Maggio 2005 - Ordine dei Giornalisti

Maggio 2005 - Ordine dei Giornalisti Maggio 2005 - Ordine dei Giornalisti

Sanctis a Walter Tobagi. 1877-1980 a firma Federica Mazza, editore ScheiwillerORDINE 5 <strong>2005</strong>WalterTobagiil nostroeroeda primapaginaTobagi, segnalato dal cerchietto, con un giornalein mano, durante una visita di Ferruccio Parrial liceo Parini dove Walter studiava.In aula al Parini in veste di redattore della Zanzara.Ai tempi della collaborazione con la rivista Sciare.prima di dimettersi dalla direzione del Corriere scrive unalettera ai Crespi, proprietari del giornale tornati in sella.Quella lettera è inedita e accompagna il saggio apparso,come dicevo, su Problemi dell’informazione. Ormai tra glieditori e il direttore si è scavato un fossato. I primi non hannoperdonato all’altro la sua linea sul referendum favorevolealla Repubblica e rassicurante verso quei ceti borghesi chetemevano, con l’avvento della Repubblica, il salto nel buio.Borsa scrive, questo è il giudizio di Walter Tobagi, una letteradi esemplare coerenza, rivendicando la sue posizioni e lanecessità di proseguire sulla linea tracciata nel primo annodi direzione del giornale. E affronta, senza ambiguità, “lequestioni nodali di un giornalismo libero e democratico, lequestioni dell’autonomia professionale, di un rapporto conla proprietà che non può imporre al giornalista intollerabilicompromessi”.Profonda testimonianzadi un giornalismo vissutoScrive Tobagi al riguardo: “In questo modo Mario Borsa offrela testimonianza più vivida di un giornalismo non servile, malibero, di un giornalismo che, pur fra tante difficoltà, ha cercatodi realizzare in tanti anni di faticosa professione”. Ed èquesto, se si vuole, il senso ultimo della sua esperienza digiornalista liberale e democratico: la coerenza e la testimonianzadi un giornalismo vissuto. “Dite sempre quello che èbene e che vi par tale anche se questo bene non va precisamentea genio ai vostri amici: dite sempre quello che è giusto,anche se ne va della vostra posizione, della vostra quiete,della vostra vita. Siate dunque indipendenti e inchinatevi solodavanti alla libertà, ricordandovi che prima di essere un dirittola libertà è un dovere”: sono queste parole di Borsa, cheWalter recupera e indica ai colleghi. Tobagi scrive ancora acommento del ruolo del giornalista tracciato da Borsa nelleultime pagine delle sue Memorie: “Così, nell’ultima paginadelle Memorie, Borsa ripete il suo atto di fede, con un ottimismoe un volontarismo che rivelano il carattere dell’uomo,convinto e fiducioso nella forza creatrice dell’individuo: chepuò evitare i condizionamenti, in quanto sia consapevole nondel diritto ma del dovere alla libertà, una libertà privata epubblica che per il giornalista si identifica, innanzitutto, con lalibertà di stampa. Per Borsa, certo, questo concetto si collegaa una visione semplificata e idealizzata <strong>dei</strong> rapporti tra igiornali, soprattutto la grande stampa d’informazione, ed ipotentati economici e politici. Basta che in un Paese, è la suaconvinzione, esistano due giornali diversi, facenti capo a duegruppi diversi, perché le cose vadano come devono andare,cioè siano soggette al controllo ora dell’uno ora dell’altro. Inquesto gioco alterno - che permette l’esplicazione della suafunzione politica e morale - sta la libertà di stampa”.“Può apparire, nota Walter, una visione idealizzata dellalibertà di stampa; ed è, in modo conseguente, la trasposizioneideologica di un’esperienza storica, l’esperienza che aBorsa è più cara, quella dell’amatissima Inghilterra e quelladell’Italietta liberale. In quest’esperienza storica, Borsa havisto i giornali svolgere una duplice funzione: non solo strumentid’informazione, ma anche consiglieri e pedagoghidell’opinione pubblica, guide ideologiche e morali. Ed è,anche questa, una delle lezioni di Borsa che possono suonarepiù attuali”.Il giornalista deve operarecome storico dell’istanteC’erano tanti modi di ricordare Walter Tobagi nel XXV anniversariodell’assassinio. Innanzitutto la sua fede cristianaintensamente professata, il suo riformismo socialista altrettantointensamente vissuto. Ma ho voluto parlare del giornalistaTobagi, del suo modo di intendere la professione, <strong>dei</strong>suoi modelli ideali di giornalismo e di come le sue convinzionipolitiche e sindacali poggiassero su un fondo democraticoradicato e forte. Nella premessa a Il sindacato riformista(Sugarco 1977), Tobagi ha scritto: “Per questo èimportante andare a rivedere e riconsiderare scelte, obiettivi,comportamenti, risultati del sindacato in due momentidecisivi, durante i quali le organizzazioni <strong>dei</strong> lavoratori assumonoun’importanza strategica e diventano forza nazionale,in quanto colgono nitidamente che la loro possibilità dicrescita e di sviluppo – e quindi anche di potere – coincidonocon l’affermazione e il consolidamento di un sistemademocratico. È tale intuizione che fa del sindacato, a partiredal 1906, un elemento basilare di questo sistema, e rendedrammatico quanto decisivo lo scontro tra riformisti e rivoluzionarinel Partito socialista e, ancor più, all’interno delleorganizzazioni proletarie”.Abbiamo visto che Tobagi si era avvicinato a Mario Borsanel ‘72-’73 e che il saggio è stato pubblicato quattro annidopo. Abbiamo visto che aveva parlato di Francesco edEdoardo Ruffini, altri maestri liberali, durante il congressodella stampa di Pescara. Un filo lega i Ruffini a Borsa esegna il suo modo di intendere il sindacato e la professione.Il giornalista era davvero per Walter lo “storico dell’istante”, ilgiornalista cioè deve operare, senza farsi condizionare dall’ideologia,sui fatti di tutti i giorni con le tecniche di scavo e diverifica che gli storici usano sui periodi lunghi. C’è da direche Walter era anche storico di professione. La sua preparazionesofisticata nel campo <strong>dei</strong> fenomeni sociali e delmovimento sindacale – esemplare è la sua Storia del movimentostudentesco e <strong>dei</strong> marxisti-leninisti in Italia (SugarEditore, Milano 1970) – lo avevano portato a comprendere,con anticipo su tutti, che i terroristi rossi non erano “fascisti”o “compagni che sbagliavano”. Venivano dalle fabbriche,erano militanti <strong>dei</strong> gruppuscoli extraparlamentari dell’ultrasinistrao anche ex-iscritti al Pci. Lo ha documentato AldoForbice (Testimone scomodo – Walter Tobagi – Scritti scelti1975-80, Franco Angeli, Milano 1989), pubblicando 28 articolidi Tobagi sul lavoro, sull’economia e sul sindacato, e altri42 sugli anni di piombo, compreso quello famoso dal titolo“Non sono samurai invincibili” (20 aprile 1980). Le br sonosconfitte dopo la eliminazione della colonna “imprendibile” diGenova: “A voler essere realisti – scrive Tobagi – si devedire che il tentativo di conquistare l’egemonia nelle fabbricheè fallito. I terroristi risultano isolati dal resto della classeoperaia”. Ha annotato ancora Tobagi in quell’articolo: “Lafabbrica era diventata il centro di uno scontro sociale chepoi ha trasferito i suoi effetti nella società, nei rapporti politici.I brigatisti hanno cercato di inserirsi in questo processo,in parte raccogliendo il consenso delle avanguardie piùintransigenti”. Un’analisi lucida che apre gli occhi anche achi voleva tenerli chiusi a tutti i costi. Un’analisi che rispecchiail suo credo deontologico: “Poter capire e voler spiegare”.I brigatisti rossi miravano a uccidere, nella loro follia, iriformisti e tutti coloro che davano prestigio allo Stato“borghese” o che, opponendosi all’avanzata del comunismoin Italia, erano ritenuti “nemici di classe”. Tobagi era un nemicoperché con le sue analisi aveva svelato il retroterra ideologico<strong>dei</strong> terroristi, ma ai loro occhi era anche un nemicoimpersonando una interpretazione fortemente libera edemocratica della professione giornalistica vissuta senza“verità ideologiche” prevalenti su quelle storicamente dimostrateattraverso la ricostruzione rigorosa <strong>dei</strong> fatti.Perché i brigatisti preserodi mira soprattutto i riformistiIl taccuino di Walter faceva paura. Il Pm Emilio Alessandriniaveva spiegato i piani <strong>dei</strong> brigatisti in un’intervista all’Avanti!:“Non è un caso che le azioni <strong>dei</strong> brigatisti siano rivolte nontanto a uomini di destra, ma ai progressisti. Il loro obiettivo èintuibilissimo: arrivare allo scontro nel più breve tempopossibile, togliendo di mezzo quel cuscinetto riformista che,in qualche misura, garantisce la sopravvivenza di questotipo di società”. Tobagi condivideva il giudizio di Alessandrini,quando osserva che “i brigatisti prendevano di mirasoprattutto i riformisti”. Alessandrini e Tobagi erano “personaggisimbolo” sui quali si è abbattuta la ferocia <strong>dei</strong> killerrossi. Per Tobagi, Alessandrini “rappresentava quella fasciadi giudici progressisti ma intransigenti, né falchi chiacchieroniné colombe arrendevoli”.Contro i rischi della superinformazione e della diffusione dinotizie di “padre ignoto”, si alza ammonitrice la voce di WalterTobagi, del Tobagi dell’ultimo dibattito al Circolo della Stampadi Milano. Era il 27 maggio 1980. Un discorso ancora oggiattualissimo. Non dobbiamo confondere controinformazionee superinformazione, consapevoli anche che l’apparentecontroinformazione potrebbe essere «un servizio prestato auna superinformazione di cui sfuggono completamente fini emodalità». Se cade in questo errore, diceva Tobagi, «il giornalistadeve chiedersi se fa un servizio giornalistico o se faun altro servizio, che nel caso specifico è assai meno nobile».Il lettore non può essere destinatario di notizie di «padreignoto». Al lettore si deve anche dire la fonte che ha diffusol’informazione «perché se non si fa questo i giornali rischianodi diventare degli strumenti che servono per combatterebattaglie per conto terzi». Tobagi suggeriva una via d’uscitaalla crisi <strong>dei</strong> rapporti giudici-giornalisti: dibattimenti rapidi inmodo tale che i giudici non siano costretti a nascondere lenotizie e i giornalisti non siano costretti a scrivere articoli sullabase di pochi dati. Era il 27 maggio 1980. Nove anni dopo èentrato in vigore il nuovo rito processuale penale. Le cosenon sono migliorate. I processi sono sempre lenti. Dai palazzidi giustizia continuano a uscire molte notizie di «padreignoto».Una profonda coerenzatra pensiero e azioneHo voluto ricordare Walter Tobagi attraverso momenti crucialidella sua vita, l’elezione a presidente dell’Associazionelombarda <strong>dei</strong> giornalisti e il contributo di idee al congressodella stampa di Pescara. Ho voluto ricordare Walter e il suocollegarsi a maestri, come Francesco e Edoardo Ruffini,Mario Borsa nonché le sue analisi sul terrorismo. Il problemadel rispetto delle minoranze nel sindacato e quello dell’ancoraggiodella professione giornalistica al rigore morale sonosempre attuali, mentre oggi mancano le analisi approfonditesul nuovo terrorismo, quello che ha ucciso Marco Biagi eMassimo d’Antona. C’è in lui una coerenza tra pensiero eazione, l’azione come giornalista e come sindacalista. Ai giornalisti,giovani e meno giovani, va rammentata l’alta ispirazionedeontologica di Walter: lavorare con piena libertà dicoscienza. Una regola che soprattutto in queste stagioniincerte per il futuro della professione va onorata fino in fondo.Ecco perché Walter ci parlerà continuamente. Egli, comedicevano gli antichi greci, è vivo. E vivrà sempre tra di noi enel nostro cuore.*presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia3


Tesi di laurea<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia. Settima edizione (2004/<strong>2005</strong>)del Premio sulle tesi di laurea sul giornalismo.III sezione: “Istituzioni della professione giornalistica.La deontologia e l’inquadramento contrattuale <strong>dei</strong> giornalisti in Italia,in Europa e nel resto del mondo occidentale”.Walter Tobagi – Una vita breve animatadalla ferrea volontà di “capire per spiegare”di Federica MazzaLa vita, pur breve, di Walter Tobagi fa parte della storia delgiornalismo italiano contemporaneo. Non solo per la sua rapidae solida carriera professionale e di dirigente sindacale, oper la sua capacità di coniugare la cronaca con gli approfondimenti,ma anche per la sua personalità carismatica, riconosciutae apprezzata nonostante la giovane età. Quandomuore ha, infatti, solo trentatré anni.Vicino per indole personale e cultura politica alle problematichesociali, Tobagi ha saputo incanalare la sua attività giornalisticaverso quell’unico, grave e mai risolto problema checoncerne la tutela della libertà di stampa e lo speculare diritto<strong>dei</strong> cittadini a una corretta informazione. Un leit motiv,questo, che accompagna e intesse da sempre la storia delgiornalismo italiano.Al liceo Parini l’esordionella redazione della ZanzaraWalter Tobagi nasce il 18 marzo 1947 a SanBrizio, in Umbria, nei pressi di Spoleto. All’etàdi otto anni si trasferisce con la famiglia (il papàera ferroviere) a Cusano Milanino, nell’hinterlandmilanese. Adolescente, frequenta a Milanoil liceo classico Parini, dove tra il 1962 e il1966 collabora al giornalino dell’Istituto, laZanzara, prima occasionalmente (durante ilginnasio) poi, dal liceo, come redattore fisso epoi come caporedattore.Nella redazione de la Zanzara, che deve ilnome all’intento di “pungere” gli studenti al finedi spingerli ad aprirsi e a discutere, Tobagitrova compagni bravi e motivati come Salvatoree Alberto Veca, Carlo Andrea Mortara,Tino Oldani, Stefano Magistretti, LodovicoJucker, Massimo Nava, Vittorio e GuidoZucconi, Marco De Poli, Marco Sassano(autore con Claudia Beltramo Ceppi dell’inchiestasu “Che cosa pensano le ragazze dioggi?” circa i rapporti coi genitori, su l’educazionesessuale, su l’uso degli anticoncezionali,sui rapporti prematrimoniali, matrimonio edivorzio; le troppo disinvolte risposte di alcuneintervistate, che incolpano famiglia, scuola,religione e società di carenza pedagogica suquei problemi, avevano provocato un casogiudiziario noto ancor oggi come il “casoZanzara”).A portare stabilmente in redazione Tobagi cipensa Vittorio Zucconi (oggi inviato specialedi Repubblica dagli Stati Uniti), più grande didue anni: «Mi avevano detto che tra i “bambini”di prima liceo ce n’era uno che sapeva scriverebene e che sarebbe stato forse dispostoa collaborare. Un certo Tobagi Walter. Gliparlai mangiando un panino al salame che ilbidello vendeva a prezzi di strozzinaggio e luimi disse di no. Mi spiegò che c’era troppo dastudiare al liceo, che il giornalismo, neppurequello dilettantistico della Zanzara, non gliinteressava molto e nella vita voleva fare cosepiù serie. Lo pregai, lo lusingai, feci pesare sudi lui tutta la formidabile autorità morale cheuno di terza, un “maturando”, aveva sopra unanullità di prima. Feci ricorso a bassezze moralie mozioni degli affetti: pensa come saràorgoglioso tuo padre quando vedrà il tuonome stampato sul giornale del Parini. Walteresitò ancora, cercò di schermirsi, ma era timido,come lo sono tanti giornalisti, e alla finecedette. Non si contraria a cuor leggero unanziano che dall’alto <strong>dei</strong> suoi diciassette annie mezzo mette uno di quindici anni e mezzocon le spalle al muro. Ma di che cosa devoscrivere? S’informò candidamente Tobagi. Diquello che ti pare, basta che scrivi. Mi portò ilsuo primo scritto sui rapporti tra insegnanti estudenti, e glielo feci rifare. Tobagi Walter, lorimproverai, devi fare un articolo, mica untema».I due compagni di scuola si ritroveranno, quindicianni più tardi, a lavorare di nuovo insiemenello stesso giornale, il Corriere della Sera,dove Tobagi continuerà a chiamare scherzosamente“direttore” Zucconi, rimproverandoglidi averlo avviato alla «turpitudine del giornalismo».Inizia a scrivere di sport,poi di cultura e questioni socialiL’iniziazione di Tobagi, al ginnasio, avvienecon il giornalismo sportivo, occupandosi inparticolare di calcio. Nello stesso periodocomincia a scrivere anche su Milan-Inter, unsettimanale allora in voga, e approfitta delleconoscenze coltivate in quell’ambiente perproporre su la Zanzara interviste a calciatorie allenatori delle due squadre milanesi,come ad esempio quelle a Giovanni Trapattonie a Helenio Herrera.Ma Tobagi non si interessa soltanto di sport,scrive anche articoli di costume e di cultura,di scuola e di movimento studentesco, distoria e di questioni sociali: il suo impegnogiornalistico va maturando. Così come la suaverve polemica e la sua capacità di gestiredibattiti. Sono in molti a ricordare il diverbiocon Lodovico Jucker, figlio di ricchi industrialied estremista marxista, che in un articolo sula Zanzara scrive nel novembre 1964 unpezzo (“La corsa <strong>dei</strong> topi”) ispirato a teoriemassimalistiche. Per descrivere la societàneocapitalista ricorre al sociologo americanoPaul Goodman e alla sua metafora <strong>dei</strong> topichiusi in una stanza, impegnati a correre incircolo senza sosta. Analogamente, gli uominidella civiltà industriale, scrive, «guadagnanodi più per poter comprare di più e incrementarela produzione, onde poter guadagnaredi più, in un circolo vizioso che nonsembra mai concludersi». Jucker terminadicendo quanto poco appetibile sia per igiovani inserirsi in siffatta società, che producenon uomini ma ingranaggi. Da qui trael’estrema conseguenza: l’eversione del sistemaquale unica soluzione per uscirne, la rivoluzionequale impegno necessario per abbatterele storture neocapitalistiche. Nel numerode la Zanzara del dicembre 1964, Tobagi glirisponde (“Impegno cristiano, senza rivoluzioni”,questo il titolo dell’articolo) contrapponendoa quella visione massimalista l’immaginedi un “socialismo cristiano”, secondo cui «illavoro è castigo, certo, ma castigo che nobilita»pur non sottacendo la complessità <strong>dei</strong>rapporti tra lavoratori e “padroni”. Tobagi sidice d’accordo sull’enunciato, ma non sullasoluzione: nessuna eversione del sistema èda perseguirsi, bensì una sua trasformazionedall’interno.Anche il suo impegno sindacalenasce durante gli studi licealiOltre che terreno fertile di esercitazione giornalistica,gli anni del Parini sono per Tobagiuna palestra d’impegno “sindacale”, coinvoltocom’è nelle attività dell’Associazionestudentesca pariniana (Asp) che autogestiscemanifestazioni culturali, artistiche, ricreative,sportive ed anche la rappresentanzadegli interessi studenteschi con la presidenzadel liceo. L’organizzazione dell’associazionesi ispira a principi democratici: le caricheerano elettive e pari diritto di voto spetta aogni studente iscritto, che può richiederemodifiche allo statuto oppure sfiduciarel’esecutivo se inadempiente; alla presidenzaè eletto chi ottiene più voti e tra i componentidell’esecutivo sono ripartite le deleghe alleattività sportive, culturali, ricreative, amministrativee agli “affari esteri”, cioè ai contatticon le altre scuole e la società civile. A Tobagitocca di seguire il settore culturale e dipromuovere l’inserimento <strong>dei</strong> ginnasiali nelleattività dell’associazione e del suo organoufficiale, la Zanzara, creando per loro unaredazione distaccata.Giornalista e sindacalista in erba, dunque.Fin dall’adolescenza. Lo scriver bene e bendocumentato, oltre alle sue doti di mediatore,fa parte evidentemente della sua indole.Un mix che, affinandosi e crescendo con glianni, porterà Walter Tobagi a emergerecome leader sia nella professione giornalisticache nel sindacato di categoria.Affronta qualsiasi argomentocon la pacatezza del ragionatoreTobagi comincia la sua gavetta a 21 anni,prima nel quotidiano socialista Avanti!(gennaio - giugno 1969), poi in quello cattolicoAvvenire (1969-72) allora diretto daLeonardo Valente: «Nel 1969, quando loassunsi, mi accorsi di essere davanti a unragazzo preparatissimo, acuto e leale. Di luiricordo le lunghe e piacevolissime chiacchieratenotturne alla chiusura del giornale. Nonc’era argomento che non lo interessasse,dalla politica allo sport, dalla filosofia allasociologia, alle tematiche, allora di moda,della contestazione giovanile. Affrontava qualsiasiargomento con la pacatezza del ragionatore,cercando sempre di analizzare i fenomenisenza passionalità. Della contestazionecondivideva i presupposti, ma respingeva leintemperanze».Tobagi si occupa, in quegli anni, di un po’ ditutto. All’Avanti! passa da argomenti di politicaestera a quelli su scuola e università, informazionee cultura, cronaca e sport. Inizialmenteè così anche ad Avvenire, ma poi ha affina isuoi interessi verso temi sociali, politici esindacali, ai quali dedica molta attenzioneanche nel lavoro “parallelo”, quello universitarioprima e di ricercatore poi.La prima inchiesta apparsa su Avvenireriguarda il movimento studentesco a Milano:quattro puntate ricche di dati, analisi e opinionisulla galassia <strong>dei</strong> gruppuscoli e sulla contestazione,vista stavolta con gli occhi del cronistae non più del protagonista (anche se inquegli anni è ancora studente universitario).Si occupa poi di problemi culturali (un centinaiodi articoli, tra cui uno molto pungente suun “mostro sacro” della letteratura contemporanea,Alberto Moravia), di temi economici edi politica estera (scrive su Medio Oriente,India e Cina, sulla Spagna alla vigilia del crollodel franchismo, sulla guerriglia nel Ciad,sulla crisi economica e politica della Tunisia,sulle violazioni <strong>dei</strong> diritti dell’uomo nella Grecia<strong>dei</strong> colonnelli…). A piccoli passi il cronistaTobagi comincia a frequentare anche il terrenopolitico, e lo fa - la prima volta - con un’acutaanalisi <strong>dei</strong> risultati elettorali del ‘72, indagandonelle aree tradizionalmente destrorsedel Sud e raccontando la rivolta “fascista” diReggio Calabria, <strong>dei</strong> “boia chi molla” di CiccioFranco.Con le lotte operaie <strong>dei</strong> primi anni ‘70, Tobagisi avvicina a temi a lui più consoni, quellisindacali: ecco allora i servizi sulla condizionedi lavoro <strong>dei</strong> metalmeccanici (“Non voglionopiù vendere la salute in fabbrica”), deglioperai della Fiat di Mirafiori (“Parità con gliimpiegati e freno al carovita”), sull’autunnocaldo del ‘72, sui roventi dibattiti per l’unitàsindacale.In quei primi anni Settanta l’attività giornalisticadi Tobagi viene presto assorbita dall’evolversidel terrorismo di marca fascista (e poi diquello rosso). Segue scrupolosamente leintricate vicende susseguitesi alle bombe dipiazza Fontana (12 dicembre 1969), con leindagini sulle “piste nere” che vedono coinvoltifascisti come Rauti, Freda e Venturamischiati ad accusati “di comodo” come glianarchici Pietro Valpreda (poi prosciolto) eGiuseppe Pinelli, morto tragicamente all’internodella questura di Milano. Sono gli annidel brutale assassinio del commissario LuigiCalabresi, della misteriosa morte di GiangiacomoFeltrinelli, saltato in aria sotto un traliccioa Segrate per l’esplosione di una bombada lui stesso confezionata, del tentativo digolpe neofascista da parte del principe JunioBorghese, delle prime azioni terroristichedelle Br, della guerriglia urbana provocatadagli estremisti di Lotta continua, Avanguardiae Potere operaio.4 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


Vincitrice è la dott.ssa Federica Mazza, Università degli Studi di MilanoBicocca, tesi “Fnsi e Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti,storia di un sindacato tra libertà e diritti.Dalle origini a Walter Tobagi” (relatore il prof. Francesco Abruzzo,correlatore il prof. Giorgio Grossi).Questa tesi è diventata un libro, voluto dall’<strong>Ordine</strong> lombardo,dal titolo: La storia del sindacato <strong>dei</strong> giornalistida Francesco De Sanctis a Walter Tobagi. 1877-1980 (Scheiwiller).Pubblichiamo un ampio stralcio della tesi e del libro.ORDINE 5 <strong>2005</strong>WalterTobagiil nostroeroeda primapaginaUna trasferta in montagna, sui campi di gara,durante l’esperienza di Walter nella rivista Sciare.Praticantato sul campoall’Avanti! e ad AvvenireAnni di “praticantato sul campo”, quelli diWalter Tobagi all’Avanti! e ad Avvenire, che loportano al Corriere d’Informazione e, poi, alCorriere della Sera, dove esploderanno le suepotenzialità di cronista politico-sindacale e diinviato sul fronte del terrorismo. Così raccontaLeonardo Valente: «Preparava gli articoli conla stessa diligenza con cui al liceo faceva leversioni di latino e greco e all’università si dedicavaalle ricerche storiche: una montagna diappunti, decine e decine di telefonate dicontrollo, consultazione di leggi, regolamenti,enciclopedie. Insomma svolgeva una mole dilavoro enorme per un pezzo di due cartelle.Ma quando finalmente si metteva alla macchinada scrivere si poteva esser certi che dalrullo sarebbero uscite due cartelle di oro colato.E se per caso, al termine delle sue ricerchee <strong>dei</strong> suoi controlli, si accorgeva di essere arrivatoa conclusioni opposte rispetto a quelle dacui era partito, buttava tutto all’aria e ricominciavadal principio, senza darsi la minimapreoccupazione della fatica e del tempo cheimpiegava. Il suo solo problema era di arrivarealla verità, a qualunque costo».Questo metodo scrupoloso accompagneràTobagi anche negli anni successivi, al Corrieredella Sera. Ecco la testimonianza di AldoForbice: «E forse per questo metodo rigorosodi analizzare i fatti, senza abbandonarsi aipotesi fantasiose, senza trascendere nellafacile emotività, senza ricamare sulle indiscrezioninon verificabili che sta la forza dellecronache di Walter Tobagi. Forse è per questovoler capire ad ogni costo, anche chi simacchiava di assurdi delitti, che è stato ucciso;perché i terroristi colpiscono proprio chicerca di capirli; chi, con i ragionamenti e leanalisi, semina dubbi al loro interno».La pensa così anche un altro grande del giornalismoitaliano, Giampaolo Pansa: «Tobagisul tema del terrorismo non ha mai strillato.Però, pur nello sforzo di capire le retrovie e dinon confondere i capi con i gregari, era unavversario rigoroso. Il terrorismo era tutto ilcontrario della sua cristianità e del suo socialismo.Aveva capito che si trattava del tarlo piùpericoloso per questo paese. E aveva capitoche i terroristi giocavano per il re di Prussia.Tobagi sapeva che il terrorismo poteva annientarela nostra democrazia. Dunque, egli avevacapito più degli altri: era divenuto un obiettivo,soprattutto perché era stato capace di metterela mano nella nuvola nera».“Poter capire, voler spiegare”nei tragici anni di piomboNei suoi anni di lavoro al Corriere della Sera,sino al tragico 28 maggio, Tobagi cerca ditradurre in pratica questa massima deontologica:«Poter capire, voler spiegare». Siamo neicosiddetti “anni di piombo” e della stagione“calda” delle rivendicazioni sindacali: al Corriereviene indirizzato a scrivere prevalentementedi terrorismo e lotta operaia anche se, all’occorrenza,gli assegnano temi culturali, di informazionee di politica. Racconta Giorgio Santerini,suo collega al Corriere della Sera esuccessore alla presidenza della “Lombarda”:«Un giorno Walter arriva in redazione. Il direttorechiede un’analisi della situazione geologicadel paese. Non si trovava l’esperto: professoriin materia non ne volevano sapere di scriverein tempi molto ristretti. Walter si attacca altelefono e, in meno di due ore, butta giù ilfondo di prima pagina. Eppure di geologia nonaveva mai scritto». L’articolo viene pubblicato il31 ottobre 1976, sotto il titolo “L’autunno inItalia, coi fiumi alla gola”.Appena entrato al Corriere, Tobagi si occupadi economia con una inchiesta a puntate su “Ipadroni al potere”, con interviste a Guido Carli(in procinto di ricoprire la carica di presidentedella Confindustria), Walter Mandelli (presidentedi Federmeccanica), Pietro Pozzoli (acapo <strong>dei</strong> giovani industriali), Giuseppe Pellicanò(massimo dirigente di Assolombarda).Come ricorda Aldo Forbice, dopo gli imprenditori«Tobagi intervistava gli operai, assistevaalle assemblee dell’Alfa, della Fiat, della Pirelliche duravano ore e ore. Cercava di capire leragioni delle lotte, le radici <strong>dei</strong> conflitti sociali,studiava le condizioni di lavoro nelle aziende,denunciava gli ambienti di lavoro malsani enon protetti: le fabbriche che producono veleni,che provocano il cancro (come l’Ipca diCiriè, una cittadina a 20 chilometri da Torino).Ma non si limitava solo alle analisi sociologichee a raccontare quello che succede nei“Palazzi” sindacali romani: andava in fabbrica,descriveva la vita quotidiana di uomini e donnealla prese con i problemi del lavoro pesante,malpagato, con le mille sopraffazioni, ricatti,discriminazioni, disagi, dentro e fuori i luoghi dilavoro. Ricordo, in particolare, lo stupendoaffresco di Filippa, “storia di una donna chefaceva panettoni”; lo spaccato dall’Alfa Romeo,dove nel consiglio di fabbrica “sono eletti tantioperai senza tessera sindacale”; la rabbia <strong>dei</strong>lavoratori Fiat (luglio ‘79); l’analisi del fenomenoassenteismo nelle grandi aziende; la crisidel sindacato nel rapporto con la base; leinchieste sul lavoro nero, sui “metalmezzadri”,sul rinnovamento del sindacato che deveessere espressione di tutte le realtà sociali,dando “rappresentanza ai nuovi strati di lavoratoriche vivono esperienze estremamentediverse, dalla disoccupazione alla sottoccupazione,all’occupazione precaria”».In campo sindacale, Tobagi nutre simpatia perla Uil, quale «sindacato della società civile»;così si esprime in occasione del trentesimoanniversario del movimento (marzo 1980): «Lanuova Uil, pur nella più netta autonomia, cercadi contribuire alla ricerca di nuove prospettivepolitiche per la sinistra e cerca di ridefinirequale sia la presenza più efficace del sindacatonella fabbrica come nella società».Un cronista in prima lineasul fronte del terrorismoDalle lotte operaie al terrorismo, Tobagi èsempre in prima linea «per poter capire, volerspiegare». Prosegue il racconto di Aldo Forbice:«Al Corriere segue con maggiore sistematicitàtutte le vicende: dai tempi degli autoriduttoriche disturbavano i festival dell’Unità agliepisodi di sangue più efferati con protagonistele Br, Prima linea e le altre bande armate. Cosìsi rimette a studiare il ‘68, rievocando in un’intervistaa Mario Capanna, le contestazioni allaScala di Milano, con uova, cachi e vernice alminio, per capire le nuove contestazioni, quelle<strong>dei</strong> giovani del ‘77; scruta con attenzione gliepisodi di estremismo in fabbrica per spiegarei tentativi di infiltrazione terrorista (casi dellaMagneti Marelli, della Siemens, dell’Alfa, dellaFiat ecc.). Anche nei giorni drammatici delsequestro Moro segue con trepidazione ognifase della mancata trattativa e <strong>dei</strong> colpi discena, valorizza ogni spiraglio che possacontribuire a salvare la vita del presidente dellaDc. Per primo, polemizzando con i “brigatologi”,tenta di spiegare razionalmente che esisteuna coerente continuità tra vecchie e nuove Bre che, quindi, non vi è alcuna contrapposizionetra le Br “romantiche” delle origini con lefacce pulite alla Mara Cagol e le Br sanguinariee dunque ambigue e provocatorie degli ultimitempi».Le sue inchieste sul terrorismo, che in queltempo occupano la maggior parte degli spazisia processuali che di cronaca, rimangonomemorabili. Così racconta il collega AlessandroBortolotti: «Tobagi va in fondo scava incessantementealla ricerca di una verità che allafine forse trova, orientando la sua azione nelcercare analiticamente le connessioni tra lacosiddetta società civile e i terroristi, soprattuttonei punti naturali di congiunzione, nellefabbriche e nelle scuole. Inizia a dar fastidio amolti, anche perché tutto questo è amplificatoin modo formidabile dall’importanza dellatestata sulla quale scrive, il Corriere dellaSera. Oltretutto sospetta delle posizioni dipiena conformità assunte dal sindacato, dallapolitica, dai giornali, da persone che per troppotempo non hanno voluto vedere ciò chestava nascendo: di un comportamento accomodante,insomma, che giudica subdolo eforse non proprio casuale».Accanto ai processi e agli attentati <strong>dei</strong> brigatisti,Tobagi non disdegna di seguire vicendeapparentemente minori, ma altrettanto gravisul piano etico, come quella <strong>dei</strong> sei ragazzi delliceo Parini, il “suo” liceo, che hanno picchiatoun compagno sedicenne colpevole soltanto disimpatizzare per il Fronte della gioventù, l’organizzazionegiovanile del Movimento socialeitaliano. Non trascura, nei suoi servizi, i poli-5


