La Gestalt nel contesto delle vie di sviluppo - Claudio Naranjo

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11.07.2015 Views

LA TERAPIA GESTALTICA RIVISITATAdi Gestalt a Madrid costituisca qualcosa come un segno di interpunzione in unimportante momento di transizione nella mia vita: una transizione che è siainteriore (poiché sento che i miei anni di pellegrinaggio stanno per terminare e che,un po' tardi, sto giungendo alla maturità), sia anche esteriore, in quanto sento che ilfulcro della mia attività si sta spostando dagli Stati Uniti alla Spagna.Come Pancho Huneere, che mi siede accanto a questo tavolo, ho iniziato lamia vita in Cile; sebbene senza sentimenti molto patriottici, perché non mi sonomai sentito molto a casa mia crescendo e vivendo là, ma mi sono sentito piuttostouno straniero. Sono arrivato a Berkeley come ad un'oasi, e là ho cominciato i mieianni di apprendistato, anni di pellegrinaggio. Ora ho la sensazione che in Spagnapasserò buona parte del periodo migliore della mia vita, e al momento me ne sentoattratto non solo per l'invito di colleghi e amici, che mi hanno chiesto di insegnarequi (ho iniziato un corso estivo triennale a partire da quest'anno), ma anche per lagenerosità di Ignacio Martinez Poyo, che mi ha offerto un posto dove vivere elavorare: nel "Regno di Babia", vicino ad Almeria.Ma, per concludere con le digressioni personali (di tipo gestaltico, perquanto la Gestalt possa essere personale), passo al tema del mio intervento o, piùprecisamente, al primo dei due temi che intendo discutere quali aspetti dellaGestalt in un contesto specifico: il ruolo della Gestalt tra le "vie di evoluzione"antiche e classiche.Inizierò parlando di alcune affinità tra la Gestalt e alcune tradizionispirituali, poi di quello che penso che la Gestalt escluda, senza necessità, dal suocredo e dalla sua prassi e che potrebbe arricchirla.Viviamo in tempi in cui sperimentiamo la presenza simultanea di una grandemolteplicità di metodi terapeutici e sperimentali. Proprio come nella storia dellamusica, c'è stato un periodo in cui si viveva nel presente ma, da quando sonodisponibili registrazioni, abbiamo vissuto sempre più alla presenza simultanea ditutta la storia musicale, così ora, in tempi planetari sempre più globali, ci troviamodi fronte alla presenza simultanea di contributi di tutte le culture anche nel campodell'evoluzione personale.207

PARTE TERZAQuando mi domando, di fronte a questo diversificato repertorio di metodi,quale tra di essi sia il più vicino alla Gestalt, la prima risposta che mi do è quellache ho già discusso nel mio libro On the Psychology of Meditation (con RobertOrnstein, New York, 1971) di circa vent'anni fa: è, naturalmente, la vipassana, lameditazione che costituisce la prima e più caratteristica tecnica del buddhismo, èche non è nient'altro che attenzione al "qui e ora".La principale differenza tra essa e la Gestalt è che, nella meditazione buddhistaclassica, la pratica di concentrarsi sui "dati immediati della coscienza" (per usarel'espressione di Bergson) non è un'attività interpersonale, ma piuttosto un'esercizioeffettuato in una situazione appartata e, più in generale, in silenzio e immobilità.Perciò si può dire (come ha fatto Jim Simkin) che la teoria della Gestalt è la praticadel "qui e ora" nel contesto dell' "Io e Tu".Ora, il parallelo tra Gestalt e Buddhismo non si ferma alla tradizioneHinayana, di cui la vipassana è la pratica principale. Sebbene si possa vedere laGestalt come una riscoperta (se non un'applicazione) della vipassana nellasituazione interpersonale, Fritz fu molto più vicino allo Zen che alla tradizione Hinayana.Questo influsso entrò nella sua vita soprattutto tramite il suo amico ediscepolo Emil Weiss a New York e, più tardi, a seguito del suo viaggio inGiappone.Quando si trasferì in Califomia, questa influenza e affinità era di particolareinteresse per la cultura locale, che in quegli anni era aperta all'Oriente (più diqualunque altra cultura occidentale) specialmente per la brillante interpretazionedello Zen di Alan Watts.Il tema di Gestalt e Zen è stato trattato in molti scritti. Io penso che lesomiglianze più importanti consistano nell'invito a sospendere il pensieroconcettuale, nell'apprezzamento della spontaneità, e in un caratteristico stiletagliente, severo, da parte dell'insegnante-terapeuta.Tuttavia, ancora maggiore di quello con l'Hinayana e lo Zen è il parallelismodella Gestalt con insegnamenti buddhisti meno noti, e in particolare con gliinsegnamenti Dzog-Chen del tibetano Ningmapa, praticamente sconosciuti inOccidente ai tempi di Fritz. Se le affinità con lirazaru (qui e ora) e ntayama (viverecon la pancia invece che con la testa) sono stringenti, lo è ancor più quella con il208

