Il numero di Agosto-Settembre 2008 - Associazione Nazionale ...

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2 DIFESA ADRIATICA Agosto-Settembre 2008fatti e commenticontinua dalla prima paginaIn odium FideiÈ chiaro innanzitutto che non tutte le migliaia di vittime degli infoibamenti,delle uccisioni di massa e delle deportazioni nel gulag iugoslavo sono martiridella fede. Diversissime sono le ragioni che portarono quelle migliaia diinfelici a una sorte così triste, che al tempo stesso però costituisce pur sempreuna forma di “testimonianza” (martyrion).Moltissimi furono coloro che si trovarono in quella tragica situazione perun puro gioco del destino: militari, impiegati, insegnanti di altre parti d’Italiache stavano in quelle regioni, a compiere il loro dovere, al momento delcollasso italiano del 1943. Altri invece erano “autoctoni”, cioè italianidell’Istria, di Fiume e della Dalmazia che tali si sentivano e da italiani hannoreagito di fronte alla pretesa di annessione della loro patria alla Iugoslavia diTito. Mostrarono in un modo o nell’altro il loro dissenso. O combattendodisperatamente nei reparti della RSI in un ultimo tentativo di difesa del territorionazionale. O militando nella Resistenza antifascista, sotto le direttivedei locali Comitati italiani di liberazione nazionale, opponendosi quindi aldisegno annessionistico del movimento partigiano iugoslavo.Basta leggere gli insani proclami affissi sui muri delle città nei primi giornidi maggio del 1945, a Trieste, a Gorizia, a Pola, a Fiume, con i quali siimponeva il “coprifuoco” ai territori “liberati”! Segno evidente dell’ostilitàincontrata. Era sufficiente il sospetto di non condividere l’annessione allaIugoslavia, operata di fatto in spregio a ogni norma del diritto internazionale,per finire in foiba.Ma a questa dimensione di identità nazionale da difendere nel momentodell’estrema minaccia e quindi con il sacrificio estremo della propria vita,si accompagnava assai spesso – specie nell’immaginario della gente piùsemplice – la dimensione di difesa dell’identità religiosa.Gli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia avevano testimoniatoper oltre un secolo sotto l’Austria il loro attaccamento alla lingua e allacultura dei padri. Perché avrebbero dovuto rinunciarvi di fronte alla minacciaiugoslava? Non vi rinunciarono e pagarono alcuni con la morte, altri conl’esilio o le persecuzioni in loco, la loro fermezza. Furono testimoni di italianità.Ma anche alla loro fede religiosa gli istriani ci tenevano. E anche i dalmatie i fiumani. Gli ideali liberali del Risorgimento li avevano messi in difficoltàper la famosa “questione romana”, che l’Austria strumentalizzava per metterei cattolici italiani contro quelli sloveni e croati. Questa difficoltà fu risoltacon i Patti Lateranensi del 1929. Ma la nostra gente non aveva certo aspettatoquei patti per frequentare i luoghi di culto e dare vocazioni alla Chiesa.Così come i nostri vescovi e i nostri parroci, quasi tutti autoctoni, non cessaronomai di rispettare la lingua e la cultura dei loro fedeli e conterraneisloveni e croati, Patti o non patti, e di proteggerli dal tentativo di assimilazionedel regime fascista.• • •La persecuzione religiosa fu invece uno dei tratti caratteristici dell’ondatadi violenza messa in atto dal regime comunista di Tito ed ebbe un’influenzadecisiva sulla decisione della gente più umile delle campagne di abbandonarele proprie case e le proprie attività affrontando le incognite dell’esodo.Era tutto un mondo, una civiltà che venivano messi a soqquadro.La documentazione custodita negli archivi del MAE e di alcune nostreassociazioni danno notizia diretta, attraverso i promemoria di insegnanti,medici, sacerdoti, inviati alle autorità italiane, civili e religiose, e anche alleautorità religiose croate, dell’abolizione di ogni festività (Pasqua, Natale, festepatronali, Ognissanti, ecc), del divieto di funzioni religiose e disomministrazione dei sacramenti, delle accuse ai parroci e ai religiosi disvolgere attività “antirivoluzionaria” solo perché continuavano a insegnareai bambini il catechismo. Trentanove furono i sacerdoti, quasi tutti italiani enativi del luogo, a perdere la vita per avere disobbedito alle intimazioni delPartito.Particolarmente significativo è l’episodio narrato dalle maestre delle Elementaridi Buie. Ricorrendo la festa del santo patrono ed essendo stato vietatoa chicchessia di partecipare a qualsiasi rito celebrativo, si snodò nellevie cittadine deserte un modesto corteo, formato da un prete con il Crocifissoe da due