Tesi di laureaziotti, anch’essi vittime, con magistrati, giornalistie politici, delle bande armate. Di costorodescrive la rabbia e lo sconforto per non riusciread arginare l’ondata di violenza che stavainsanguinando l’Italia. Né ignora il fenomenodel pentitismo o quello della clandestinità.Tra i suoi ultimi articoli sul terrorismo c’è untesto - ripubblicato più volte e significativo sindal titolo: “Non sono samurai invincibili” - in cuiTobagi sfata tanti luoghi comuni sulle BrigateRosse e gli altri gruppi armati, denunciandoperò il pericolo di un radicamento del fenomenoterroristico nelle fabbriche: «La sconfittapolitica del terrorismo passa attraverso sceltecoraggiose: è la famosa risaia da prosciugare,tenendo conto che i confini della risaia sonomeglio definiti oggi che non tre mesi fa. Etenendo conto di un altro fattore decisivo: l’immaginedelle Brigate Rosse si è rovesciata,sono emerse falle e debolezze e forse non èazzardato pensare che tante confessioninascono non dalla paura, quanto da dissensiinterni, sull’organizzazione e sulla linea delpartito armato».Il suo nome nella listadelle Brigate RosseQuando la sera del 29 gennaio 1979 - quellamattina i killer di Prima Linea avevano ucciso ilmagistrato Emilio Alessandrini - scopre che ilsuo nome, con quello di Leo Valiani, FrancoAbruzzo e di altre trentatré persone (tra avvocatie magistrati) figura nelle liste rinvenute neicovi delle Formazioni combattenti comunisteaffiliate alle Brigate Rosse, Tobagi non riescea nascondere la propria preoccupazione,anche se cerca di minimizzarla in famiglia,soprattutto col figlio Luca. Convocato a palazzodi giustizia la mattina dopo, il 30 gennaio, ilprocuratore Capo Mauro Gresti suggerisce alui (e a Franco Abruzzo) di cambiare città,abitudini di vita e di uscire la mattina dopo lenove «perché i terroristi sparano - gli disse -tra le otto e le otto e mezza». Ma lui rifiuta diandarsene.Nella relazione annuale del presidente Tobagiai soci della Lombarda (anno 1978) si leggequesto passaggio: «Possiamo annoverare iterroristi tra quelli che si propongono di fartacere, o almeno intimorire, la stampa. Sarebbesciocco ignorare questa realtà, ma nonpossiamo nemmeno farci impaurire. Dev’esserechiaro che i giornalisti non vanno in cercadi medaglie, non ambiscono alla qualifica dieroi; però non accettano la regola degli avvertimentimafiosi. E tuttavia sarebbe ipocrita nonammettere che i terroristi hanno già ottenutoun risultato concreto: con le loro imprese aberranticostringono tutti a ragionare in un mododiverso, a porsi problemi di sicurezza e d’incolumitàpersonali, che qualche anno fa sarebberoapparsi assurdi. […] Alla violenza sirisponde col richiamo fermo e coerente allademocrazia, all’interno della quale si può collocareun sistema informativo libero, com’è nelletradizioni e nell’esperienza delle democrazieoccidentali».Il collega e amico Leo Valiani darà di WalterTobagi, anni dopo la sua morte, questa bellatestimonianza: «Mi sono trovato con Tobaginella redazione del Corriere della Sera, nelperiodo degli “anni di piombo” del terrorismoche ne ha decretato poi la morte. Era ammirevolela pazienza con cui, incurante del pericoloche, al pari di altri, egli pure correva quotidianamente,cercava non solo di scoprire chierano i terroristi, ma altresì di conoscerli davicino, di comprenderli. Sapeva e, diversamentedalla moda allora corrente, non cercava dinascondere che in maggioranza erano rossi enon neri (benché i neri non mancassero)senza, per questo, ricondurli genericamente almarxismo. Non ignorava che Marx era statocontrario al terrorismo praticato ai suoi tempisoprattutto dagli anarchici e che se il sistemainstaurato da Lenin praticava già, in vita delsuo fondatore, il terrorismo di stato, l’assassiniodegli avversari come metodo fondamentaledella lotta politica caratterizzò lo stalinismo.Vedeva, inoltre, le circostanze specifiche delterrorismo italiano. Uno <strong>dei</strong> suoi assassini,rimesso troppo presto in libertà, dopo lacondanna eccessivamente mite, ha confessatopoco dopo: “Se ci avessero fermati quandousavamo le spranghe di ferro, non saremmoarrivati a sparare per uccidere”. La memoriacorre di nuovo a Matteotti, che aveva sostenuto,in tempo utile, che l’impunità accordata aglisquadristi (egli proponeva sin dall’inizio del1921 di incriminarli per associazione a delinquere)li avrebbe resi eccezionalmente pericolosi.L’Italia repubblicana non ha fatto, sotto icolpi del terrorismo, la stessa fine dell’Italialiberale sotto i colpi dello squadrismo. I politici,i sindacalisti, i magistrati, i poliziotti ed i carabinieri,i giornalisti e le grandi masse del paese,hanno imparato qualche cosa dall’amaraesperienza del primo dopoguerra. Se hannosaputo difendere la Repubblica, lo si deveanche ad uomini come Tobagi ed al loro sacrificio».Un sindacato <strong>dei</strong> giornalistinon diretto dai burocratiUn sindacato di giornalisti non legato al carrodi nessuno, non diretto da «burocrati estraneialla professione» e proteso a salvaguardare lalibertà di stampa ad ogni costo: di questoTobagi è profondamente convinto; queste ideesono il suo cavallo di battaglia nella conduzionedella Lombarda, fin dai tempi del congressodi Pescara dell’autunno del 1978. Il 26febbraio 1980 nella relazione annuale dellaLombarda dice: «Al coro qualunquista di quantideprecano l’esistenza <strong>dei</strong> partiti, riteniamoanzi che i partiti siano elementi essenziali delsistema democratico. Rifiutiamo però unavisione, sostanzialmente autoritaria, che tendea far risalire ai partiti ogni potere, in unaprospettiva totalizzante. Richiamiamo l’autonomiadella società civile, sottolineando che l’esistenzadi giornali autonomi e indipendenti èfattore insostituibile come garanzia del pluralismoe della vitalità sociale. Sarebbe ora che ipartiti si preoccupassero di meno di condizionarei giornali, e cercassero piuttosto di leggere- nelle cronache di una stampa realmenteindipendente - quanto di nuovo si muove nellasocietà».E, a proposito di indipendenza, Tobagi ribadisceripetutamente, e da tutte le tribune, ilconcetto che soltanto «un’indipendenza ostinata»sarebbe stata il vero presupposto dell’attivitàprofessionale: «Anche l’organizzazionedel sindacato deve rispondere a questa ostinatavolontà di autonomia e di indipendenza.Sarebbe comodo fare del sindacato tralasciandol’attività professionale. A qualcuno una similescelta potrebbe anche apparire coraggiosa,mentre sarebbe solo uno sbaglio tremendo. Igiornalisti costituiscono una categoria speciale;la loro attività implica contenuti ideologici lacui salvaguardia non può essere affidata a unacasta estranea, per quanto scelta con cura. Icolleghi non accetterebbero che il loro sindacatofosse rappresentato da burocrati estraneiall’esperienza di una professione che non sipuò conoscere se non la si pratica, se non lasi vive giorno per giorno. Per carità: rifuggiamodalla retorica <strong>dei</strong> freschi inchiostri all’alba, marifuggiamo pure dai facili ideologismi di chipretende di filosofare sul giornalismo senzaconoscere la fatica, i sacrifici, le difficoltà chestanno dietro a ogni articolo, anche dietro lapiù comune notizia di cronaca. […] Un mestiereduro, artigianale, nonostante l’applicazionedelle tecnologie più moderne».Tecnologie che non vanno affatto demonizzate,secondo Tobagi, nell’ottica della contrazionedi manodopera, bensì «accolte come nuovimezzi che possono allargare la stessa libertàdi stampa». Una libertà che va difesa comunquee sempre, «senza tentennamenti». Tobagisostiene che «l’effettiva libertà di stampa sifondi sulla pluralità delle testate, sull’indipendenzaeconomica delle aziende e, dunque,sulla possibilità dell’indipendenza concreta delgiornalista all’interno della sua realtà editoriale».Queste idee non nascono improvvise. Giàsu Numerozero, l’allora mensile della Fnsi,Tobagi scrive che l’esclusione del suo gruppodal congresso di Pescara «colpiva alcune ideeche invece voglio portare al congresso: lanecessità, in primo luogo per il sindacato, diuscire dal condizionamento <strong>dei</strong> partiti chesoffocano l’editoria; l’opportunità di diminuire aivertici sindacali il peso <strong>dei</strong> giornalisti radiotelevisivi;infine, la convinzione che solo un’impresacapace di profitto sia garante di una realeautonomia dai centri di potere».Professione e impegno sindacale in Tobaginon sono mai disgiunti; compito della stampaè quello di puntare alla difesa della propria indipendenzabasandosi sulla professionalità, siadell’impresa che del giornalista. Questososterrà fino alla vigilia della sua tragica fine.La stampa “strumento”delle lotte interne al potereSu iniziativa dell’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti si tieneil 27 maggio 1980, al Circolo della Stampa di Milano, unimportante convegno sul tema “Fare cronaca fra segretoprofessionale e segreto istruttorio”. Il convegno, molto partecipato,è l’occasione per discutere del “caso Isman”, il giornalistade Il Messaggero di Roma incriminato per aver pubblicatoi verbali dell’interrogatorio del brigatista Patrizio Peci fornitiglidal vice capo del Sisde (il Servizio per le informazioni e lasicurezza democratica), Silvano Russomanno. La bruttastagione del terrorismo aveva instillato nei giornalisti la spiacevolesensazione di venire utilizzati non già per trasmetterenotizie, ma quali strumenti inconsci di lotte di potere internealla magistratura inquirente e al mondo politico.Quella sera, giornalisti, magistrati e avvocati si interroganoappunto su questi temi, in un dibattito intenso, vivace, civile,di alto profilo etico e intellettuale. A tirare le fila della discussione,come al solito, al tavolo <strong>dei</strong> relatori siede il presidentedella Lombarda, Walter Tobagi. Anche quella sera sollecitapareri e avanza proposte per meglio collaborare nella tuteladella libertà di stampa e del diritto <strong>dei</strong> cittadini all’informazione.Parla anche di responsabilità del giornalista di fronteall’offensiva delle bande terroristiche e di segreto istruttorio:problemi che aveva studiato per anni e, perciò, conoscemolto bene. Parla di libertà dell’informazione, che è libertà diaccesso alle fonti, di raccontare i fatti senza bisogno di farricorso alla fantasia e ai condizionali. Dice che fra fatti accadutie fatti narrati deve esserci sempre un nesso credibile eche il lettore non può essere destinatario di notizie di “padreignoto”. Anzi, al lettore va specificata pure la fonte da cuiparte l’informazione «perché se non si fa questo i giornalirischiano di diventare degli strumenti che servono percombattere battaglie per conto terzi».Rileggendole oggi, quelle parole - astratte dalla cronaca chele ha provocate - risuonano ancora attualissime e ci offronolo spessore morale e professionale di Walter Tobagi. Eccolein una trascrizione che conserva il sapore e la spontaneitàdella lingua parlata:«In senso proprio, credo non ci possano essere conclusionidi un dibattito come quello di stasera ed è, direi, quasi imbarazzanteparlare dopo il professor Pisapia per le cose cosìlimpide che ha detto. Quindi il tentativo che farò, scusandomise non sarò brevissimo, nonostante l’ora tarda, è di ragionareun po’ sulle cose che sono avvenute, sulle cose che sonostate dette.La prima osservazione è che questi convegni si vanno ripetendocon un eccesso di frequenza. Ne abbiamo fatti - mipare - tre da gennaio in qua, quindi a ritmo di quasi uno almese, il timore è che si cada un po’ nel vezzo, nella inefficienza,nell’inadeguatezza delle famose “grida spagnolesche”che non servivano. Perché tutte le volte noi ripetiamogli stessi appelli, poi le cose vanno avanti come prima: vediamoa chi toccherà la prossima volta.La seconda osservazione riguarda lo sciopero. Lo scioperoè stato evidentemente per molti di noi, se non per tutti, unosciopero difficile perché poteva dare la sensazione che noivolessimo pronunciarci esplicitamente contro una sentenza.Da questo punto di vista è particolarmente sgradevole e nonvoluta questa interpretazione dello sciopero da parte di chi èestremamente sensibile a un concetto di democrazia che sifonda sulla diversità e sull’autonomia delle istituzioni, ognunadelle quali deve funzionare nella propria autonomiasostanziale e quindi ogni manifestazione che in qualchemodo tende a vincolare e condizionare le scelte compiuteda un’istituzione autonoma, qual è la magistratura, puòapparire non tollerabile, non sostenibile.È altresì vero, e credo che in questo senso l’adesione allosciopero è stata poi così massiccia e così convinta da parte<strong>dei</strong> giornalisti, che c’era in gioco non solo un elemento disolidarietà personale con il collega Isman. Qui noi abbiamosentito il fratello di Fabio; Fabio è un collega che molti di noihanno conosciuto perché è uno di quei colleghi che si trovanosempre sul campo, sempre dove c’è da correre, da lavorare,quindi c’è un elemento di solidarietà personale da partedi chi lo conosce, ma c’è anche il senso di dare un’indicazioneche la categoria <strong>dei</strong> giornalisti [...] non è disposta a diventareuna sorta di capro espiatorio di chissà quali cose vengonofatte al di sopra delle proprie teste.E qui si inserisce anche l’altra considerazione, che purtroppodobbiamo fare, perché non capiremmo la situazione che si èdeterminata se non ci dicessimo con brutale franchezza chenella vicenda Russomanno, così come in altri casi, si è avutala percezione netta della politica perseguita con altri mezzi,cioè l’amministrazione della giustizia o meglio delle indiscrezioniche trapelano dal segreto d’ufficio come uno degli strumentidella lotta politica che avviene in questo Paese.È una cosa probabilmente non nuovissima, anzi è una cosavecchia. La novità, credo solamente stia nell’intensità concui il ricorso a questo metodo improprio di lotta politica avvienee nella gravità perciò che essa assume. Perciò, se noivogliamo seriamente fare i giornalisti, questo è un problema:abbiamo parlato molto di segreto istruttorio, stasera; nonabbiamo parlato di segreto professionale, anzi non abbiamoparlato abbastanza di deontologia professionale; quello chedobbiamo affrontare è un problema molto interno ai giornalisti,ma dobbiamo dircelo: il problema delle fonti e della strumentalizzazione.Chi ha fatto giornalismo negli ultimi dieci anni è cresciuto allascuola della controinformazione, la grande lezione imparata6 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