PARTE TERZAQuando mi domando, <strong>di</strong> fronte a questo <strong>di</strong>versificato repertorio <strong>di</strong> meto<strong>di</strong>,quale tra <strong>di</strong> essi sia il più vicino alla <strong>Gestalt</strong>, la prima risposta che mi do è quellache ho già <strong>di</strong>scusso <strong>nel</strong> mio libro On the Psychology of Me<strong>di</strong>tation (con RobertOrnstein, New York, 1971) <strong>di</strong> circa vent'anni fa: è, naturalmente, la vipassana, lame<strong>di</strong>tazione che costituisce la prima e più caratteristica tecnica del buddhismo, èche non è nient'altro che attenzione al "qui e ora".<strong>La</strong> principale <strong>di</strong>fferenza tra essa e la <strong>Gestalt</strong> è che, <strong>nel</strong>la me<strong>di</strong>tazione buddhistaclassica, la pratica <strong>di</strong> concentrarsi sui "dati imme<strong>di</strong>ati della coscienza" (per usarel'espressione <strong>di</strong> Bergson) non è un'attività interpersonale, ma piuttosto un'esercizioeffettuato in una situazione appartata e, più in generale, in silenzio e immobilità.Perciò si può <strong>di</strong>re (come ha fatto Jim Simkin) che la teoria della <strong>Gestalt</strong> è la praticadel "qui e ora" <strong>nel</strong> <strong>contesto</strong> dell' "Io e Tu".Ora, il parallelo tra <strong>Gestalt</strong> e Buddhismo non si ferma alla tra<strong>di</strong>zioneHinayana, <strong>di</strong> cui la vipassana è la pratica principale. Sebbene si possa vedere la<strong>Gestalt</strong> come una riscoperta (se non un'applicazione) della vipassana <strong>nel</strong>lasituazione interpersonale, Fritz fu molto più vicino allo Zen che alla tra<strong>di</strong>zione Hinayana.Questo influsso entrò <strong>nel</strong>la sua vita soprattutto tramite il suo amico e<strong>di</strong>scepolo Emil Weiss a New York e, più tar<strong>di</strong>, a seguito del suo viaggio inGiappone.Quando si trasferì in Califomia, questa influenza e affinità era <strong>di</strong> particolareinteresse per la cultura locale, che in quegli anni era aperta all'Oriente (più <strong>di</strong>qualunque altra cultura occidentale) specialmente per la brillante interpretazionedello Zen <strong>di</strong> Alan Watts.Il tema <strong>di</strong> <strong>Gestalt</strong> e Zen è stato trattato in molti scritti. Io penso che lesomiglianze più importanti consistano <strong>nel</strong>l'invito a sospendere il pensieroconcettuale, <strong>nel</strong>l'apprezzamento della spontaneità, e in un caratteristico stiletagliente, severo, da parte dell'insegnante-terapeuta.Tuttavia, ancora maggiore <strong>di</strong> quello con l'Hinayana e lo Zen è il parallelismodella <strong>Gestalt</strong> con insegnamenti buddhisti meno noti, e in particolare con gliinsegnamenti Dzog-Chen del tibetano Ningmapa, praticamente sconosciuti inOccidente ai tempi <strong>di</strong> Fritz. Se le affinità con lirazaru (qui e ora) e ntayama (viverecon la pancia invece che con la testa) sono stringenti, lo è ancor più quella con il208

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