chierichetti (nònzoli) con la cotta. Passando la piccola processionedavanti alle finestre della scuola i bambini corsero ad affacciarsi ai davanzaliper guardare. Qualcuno magari si sarà anche fatto il segno della croce.Le maestre e gli alunni furono severamente puniti dalle autorità iugoslave dioccupazione e di lì a qualche settimana gran parte delle insegnanti lasciò laZona B per rifugiarsi a Trieste, amministrata allora dagli anglo-americani.Che questo clima di intimazioni si sia protratto per anni, dopo la finedella guerra, lo dimostra l’uccisione stessa e l’infoibamento di Don Bonifacio,avvenuti nel settembre del 1946.Oggi finalmente, dopo un’istruttoria durata decenni per raccogliere elementiprobanti da parte di alcuni valorosi sacerdoti istriani e dei parenti diDon Bonifacio, il suo martirio viene riconosciuto con un atto ufficiale diBenedetto XVI. La Chiesa non teme di proclamare i suoi Beati, vittime dellepersecuzioni ideologiche del Novecento, dai campesinos messicani deglianni Trenta ai martiri periti nei lager nazisti ai religiosi e alle religiose torturatie uccisi nella guerra civile spagnola dai miliziani comunisti, alle migliaia dicattolici russi, ucraini, polacchi morti nel gulag sovietico per obbedienza alVangelo.Era tempo che anche il coraggio dei nostri sacerdoti, trucidati nelle nostreterre, venisse riconosciuto. E con esso quello dei loro confratelli croati esloveni che rimasero al loro fianco, incuranti di quanto fosse rischioso frequentarei fedeli di lingua italiana, come se l’essere preti non fosse già unacolpa sufficiente per quel regime, per i suoi comitati del popolo, le suemilizie popolari, le sue polizie segrete.Lucio TothRiunito in audioconferenzal’Esecutivo nazionale ANVGDSi è tenuto il 1° luglio l’Esecutivo nazionale della nostraAssociazione, per la prima volta con il sistema diaudioconferenza. A Milano erano presenti Roberto Predolin,Guido Brazzoduro e Francesca Briani; a Trieste partecipavanoRenzo Codarin e Alessandro Cuk; da Roma eranocollegati Lucio Toth, Donatella Schürzel e il verbalizzanteFabio Rocchi. L’incontro è stato dedicato all’approfondimentodei 45 progetti presentati dalla Presidenza nazionalee dai Comitati provinciali per l’anno contabile 2007,richiesti solo di recente - come da tradizionale ritardo -dall’Amministrazione statale.Quando ai profughi istrianifurono rilevate le impronte digitaliIl comunicato stampa della Presidenza nazionaleTempi duriper la stampa in CroaziaC’è inquietudine nella stampa croata, quella almenoancora volenterosamente distante dai condizionamenti edalle intimidazioni provenienti dagli ambienti del malaffare.Trecento giornalisti croati hanno protestato nelle settimanescorse davanti al palazzo del Governo contro l’inattivitàdelle forze di polizia, che non riesce ad identificare alcuncolpevole dei sempre più frequenti attentati contro le loropersone. La violenta aggressione al giornalista del “JutarnjiList”, Dusan Miljus, colpito con spranghe di ferro nel palazzoin cui abita e ricoverato con fratture, commozionecerebrale e contusioni al volto, è stata solo l’ultima di unalunga serie.Miljus è uno dei cronisti meglio informati sul crimineorganizzato e sul perverso intreccio tra mafia e politica.Mesi addietro sul quotidiano zagabrese “Vecernji List”, ignotiesponenti della malavita hanno pubblicato la sua epigrafe,nella rubrica annunci funebri a pagamento. E il 1° giugnodue sconosciuti, in moto e con i caschi, l’hanno aggreditocon la volontà di ucciderlo. E i suoi colleghi sono rimastiindignati per il fatto che il ministro dell’Interno, BerislavRoncevic, alla domanda su quali provvedimenti avrebbepreso per tutelare la sua incolumità, ha risposto: «Chi èMiljus?».E così circa trecento giornalisti hanno voluto leggereuna lettera di protesta nel corso di una manifestazione pubblicadavanti al palazzo del Governo, dove le dimostrazionidi cittadini sono vietate dalla legge. Il primo ministro IvoSanader ha subito ricevuto i rappresentanti delle organizzazionidei giornalisti e ha promesso loro che il Governo siimpegnerà concretamente per trovare i responsabili del tentatoomicidio.Euro 2008: Ct croato motiva la squadracon musica ustascia e un santone fa la predica ai giocatoriMa l’UEFA sanziona la nazionale di ZagabriaSecondo i quotidiani sportivi, la“musica” del cantante filo-ustasciaMarko Perkovic, noto come Thompson,è stata usata dal commissario tecnicodella nazionale croata di calcio, SlavanBilic, per motivare i suoi giocatori. «Hovisto che i miei giocatori non erano deltutto contenti. Allora ho messo la canzonee ho detto