Tesi di laureaDentro “Rinnovamento”si consuma la fratturaEd eccoci nel 1978, anno in cui inizia la diasporada Rinnovamento che si concluderà nel1984, al congresso di Acireale, con l’elezione apresidente di Guido Guidi (espressione dellaAssociazione Stampa romana) e a segretariodi Giuliana Del Bufalo, candidata della milaneseStampa democratica e della romana Svoltaprofessionale. Rinnovamento va all’opposizionee poco dopo conclude il proprio ciclo storicolasciando il posto ai soli esponenti della sinistra,raccolti nel Gruppo di Fiesole.Ed è Milano a dare il via. Tutto ha inizio nellanottata del 25 maggio quando l’assembleadella corrente di Rinnovamento si riunisce perstilare la lista <strong>dei</strong> candidati lombardi alcongresso nazionale di Pescara in calendarioa ottobre. L’intento della “parte più a sinistra”del gruppo è quello di isolare Tobagi silurandolui e il suo entourage: particolarmente presi dimira sono Giuseppe D’Adda del Corriere dellaSera e Franco Abruzzo de Il Giorno. A quelpunto i sostenitori di Tobagi, concordi nel ritenerel’esclusione <strong>dei</strong> loro candidati dalla listauna sopraffazione, minacciano di ritirarsi se inomi di Abruzzo e D’Adda non vengono reinseriti.La situazione rimane incerta fino alpomeriggio del 31 maggio, quando il termineper la presentazione delle liste sta ormai perscadere. Al momento del voto, la maggioranzadecide di escludere non solo Abruzzo e D’Adda,ma anche quelli che li hanno sostenuti: intutto tredici giornalisti. Tobagi e il suo gruppoabbandonano la sala. Due giorni dopo, un articolouscito su l’Unità riporta l’accaduto conpoche lapidarie parole: Walter Tobagi e gli altri«si sono in realtà disimpegnati dal dibattito,facendovi mancare il loro contributo di idee, esi sono allontanati dall’assemblea».Tobagi spiegherà, sul periodico del sindacatolombardo Giornalismo del luglio ‘78, le ragionidel malessere diffuso tra i colleghi, evidenziandoche la questione «sulla quale converràriflettere a fondo è il rapporto con la politica, edunque coi partiti. […] Quel che è successonello scorso giugno a Milano, quando all’internodella corrente di Rinnovamento si decise laformazione delle liste, è un segno preoccupanteproprio in questo senso. Non tanto per ladiscriminazione che colpì alcuni colleghi e nonsolo per la violazione di ogni prassi di democraziainterna; ancor più per il peso, esercitatoin tutta quella vicenda, da una concezione nonpiù politica, ma angustamente partitica dellapresenza sindacale».La crisi si chiude con Tobagipresidente della LombardaLa crisi, apertasi con l’esclusione dal congresso<strong>dei</strong> delegati vicini a Tobagi, si ripercuotesubito nel Consiglio direttivo della Lombarda.La sera del 14 settembre, all’ordine del giornoviene messa in discussione una mozionefirmata da Tobagi con Massimo Fini e FrancoAbruzzo in cui rendono noto di non riconoscersipiù in Rinnovamento e chiedono di ridiscuterel’assetto dell’associazione. In pratica, unamozione di sfiducia per la giunta: «L’obiettivoimmediato che noi vorremmo proporre ai colleghidi questo direttivo è di valutare la possibilitàdi designare alla presidenza della Lombardauno <strong>dei</strong> colleghi che sono stati esclusi difatto dalla possibilità di partecipare a pieno titoloal congresso, di modo che, con totale legittimitàdi rappresentanza, sia possibile esporrein quella sede la posizione che - dentro Rinnovamentofino a tre mesi fa, fuori Rinnovamentodopo - abbiamo continuato ad esprimere.Siccome non ci nascondiamo, non mi nascondopersonalmente la polemica e le accuse chepotranno essere montate attorno a questavicenda, voglio dire con estrema chiarezzache l’invito a rendere possibile che uno diquesti tre colleghi sia messo nelle condizionidi partecipare a pieno titolo al congresso è uninvito che noi rivolgiamo a tutti i colleghi diquesto direttivo, in primo luogo ai colleghi diRinnovamento».Rinnovamento si trova in un cul de sac: accettarel’invito significa riconoscere di avercommesso un grave errore con le liste per ilcongresso, respingerlo vuol dire far dimetterela giunta. Non c’è il tempo per mediazioni; l’altrametà del consiglio (Autonomia e Tribunastampa) più i tre firmatari della mozione mettonoin minoranza la giunta. Il presidente MarinoFioramonti, rimasto senza maggioranza, ècostretto alle dimissioni e con lui l’intera giunta.Su proposta di Massimo Fini il Consiglio direttivoprocede immediatamente al rinnovo <strong>dei</strong>vertici della Lombarda: Walter Tobagi con 12voti favorevoli e 7 schede bianche (quelle <strong>dei</strong>rappresentanti di Rinnovamento) viene elettopresidente dell’Associazione lombarda <strong>dei</strong>giornalisti: «Non credo che questo sia ilmomento - disse Tobagi dopo la sua proclamazione- per un discorso programmaticoampio, ma credo che alcuni punti vadano quirichiamati: dall’indipendenza del sindacato <strong>dei</strong>giornalisti da potentati economici e da gruppipolitici, alla necessità di contrastare realmentecerti processi di concentrazione, al rapporto dialleanza e di collaborazione, nella reciprocaautonomia, con il sindacato poligrafici».Un nuovo sindacato all’insegnadel sistema proporzionaleI giornalisti fuoriusciti da Rinnovamento preparanoun documento per il congresso di Pescara,da affidare a Tobagi, poiché solo lui puòparteciparvi con diritto di parola, ma non divoto, in quanto presidente di un’associazioneregionale. Il documento viene sottoscritto daWalter Tobagi, Giorgio Santerini, Marco Volpati,Franco Abruzzo, Giuseppe Baiocchi, AldoCatalani, Giuseppe D’Adda, Gianluigi Da Rold,Dario Fertilio, Massimo Fini, Pierluigi Golino,Renzo Magosso, Tino Oldani e reca questotitolo: “Proposte sindacali per una stampademocratica”. Da queste parole prenderànome la nuova corrente sindacale: Stampademocratica.Walter Tobagi fa valere a Pescara il suo dirittodi parola in tutte le sedi congressuali, facendoben capire che le sue idee rappresentano undisagio diffuso, comune a gran parte <strong>dei</strong> giornalistiitaliani. Nonostante non disponganeppure di un voto tra i trecento delegati,riesce a far votare dal congresso un ordine delgiorno che prevede un mutamento radicale delsistema elettorale: la scelta degli organi dirigentidel sindacato deve passare attraverso ilsistema proporzionale, sicuramente più democraticodi quello maggioritario: «L’introduzionedel principio della proporzionalità, di per sé,apre una prospettiva nuova, nella quale ognigruppo e ogni giornalista impegnato nel sindacatoconterà effettivamente non per gli appoggipolitici che ha alle spalle ma per i consensiche raccoglie tra i colleghi. E potrà finire lapratica avvilente di quei listoni in cui tutticonfluiscono per avere qualche posto, ma cheeliminano qualsiasi possibilità di dibattito effettivo,alla luce del sole». La “linea Tobagi” ottieneun grande successo e ben quaranta schede,pur non essendo candidato, recano il suonome per la presidenza della Fnsi.Per il sindacato <strong>dei</strong> giornalisti comincia unanuova era; il rovesciamento dell’ordine del giornodi Pescara (dirà Tobagi che quel congresso«ha dato più di quanto molti si aspettassero. Ecrediamo non sia presuntuoso dire che glielementi maggiori di novità e di stimolo sianovenuti soprattutto dai delegati lombardi») avrànotevoli conseguenze nelle successive tornatecongressuali.Bomba-avvertimentoalla sede dell’<strong>Ordine</strong>Il congresso di Pescara si chiude con la riconfermadella maggioranza uscente, ma il documentofinale pone in risalto «debolezze einsufficienze che, in una situazione di gravedifficoltà, rischiano di rendere meno efficacel’azione, meno incisivo il ruolo» del sindacato.Anche il vertice federale esce riconfermato, maa distanza di un anno, nel novembre del 1979(Consiglio nazionale di Vibo Valentia), LucianoCeschia rassegnerà le dimissioni e verrà sostituito,fino all’ottobre 1980, da Piero Agostini, diarea socialista e segretario dell’associazioneTrentino-Alto Adige.Il 30 ottobre 1978 - è da poco finito il congressodi Pescara - una bomba esplode di fiancoalla sede della Lombarda, sul davanzale diuna finestra degli uffici dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistiin viale Montesanto a Milano: è un gestosicuramente intimidatorio - siamo nei famigeratianni di piombo - per la categoria <strong>dei</strong> giornalisti.Ecco cosa scrive su Il Giornalismo WalterTobagi: «Volevano colpire l’<strong>Ordine</strong> o volevanocolpire il vicino sindacato? Nessuno lo sapràmai. Se volevano colpire - come hanno fatto -l’<strong>Ordine</strong>, l’obiettivo poteva essere ed è unosolo: quello di intimidire tutta la categoria, diraggiungere con la devastazione il cuore dellanostra organizzazione professionale. Se invecesi sono sbagliati e miravano all’Associazione,allora forse avevano in mente di spaventarela struttura sindacale proprio il giorno dopola fine del congresso di Pescara, nel corso delquale è stata riaffermata, al di sopra di ognidissenso, la volontà precisa di tutta la categoriadi difendere la propria indipendenza. Inogni caso, che credono di avere fatto? Di averimbavagliato, con lo spavento, la nostraprofessione, la nostra dedizione alla libertà ealla democrazia? Non si illudano: si sbagliano.Di grosso. Continueremo nella nostraprofessione, nel nostro sacrosanto mestieredi informare, di dire la verità. Senza farcispaventare».Il fattaccio anticipa di poco la nascita ufficialedi Stampa democratica. La scelta del nome delmovimento viene così motivato da WalterTobagi: «È vero che ci sono attualmente altresigle che fanno uso abbondante di questoaggettivo (da Magistratura democratica aPsichiatria democratica ai Genitori democratici),ma non possiamo lasciare il monopolio diquesto termine (con tutto il valore che contiene)a un’area politico-culturale di sinistra, spessoestrema, che interpreta la democraziacome strumento per la propria esclusivaegemonia. Noi, che possiamo avere ambizionicerto di diventare maggioranza, ma maiegemonia, dobbiamo riappropriarci del termine“democratico” anche per riaffermarne l’autenticosignificato».La battaglia per il contrattodi Stampa democraticaIl progetto di Stampa democratica inizia cosìa muovere i primi passi. Alla presentazionedella nuova corrente presso il Circolo dellaStampa di Milano, nel novembre 1978, partecipanopiù di cento giornalisti. L’impegno principaledel sindacato è il rinnovo contrattuale.Si sente il bisogno di tutelare meglio la libertàprofessionale anche attraverso migliori condizioniretributive che la Fnsi, guidata da Rinnovamento,aveva negli anni precedenti ampiamentetrascurato. Questa la tesi di Stampademocratica: «Si è diffusa una mitologia, attraversoquesto decennio, che ha dipinto la categoria<strong>dei</strong> giornalisti come una categoria ametà parassitaria, a metà privilegiata. Noisappiamo che questo non è vero, sappiamoche larghe fasce della categoria guadagnanosolo i minimi contrattuali. Dobbiamo far conoscerequesta verità anche all’opinione pubblica».Il processo di democratizzazione del sindacato<strong>dei</strong> giornalisti viene portato a compimentoda Tobagi, tra il dicembre 1978 e il gennaio1979, nello spirito suggerito dal congresso diPescara. In quest’ottica viene riformato loStatuto, in particolar modo per ciò che riguardale modalità per eleggere gli organi direttivi,con l’introduzione del metodo proporzionale.Queste le parole di Tobagi: «L’obiettivo delnuovo Statuto è di porre le basi per un sindacatopiù democratico, e quindi più rappresentativoe più forte, nel quale tutti i colleghi possanoriconoscersi e impegnarsi. È tempo di voltarpagina: la gestione dell’Associazione non puòessere lasciata nelle mani di una sorta diristretta casta di colleghi “che si sacrificano”.Occorre che tutti si sentano coinvolti nell’attivitàdel sindacato, e colgano il nesso cheesiste fra un sindacato forte e democratico eun esercizio libero, indipendente, critico dellaprofessione. Con questo spirito il direttivo haapprovato le modifiche statutarie, e noi cisentiamo - con la serena coscienza di adempierea un dovere morale e civile - di invitare icolleghi ad accogliere il nuovo Statuto, votandosì al referendum».Lo Statuto viene sottoposto a referendum, tra igiornalisti lombardi, il 2-3 febbraio ‘79; è appro-8 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


