Corte dei conti, in alcuni organi come <strong>la</strong> Banca centrale europea, e in praticamente tutte le agenzie, il numero <strong>del</strong>le lingue di<strong>la</strong>voro varia da uno a un massimo di cinque. Il perché risiede nel fatto che <strong>la</strong> loro attività è svolta fondamentalmente dafunzionari 146 sopranazionali e non da rappresentanti. In questi contesti, quindi, prevalgono le esigenze funzionali, in partico<strong>la</strong>re<strong>la</strong> rapidità e l'efficacia <strong>del</strong><strong>la</strong> comunicazione e quindi vige una limitazione <strong>nell</strong>'uso <strong>del</strong>le lingue di <strong>la</strong>voro.Va peraltro detto che lo Statuto dei funzionari 147 prevede esplicitamente che ogni funzionario, oltre ad avere unaconoscenza approfondita di una <strong>del</strong>le lingue <strong>del</strong><strong>la</strong> Comunità (generalmente <strong>la</strong> lingua madre), debba possedere almeno unaconoscenza soddisfacente di un'altra <strong>del</strong>le lingue <strong>del</strong><strong>la</strong> Comunità, nel<strong>la</strong> misura necessaria al<strong>la</strong> funzione che deve esercitare; inalcuni casi vengono chieste conoscenze linguistiche specifiche 148 .In generale, diversi sono i fattori che spiegano l'emergere di alcune lingue ad un ruolo dominante rispetto ad altre;Salmasi (2002: 1) riporta i seguenti: le consuetudini di <strong>la</strong>voro, <strong>la</strong> politica d'insegnamento <strong>del</strong>le lingue straniere degli Stati, il loropeso economico, <strong>la</strong> politica linguistica dei singoli Paesi membri negli usi amministrativi, <strong>la</strong> distribuzione geografica degli enti, e icontatti con i paesi terzi e le altre organizzazioni internazionali. In partico<strong>la</strong>re, continua sempre Salmasi (2002: 2), vannosottolineati <strong>la</strong> natura tecnico-settoriale degli argomenti comunitari e <strong>la</strong> dimensione sopraculturale <strong>del</strong> contesto europeo.Abbiamo già studiato nel capitolo secondo quali sono nel<strong>la</strong> prassi le lingue più utilizzate dai funzionari nei vari enti checompongono l'architettura politica <strong>del</strong>l'Unione. In partico<strong>la</strong>re abbiamo visto che <strong>nell</strong>e istituzioni soprattutto il <strong>fra</strong>ncese e l'ingleseche svolgono di fatto un ruolo di lingue sopranazionali (o veico<strong>la</strong>ri) 149 , in quanto usate soprattutto da persone non madrelingue.Tuttavia, come nota Labrie (1993: 113), «in assenza di reali strumenti di misura, risulta difficile valutare esattamente <strong>la</strong>posizione di queste lingue 150 ». Sembra comunque che l'inglese abbia assunto definitivamente il ruolo di lingua più usata <strong>nell</strong>ecomunicazioni all'interno <strong>del</strong>le istituzioni (Wagner, 2001: 2).In ogni caso, almeno in via di principio, nessuna lingua è esclusa dall’essere utilizzata come lingua di <strong>la</strong>voro <strong>nell</strong>eistituzioni e a priori nessuna lingua ha di diritto ad uno status diverso dalle altre; è in questo senso che è rispettato il principio<strong>del</strong>l'articolo 1 <strong>del</strong> Rego<strong>la</strong>mento n°1/58 in rapporto alle modalità di applicazione <strong>del</strong> Rego<strong>la</strong>mento stesso previste <strong>nell</strong>'articolo 6.D'altra parte, lo stesso Consiglio europeo, <strong>nell</strong>e conclusioni di Lisbona citate in apertura <strong>del</strong> secondo capitolo, sottolinea <strong>la</strong>necessità di dotarsi di «soluzioni pragmatiche per garantire l'efficacia <strong>del</strong><strong>la</strong> comunicazione nel corso <strong>del</strong>le riunioni».Ora, se questo tipo di considerazioni di tipo pragmatico è sorretto da ragioni di funzionalità, come nel caso di <strong>la</strong>voripreparatori <strong>del</strong><strong>la</strong> Commissione, è tutt'altro che pacifica <strong>la</strong> questione sui criteri formali per stabilire quali e quante debbanoessere le lingue di <strong>la</strong>voro, e su quale sia il loro rispettivo raggio d'azione. A proposito, abbiamo visto che in nessuno deirego<strong>la</strong>menti interni <strong>del</strong>le istituzioni soggette al Rego<strong>la</strong>mento n°1 è previsto esplicitamente che un gruppo specifico di lingue inpartico<strong>la</strong>re (o una) godano di uno status diverso <strong>del</strong>le altre, né ciò sarebbe permesso; d'altra parte, una modifica <strong>del</strong>Rego<strong>la</strong>mento n°1 stesso richiederebbe <strong>la</strong> non semplice condizione <strong>del</strong>l'unanimità. Conseguenza di questo è che lo stabilirsi<strong>del</strong>le "gerarchie linguistiche", per dir<strong>la</strong> con Phillipson (2003), è affidato al <strong>del</strong>icato equilibrio <strong>del</strong><strong>la</strong> prassi, e in questo spazio di"non-detto" possono crearsi <strong>del</strong>le dispute di ordine simbolico e diplomatico. Per sintetizzare: manca un diritto <strong>del</strong> <strong>multilinguismo</strong>(Fenet, 2001),.Diatribe su questi temi serpeggiano occasionalmente nel<strong>la</strong> stampa europea, <strong>nell</strong>e interrogazioni al Par<strong>la</strong>mentoeuropeo e nei corridoi stessi <strong>del</strong>le istituzioni comunitarie 151 . A causa <strong>del</strong>le tensioni che questo tema può generare alcunicommentatori, come nota Fenet (2001:260), finiscono per par<strong>la</strong>re di "tabù" <strong>del</strong>le politiche comunitarie, o di "vaso di Pandoraeuropeo", o ancora di "bomba a scoppio ritardato". A titolo esemplificativo, è il caso di ricordare, <strong>la</strong> querelle <strong>del</strong> 1999 checontrappose <strong>la</strong> presidenza di turno <strong>del</strong>l'Unione (fin<strong>la</strong>ndese) e <strong>la</strong> Germania, <strong>la</strong> quale rifiutava di partecipare alle sedute informaliministri, in segno di protesta per il fatto che il tedesco non fosse usato come lingua di <strong>la</strong>voro a fianco <strong>del</strong> <strong>fra</strong>ncese, <strong>del</strong>l'inglese e146 Forse i giudici <strong>del</strong><strong>la</strong> Corte di giustizia non sarebbero d'accordo ad essere chiamati "funzionari", ma per le nostre esigenzeespositive penso che il termine possa essere adeguato. Va ovviamente segna<strong>la</strong>to, che anche <strong>nell</strong>e istituzioni "rappresentative"<strong>la</strong>vorano dei funzionari e che per loro non valgono le considerazioni fatte per i rappresentanti.147 Statuto dei funzionari <strong>del</strong>le Comunità europee fissato dal rego<strong>la</strong>mento CEE, Euratom, CECA, n° 259/68 <strong>del</strong> 21 febbraio1968, in GUCE L 56, pag. 1148 Ad esempio, recentemente un bando di assunzione nel settore <strong>del</strong>l'audiovisivo riservato a <strong>la</strong>ureati (in GUCE C 41 A <strong>del</strong> 20febbraio 2003), richiedeva, oltre alle conoscenze linguistiche sopra citate, un'ottima conoscenza di inglese e <strong>fra</strong>ncese.149 Uso questo termine per evitare quello di lingua <strong>fra</strong>nca, a mio avviso fuorviante. La lingua <strong>fra</strong>nca era un "idioma di fortuna"realmente esistito nel bacino <strong>del</strong> Mediterraneo a partire dall'epoca <strong>del</strong>le Crociate sino quasi all'inizio <strong>del</strong> 1800, era <strong>costi</strong>tuita daun ibrido <strong>del</strong>le diverse lingue dei Paesi che si affacciavano sul mare ed era usata soprattutto nei rapporti commerciali (Hagège,2002: 153). Caratteristica di questa lingua era il suo non-essere lingua madre di nessuna <strong>del</strong>le comunità