cantate», ha dichiaratoBilic nel dopopartita del debutto deicroati agli europei. Intanto a Vienna,durante la partita con l’Austria, glihooligan croati hanno intonato canzonidi Thompson inneggianti al regimeustascia, di nota ispirazione nazista.Lo stesso Thompson avrebbe dovutosuonare il 7 giugno in Austria a St.Andra, ma le autorità hanno annullato ilconcerto per motivi di sicurezza, mentrea fine maggio, ben 60.000 fan avevanoassistito a Zagabria al concerto delPerkovic, organizzato in occasione dellagiornata dei veterani croati della guerraserbo-croata del 1991-’95. Una dellecanzoni più applaudite, fra le diverseintonate da Thompson, è stata quella cheinizia con un verso che rende omaggioal regime ustascia, alleato di Hitler aZagabria durante la seconda guerramondiale.L’UEFA non ha comunque gradito lasortita dell’allenatore Bilic ed ha comminatouna multa pari a circa 12.500euro alla Federazione calcio croata pergli atteggiamenti razzisti e l’esibizionedi striscioni xenofobi nel corso dellapartita con la Turchia, nonché per gliscontri che hanno visto protagonista laCarabinieri e anagrafeEsuli: avviata indagineDopo la ferma protesta dell’ANVGD del 5 giugno scorso,nella quale veniva contestato all’Arma dei Carabinieri ilmancato rispetto della Legge 54/89 sull’indicazione dei luoghidi nascita degli Esuli, il Comando generale dell’Armaha assicurato di aver «attivato le verifiche interne» per controllarequanto da noi evidenziato. La protesta era nata dallaverifica che i Carabinieri, nell’acquisire denunce da partedegli Esuli, sono informaticamente “costretti” a registrarlicome nati nei Paesi della ex Jugoslavia, mentre sono regolarmentenati sul territorio italiano, ancorché successivamenteceduto.Uno degli oltre 100 campi-profughiallestiti per gli esuli giuliano-dalmati,quello di Bagnoli-Napoli (campo IRO)Nel dopoguerra, quando più intensoera il flusso dell’esodo italianodall’Istria, da Fiume e dalla Dalmaziae le baracche dei campi profughirigurgitavano di famiglie ammucchiate,una circolare del Ministro dell’InternoMario Scelba ordinò il rilevamentodelle impronte digitali di tutti gli Esuli,che per conservare la cittadinanzaitaliana avevano abbandonato la terranatale.Si temevano, da un lato, infiltrazionidi agenti segreti di Titocammuffati da profughi, e dall’altro laformazione di movimenti eversivi, chepotevano strumentalizzare la rabbia ela sofferenza degli istriani.Ci sottoponemmo a quella ordinanzadi Scelba; vecchi, donne, ragazzi,vescovi e monache, per patriottismoe senso di disciplina, che costituisconola nostra fierezza di cittadiniobbedienti alle leggi della Patria.Gli Esuli istriani sono i primi a contrastareogni discriminazione su baseetnica. Ma non si sollevino polemicheinutili su precauzioni che si possonorivelare necessarie.Roma, 7 luglio 2008On. Lucio TothIl Tribunale penale dell’Aia:la Croazia nasconde documentiLa Croazia «nasconde» documenti relativi al processoai generali Ante Gotovina, Mladen Markac e Ivan Cermak,accusati di aver commesso crimini di guerra contro civiliserbi nell’estate del 1995 durante l’operazione militare Tempesta.Lo sostiene la procura del Tribunale penale internazionaledell’Aia (TPI).Il procuratore capo Serge Brammertz sottolinea cheZagabria ha denunciato la scarsa collaborazione croata,ma anche bosniaca e serba ed ha adombrato la convinzioneche le autorità croate nascondano deliberatamente idocumenti, così come hanno già fatto tempo addietro nelprocesso al generale croato di Bosnia Tihomir Blaskic. Ilprocesso ai tre generali occupa le prime pagine dei giornaliin Croazia, una cospicua parte dell’opinione pubblica liconsidera eroi nazionali.Una delle aule giudiziariedel Tribunale internazionale dell’Ajascatenata tifoseria nel quartiere Ottakringdi Vienna.Per altro verso, un giovane sacerdotecroato con le stimmate, circondatoda un alone di mistero e accolto nelleparrocchie come una star e veneratocome un novello Padre Pio, ha sostenutola squadra di calcio con le sue prediche.Padre Zlatko Sudac, 37 anni, ufficialmenteassegnato alla diocesi diCherso, ha predicato la parola del Signorenel ritiro croato, senza grande successotuttavia, vista l’eliminazione dellasquadra ad opera appunto dell’infedeleTurchia. Ex studente di psicologia, pittorea tempo perso e sacerdote a tempopieno, Sudac incontra, a quanto si legge,il favore di molti fedeli, desiderosidella sua benedizione speciale. La stessache lui ha dato, dopo la Messa, a tuttii giocatori della Croazia, di cui è naturalmenteaccanito tifoso. Ma la battagliacon i turchi è stata ugualmente persa.d.a.