ORDINE 5 <strong>2005</strong>vato con 1060 sì (pari al 77%) e 319 no.Nel marzo 1979, il sindacato <strong>dei</strong> giornalistideve affrontare il rinnovo del contratto nel belmezzo di un’accesissima campagna elettorale(le elezioni politiche si sarebbero tenute pocodopo). Emerge ancora una volta la questionedel rapporto giornalisti-partiti: Tobagi e Stampademocratica rimproverano alla Fnsi di averstabilito e di voler mantenere un rapporto troppostretto con i partiti della “solidarietà nazionale”,anteponendo gli interessi politici all’attivitàdel sindacato. Anche in prospettiva di unariforma dell’editoria, poi affossata dagli stessipartiti che l’avevano promessa: «Visto che lariforma dell’editoria non si è realizzata - scriveTobagi - e che dobbiamo prendere atto che suquesto terreno abbiamo subìto una sconfitta,dobbiamo dirci con molta chiarezza chequesta riforma non si è realizzata perché ipartiti della solidarietà nazionale non l’hannorealizzata. Hanno preso degli impegni, hannofatto dichiarazioni solenni, dopo di che l’hannoaffossata».Quel marzo del ‘79, verso fine mese, si votaanche per il rinnovo degli organi sociali delsindacato lombardo. Per la prima volta siconfrontano più liste, la cui rappresentanza èsicuramente favorita dal metodo proporzionale.In lizza scendono quattro correnti per iprofessionisti e cinque per i pubblicisti. Rinnovamentoottiene nuovamente la maggioranzarelativa, ma il cartello delle altre correnti portaa una riconferma di Tobagi alla guida dellaLombarda (con quattordici voti su ventidue):«Come avevo ripetuto a molti colleghi primadelle elezioni, avrei preferito passare la mano:diverse ragioni, personali, m’inducevano alasciare una presidenza che avevo accettato,lo scorso settembre, in situazioni particolarissime,per coerenza con un impegno ideologicoe morale. Se mi sono indotto a riaccettare dinuovo la presidenza è perché i colleghi delDirettivo - la maggioranza <strong>dei</strong> colleghi delDirettivo - hanno insistito sull’esigenza di continuitàe sull’importanza di un impegno personale,sia pur limitato nel tempo, in un momentodifficilissimo. È con questo spirito che hoaccolto la rielezione: nella speranza di poteressere uno fra i tanti che devono lavorare pergli interessi <strong>dei</strong> giornalisti lombardi. Mi auguroche a questo impegno concorra la più ampiapartecipazione di tutti i colleghi».La Fnsi “laboratorio”del compromesso storicoDurante il Consiglio nazionale del 26 marzo1980 viene a galla il diffuso disagio della basedella categoria per l’appiattimento della Federazionesu interessi politico-partitici e per lasua gestione troppo burocratica del sindacato.Agli occhi di molti, e di Stampa democraticain particolare, la Fnsi appare come un“laboratorio” dove si sperimenta il “compromessostorico” o comunque la grande “consociazione”tra i partiti, con una spiccata preferenzaper il Pci.Tobagi, presente ai lavori, coglie subito queitimidi segnali di voglia di cambiamento e decidedi porre al Consiglio nazionale, in manieracritica e problematica, una serie di questionisulla natura della professione, sui rischi diun’informazione omologata e sul ruolo delsindacato: «Nel crinale degli anni Settanta, noiabbiamo fatto <strong>dei</strong> grandi passi avanti su unterreno che era il terreno della presa dicoscienza politica delle implicazioni che l’informazioneha, ma ci siamo poi trovati avvinghiatinella logica perniciosa, perdente esurreale delle lottizzazioni e del controllo politico-partitico.[...] Il compito del giornalista èquello di fare informazione senza preoccuparsiin modo preliminare di fare formazione, nelsenso che il giornalista non può ridurre, oampliare, il suo ruolo pensando di diventareuna sorta di pedagogo collettivo che devepreoccuparsi <strong>dei</strong> problemi, che deve raddrizzarele gambe a tutti i cani che circolano suquesta terra, perché poi il risultato è che si fasempre meno giornalismo dal vivo, nelconcreto delle realtà sociali. Un risultato chedipende anche dal condizionamento ideologico,dal condizionamento politico».Le questioni poste da Tobagi sono un contributodialettico a voltare pagina in fretta e,contemporaneamente, un invito a trattare a360 gradi e in piena autonomia i problemidella categoria.WalterTobagiil nostroeroeda primapaginaIn qualitàdi cronistamentrescrive ledichiarazionidel pm Viola.A fianco,in compagniadell’allorasindacodi Milano,Aldo Aniasi.Sotto,con EmilioColombo.A fianco,con il giudiceAlessandrini,uccisonel gennaiodel 1979.Ad unincontro conAldo Moro,altra vittimadegli annidi piombo.PROFESSIONEWalter Tobagie il suo modelloMario BorsaWalter Tobagi e il suo modello Mario Borsa:«Se c’è il nome di un collega al quale penso,per l’esperienza che ha vissuto e per l’impegnoche ha profuso, anche nel sindacalismogiornalistico, questo giornalista è MarioBorsa». <strong>Giornalisti</strong> di razza, hanno entrambiin comune una carriera precoce, stimata,sofferta e una “agguerrita” militanza nelsindacato di categoria, con una forte avversioneall’ingerenza del potere politico(soprattutto <strong>dei</strong> partiti) nella professione e unsolo irrinunciabile interesse, quello di tutelarela libertà di stampa e parimenti il diritto <strong>dei</strong>cittadini ad essere correttamente informati.“<strong>Giornalisti</strong>, inchinatevisolo davanti alla libertà”Due generazioni di giornalisti, un unico eidentico modo di pensare.No a un giornalismo servile (Borsa: «Ditesempre quello che è bene anche se non vaa genio ai vostri amici, dite sempre quelloche è giusto anche se ne va della vostraposizione, della vostra quiete, della vostravita. Siate dunque indipendenti e inchinatevisolo davanti alla libertà, ricordandovi cheprima di essere un diritto la libertà è un dovere»;Tobagi: «C’è un problema di fondo: senon sia arrivato il momento di prendere piùdecisamente le distanze da tutti i poteri politicied economici. […] Obiettivo primariodev’essere lo sviluppo di un’effettiva libertàdi stampa che si fondi sull’indipendenzaconcreta del giornalista. […] L’informazionenon si deve trasformare in propaganda elettorale»).Sì all’indipendenza, purché non astratta(Borsa: «Indipendenti, cioè non legati adalcun partito, non significa essere apolitici.Ci sono crisi nella storia di un popolo in cuiogni cittadino ha l’assoluto dovere di formarsie di esprimere una opinione sua»; Tobagi:«Non aggiungeremo la nostra voce al coroqualunquista di quanti deprecano l’esistenza<strong>dei</strong> partiti… Richiamiamo l’autonomia dellasocietà civile, sottolineando che l’esistenzadi giornali autonomi e indipendenti è fattoreinsostituibile come garanzia del pluralismo edella vitalità sociale. Sarebbe ora che i partitisi preoccupassero di meno di condizionare igiornali e cercassero piuttosto di leggerequanto si muove nella società»).No alle ingerenze della proprietà nellafattura <strong>dei</strong> giornali (Borsa: «È giustosottrarre la stampa da tutte quelle forme diproprietà che possono permettere ingerenzeo influenze di interesse particolare»; Tobagi:«È in atto un processo di concentrazione edi controllo dell’informazione che determinal’orientamento della stampa e minaccia ditrasformare i giornalisti in “propagandisti”»).Sì a un giornalismo super partes al serviziosoltanto <strong>dei</strong> lettori (Borsa: «Noi nonandiamo né andremo a destra o a sinistra:andremo avanti per nostro conto, noi nonlasceremo mai la compagnia della nostracoscienza»; Tobagi: «La presenza di un giornalismolibero, pluralistico, capace di svolgereuna funzione seriamente critica, è uno <strong>dei</strong>connotati essenziali di un sistema politicodemocratico. […] Allora è evidente che irapporti coi partiti vanno rivisti a fondo»).Due personaggi, di alta statura morale, chesembrano muoversi in parallelo, nonostantela notevole distanza temporale che li separa.Si intuisce una continuità ideale fra le convinzionipolitiche e sindacali di Walter Tobagi equelle di stampo liberale del suo modello diriferimento Mario Borsa: ma anche tra lebattaglie sindacali dell’uno (anni ‘20) e quelledell’altro (anni ‘70): entrambi si sono impegnati,esponendosi in prima persona, per9


Tesi di laureapromuovere e difendere il sindacato <strong>dei</strong> giornalisti,la Lombarda in particolare, e lo hannofatto in un periodo di grave sofferenza per lelibertà civili, nel 1924 quando la morsa delfascismo stava per soffocare ogni spirito libero,nell’autunno del ‘78 quando l’Italia - quotidianamentesotto il tiro <strong>dei</strong> brigatisti - erapervasa da un diffuso malessere politico esindacale. «Ho percorso velocemente - testimoniaFranco Abruzzo, presidente dell’<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia - la vita diBorsa per dire che c’è un parallelismo fra lebattaglie di Borsa del 1924 e quelle combattuteda Walter nella seconda parte degli anni‘70, quando era facile essere sospettati difascismo se non ci si allineava alle tesi di unfascismo diverso, un fascismo rosso. Chi nonsi allineava era tacciato di tradimento: lastoria sembrava ripetersi».Molte le somiglianze e le affinità, dunque. Eil loro pensiero ben sintetizza le preoccupazionie gli sforzi che il sindacato <strong>dei</strong> giornalisti,nella sua storia centenaria, ha saputomanifestare e produrre - a Roma come aMilano - al fine di perseguire gli auspicatiinteressi di libertà, autonomia e indipendenzadella categoria contro ogni forma disopruso e di coercizione, sia economica chepolitica.La concezione liberaledel giornalismo di Mario BorsaMa perché Walter Tobagi ha scelto MarioBorsa come modello di galantuomo e di giornalista?Perché lo ha proposto quale figuraideale per l’intera categoria giornalistica? Larisposta si trova nel saggio che Tobagi hadedicato a Mario Borsa, nel 1976, sulla rivistatrimestrale Problemi dell’Informazione:«Quale sia stata, anche nei momenti piùburrascosi, la concezione liberale del giornalismodi Mario Borsa, traspare da una polemicadel febbraio 1945, poche settimaneprima della liberazione di Milano. Borsa era ildirettore in pectore del Corriere della Sera.Ilsuo nome era già stato fatto il 26 luglio 1943,ma all’ultimo i fratelli Crespi avevano preferitoEttore Janni, giornalista letterato più chegiornalista politico. Nei mesi successivi,quando il problema della proprietà del quotidianomilanese era stato messo in discussionedai partiti del Cln, Borsa era ridiventatoil candidato più autorevole. […] In quelclima, e con quei precedenti, Mario Borsa èprotagonista di una polemica con GaetanoBaldacci, un giovane azionista che esprimeuna posizione radicale e giacobina, e tendea sottoporre il controllo della stampa all’incontrastatodominio <strong>dei</strong> partiti, […] comealternativa ad un sistema giornalistico dipendenteda potentati economici privati: “I pochigrandi organi di portata nazionale - notainfatti - diventarono feudi <strong>dei</strong> magnati dell’industriae del commercio, dai fratelli Perrone(Messaggero) ai fratelli Crespi (Corrieredella Sera); dagli idroelettrici piemontesi(Gazzetta del popolo) alla Fiat (La Stampa)”.[…] Mario Borsa, che pure aveva sperimentatopersonalmente l’ostilità di quei potentati- aveva dovuto lasciare il Secolo nel 1923 eil Corriere nel ‘25, e nel ‘43 non aveva ottenuto,come s’è detto, la direzione del quotidianodi via Solferino proprio per il veto <strong>dei</strong>Crespi -, respinge l’ipotesi di un potere politicotentacolare e onnipotente; e lo fa con lachiara consapevolezza che, a lui personalmente,una spartizione partitica delle testatepotrebbe egoisticamente giovare. Il tornacontonon può far velo ai principi. Ed eccoallora, di fronte alle ipotesi partitocratiche diBaldacci, delinearsi una concezione diversadel giornalismo, in particolare del giornalismo“indipendente” che non respinge l’impegnopolitico, ma rifiuta di subordinare tutto aschemi politici rigidi e precostituiti. “Perché -risponde Borsa a Baldacci - soltanto i socialisti,i comunisti, i liberali, i democristiani,quelli del partito d’azione e via dicendo,dovrebbero avere un loro giornale, e gli altrino?” Gli altri sono “il grande numero di queicittadini che possono simpatizzare con leidee di questo o quel partito, ma non sonoiscritti ad alcuno, volendo pensare con lapropria testa e agire secondo la loro coscienza.Nella sua lunga carriera, Borsa ha sperimentatoquanto pesi l’orientamento dell’opinionepubblica nei momenti delle grandi svolte;ed ora si preoccupa che non avvengaquel che è accaduto in altri momenti decisivi,nelle giornate dell’intervento nella grandeguerra o nei mesi che portarono all’avventodel fascismo. Borsa già pensa a quel cheaccadrà dopo la liberazione, quando inevitabilesarà il disorientamento sociale, civile emorale».Nella realtà ingleseformazione di un maestroNato nel 1870 a Somaglia, nella Bassa Lodigiana,Mario Borsa comincia giovanissimo -mentre era studente al liceo Manzoni di Milano- a masticare politica e giornalismo: trampolinodi lancio è il giornalino, Il Fascio, di uncentro culturale giovanile radical-democratico,dedicato a Carlo Cattaneo. Dopo il liceo,vincendo un concorso dell’Accademia scientifico-letterariadi Milano frequenta gli studiclassici, che termina nel 1893 con una tesisu “Pier Candido Decembrio e l’Umanesimoin Lombardia”. L’offerta di un posto di lavorocome critico drammatico alla Perseveranzatoglie Borsa dall’incertezza se intraprenderela carriera accademica o la strada del giornalismo.Da critico a inviato: in poco tempo le sue dotidi giornalista capace di cogliere non solo lenotazioni di costume, ma anche gli aspetticulturali, sociali e civili vengono apprezzatenell’ambiente giornalistico. Ma il quotidianoconservatore milanese, ideologicamente, gliva stretto perché frequenta - come rivela luistesso - una «compagnia politica di tendenzeopposte».Ed ecco farsi avanti il direttore del Secolo,Carlo Romussi, che gli offre l’ufficio di corrispondenzada Londra. Racconta WalterTobagi: «L’impatto con la realtà inglese èdecisivo per la formazione del Borsa giornalistaliberale, di un liberalismo che non haprecedenti in Italia. Poco più che trentenne,è l’inviato del Secolo ai grandi appuntamentiinternazionali, le sue corrispondenze hannoampio spazio sul giornale. Attraverso i suoiarticoli, Borsa diffonde in Italia l’immagine diun’Inghilterra dove progresso e tradizioneconvivono con una società aperta e tollerante.