, consente la scelta di nomi stranieri mutuati da vocabolarionomastici del tutto estranei alla nostra tradizioneche presentano una formulazione letterale tale da nonconsentire un’agevole collocazione nel genere maschile ofemminile o da avere un carattere sessualmente neutro. Ilnome A. è usato al femminile in molti Stati membri dell’Unione(Slovacchia, Inghilterra, Spagna, Germania,Olanda, Danimarca ed Ungheria), così da doverlo annoveraresenz’altro tra gli elementi onomastici di cui al citatoart. 34. In conclusione, negare il diritto all’attribuzionedel nome A. al femminile significa vanificare laportata effettiva della norma che facoltizza l’attribuzionedi nomi stranieri, con conseguente insanabile contrastocon il successivo art. 35. La valenza sessuale neutra delnome lo rende assimilabile alla maggioranza dei nomistranieri che l’ordinamento dello stato civile autorizza adassegnare. Ne consegue che l’unica lettura corretta e costituzionalmenteorientata degli art. 34 e 35 induce a ritenerelegittima l’imposizione del nome A. a una personadi sesso femminile, anche perché assimilabile ai nomistranieri ex art. 34.I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamentein quanto intrinsecamente connessi.II diritto al nome costituisce una componente essenzialedei diritti fondamentali della persona umana perché rappresentaun elemento costitutivo dell’identità individuale,consentendo un’identificazione immediata e riconoscibiledel soggetto che lo porta, da ritenersi un attributonecessario ed ineludibile per lo sviluppo soggettivo e relazionaledella personalità (art. 2 Cost., art. 8 CEDU, art.7 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea). Ildiritto alla scelta del nome (inteso come comprensivo delprenome e del cognome) diversamente dagli altri dirittifondamentali, caratterizzati dal minimo comune denominatoredell’autodeterminazione, non viene esercitato dalsoggetto cui il nome è imposto al momento della nascitao nella sua immediatezza, ma dal genitore o dai genitoriche lo riconoscono. In tutti gli ordinamenti si pone, conseguentemente,il problema di un adeguato bilanciamentodel diritto dei genitori alla scelta del nome secondopreferenze, modelli o tradizioni costituenti il bagaglioculturale familiare di riferimento, ed il rispetto della dignitàpersonale che costituisce il criterio conformativoimmanente ad ogni diritto fondamentale dell’individuo.Proprio in virtù della primaria rilevanza dell’elemento distintivocostituito dal nome nel catalogo dei diritti fondamentalidella persona umana, esso è oggetto di protezionenei più significativi strumenti internazionali convenzionalidei diritti della persona, oltre ad essere costituzionalmentegarantito attraverso l’art. 2 e, attraversoun’interpretazione sistematica e coordinata della norma,anche dall’art. 30 Cost.. L’art. 24 del Patto internazionalesui diritti civili e politici del 16/12/1966, entrato in vigoreil 23/3/1976, prescrive che tutti i bambini debbanoportare un nome, mentre la Convenzione di New Yorksui diritti del fanciullo del 20/11/1989, ratificata con la L.25 luglio 1991, n. 176, con gli artt. 7 ed 8 impegna gliStati membri a rispettare il diritto del fanciullo a preservarela propria identità, compreso il suo nome, senza ingerenzeillegali. Già dall’esame delle fonti convenzionalisopra evidenziate, costituenti parte integrante dello statutocostituzionale dei diritti umani della persona, ormainon più declinabile soltanto alla luce del sistema costituzionaleinterno dei singoli ordinamenti (S.U. n. 19393del 2009), emerge la dimensione relazionale del diritto,in quanto strumento di collegamento con il gruppo familiareod il singolo genitore cui spetta concretamente lascelta. Il riconoscimento di questa peculiarità, in strettaconnessione con la funzione di definizione dell’identitàpersonale, ha determinato nella giurisprudenza dellaCorte Europea dei diritti umani l’inclusione del diritto alnome nell’alveo del diritto alla vita privata e familiare(art. 8 CEDU). Pur in mancanza di un’espressa previsionecontenuta nella Convenzione (al pari della Costituzionee della Carta dei diritti fondamentali dell’UnioneEuropea), la Corte Edu ha riconosciuto che il nome ed ilprenome sono “strumenti d’identificazione personale e dicollegamento alla famiglia” (Sentenza 22/2/1994, n.16213/90, caso Burghartz contro Svizzera). La scelta delprenome rientra nella sfera della vita privata dei genitori(Sentenza 24/10/96, n. 22500/93, caso Guillot controFrancia e sentenza 6/9/97, n. 10163/95, Salonen controFinlandia). La Corte, peraltro, nelle medesime pronunce,non ritiene che tale diritto conferisca ai genitori una libertàassoluta di scelta del nome e del prenome, riconoscendoun interesse pubblico e sociale alla regolamentazionedel suo uso che può realizzarsi mediante il rifiutodelle Autorità nazionali a consentire l’imposizione di nomi“inusitati”. La sfera della vita privata dei genitori incontrail limite della tutela della dignità del minore.Il bilanciamento d’interessi tra il diritto alla non ingerenzanelle scelte personali e familiari e l’intervento delleautorità nazionali dei singoli Stati deve avvenire mediantel’assunzione del criterio della proporzionalità edella adeguatezza rispetto al fine (il diritto del minore anon subire conseguenze negative nella sfera della dignitàpersonale a causa di un nome inusitato) che s’intenderealizzare. Nella più recente sentenza Johansoon controFinlandia (n. 10163/02 del 6/9/2007), la Corte EDU, inapplicazione dei principi sopraesposti, ha ravvisato laviolazione dell’art. 8 nel rifiuto delle autorità finlandesid’imporre un nome solo perché non di origine finlandese.Il nome scelto, in quanto non eccentrico né ridicolo, nonpone, secondo la Corte, il problema della tutela degli interessidel minore, con la conseguenza che il rifiuto integraun’illegittima ingerenza nella sfera della vita privata efamiliare di esso e dei suoi genitori. Peraltro, il cambia-Famiglia e diritto 8-9/2013 767