Agosto-Settembre 2008cultura e libriDIFESA ADRIATICAIl confine orientaletra chiusure e nuove apertureConvegno a Bologna su ricerca scientifica e comunicazione3Esodo e foibe, fascismo e comunismo,ma anche storia del dopoguerrae prospettive. Queste le tematiche alcentro del dibattito tenutosi il 5 giugnoa Bologna, città che ha ospitato laseconda parte del convegno permanentesul confine orientale d’Italia, iniziatoa Venezia nel dicembre scorsocon lo scopo di focalizzare l’attenzionesui principali aspetti d’analisistoriografica sulle vicende del nostroterritorio nell’Ottocento e Novecento.Iniziativa voluta dalla Federazionedegli Esuli con il coinvolgimento delCDM di Trieste, l’appuntamento è statoospitato ed organizzato nella cittàemiliana a cura dell’Accademia delleScienze con il prof. Giuseppe deVergottini e la partecipazione, nellamattinata, degli storici MarinaCattaruzza (Università di Berna), LucianoMonzali (Università di Bari) eFulvio Salimbeni (Università di Udine-Gorizia).Perché un dibattito su questatematica? Affrontare la vicenda inmodo scientifico, affidata a degli specialistidi chiara fama, può contribuiread elevare la discussione sui nodi dellastoria del confine orientale a più altilivelli e sottrarla alla banalizzazione edalla manipolazione della politica, sianazionale che internazionale.«Il confine è un luogo saliente dellastoria europea del Novecento» hasottolineato nel suo indirizzo di salutoil prof. Alberto Debernardi, direttoredell’Accademia delle Scienze di Bologna.Simbolo di due guerre caratterizzatee determinate da profonde divisioniideologiche e nazionali.Ma non soltanto, aggiunge il prof. Giuseppede Vergottini, «è un fattore cheha determinato situazioni complessedi incompatibilità e conflitti etnici chehanno complicato la vita europea degliultimi secoli e decenni».In particolare quello orientale d’Italiaviene “vissuto” come simbolo, a fasialterne, di unificazione nazionale,irredentismo, perdita di territorio nellaprima e nella seconda guerra mondiale,in una interazione e a voltecommistione tra dati storiografici e reazioniemotive.Il convegno, quindi – ribadisce deVergottini – «intende sviluppare l’analisistorica ma anche un ragionamentocritico di tipo storiografico sia inambito locale ma anche più ampiamentein campo europeo. È un impegnoche ci viene anche dal Giorno delNel pubblico, Bruno Crevato Selvaggi (Consulta filatelica nazionale),Francesca Briani (presidente Comitato ANVGD di Verona e membro dell’Esecutivonazionale) e Guido Brazzoduro (sindaco Libero Comune di Fiume in esilio)Ricordo, vale a dire l’obbligo di usciredal locale».A sottolinearlo in un messaggioanche l’on. Lucio Toth perché, scrive,«gli Italiani, lo dimostrano indagini statistiche,non stanno dimenticando solola nostra storia ma anche se stessi».E Marina Cattaruzza, conferma che«non è possibile comprendere la storiaitaliana se non si conosce quelladel confine orientale e viceversa». Èquanto ha cercato di fare con il suoultimo libro nel quale riconosce edindica a chiare lettere i limiti del fortelocalismo della storiografica giulianae l’uso “politico” di queste tematiche.Ha voluto riassumere per tanto i puntisalienti del percorso d’indagine a partiredalle premesse alla prima guerramondiale e fino all’entrata dellaSlovenia in Schengen. Ribadisce la“debolezza” che ha caratterizzato dasempre la presenza dello Stato italianoal confine orientale ed ha prodottofenomeni come la presa di Fiume daparte dei dannunziani e il passaggiodei militari italiani nelle file legionariesenza alcuna pena nei loro confronti.Debolezza che non ha permesso disciogliere nodi storici come quello delrapporto con le minoranze e, dopo l’8settembre ha reso facile l’espansionismodel comunismo jugoslavo.Completano il quadro della situazionele riflessioni di Luciano Monzalisulla «Fenice che risorge dalle ceneri,ovvero gli Italiani di Dalmazia».Lo studioso, autore di volumi chehanno fornito una interpretazioneestremamente moderna delle vicendedalmate, anche questa volta nontradisce la sua impostazione. Si concentrasulla storia recente, scomodadal punto di vista storico-scientificoperché va ad indagare su realtà ancorainesplorate, difficili da scindere dallaforte carica emotiva che le accompagnano.Due le vicende affrontate: il “destino”degli esuli e la condizione degliitaliani rimasti nelle città dell’Adriaticoorientale. La prima domanda allaquale cerca di dare risposta è il perchédell’esodo.