[…] Proficua, e anche formativa, è l’attivitàche Borsa svolge all’interno di tre giornalilondinesi - Standard, quindi The Tribunee infine Daily News - con i quali il Secolostabilisce rapporti di collaborazione, sul tipodi quelli già allacciati dal Corriere con ilTimes. […] Da questa esperienza, Borsatrae la lezione che “l’inglese è il popolo menoconservatore di questo mondo. Esso, infatti,è conservatore per ciò che riguarda le strutturefondamentali e solide, come pure ledecorazioni superficiali e ornamentali dellapropria casa, ma non lo è per il resto. L’edificioche posa sopra strutture d’acciaio è fattodi mattoni e di calce ed è in perpetuo restauro”.E comprende, altresì, che “la libertà - peressere qualche cosa di reale - deve passaredalle istituzioni al costume politico: deveessere qualche cosa che non bisogna aspettarsidagli altri ma che bisogna guadagnarsi,da noi stessi, giorno per giorno come la vita,e nella quale non basta credere. Bisognasoprattutto sentirla. Chi non sente la libertàcome un dovere non può invocarla come undiritto”. Questa idea della libertà come dovere,come conquista di coscienza individuale,che nessuna legge scritta può imporre,tornerà più volte negli anni successivi, primae dopo il fascismo».Tornato in sede a Milano, nel 1911, Borsaviene nominato caporedattore. Sono gli annidell’intervento militare in Libia, del suffragiouniversale, della Grande guerra, dell’Italiache a fatica e tra mille compromessi s’incamminasull’impervia strada del progresso edella democrazia. Così annota Borsa:«Purtroppo all’Italia liberale è mancato iltempo. Le istituzioni liberali inglesi si eranolentamente e faticosamente perfezionate inpiù secoli passando attraverso scosseviolente, rivoluzioni e controrivoluzioni, scandali,corruzioni, prove e controprove. L’Italianon aveva che cinquant’anni di vita statale.In altri cinquant’anni avrebbe potuto anch’essaeliminare le sue scorie politiche, migliorareed elevare il tono ed il funzionamento dellasua vita pubblica, ma la guerra del 1914 lasorprese proprio nel periodo più travagliatoe tormentato della sua crescita, arruffando espezzando tutti i fili coi quali avrebbe un giornocomposto anch’essa una sua trama».II Secolo sceglie di appoggiare l’intervento inguerra e Borsa viene inviato al fronte dovescrive anche per giornali inglesi e americani.A guerra finita, l’esito insoddisfacente deltrattato di pace viene suddiviso alla pari - silegge nelle sue corrispondenze - tra leincomprensioni degli alleati e l’inettitudine <strong>dei</strong>governanti italiani, nel quadro di un Paeseche si stava sempre più avvitando in unaspirale di ingovernabilità, che non lasciapresagire nulla di buono.Il giudizio <strong>dei</strong> giornalististranieri su MussoliniComincia a spuntare l’alba del ventenniofascista, così come le prime avvisaglie control’indipendenza <strong>dei</strong> giornalisti. Tobagi annotaquesto episodio: «Alla conferenza di Losannadel novembre 1922, Mussolini fa chiamareBorsa e gli chiede che cosa pensino di lui igiornalisti stranieri. “Gli dissi - ha raccontatoBorsa - che c’era per lui molta curiosità e cheperfino alcune signore americane eranovenute espressamente dall’altra parte dellago per vederlo. Non gli dissi, naturalmente,che ai tempi di Nerone il filosofo Apollonioaveva fatto un viaggio ben più lungo, essendovenuto dall’Asia a Roma, per vedere cherazza di bestia fosse un tiranno”. A Mussolininon sfugge, forse, l’ironia di quelle parole; manon sfuggono, comunque, gli articoli cheBorsa continua a scrivere sul Secolo, anchedopo che la direzione è passata al cautissimoMario Missiroli, “uomo pulito di dentro edi fuori, che ha sempre avuto il solo torto dicorrer dietro alla sua penna, la quale correvaora a destra ora a sinistra, pur di correre,senza una bussola per orientarsi, trovare lastrada buona e mantenervisi”. Per compiacereMussolini, Missiroli accetta il veto del dittatoree non manda Borsa al seguito del presidentedel consiglio che, in quello stessonovembre 1922, si reca a Londra. È il segnodel completo esautoramento di Borsa, alquale s’impedisce di scrivere liberamente sulgiornale in cui ha lavorato per venticinqueanni. Borsa cerca di arroccarsi, con altri giornalisti,in un estremo tentativo di difesa. Faparte del direttivo della «Società per il controllodemocratico», insieme con altri esponentidi tutti i partiti, liberali, socialisti, repubblicani,cattolici, uniti dal comune denominatoredell’antifascismo. Partecipa all’attività dell’Associazionelombarda <strong>dei</strong> giornalisti. Stila l’ordinedel giorno del Congresso nazionale <strong>dei</strong>giornalisti a Palermo, nel settembre 1924. Mala battaglia ormai è perduta: anche se vienecombattuta fino all’ultimo con una dignità euna fede ideale che può rendere menoamara la sconfitta».Mario Borsa, nel luglio del ’23, insieme conquattro colleghi del Secolo, rassegna ledimissioni nelle mani del senatore Luigi DellaTorre perché «i mutamenti che si annuncianonella proprietà e di direzione del Secolo,significando un mutamento nel suo indirizzopolitico, non ci consentono di rimanere più alungo al nostro posto».Nel febbraio 1925 Borsa viene chiamato alCorriere a scrivere di politica estera, malascia anche quell’incarico all’inizio di dicembre,pochi giorni dopo l’allontanamento <strong>dei</strong>fratelli Albertini. Con la capitolazione delCorriere, la “fascistizzazione” <strong>dei</strong> giornaliitaliani è ormai un fatto compiuto.Attorno a Mario Borsa si fa subito terrabruciata: incluso nella lista <strong>dei</strong> centoventigiornalisti antifascisti estromessi dal sindacatoe dall’albo, per lui non c’è più spazio neigiornali italiani; riesce a conservare soltantola corrispondenza del Times. Ma la suapenna non resta affatto inoperosa e, contro iprovvedimenti liberticidi varati dal governofascista il 12 luglio 1923, scrive di getto undocumentatissimo libro, dal titolo perentorioLibertà di stampa. Secondo Tobagi: «Quellibro Libertà di stampa è uno strumento dibattaglia politica e s’inserisce fra le iniziativepiù coraggiose dell’ultima opposizione liberalee democratica. Ancora nel 1924, alCongresso di Palermo, i giornalisti approvanoun ordine del giorno contro i decreti liberticidi.Ma sono parole, testimonianze di fedeper il futuro. “Quanta ingenuità!”, scriveràBorsa nelle pagine iniziali della nuova edizionedi Libertà di stampa, pubblicata nel 1945.10 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


Il giornalista con Gaetano Afeltra (sopra)e con Claudio Signorile (sotto).ORDINE 5 <strong>2005</strong>WalterTobagiil nostroeroeda primapaginaIl sindacalista Tobagi durante una riunione e al lavoro.“Quanta ingenuità! Proteste, discussioni,ordini del giorno, congressi... ed eravamoalla vigilia del 3 gennaio 1925!» Lo sdegnocontro il “ciarlatano di Forlì” si congiunge aldisprezzo per “la maggior parte <strong>dei</strong> giornalistidella stampa asservita”, che non sononeppure in buona fede. Questo è “il vero, ilgrande avvilimento: perché tutto si puòscusare meno l’insincerità e la mancanza dicarattere”».Borsa al Nuovo Corrierenell’Italia liberataIl commiato di Mario Borsa dal Secolo («Ciconforta l’assoluta convinzione che le ideeper le quali abbiamo combattuto lungidall’essere spente, avranno sempre vocefinché esisteranno italiani, per i quali l’amoredella patria non sia disgiunto dal rispetto perla libertà») è in pratica un arrivederci avent’anni dopo, quando torna sulla breccianell’Italia liberata e a 75 anni, il 25 aprile1945, viene chiamato dal Cln aziendale alladirezione del Nuovo Corriere perché «notoper il suo passato adamantino di giornalistaschivo da ogni compromissione e di tenaceassertore <strong>dei</strong> principii di libertà e di giustiziasociale, in omaggio ai quali ebbe a soffriresotto il fascismo due volte il carcere, dueanni di “ammonizione” e in più il campo diconcentramento». Resta alla direzionesoltanto quindici mesi, fin quando la suaconvivenza coi fratelli Crespi, proprietaridella testata, diviene insostenibile, a seguitoanche della sua battaglia favore dellaRepubblica nel referendum del 1946 e delsuo non riuscito tentativo di convincere laborghesia milanese <strong>dei</strong> vantaggi che da talescelta istituzionale può derivarle.Prima di dimettersi, Borsa scrive una lungae accorata lettera ai Crespi, franca nei toni(«Il mio timore è che loro signori non sianomai stati abituati a sentirsi parlare con tantafranchezza») e intransigente nella sostanza(«Io sono un giornalista indipendente ed aciò devo la stima di cui godo largamente nelpubblico; e perciò deve restare «assolutamenteinalterabile la linea politica che intendomantenere al giornale», il cui programmaè «repubblicano, antifascista, democratico eprogressista»). La lettera è del primo luglio1946. «È una questione di fiducia - diceBorsa ai Crespi: «o loro hanno fiducia in meo non l’hanno». Il benservito arriva a strettogiro di posta: il 6 luglio Borsa lascia la direzionedel Corriere.Per Tobagi, questa lettera è un eccezionaleesempio di grande coerenza morale eprofessionale: «Mario Borsa offre la testimonianzapiù vivida di un giornalismo non servile,ma libero, di un giornalismo che, pur fratante difficoltà, ha cercato di realizzare intanti anni di faticosa professione. Ed èquesto, se si vuole, il senso ultimo della suaesperienza di giornalista liberale e democratico:la coerenza e la testimonianza di ungiornalismo vissuto».Il giornalista si identificacon la libertà di stampaLe stesse virtù che caratterizzano gli ultimianni di Walter Tobagi, e che lui ricerca - avolte invano - nei suoi colleghi. Per i qualiritaglia questa citazione: «Così, nell’ultimapagina delle Memorie, Borsa ripete il suoatto di fede, con un ottimismo e un volontarismoche rivelano il carattere dell’uomo,convinto e fiducioso nella forza creatricedell’individuo: che può evitare i condizionamenti,in quanto consapevole non del dirittoma del dovere alla libertà, una libertà privatae pubblica che per il giornalista si identifica,innanzitutto, con la libertà di stampa. PerBorsa, certo, questo concetto si collega auna visione semplificata, e idealizzata, <strong>dei</strong>rapporti tra i giornali, soprattutto la grandestampa d’informazione, e i potentati economicie politici. “Basta che in un Paese esistanodue giornali diversi, facenti capo a duegruppi diversi, perché le cose vadano comedevono andare, cioè siano soggette alcontrollo ora dell’uno ora dell’altro. In questogioco alterno sta la libertà di stampa”. Puòapparire, in effetti, una visione idealizzatadella libertà di stampa; ed è, in modo conseguente,la trasposizione ideologica di un’esperienzastorica, l’esperienza che a Borsaè più cara, quella dell’amatissima Inghilterrae quella dell’Italietta liberale. In quell’esperienzastorica, Borsa ha visto i giornali svolgereuna duplice funzione: non solo strumentid’informazione, ma anche consiglieri epedagoghi dell’opinione pubblica, gui<strong>dei</strong>deologiche e morali. Ed è, anche questa,una delle lezioni di Borsa che possonosuonare più attuali».Pur nelle alterne vicende storiche, sociali,politiche ed economiche che hanno segnatoil travagliato cammino del sindacato <strong>dei</strong> giornalistiitaliani, la categoria si è semprecompattata quando c’era da difendere libertàdi stampa e autonomia della professione.Per questo Mario Borsa e Walter Tobagisono da considerarsi un modello di riferimentoper tutti i giornalisti italianiFederica MazzaSAGGI E OPEREDI WALTER TOBAGIWalter TOBAGI, Storia del movimento studentesco e <strong>dei</strong>marxisti-leninisti in Italia, Sugar Editore, Milano 1970.Walter TOBAGI, Gli anni del manganello, F.lli Fabbri Editori,Milano 1973.Walter TOBAGI, La fondazione della politica salariale dellaCgil, Fondazione Feltrinelli 1974.Walter TOBAGI, I cattolici e l’unità sindacale, Esi-Cgil 1976Walter TOBAGI, Achille Grandi, sindacalismo cattolico edemocrazia sindacale, Il Mulino 1977Walter TOBAGI, Mario Borsa giornalista liberale, il «Corrieredella Sera» e la svolta dell’agosto del 1946, Problemidell’Informazione, anno I, n.3, luglio-settembre 1976.Walter TOBAGI, La rivoluzione impossibile, l’attentato aTogliatti: violenza politica e reazione popolare, Il Saggiatore,Milano 1978.Walter TOBAGI, Il Psi dal centrosinistra all’autunno caldo inStoria del Partito socialista, Marsilio 1978Walter TOBAGI, Giorgio Bocca - Vita di un giornalista, collanaI Giornalibri n.3/1979, Laterza.Walter TOBAGI, Il sindacato riformista, SugarCo Edizioni,Milano 1979.Walter TOBAGI, Che cosa contano i sindacati, Rizzoli, Milano1980.SCRITTI E OPERESU WALTER TOBAGIAAVV, Stampa Democratica sette anni – Da una parte solaquella <strong>dei</strong> giornalisti, Stampa Democratica, Milano (senza data).Gigi MONCALVO, Oltre la notte di piombo, Edizioni paoline,Milano 1984Piero Vittorio SCORTI, Il delitto paga? L’affaire Tobagi, SugarcoEdizioni, Milano 1985Gianluigi DA ROLD, Annientate Tobagi, Bietti, Milano 2000.Piero Vittorio SCORTI, L’affaire Tobagi - Un giallo politico,Edizioni Montedit, collana Koinè (saggi), Melegnano 2003.Roberto ARLATI e Renzo MAGOSSO, Le carte di Moro eperché Tobagi, Franco Angeli, Milano 2003Daniele BIACCHESSI, Morte di un giornalista. Storia diWalter Tobagi, Baldini Castoldi Dalai, Milano <strong>2005</strong>LIBRI CON SCRITTIDI TOBAGIGiuseppe Baiocchi e Alessandro Caporali, Se un profeta unamattina… Edizione dell’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti,tipografia G. Ronchi 1990Walter Tobagi, Il coraggio della ragione (scritti 1964-1980), acura di Gianbluigi da Rold SugarCo Edizioni, Milano 1981Walter Tobagi, Testimone scomodo, a cura di Aldo Forbice,scritti scelti 1975-1980, Franco Angeli,1980LIBRI CHE RACCONTANODI TOBAGIFranco Di Bella, Corriere Segreto 1951-1981 misteri e retroscenadel più grande giornale italiano. Dai diari di trent’annidel cronista che ne divenne direttore.TESI DI LAUREADiletta D’Amelio, I giornali studenteschi milanesi 1945-1968,Università degli Studi di Milano (facoltà di Scienze politiche),relatore Ada Gigli Marchetti, 8 luglio 2003.Federica Mazza, Fnsi e Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti.Storia di un sindacato tra libertà e diritti. Dalle originia Walter Tobagi, Università degli Studi di Milano Bicocca(facoltà di Sociologia), relatore prof. Francesco Abruzzo,20 luglio 2004.11


Tesi di laureaLo sviluppo di una tesi discussa alla Bicoccaoggi pubblicata da Scheiwiller con questo titolo:“La storia del sindacato <strong>dei</strong> giornalistida Francesco de Sanctis a Walter Tobagi”WalterTobagiil nostroeroeda primapaginaIl titolo originario della tesi di FedericaMazza è: “Fnsi e Associazionelombarda <strong>dei</strong> giornalisti.Storia di un sindacato tra libertà e diritti.Dalle origini a Walter Tobagi”Lo scopo della tesi di laurea sviluppata da Federica Mazzacon il professor Franco Abruzzo alla facoltà di Sociologiadell’Università statale di Milano-Bicocca, da cui è trattoquesto ampio articolo che illustra la figura professionale el’impegno sindacale di Walter Tobagi, era quello di indagaree ricostruire la complessa storia del sindacato <strong>dei</strong> giornalistiitaliani, dall’Associazione stampa periodica (1877) alla Federazionenazionale della stampa (1908), dal primo contratto dilavoro giornalistico (1911-13) alla perdita della libertà distampa durante il ventennio fascista, dalla rinascita dellaFederazione (1943) al Congresso di Pescara (1978), perconcludersi con la tragica morte di Walter Tobagi, presidentedell’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti (ucciso dalle BrigateRosse il 28 maggio 1980), e con la rilettura retrospettivadell’intero periodo preso in esame attraverso il suo “modello”giornalistico, Mario Borsa (1870-1952).In questo arco di tempo, poco più che centenario, che va dalsorgere delle prime associazioni di categoria di fine Ottocentoalla nascita - all’interno del sindacato lombardo - dellacorrente di Stampa democratica (fine anni ‘70), che ebbe inWalter Tobagi il suo uomo di punta e che ha segnato unasvolta nel modo di fare sindacato, la tesi descrive ed esaminail cammino professionale e sindacale della categoria giornalistica,ripercorrendone - negli undici capitoli in cui si sviluppa- le tappe principali nel più ampio contesto sociale, politicoed economico del Paese.Nel primo capitolo vengono esposte le cause che hannoportato alla nascita in Roma della prima forma associazionisticadella categoria giornalistica (l’Aspi, 1877), dellaLombarda nel 1890 (e via via delle altre associazioni regionali),della Federazione nazionale della stampa italiana nel1908; ma si parla anche <strong>dei</strong> tumulti di Milano del ‘98 chehanno portato in carcere, per reati d’opinione, giornalisticattolici e socialisti, mettendo in seria discussione il liberoesercizio della professione e la stessa libertà di stampa: unleit-motiv, questo, che intesserà puntualmente la tramadell’intero arco di vita del sindacato <strong>dei</strong> giornalisti.Il secondo capitolo presenta fatti e persone che hannocontribuito alla stesura del primo contratto giornalistico: quellodel 1911, perfezionato nel 1913. Si tratta della primaconvenzione d’opera giornalistica stipulata tra editori e giornalisti,ma anche del primo patto sindacale collettivo di categoriastipulato in Italia; certamente un modello d’avanguardiaper