linguistiche che <strong>la</strong>usava (Dürmüller, 1994, 62). Questo non è il caso di nessuna <strong>del</strong>le lingue usate oggi nel<strong>la</strong> comunicazione comunitaria. Nonutilizzerò nemmeno il termine di "lingue internazionali" perché questo è un concetto utilizzato originariamente per denominare<strong>la</strong> famiglia <strong>del</strong>le lingue pianificate (o artificiali o sintetiche) come l'esperanto (Phillipson, 2003: 111), le quali sonocaratterizzate ancora una volta dall'attributo <strong>del</strong><strong>la</strong> non-appartenenza come lingua madre a nessuna comunità linguisticanazionale.150 «Faute de réels instruments de mesure, il demeure difficile toutefois d'évaluer <strong>la</strong> p<strong>la</strong>ce de chacune de ces <strong>la</strong>ngues».Traduzione mia.151 Mi riferisco in partico<strong>la</strong>re alle discussioni che sono emerse recentemente in alcune riviste a consultazione interna, adesempio in Graspe <strong>del</strong> febbraio 2003, che non mi è stato concesso di pubblicare.48
<strong>del</strong> fin<strong>la</strong>ndese (Phillipson, 2003: 22). La disputa si concluse con <strong>la</strong> Germania che riuscì ad ottenere che il tedesco fosseparificato alle altre lingue.Oltre alle questioni puramente "simboliche", Phillipson (2003) soleva <strong>la</strong> questione dei vantaggi che una prassilinguistica così costruita dà ai funzionari locutori madrelingua di una <strong>del</strong>le lingue veico<strong>la</strong>ri. A tal proposito, Ammon (2001: 90),per citare un esempio, propone <strong>del</strong>le misure compensatrici per riequilibrare le disparità di trattamento <strong>fra</strong> lingue, come quel<strong>la</strong> difare pagare le spese di traduzione in misura maggiore ai Paesi le cui lingue nazionali sono privilegiate in sede di <strong>la</strong>vorocomunitario.16.3. - Le ragioni culturaliNel capitolo primo abbiamo visto che <strong>la</strong> cultura è un ambito re<strong>la</strong>tivamente recente di intervento comunitario. Inpartico<strong>la</strong>re l'articolo 151 TCE al primo comma recita: «<strong>la</strong> Comunità contribuisce al pieno sviluppo <strong>del</strong>le culture degli Statimembri nel rispetto <strong>del</strong>le loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune».Come abbiamo visto, diversi sono programmi e le azioni intraprese dall'Unione che avevano componente o comescopo specifico, promuovere l'apprendimento <strong>del</strong>le lingue europee in linea con l'obiettivo di valorizzare <strong>la</strong> diversità linguistica<strong>del</strong>l'Unione. Se <strong>la</strong> diversità culturale è una "ricchezza" allora il <strong>multilinguismo</strong> va promosso sia a livello individuale che a livelloistituzionale, in quanto l'utilizzo <strong>del</strong> maggior numero di lingue possibile nel maggior numero di contesti possibile dovrebbefavorire il mantenimento <strong>del</strong><strong>la</strong> diversità 152 . Anche qui, ovviamente non mancano i punti di vista diversi: da un <strong>la</strong>to <strong>la</strong> promozione<strong>del</strong> <strong>multilinguismo</strong> individuale è certamente utile perché favorisce il <strong>multilinguismo</strong> istituzionale, inteso come pratica <strong>del</strong>lediverse lingue <strong>nell</strong>e istituzioni da parte di chi vi <strong>la</strong>vora; dall'altro <strong>la</strong>to, come ricorda Calvet (1993: 188), c'è chi vede nel sostegnoal <strong>multilinguismo</strong> individuale una condizione indispensabile per risparmiare sul <strong>multilinguismo</strong> istituzionale, nel semplice sensoche "più lingue gli europei imparano, meno serve tradurre".Vero è che ad un grado di integrazione come è oggi quello degli Stati europei, una qualche forma di coordinamento <strong>fra</strong>Paesi membri in materia