È una reazione alle imposizioni delcomunismo e per comprenderlo bisognaconsiderare l’esodo più ampioche dal 1943 al ’50 comprende anchetedeschi del Banato ed anticomunistiserbi, croati e sloveni.Ma non tutti gli Italiani dalmati sene vanno: chi ha partecipato alla resistenza,chi si sente legato più alla PiccolaPatria dalmata che alla Granded’Italia, i misti, donne italiane sposatecon dei croati, gli anziani. Rimangonopiccoli gruppi a vivere nella Jugoslaviacomunista con grandi difficoltà.Il regime accetta la loro presenza macon un ruolo subordinato, vale a diredi uomini ligi al regime e comunisti.Viste le premesse non c’è possibilitàin Dalmazia – dice Monzali – di sopravvivenzadi realtà pubbliche italiane,si chiudono per tanto nel 1953 lescuole. Che cosa diventano gli italianirimasti: italiani sommersi.Gli esuli dalmati si stabiliscono ingran parte nell’Italia centro-settentrionale.Monzali ha affrontato, ed è unagrande novità in questo campo, il ruolodell’associazionismo. Se in un primoperiodo la loro realtà è politicizzata efortemente caratterizzata da scelte distampo nazional-fascista, l’evoluzionee la nascita di nuove realtà porta adun graduale mutamento e ad un ritorno,soprattutto con un personaggiocome Rismondo, direttore del giornale“Zara”, ai valori della tradizione edai legami autentici alla terra Dalmazia,anche con il recupero del dialetto sulgiornale e durante i raduni.Per gli esuli l’Italia presenta moltepliciproblemi di integrazione sia dinatura culturale che psicologica. I cognomidalmati in “ich”, la loro fisionomiae caratteristiche fisiche sono untrauma per un Paese sostanzialmenteprovinciale. Il percorso sarà lungo edifficile. Ma il successo di personaggicome Missoni, Luxardo, Bettiza e laloro dimensione mediatica faranno sìche i Dalmati esprimano con orgogliola propria appartenenza e ritrovino lastrada verso “casa”. L’apertura dei confinijugoslavi negli anni Sessanta, il turismo,i rapporti economici favorirannoun ritorno anche culturale deiDalmati a Zara, a Spalato e poi nellealtre località attraverso la cura dei cimiterie poi con la nascita delle Comunitàdegli Italiani in loco, grazieanche al contributo degli esuli.Due anni di censimentoe di inventariazione dei “fondi”veneziani e italiani conservatipresso l’Archivio diStato di Zara: il risultato è uncospicuo volume edito acura di Guglielmo Cevolin(Università di Udine) per“Coordinamento Adriatico”e in collaborazione con ilGruppo di Studi Storici e Politici“Historia” (Pordenone),per i tipi dell’editore Scarabeo(Bologna).«L’archivio di Stato diZara – si legge nella quartadi copertina – conserva documentazionedi primaria importanza per lastoria italiana, sia nei fondi storici risalentialla presenza veneziana, ma soprattuttonei fondi delle più recenti vicendetra le due guerre mondiali (comprendentigli anni ’20 e ’40 del XX secolo),prima della presente ricerca noncensiti né inventariati». La ricerca e ilvolume rispondono ad un progetto chevede la collaborazione tra i centri distudio dell’Esodo giuliano-dalmato, ilGli studiosi convenuti al seminario di Bologna,occasione di confronto tra metodi di ricerca storiografica(le fotografie sono tratte da www.arcipelagoadriatico.it)Lissa, particolare di Palazzo Doimi de Lupis. Appartenne al ramodalmato della famiglia pugliese di antica nobiltà trasferitosi dallaTerra di Bari sulla sponda orientale dell’Adriatico intorno al XIIIsec. Un ulteriore ramo della famiglia de Lupis si unì ai Doimi.La storiografia a questo punto –come ribadisce il prof. FulvioSalimbeni – espande il proprio interesse,oltre che ai documentiarchivistici, anche a testimonianze piùculturali come la storia del cinema edel rapporto che ha sviluppato con ilterritorio dell’Adriatico Orientale edella letteratura. Due segmenti di estremaimportanza che permettono dicogliere aspetti del messaggio che diqueste tematiche hanno potuto coglieregli italiani in questi sessant’anni.Il resto è storia recente, comunqueda esplorare, perché fornisce delle rispostesu ciò che vuole essere il futuro.Una comunità – esuli e rimasti –che si è espressa per decenni attraversola politica, può concentrarsi sullacultura, grazie all’evolversi di una situazioneglobale. L’Europa potrebbefare il resto.Il convegno è proseguito nel pomeriggiocon il dibattito, al quale hapreso parte anche Maurizio Tremul anome di Unione Italiana, oltre ad esponentidegli esuli ed autori di volumi ericerche sul tema specifico.Rosanna Turcinovich GiuricinZara, censite le carte italiane dell’Archivio di Statoedito il catalogo a cura di “Coordinamento Adriatico”Ministero degli Esteri e il Ministero peri Beni e per le Attività Culturali, da unaparte, e l’amministrazione attuale dell’Archiviodi Stato zaratino.La pubblicazione è divisa in duesezioni: la prima, giuridica, che comprendeun saggio sulla normativacroata in materia di archivi e la traduzionedella legge croata e dei suoi regolamentiattuativi sugli archivi; la seconda,squisitamente archivistica, contienela pubblicazione integrale dell’inventariodell’Archivio delComune di Zara italiana relativoagli atti amministrativi1921-1944.Per chi non sia del mestiere,cioè non sia un ricercatore,il volume potrebbeapparire un mero catalogo dicarte sui più disparati argomenti.Ma è, evidentemente,lo strumento primario dellaconservazione e dellafruizione della documentazioneprodotta nei secoli passati,della memoria, in unaparola, che dai secoli trascorsiperviene a noi contemporanei. Un archivioche non sia inventariato non èun archivio accessibile, e fintanto chenon vi si metta ordine secondo regoledefinite la sua memoria resta inerte.L’impegno profuso per questa pubblicazioneè doppiamente meritorio,perché censisce fondi archivistici maiprima inventariati relativi alla storiadell’italianità zaratina e dalmata.p. c. h.