il mondo del lavoro italiano.Dopo la nascita delle associazioni di categoria e la stesuradel primo contratto, il terzo capitolo si occupa <strong>dei</strong> primicongressi della Fnsi, <strong>dei</strong> contratti del 1919 e del 1925 coiquali la disciplina collettiva <strong>dei</strong> giornalisti raggiunge un elevatogrado di evoluzione rispetto ad altre categorie di lavoratori;ma si occupa anche della guerra 1915-’18, della marcia suRoma e degli attentati fascisti alla libertà di stampa, fino allasoppressione della Federazione nel dicembre del 1926.Nell’arco di tempo che va dallo scoppio della prima guerramondiale all’avvento del fascismo s’inserisce - eccoci al capitoloquarto - un importante avvenimento che completaquanto trattato nel precedente capitolo: si tratta della propostadi legge del deputato socialista Emanuele Modigliani direndere pubblici i finanziamenti alle testate giornalistiche,presentata alla Camera <strong>dei</strong> Deputati il 25 aprile 1918. Il“Progetto Modigliani”, che sarà poi insabbiato, precorre lenorme sulla trasparenza delle proprietà e <strong>dei</strong> finanziamenti<strong>dei</strong> giornali che verranno sancite per legge soltanto nel 1981.Con il quinto capitolo si entra in piena era fascista. Tra il1926 e il 1943 l’atteggiamento predominante del regime neiconfronti della stampa era quello di “fascistizzare” giornali eradio, restringendone gli spazi di libertà e contemporaneamenteadulando la categoria giornalistica allo scopo direndere meno amara la perdita della libertà. Nel periodo“corporativo” si stipulano quattro contratti collettivi, viene istituitol’Albo <strong>dei</strong> giornalisti e avviata a Roma la prima scuola digiornalismo, come accesso alla professione alternativo alpraticantato tradizionale; contrastata dalla categoria, verràsoppressa nel 1933.Il sesto capitolo si apre sugli avvenimenti del 25 luglio 1943che segnano l’agonia del regime fascista e la rinascita - l’indomani,26 luglio - della Federazione Nazionale della StampaItaliana. Il malcontento nei confronti del regime è testimoniatodall’immediato risorgere <strong>dei</strong> partiti politici e dal subitaneoripristino, da parte <strong>dei</strong> giornalisti, delle loro associazionidi categoria.Ma il ritorno alla libertà di opinione e di stampa non è immediato;lo si evidenzia nel capitolo settimo: tra l’armistiziodell’8 settembre 1943 e la liberazione di Roma del 7 giugno1944, la rinata Federazione della stampa fatica a riprenderele fila <strong>dei</strong> problemi che travagliano la categoria per la limitatalibertà d’azione dovuta alla ancor critica situazione politicomilitaredella Penisola. A svolgere appieno la propria attivitàsindacale dovrà aspettare la seconda metà del 1944, quandoin autunno un decreto legislativo luogotenenziale istituiscela Commissione Unica per la tenuta degli albi regionali ela disciplina degli iscritti; norme che rimarranno in vigore finoal 1963, anno in cui verrà istituito l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti.Il capitolo ottavo prende in esame le vicende del primoCongresso della stampa nell’Italia liberata e rappacificata:nell’ottobre 1946 i giornalisti tornano a Palermo, ventidueanni dopo l’ultimo incontro dell’era prefascista, con l’intentosimbolico di ribadire la continuità “democratica” tra i dueeventi. Nelle parole del consigliere delegato della Fnsi,Leonardo Azzarita, («al di sopra e al di fuori <strong>dei</strong> partiti e delletendenze ideologiche e politiche») c’è il sigillo della rinascitae dell’indipendenza del sindacato <strong>dei</strong> giornalisti. Il dibattitocongressuale abbraccia cinque temi: la questione dell’Albo, ilproblema delle epurazioni, la legge sulla stampa, il rapportocon gli altri sindacati, la nuova piattaforma contrattuale.Dopo il Congresso di Palermo prende il via un’intensa attivitàcontrattualistica. Nel capitolo nono sono passati in rassegnae valutati i quindici contratti stipulati dalla Fnsi con glieditori tra il dopoguerra e il 1977, oltre a diversi accordi perdisciplinare aspetti particolari e ai quindici congressi nazionali,da quello di Sanremo del 1948 a quello di Taormina del1976. Una stagione ricca di successi ma anche di scontri duricon gli editori e all’interno dello stesso sindacato, come lascissione della Fnsi avvenuta nell’aprile 1960 e ricompostadue anni più tardi al Congresso di Sorrento.Del sedicesimo Congresso (Pescara, 22-29 ottobre 1978)e del contratto del 1979 si parla diffusamente nel capitolodecimo. Nella lunga storia della Fnsi, l’Associazionelombarda <strong>dei</strong> giornalisti è presenza autorevole, costante ecostruttiva, a volte critica verso le politiche sindacali troppo“romanocentriche”, cioè eccessivamente ideologizzate,della Federazione nazionale, che per i giornalisti lombardiè da ritenersi soltanto quale preminente luogo d’incontro edi dibattito della categoria e <strong>dei</strong> suoi interessi professionali.Sul finire degli anni Settanta, sono proprio loro, i giornalistilombardi, a portare una ventata di novità dentro laFederazione nazionale: nel 1978 dalla corrente maggioritariadi Rinnovamento sindacale si stacca la costola diStampa democratica che ha in Walter Tobagi il suo leadercarismatico; nata in seno alla Lombarda, la nuova correntetrova ampia ribalta nazionale proprio al Congresso diPescara, pur non essendovi rappresentata da nessundelegato.Conclusa la ricostruzione storica del sindacato <strong>dei</strong> giornalistiitaliani, l’undicesimo capitolo si concentra sull’esperienzaprofessionale e sindacale di Walter Tobagi, che ha influenzatoin modo intenso e originale l’evolversi del giornalismocontemporaneo; e sul suo ruolo di leader dell’intera categoria,che ha cercato di indirizzare verso una maggior tuteladella libertà di espressione e dello speculare diritto all’informazione<strong>dei</strong> cittadini, riproponendo e contestualizzando ideee progetti del suo “modello” Mario Borsa, di cui fu estimatoreconvinto.Ed è proprio dalla comparazione del pensiero di Walter Tobagicon quello di Mario Borsa che prende avvio la conclusionedella tesi. Si tratta di due giornalisti di razza che hanno incomune la carriera precoce, la militanza nel sindacato dicategoria e una forte avversione all’ingerenza del potere politicoed economico nella professione. Si intuisce, nonostantela notevole distanza temporale, una continuità ideale fra leconvinzioni politiche e sindacali di Tobagi e quelle di stampoliberale del suo modello di riferimento, ma anche tra le battagliesindacali dell’uno (anni ‘20) e quelle dell’altro (anni ‘70);entrambi hanno saputo esporsi in prima persona nel promuoveree difendere il sindacato <strong>dei</strong> giornalisti, nazionale elombardo: Borsa, negli anni difficili del fascismo; Tobagi, inquelli “di piombo”.Il loro modo affine di pensare e di agire aiuta a rileggere infiligrana l’intero periodo storico e sindacale della Fnsi presoin esame da questa tesi.L’uomo, padre premuroso con il figlio,come nel ricordo di Massimo Fini della nottetrascorsa insieme prima dell’omicidio.Il padre Ulderico si inginocchiasul cadavere coperto con una tovaglia.Nel luogo dell’agguato, con i fiori e un cartellodel sindacato che dà notizia dell’agguato.12 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


Il 28 maggio 1980 l’inviato del Corriere della Sera cadeva ucciso dai brigatisti della “28 marzo”Walter Tobagi, la libertà al prezzo della vita.Un collega caduto sul fronte del terrorismoIL DELITTO EIL PROCESSOFiglio d’un ferroviere, era nato per fare il giornalista. Dopo le prime esperienze a Milan-Inter,alla Zanzara e all’Avanti! completa il praticantato all’Avvenire per passare poi al Corriered’Informazione e infine al Corsera mentre si laurea in Storia contemporanea. Per la seriapreparazione storico-sindacale e il moderatismo politico, è impegnato sul fronte del terrorismodove si segnala per equilibrati e documentati servizi che però lo indicano ai terroristi come “unnemico di classe”.Quando Franco Di Bella lo utilizza in un altro settore, è gia troppo tardi. La brigata “28 marzo”capeggiata da Marco Barbone e Paolo Morandini, due giovani appartenenti a famiglie vicineal mondo editoriale, ha decretato la sua morte. Individuata quasi subito dal generale DallaChiesa, la banda degli assassini comprendente sei elementi è incarcerata nel mese d’ottobre.Il pentimento di due <strong>dei</strong> maggiori imputati chiarì per grandi linee le dinamiche del delitto malasciò consistenti dubbi sul perché la vittima fosse già nel mirino della banda Barbone nel1978, sull’esistenza <strong>dei</strong> mandanti e sull’ambiente nei quali questi s’annidavano.I carabinieri e i giudici esclusero l’esistenza di registi occulti; il direttore del giornale di viaSolferino, Bettino Craxi e molti colleghi se ne dichiararono invece certi. Sfruttando la legge suipentiti, i principali responsabili dell’assassinio acquistarono la libertà nel novembre del 1983, ilgiorno dopo la lettura della sentenza di primo grado che comminò pene dagli otto a 24 anni dicarcere. Il processo d’appello lasciò quasi immutate le pene.ORDINE 5 <strong>2005</strong>di Enzo MagrìQuel mercoledì 28 maggio 1980 Walter Tobagi uscì di casapiù tardi del solito. Il cielo era nuvoloso. Era spiovuto da pocodopo una notte d’acqua repente. La sera prima, quale presidentedell’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti, avevamoderato un dibattito sul segreto istruttorio al Circolo dellaStampa e aveva tirato mattina in pizzeria con due colleghi.Lasciata attorno alle 11 l’abitazione di via Solari 2, a portaGenova, si accinse a ritirare l’automobile custodita in ungarage di via Valparaiso (duecento metri a piedi) attraversandola breve via Andrea Salaino.Tre colpi di pistolasparati alle sue spalleAppena comparve in strada, due giovanottiappostati dietro un’edicola situata sulmarciapiede opposto a quello in cui eglistava procedendo lasciarono il rifugio, attraversaronola via e, armi in pugno, lo incalzarono.Il primo ammonì l’altro che lo seguiva:“Piano”. Mentre il compagno rallentava l’andatura,il capofila continuò a correre e, senzaprendere la mira, sparò dalla distanza dicinque metri circa tre colpi di pistola allespalle del giornalista che cadde a terra tra lastrada e il marciapiede, le scarpe su unapozzanghera d’acqua, una mano nascostada un fianco, l’ombrello vicino, una pennaaccosto sdrucciolata dal taschino. Colui cheaveva fatto fuoco premette una quarta voltail grilletto d’una 7,65 ma la pistola munita disilenziatore s’inceppò. Entrò in azione ilgiovane che lo seguiva. Questi, in affanno,mentre scavalcava il corpo inerte del professionistalasciò partire due colpi da una calibronove corto anche questa silenziata (emunita di retina per non lasciare bossoli) cheandarono a bersaglio. La breve raffica fuinutile perché il giornalista era agonizzante.Gli assassini corsero verso una Peugeotguidata da un complice che li attendeva pocodistante in mezzo alla strada e s’infilarononell’auto che partì velocemente. All’incrociocon la via Valparaiso l’automobile si scontròcon una “127” ma riprese la fuga e scomparvenel traffico cittadino.Sulla matrice terroristica dell’agguato non cifurono incertezze. Nel mese di dicembredell’anno precedente il reparto operativo <strong>dei</strong>carabinieri di Milano aveva avvertito il giornalistache era sottoposto a minacciosa vigilanzadall’eversione. Tempestiva la confermagiunse da una rivendicazione telefonica conla quale una nuova sigla terroristica, quelladella brigata 28 marzo, notificò “d’avereeliminato il terrorista di stato Walter Tobagi”.Due giorni più tardi, un volantino lungo seifogli dattiloscritti ne spiegò le “ragioni”. Ildocumento analizzava i processi di ristrutturazionein corso nel mondo dell’editoria eindicava nella “corporazione <strong>dei</strong> giornalistiuna piramide con al vertice i direttori di testatae le grandi firme e, sotto, i veri vermi striscianti”.Gli assassini ammonivano che c’èun solo modo per sfuggire alla giustiziaproletaria “cambiare mestiere al più presto”.Tobagi, spiegavano, è stato ammazzatoperché “riassumeva in sé le figure sopradescrittecaratterizzandosi come efficientepersecutore della classe operaia e caposcuoladella tendenza intelligente degli apparatidella controguerriglia psicologica”. L’inviatodel Corriere della Sera era inoltre definito“sindacalista della corporazione chepromuove i passi necessari all’attuazione diun rapporto organico tra i giornali e i corpiantiguerriglia” e “dirigente del processo diristrutturazione che ha come fine l’asservimentodella stampa alle direttive dello statoimperialista delle multinazionali”.Prima di Tobagi, il terrorismo, nei tre anniprecedenti, aveva colpito i giornalisti VittorioBruno, vice direttore del Secolo XIX a Genova(1 giugno 1977); Indro Montanelli, direttoredel Giornale nuovo a Milano (2 giugno1977); Emilio Rossi, direttore del TG1 aRoma (3 giugno 1977); Antonio Garzotto,redattore del Gazzettino a Venezia (7 luglio1977); Nino Ferrero, redattore dell’Unità aTorino (19 settembre 1977); Carlo Casalegno,vice direttore della Stampa a Torino (16novembre 1977); Franco Piccinelli, caporedattoredella Rai a Torino (24 aprile 1979) eGuido Passalacqua, capo servizio dellaRepubblica a Milano (7 maggio 1980).L’assurda motivazionedi una sentenza di morteContro Tobagi gli assassini manifestano lastessa determinazione d’uccidere che hannoposto in atto nell’agguato contro Carlo Casalegnomorto in ospedale dopo tredici giornid’agonia. Come si saprà più tardi, la sentenzadi morte era stata giustificata dai delinquenticon la circostanza che Tobagi rappresentava“il massimo esponente della correnteintelligente <strong>dei</strong> giornalisti”. Nel vagellanteprofilo tratteggiato dai criminali assassini, lasottolineatura del fervido ingegno chesorreggeva il giovane giornalista ammazzatoera il solo riscontro che avesse una qualchecorrelazione con la realtà. D’altronde FrancoDi Bella, colui che firmava il giornale di viaSolferino e che lo aveva assunto, non avevaavuto incertezze nell’indicare in Walter “unuomo importantissimo per il giornale, unfuturo direttore.”A farne ipotizzare una rilucente carrieraconcorreva intanto la constatazione che atrentatré anni egli era uno <strong>dei</strong> primi inviati delCorriere. Quindi la sua affermazione nelsettore del sindacalismo giornalistico tantoda assurgere alla carica di presidentedell’Associazione lombarda ruolo che appenauna quindicina d’anni prima era stato ricopertoda Ferruccio Lanfranchi, uno <strong>dei</strong> piùaccrediti giornalisti italiani. Infine lo sbalorditivo,breve, lasso di tempo durante il qualeegli era passato dai “fondi” della Zanzara, ilgiornale d’istituto del liceo Parini, a quelli delpiù importante foglio italiano.Il figlio del ferrovieree il figlio dell’industrialeTobagi era nato giornalista anche se nonproveniva da gente dotta. Figlio del ferroviereUlderico e d’una casalinga, la signoraLucia (era nato a San Brizio una frazione diSpoleto il 18 marzo 1947), era giunto a Milanocon la famiglia nel 1955. È al liceo Pariniche il ragazzo conosce e l’impegno politicoe la passione per il giornalismo. Siamo agliinizi degli anni Sessanta e attraverso i foglid’istituto, gli studenti eseguono le primeprove di “contestazione del sistema”. Allascuola di via Goito si pubblica la Zanzara.Walter, alunno della sezione A, quella <strong>dei</strong>“cervelli”, non fa fatica a farsi ammettere inredazione. Subito mostra le sue qualità digarbato polemista e di politico misurato inuno scontro dialettico con un collaboratore.La controversia mette in luce uno <strong>dei</strong> paradossicui era esposta la nostra società: quellodel rampollo dell’industriale che recitavala parte del rivoluzionario materialista disapprovatodal figlio dell’impiegato delle Ferrovieche fa professione di conformismo e dimoderatismo. Sono sicuramente le dotid’agilità e di chiarezza che improntano lasua scrittura a farlo assurgere a redattorecapo del giornale. Il 1965, allorché frequentala terza liceo, si rivela un anno fortunatoper il ragazzo. Un suo scritto sui lager nazisti,apparso sul giornale scolastico, èpremiato dal Leone XIII con un viaggio neiluoghi delle stragi naziste. Durante quelpellegrinaggio conosce Maristella Olivieriuna giovane studentessa della quale s’innamoracorrisposto. Nell’ottobre dello stessoanno, per la dose d’equilibrio che lo contrassegnae per le qualità di mediatore cheormai tutti gli riconoscono, è eletto ministrodella cultura dell’istituto. Sono i tre coordinatoridel giornale Marco De Poli, BeltramoCeppi e Marco Sassano, da lui indicati alladirezione dopo la sua elezione, i quali fannodeflagrare nel 1966 il caso della Zanzara,una vicenda che li porta in tribunale per13