culturale e linguistica probabilmente gioverebbe al<strong>la</strong> migliore riuscita <strong>del</strong><strong>la</strong> costruzione europea, elegata a questo tema è <strong>la</strong> grande questione <strong>del</strong>le lingue in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> creazione di quello che è stato chiamato lo "spaziopubblico europeo", inteso come una forma di società civile europea che non sia <strong>la</strong> mera somma <strong>del</strong>le società civilinazionali 153 .Su questo tema però ci fermiamo qui poiché una discussione approfondita sui vari aspetti civili culturali <strong>del</strong><strong>multilinguismo</strong> ci porterebbe lontani dall'analisi <strong>del</strong>le lingue nel contesto istituzionale comunitario, anche perché uno studiare lelingue e le culture in Europa, necessariamente rimanda allo studio e al<strong>la</strong> storia dei popoli che quelle lingue par<strong>la</strong>no.16.4. – Le ragioni <strong>del</strong><strong>la</strong> comunicazioneAbbiamo detto che in certi contesti, alle ragioni <strong>del</strong>l'uguaglianza <strong>fra</strong> le lingue vengono privilegiate le esigenzefunzionali, in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> rapidità e l'efficacia <strong>del</strong><strong>la</strong> comunicazione. In questa sezione quindi ci occuperemo specificatamente<strong>del</strong>le problematiche che una comunicazione multilingue comporta da un punto di vista tecnico; cercheremo quindi di osservarele diverse lingue nel<strong>la</strong> loro semplice dimensione di "strumenti di comunicazione".I servizi di interpretariato e traduzione svolgono un essenziale <strong>la</strong>voro di mediazione <strong>fra</strong> le diverse lingue, e senza diessi <strong>la</strong> pratica <strong>del</strong> plurilinguismo istituzionale non sarebbe immaginabile. Per quanto possano essere eccellenti, i servizilinguistici non possono risolvere tutti i problemi sollevati dalle necessità <strong>del</strong> <strong>multilinguismo</strong>, ed è inevitabile che si presentinodegli inconvenienti più o meno gravi. Cercheremo in seguito di analizzare tre tipologie di problematiche, ovviamenteinterdipendenti, che si potrebbero raccogliere sotto il termine generale di "costo linguistico":a) L'esattezzab) La rapiditàc) Lo stilea) L'esattezzaLe problematiche re<strong>la</strong>tive all'esattezza sono tipiche di entrambi i servizi linguistici e sono legate a diversi fattori. Unacompiuta analisi di questi aspetti viene svolta da Wagner, Bech e Martínez (2002). Un primo insieme di questioni vienesollevato dall'intraducibilità. Anzitutto vi possono essere alcuni termini che non sono riproducibili da una lingua ad un'altra per <strong>la</strong>semplice ragione che essi sono tipici di certe regioni o climi, come è il caso <strong>del</strong><strong>la</strong> terminologia re<strong>la</strong>tiva al<strong>la</strong> viticoltura per i paesi<strong>del</strong> Mediterraneo, spesso intraducibile per i paesi nordici; a questo proposto gli autori par<strong>la</strong>no di "non-trasferibilità deiconcetti 154 ". Più in generale, come nota Fenet (2001: 245), <strong>la</strong> difficoltà risiede <strong>del</strong> fatto che le lingue, in quanto espressione <strong>del</strong><strong>la</strong>cultura che rappresentano, sono anche visioni <strong>del</strong> mondo che non necessariamente coincidono; <strong>la</strong> conseguenza più immediata152 A questo proposito c'è chi come Fenet (2001) par<strong>la</strong> di "diritto al<strong>la</strong> lingua" come "diritto culturale", mentre Phillipson (2003)par<strong>la</strong> di "diritti linguistici" come componente dei diritti <strong>del</strong>l'uomo.153 A questo proposito cfr. Bourdieu, De Swann, Hagège, Fumaroli, Wallerstein, (2001) e Habermas (2001).154 Non-transferability of concepts.49