2 DIFESA ADRIATICA <strong>Agosto</strong>-<strong>Settembre</strong> <strong>2008</strong>fatti e commenticontinua dalla prima paginaIn o<strong>di</strong>um FideiÈ chiaro innanzitutto che non tutte le migliaia <strong>di</strong> vittime degli infoibamenti,delle uccisioni <strong>di</strong> massa e delle deportazioni nel gulag iugoslavo sono martiridella fede. Diversissime sono le ragioni che portarono quelle migliaia <strong>di</strong>infelici a una sorte così triste, che al tempo stesso però costituisce pur sempreuna forma <strong>di</strong> “testimonianza” (martyrion).Moltissimi furono coloro che si trovarono in quella tragica situazione perun puro gioco del destino: militari, impiegati, insegnanti <strong>di</strong> altre parti d’Italiache stavano in quelle regioni, a compiere il loro dovere, al momento delcollasso italiano del 1943. Altri invece erano “autoctoni”, cioè italianidell’Istria, <strong>di</strong> Fiume e della Dalmazia che tali si sentivano e da italiani hannoreagito <strong>di</strong> fronte alla pretesa <strong>di</strong> annessione della loro patria alla Iugoslavia <strong>di</strong>Tito. Mostrarono in un modo o nell’altro il loro <strong>di</strong>ssenso. O combattendo<strong>di</strong>speratamente nei reparti della RSI in un ultimo tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa del territorionazionale. O militando nella Resistenza antifascista, sotto le <strong>di</strong>rettivedei locali Comitati italiani <strong>di</strong> liberazione nazionale, opponendosi quin<strong>di</strong> al<strong>di</strong>segno annessionistico del movimento partigiano iugoslavo.Basta leggere gli insani proclami affissi sui muri delle città nei primi giorni<strong>di</strong> maggio del 1945, a Trieste, a Gorizia, a Pola, a Fiume, con i quali siimponeva il “coprifuoco” ai territori “liberati”! Segno evidente dell’ostilitàincontrata. Era sufficiente il sospetto <strong>di</strong> non con<strong>di</strong>videre l’annessione allaIugoslavia, operata <strong>di</strong> fatto in spregio a ogni norma del <strong>di</strong>ritto internazionale,per finire in foiba.Ma a questa <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> identità nazionale da <strong>di</strong>fendere nel momentodell’estrema minaccia e quin<strong>di</strong> con il sacrificio estremo della propria vita,si accompagnava assai spesso – specie nell’immaginario della gente piùsemplice – la <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa dell’identità religiosa.Gli italiani dell’Istria, <strong>di</strong> Fiume e della Dalmazia avevano testimoniatoper oltre un secolo sotto l’Austria il loro attaccamento alla lingua e allacultura dei padri. Perché avrebbero dovuto rinunciarvi <strong>di</strong> fronte alla minacciaiugoslava? Non vi rinunciarono e pagarono alcuni con la morte, altri conl’esilio o le persecuzioni in loco, la loro fermezza. Furono testimoni <strong>di</strong> italianità.Ma anche alla loro fede religiosa gli istriani ci tenevano. E anche i dalmatie i fiumani. Gli ideali liberali del Risorgimento li avevano messi in <strong>di</strong>fficoltàper la famosa “questione romana”, che l’Austria strumentalizzava per metterei cattolici italiani contro quelli sloveni e croati. Questa <strong>di</strong>fficoltà fu risoltacon i Patti Lateranensi del 1929. Ma la nostra gente non aveva certo aspettatoquei patti per frequentare i luoghi <strong>di</strong> culto e dare vocazioni alla Chiesa.Così come i nostri vescovi e i nostri parroci, quasi tutti autoctoni, non cessaronomai <strong>di</strong> rispettare la lingua e la cultura dei loro fedeli e conterraneisloveni e croati, Patti o non patti, e <strong>di</strong> proteggerli dal tentativo <strong>di</strong> assimilazionedel regime fascista.• • •La persecuzione religiosa fu invece uno dei tratti caratteristici dell’ondata<strong>di</strong> violenza messa in atto dal regime comunista <strong>di</strong> Tito ed ebbe un’influenzadecisiva sulla decisione della gente più umile delle campagne <strong>di</strong> abbandonarele proprie case e le proprie attività affrontando le incognite dell’esodo.Era tutto un mondo, una civiltà che venivano messi a soqquadro.La documentazione custo<strong>di</strong>ta negli archivi del MAE e <strong>di</strong> alcune nostreassociazioni danno notizia <strong>di</strong>retta, attraverso i promemoria <strong>di</strong> insegnanti,me<strong>di</strong>ci, sacerdoti, inviati alle autorità italiane, civili e religiose, e anche alleautorità religiose croate, dell’abolizione <strong>di</strong> ogni festività (Pasqua, Natale, festepatronali, Ognissanti, ecc), del <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> funzioni religiose e <strong>di</strong>somministrazione dei sacramenti, delle accuse ai parroci e ai religiosi <strong>di</strong>svolgere attività “antirivoluzionaria” solo perché continuavano a insegnareai bambini il catechismo. Trentanove furono i sacerdoti, quasi tutti italiani enativi del luogo, a perdere la vita per avere <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>to alle intimazioni delPartito.Particolarmente significativo è l’episo<strong>di</strong>o narrato dalle maestre delle Elementari<strong>di</strong> Buie. Ricorrendo la festa del santo patrono ed essendo stato vietatoa chicchessia <strong>di</strong> partecipare a qualsiasi rito celebrativo, si snodò nellevie citta<strong>di</strong>ne deserte un modesto corteo, formato da un prete con il Crocifissoe da due chierichetti (nònzoli) con la cotta. Passando la piccola processionedavanti alle finestre della scuola i bambini corsero ad affacciarsi ai davanzaliper guardare. Qualcuno magari si sarà anche fatto il segno della croce.Le maestre e gli alunni furono severamente puniti dalle autorità iugoslave <strong>di</strong>occupazione e <strong>di</strong> lì a qualche settimana gran parte delle insegnanti lasciò laZona B per rifugiarsi a Trieste, amministrata allora dagli anglo-americani.Che questo clima <strong>di</strong> intimazioni si sia protratto per anni, dopo la finedella guerra, lo <strong>di</strong>mostra l’uccisione stessa e l’infoibamento <strong>di</strong> Don Bonifacio,avvenuti nel settembre del 1946.Oggi finalmente, dopo un’istruttoria durata decenni per raccogliere elementiprobanti da parte <strong>di</strong> alcuni valorosi sacerdoti istriani e dei parenti <strong>di</strong>Don Bonifacio, il suo martirio viene riconosciuto con un atto ufficiale <strong>di</strong>Benedetto XVI. La Chiesa non teme <strong>di</strong> proclamare i suoi Beati, vittime dellepersecuzioni ideologiche del Novecento, dai campesinos messicani deglianni Trenta ai martiri periti nei lager nazisti ai religiosi e alle religiose torturatie uccisi nella guerra civile spagnola dai miliziani comunisti, alle migliaia <strong>di</strong>cattolici russi, ucraini, polacchi morti nel gulag sovietico per obbe<strong>di</strong>enza alVangelo.Era tempo che anche il coraggio dei nostri sacerdoti, trucidati nelle nostreterre, venisse riconosciuto. E con esso quello dei loro confratelli croati esloveni che rimasero al loro fianco, incuranti <strong>di</strong> quanto fosse rischioso frequentarei fedeli <strong>di</strong> lingua italiana, come se l’essere preti non fosse già unacolpa sufficiente per quel regime, per i suoi comitati del popolo, le suemilizie popolari, le sue polizie segrete.Lucio TothRiunito in au<strong>di</strong>oconferenzal’Esecutivo nazionale ANVGDSi è tenuto il 1° luglio l’Esecutivo nazionale della nostra<strong>Associazione</strong>, per la prima volta con il sistema <strong>di</strong>au<strong>di</strong>oconferenza. A Milano erano presenti Roberto Predolin,Guido Brazzoduro e Francesca Briani; a Trieste partecipavanoRenzo Codarin e Alessandro Cuk; da Roma eranocollegati Lucio Toth, Donatella Schürzel e il verbalizzanteFabio Rocchi. L’incontro è stato de<strong>di</strong>cato all’approfon<strong>di</strong>mentodei 45 progetti presentati dalla Presidenza nazionalee dai Comitati provinciali per l’anno contabile 2007,richiesti solo <strong>di</strong> recente - come da tra<strong>di</strong>zionale ritardo -dall’Amministrazione statale.Quando ai profughi istrianifurono rilevate le impronte <strong>di</strong>gitali<strong>Il</strong> comunicato stampa della Presidenza nazionaleTempi duriper la stampa in CroaziaC’è inquietu<strong>di</strong>ne nella stampa croata, quella almenoancora volenterosamente <strong>di</strong>stante dai con<strong>di</strong>zionamenti edalle intimidazioni provenienti dagli ambienti del malaffare.Trecento giornalisti croati hanno protestato nelle settimanescorse davanti al palazzo del Governo contro l’inattivitàdelle forze <strong>di</strong> polizia, che non riesce ad identificare alcuncolpevole dei sempre più frequenti attentati contro le loropersone. La violenta aggressione al giornalista del “JutarnjiList”, Dusan Miljus, colpito con spranghe <strong>di</strong> ferro nel palazzoin cui abita e ricoverato con fratture, commozionecerebrale e contusioni al volto, è stata solo l’ultima <strong>di</strong> unalunga serie.Miljus è uno dei cronisti meglio informati sul crimineorganizzato e sul perverso intreccio tra mafia e politica.Mesi ad<strong>di</strong>etro sul quoti<strong>di</strong>ano zagabrese “Vecernji List”, ignotiesponenti della malavita hanno pubblicato la sua epigrafe,nella rubrica annunci funebri a pagamento. E il 1° giugnodue sconosciuti, in moto e con i caschi, l’hanno aggre<strong>di</strong>tocon la volontà <strong>di</strong> ucciderlo. E i suoi colleghi sono rimastiin<strong>di</strong>gnati per il fatto che il ministro dell’Interno, BerislavRoncevic, alla domanda su quali provve<strong>di</strong>menti avrebbepreso per tutelare la sua incolumità, ha risposto: «Chi èMiljus?».E così circa trecento giornalisti hanno voluto leggereuna lettera <strong>di</strong> protesta nel corso <strong>di</strong> una manifestazione pubblicadavanti al palazzo del Governo, dove le <strong>di</strong>mostrazioni<strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni sono vietate dalla legge. <strong>Il</strong> primo ministro IvoSanader ha subito ricevuto i rappresentanti delle organizzazionidei giornalisti e ha promesso loro che il Governo siimpegnerà concretamente per trovare i responsabili del tentatoomici<strong>di</strong>o.Euro <strong>2008</strong>: Ct croato motiva la squadracon musica ustascia e un santone fa la pre<strong>di</strong>ca ai giocatoriMa l’UEFA sanziona la nazionale <strong>di</strong> ZagabriaSecondo i quoti<strong>di</strong>ani sportivi, la“musica” del cantante filo-ustasciaMarko Perkovic, noto come Thompson,è stata usata dal commissario tecnicodella nazionale croata <strong>di</strong> calcio, SlavanBilic, per motivare i suoi giocatori. «Hovisto che i miei giocatori non erano deltutto contenti. Allora ho messo la canzonee ho detto cantate», ha <strong>di</strong>chiaratoBilic nel dopopartita del debutto deicroati agli europei. Intanto a Vienna,durante la partita con l’Austria, glihooligan croati hanno intonato canzoni<strong>di</strong> Thompson inneggianti al regimeustascia, <strong>di</strong> nota ispirazione nazista.Lo stesso Thompson avrebbe dovutosuonare il 7 giugno in Austria a St.Andra, ma le autorità hanno annullato ilconcerto per motivi <strong>di</strong> sicurezza, mentrea fine maggio, ben 60.000 fan avevanoassistito a Zagabria al concerto delPerkovic, organizzato in occasione dellagiornata dei veterani croati della guerraserbo-croata del 1991-’95. Una dellecanzoni più applau<strong>di</strong>te, fra le <strong>di</strong>verseintonate da Thompson, è stata quella cheinizia con un verso che rende omaggioal regime ustascia, alleato <strong>di</strong> Hitler aZagabria durante la seconda guerramon<strong>di</strong>ale.L’UEFA non ha comunque gra<strong>di</strong>to lasortita dell’allenatore Bilic ed ha comminatouna multa pari a circa 12.500euro alla Federazione calcio croata pergli atteggiamenti razzisti e l’esibizione<strong>di</strong> striscioni xenofobi nel corso dellapartita con la Turchia, nonché per gliscontri che hanno visto protagonista laCarabinieri e anagrafeEsuli: avviata indagineDopo la ferma protesta dell’ANVGD del 5 giugno scorso,nella quale veniva contestato all’Arma dei Carabinieri ilmancato rispetto della Legge 54/89 sull’in<strong>di</strong>cazione dei luoghi<strong>di</strong> nascita degli Esuli, il Comando generale dell’Armaha assicurato <strong>di</strong> aver «attivato le verifiche interne» per controllarequanto da noi evidenziato. La protesta era nata dallaverifica che i Carabinieri, nell’acquisire denunce da partedegli Esuli, sono informaticamente “costretti” a registrarlicome nati nei Paesi della ex Jugoslavia, mentre sono regolarmentenati sul territorio italiano, ancorché successivamenteceduto.Uno degli oltre 100 campi-profughiallestiti per gli esuli giuliano-dalmati,quello <strong>di</strong> Bagnoli-Napoli (campo IRO)Nel dopoguerra, quando più intensoera il flusso dell’esodo italianodall’Istria, da Fiume e dalla Dalmaziae le baracche dei campi profughirigurgitavano <strong>di</strong> famiglie ammucchiate,una circolare del Ministro dell’InternoMario Scelba or<strong>di</strong>nò il rilevamentodelle impronte <strong>di</strong>gitali <strong>di</strong> tutti gli Esuli,che per conservare la citta<strong>di</strong>nanzaitaliana avevano abbandonato la terranatale.Si temevano, da un lato, infiltrazioni<strong>di</strong> agenti segreti <strong>di</strong> Titocammuffati da profughi, e dall’altro laformazione <strong>di</strong> movimenti eversivi, chepotevano strumentalizzare la rabbia ela sofferenza degli istriani.Ci sottoponemmo a quella or<strong>di</strong>nanza<strong>di</strong> Scelba; vecchi, donne, ragazzi,vescovi e monache, per patriottismoe senso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina, che costituisconola nostra fierezza <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>niobbe<strong>di</strong>enti alle leggi della Patria.Gli Esuli istriani sono i primi a contrastareogni <strong>di</strong>scriminazione su baseetnica. Ma non si sollevino polemicheinutili su precauzioni che si possonorivelare necessarie.Roma, 7 luglio <strong>2008</strong>On. Lucio Toth<strong>Il</strong> Tribunale penale dell’Aia:la Croazia nasconde documentiLa Croazia «nasconde» documenti relativi al processoai generali Ante Gotovina, Mladen Markac e Ivan Cermak,accusati <strong>di</strong> aver commesso crimini <strong>di</strong> guerra contro civiliserbi nell’estate del 1995 durante l’operazione militare Tempesta.Lo sostiene la procura del Tribunale penale internazionaledell’Aia (TPI).<strong>Il</strong> procuratore capo Serge Brammertz sottolinea cheZagabria ha denunciato la scarsa collaborazione croata,ma anche bosniaca e serba ed ha adombrato la convinzioneche le autorità croate nascondano deliberatamente idocumenti, così come hanno già fatto tempo ad<strong>di</strong>etro nelprocesso al generale croato <strong>di</strong> Bosnia Tihomir Blaskic. <strong>Il</strong>processo ai tre generali occupa le prime pagine dei giornaliin Croazia, una cospicua parte dell’opinione pubblica liconsidera eroi nazionali.Una delle aule giu<strong>di</strong>ziariedel Tribunale internazionale dell’Ajascatenata tifoseria nel quartiere Ottakring<strong>di</strong> Vienna.Per altro verso, un giovane sacerdotecroato con le stimmate, circondatoda un alone <strong>di</strong> mistero e accolto nelleparrocchie come una star e veneratocome un novello Padre Pio, ha sostenutola squadra <strong>di</strong> calcio con le sue pre<strong>di</strong>che.Padre Zlatko Sudac, 37 anni, ufficialmenteassegnato alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong>Cherso, ha pre<strong>di</strong>cato la parola del Signorenel ritiro croato, senza grande successotuttavia, vista l’eliminazione dellasquadra ad opera appunto dell’infedeleTurchia. Ex studente <strong>di</strong> psicologia, pittorea tempo perso e sacerdote a tempopieno, Sudac incontra, a quanto si legge,il favore <strong>di</strong> molti fedeli, desiderosidella sua bene<strong>di</strong>zione speciale. La stessache lui ha dato, dopo la Messa, a tuttii giocatori della Croazia, <strong>di</strong> cui è naturalmenteaccanito tifoso. Ma la battagliacon i turchi è stata ugualmente persa.d.a.

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