un’inchiesta sulla libertà e sull’educazionesessuale. Anche se nel foglio scolastico igiovani danno prova di praticare un giornalismoconsapevole e responsabile, quel dilettantismonon appaga più le ambizioni delgiovanotto. Intraprendente, scrive ad AmosZaccaria, direttore di Milan-Inter, chiedendoglidi potere assistere alle diverse fasi checontraddistinguono l’uscita settimanale d’unrotocalco. Dalla visita nasce la sua collaborazionecon il foglio sportivo. E mentre siprepara per la maturità scrive pezzi sulledue squadre che si dividono la gran partedel tifo meneghino. Ma l’argomento calcio èper lui una semplice pratica di scrittura,perché, conseguita la maturità classica,inizia a collaborare con l’Avanti! mentresegue i corsi di Storia contemporanea all’UniversitàStatale. Walter ha in mente esplicitie precisi traguardi: conseguimento dellalaurea per onorare i sacrifici del padre cheaspira ad appendere nel salotto il diplomadel figlio “riuscito” e continuare a scrivereper i giornali.Dall’impegno universitarioal giornalismo a tempo pienoRealizzerà entrambi i desideri e anche qualcosadi più. Ritardando d’un paio d’anni ildiploma di laurea, il figlio del ferroviere portaa termine un’originale ricerca sul movimentooperaio nel secondo dopoguerra. È un lavoroin due volumi che fa intendere meglio,attraverso il fenomeno sindacale, i risvoltidella storia d’un’Italia ancora attristata dallaguerra appena finita e sfigurata da montagnedi macerie. L’opera gli apre le portedell’insegnamento universitario: diviene assistentedel professore Brunello Vigezzi,docente di Storia contemporanea alla Statale.Anche se è spesso assalito dal rimorso dinon dare ascolto al richiamo degli studiuniversitari, Tobagi non se la sente di disattendereil forte richiamo verso il giornalismo.Tanto più che abbandonato l’Avanti, dovenon ha alcuna prospettiva, nel 1969 è assuntoall’Avvenire. Nel giornale della Cei vi restaperò solo due anni; il tempo di scrivere(1970) il suo primo libro (Storia del Movimentostudentesco e <strong>dei</strong> marxisti leninisti inItalia, ed. Sugarco), di completare il praticantatoprofessionale e di lasciare in LeonardoValente che dirige il foglio, il ricordo d’un“ragazzo preparatissimo, acuto e leale, interessatoalla politica, allo sport, alla filosofia,alla sociologia e alle tematiche della contestazionegiovanile”.Difficilmente un giovane giornalista provvistodi queste qualità resta confinato in giornalilaboratorio, com’era l’Avvenire diretto dalbravissimo Valente in quel periodo. Nel 1972,lo stesso anno in cui il giovanotto sposaMaristella, è assunto al Corriere d’Informazione.In quel periodo la contestazione cheagita la società civile scuote anche le redazioni<strong>dei</strong> giornali. Negli organismi sindacali dibase della categoria si manifesta la stessaardente febbre estremista che affligge partedella comunità.Tobagi ha 25 anni ed è già maturo comeuomo e come professionista. Il tono di vocesempre basso, il sorriso raro, lo scrupolo perla precisione e il riferimento statistico, l’ampiezzae la gamma delle informazioni che saricavare leggendo ogni sorta di rivista e dilibro, ma soprattutto la capacità d’affrontarequalsiasi argomento senza passionalità, siaquando scrive sia quando parla, ne fanno ilcandidato ideale per il ruolo di membro delcomitato di redazione.Gli impegni quotidiani che si moltiplicano nonfanno venir meno la sua voglia di fare.Mentre continua ad assolvere al ruolo diassistente universitario e d’inviato di viaSolferino, scrive per Fabbri Gli anni delmanganello, un saggio sul periodo dell’ascesadel fascismo. Poco più tardi, dà alle stampeLa fondazione della politica salariale dellaCgil, un lavoro pubblicato negli Annali dellaFondazione Feltrinelli. La consacrazione allavoro non fa venir meno il suo entusiasmodi marito e di babbo premuroso. Se qualcunogli telefona mentre dà la pappa al primonato, non esita a piantare l’“importuno” perdedicarsi al bimbo e soddisfarne i languori.Uno in possesso delle eccellenze di Tobaginon poteva non destare l’attenzione di quelmagnifico scopritore di talenti che era FrancoDi Bella. Il quale nel 1976, con la massimaqualifica per un giovane giornalista, quellad’inviato speciale, lo assume al Corrieredella Sera. Walter mette in campo disponibilitàe l’impegno e convalida il buon giudizioche il direttore si è fatto di lui mostrandoinsieme con alcuni altri bravi inviati del giornale“di non battere ciglio all’ordine di partireper un servizio urgente”.Franco Di Bella lo mandasul fronte del terrorismoIl terrorismo tormenta l’Italia da sei anni. Leragioni della sua nascita e quelle delle sueorigini impegnano politici, sociologi e storici.Delle sue gesta quasi quotidiane si occupanoperò i cronisti. Ma se insieme con la precisione<strong>dei</strong> particolari e la puntualità <strong>dei</strong> riscontri,la narrazione di quegli eventi unisce anchela competenza dello storico e la conoscenzadelle vicende sindacali (realtà dalle quali moltiritengono che siano nati i brigatisti), l’analisidel fenomeno si fa più chiara e il lettore neguadagna in conoscenza. Dev’essere statoquesto il ragionamento che convinse Di Bellaad impiegare nel 1977 il giovane inviato sulfronte delle Brigate Rosse.Le frequenti missioni di cronista viaggiatorenon interferiscono né con il suo impegno didocente incaricato alla cattedra di Storiacontemporanea (per la quale abbozza l’ideadi realizzare un archivio universitario perarmonizzare l’attualità con la riflessione storica),né con il ruolo di presidente dell’Associazionelombarda <strong>dei</strong> giornalisti al quale èchiamato nel 1979.Gli incarichi poi si rivelano funzionali con lasua mai trascurata attività di saggista. Nearricchiscono anzi l’esperienza d’esperto distoria del sindacato perché la sofferta tragicitàdegli eventi che è costretto a trattare èfrequente stimolo di consapevole e meditatariflessione storica. Nel 1978, per il Saggiatore,scrive La rivoluzione impossibile, rievocazionedell’attentato a Palmiro Togliatti. Quiosserva come sulla base di quell’esperienzafosse pura illusione che il movimento operaiopotesse conquistare il potere “con un colporivoluzionario”. Sullo stesso filone scrive poiun altro volume che licenzia nel 1979, Ilsindacato riformista, in cui mette a fuoco duemomenti decisivi delle vicende vissute dalnostro paese: l’eta giolittiana e la ricostruzionedell’Italia all’indomani della fine del fascismo.Anche in questo libro sottolinea l’importanzadel gradualismo come risposta alletentazioni delle rivoluzioni spontaneiste.Il suo moderatismo criticodà fastidio ai brigatistiIl suo moderatismo, critico, intelligente epersuasivo, non poteva certo non essereavvertito con malsofferenza dall’eversionebrigatista. Negli articoli d’attualità cheappaiono sul Corriere della Sera e nellasaggistica tobagiana, i gruppi clandestinidella destabilizzazione trovano documentatielementi che evidenziano il loro velleitarismocriminale e il loro rivoluzionarismo piccoloborghese. Nel dicembre del 1978 e nelfebbraio del 1979, il reparto operativo delgruppo <strong>dei</strong> carabinieri di Milano aveva rinvenuto“due documenti recanti note biografichedel giornalista”. Una di queste note era statatrovata all’interno d’un covo, presumibilmentein via Negroli, l’altra in una valigetta 24 oreabbandonata dai terroristi sotto la neve. Lecarte facevano intendere che Walter era“oggetto d’istruttoria” da parte di due gruppidi terroristi; le Formazioni comuniste combattentie i Reparti comunisti d’attacco.Sia pure seriamente e fortemente inquietoper la messa in guardia scaturita dal ritrovamentodi quelle informazioni, il giornalistacontinua ad occuparsi d’eversione anche perapprofondire le ragioni d’un fenomeno di cuis’era fatto e si faceva un uso politico. I suoiarticoli evidenziano “una penetrazione cheva di là dalle verità apparenti; ben più incisivadi una mera indignata condanna delleefferatezze compiute dai terroristi nel nomedi un’ideologia, risalendo alle origini delleorganizzazioni clandestine, ripercorrendonela storia e smantellandone il mito della invincibilità”.L’inviato di via Solferino è evidentementeconsapevole del rischio cui si espone. Il 28marzo 1980, quando Franco Di Bella losveglia alle 7 del mattino per mandarlo aGenova dove in un covo di via Fracchia icarabinieri hanno abbattuto quattro brigatisti,il direttore del Corriere avverte in lui “i primitentennamenti, le prime esitazioni a partire”.Ciononostante egli infila in valigia la sua robae si mette in macchina. Legittimamenteimpensierito, ma anche deciso a non estenderené a Stella né ai genitori il turbamentoche lo cruccia, confida nella sua forza d’animo.Il 20 aprile butta giù il pezzo che probabilmentesegna la sua condanna. “A volereessere realisti” scrive nell’articolo intitolatoNon sono <strong>dei</strong> samurai invincibili “si deve direche il tentativo di conquistare l’egemonianelle fabbriche è fallito. I terroristi risultanoisolati dal grosso della classe operaia. E peròsono riusciti a penetrare in alcune zonecalde delle grandi fabbriche, com’è successoalla Presse e alle Carrozze della Fiat. Si èscoperto che il terrorismo non esita adacquattarsi sotto lo scudo protettivo delleconfederazioni e persino del Partito comunista…”.Ammonisce: “Lo sforzo che si devefare è di guardare la realtà nei suoi terminipiù prosaici, nell’infinita gamma delle suecontraddizioni; senza pensare che i brigatistidebbano essere per forza di cose samuraiinvincibili”.Quel tragico presentimentoalla vigilia dell’assassinioLa sua linea d’impegno professionale e politicotrova rincoramento nelle persone chehanno patito la violenza terrorista. AndreaCasalegno, figlio del giornalista ucciso dueanni prima dai brigatisti a Torino, lo incoraggia:“Non si deve disertare: bisogna denunciare;la denuncia è importante e va fatta”.Anche la mobilitazione dello stato cominciaa produrre buoni esiti. L’eversione subiscesignificative disfatte. Tuttavia gruppi clandestinicontinuano a colpire e a prendere dimira i giornalisti. Il 7 maggio 1980 è la voltadi Guido Passalacqua, caposervizio dellaRepubblica, che è gambizzato nel suo stessoappartamento. Walter sente sempre piùincombente l’insidioso pericolo. Durante ildibattito che il 27 maggio (vigilia del suoassassinio) modera al Circolo della Stampasi chiede: “Adesso vedremo a chi toccheràprossimamente”. Qualche ora più tardi, versole tre di notte, a Massimo Fini che lo haaccompagnato fin sotto casa dopo lo spuntinoin una pizzeria di via Moscova con GiorgioSanterini, confida: “Sai, da un mese hoabbandonato le inchieste sul terrorismo. Nonvoglio morire per questi qui”.Consapevole che i cimentosi servizi hannoattirato malvagie curiosità sul suo giovaneinviato, il direttore del Corriere della Sera apartire dall’inizio di maggio lo impiega ininchieste preelettorali in vista delle elezioniamministrative. Walter può così dedicareparte del suo tempo all’Associazione lombarda<strong>dei</strong> giornalisti, all’Università per la realizzazionedell’archivio universitario (un’iniziativarealizzata per non troncare il legame chelo tiene unito alle aule universitarie) e allapreparazione d’un nuovo saggio sulla suamateria prediletta: il sindacalismo. Richiestodalla Rizzoli, il libro, intitolato Che cosacontano i sindacati, è una riflessione sullasituazione del momento, sui problemi organizzativie strategici che le organizzazioni <strong>dei</strong>lavoratori devono affrontare insieme conun’analisi storica e con i profili di alcuni <strong>dei</strong>principali leader delle tre centrali.Avendolo allontanato dal pericoloso frontedel terrorismo, Franco Di Bella ritiene d’averediscostato dalla persona del suo collaboratorele gravi minacce che s’addensavanosul suo capo e di averne azzerato i rischi.Quando, attorno alle 11,30 del 28 maggio,pochi minuti prima che cominci la riunione<strong>dei</strong> capiservizio, Fabio Mantica irrompe nellastanza della direzione gridando “hannoammazzato Tobagi”, il direttore del giornaledi via Solferino sente di vivere il giorno piùtriste e tragico della sua esistenza. Recatosi,accompagnato dal vice direttore Gaspare14 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


WalterTobagiil nostroeroeda primapaginaAlla notizia dell’attentato la folla si riunisce davantialla sede dell’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalistiin via Monte Santo a Milano.ORDINE 5 <strong>2005</strong>Barbiellini Ami<strong>dei</strong>, in via Salaino s’inginocchiasul marciapiede fracido accanto alcorpo esanime del suo inviato e piangesommessamente.Volgendo lo sguardo versoquel forellino rosso di sangue dietro l’orecchiosinistro del giovane sfortunato collega, ilgiornalista si chiedeva chi mai avesse potutocommettere un delitto cosi orrendo, un’infamiacosì grande.Una “talpa” all’internodella casa editriceIl dolore del direttore del Corriere trasfigurain rabbia qualche giorno più tardi. Leggendoil volantino di rivendicazione <strong>dei</strong> terroristiassassini alla presenza di Salvatore DiPaola, alto dirigente della Rizzoli, questi glifa notare una frase. Questa: “necessitàpubblicitarie localmente circoscritte”. Ilmanager rivela d’averla pronunziata duranteun incontro al quale partecipavano una decinadi rappresentanti sindacali e non ricordache fosse mai stata riportata da alcun documento.La scoperta radica nel giornalista laconvinzione che all’interno della casa editriceesiste una talpa. Più tardi, incontrando ilgenerale Carlo Alberto Dalla Chiesa cheassume le indagini sull’assassinio, Di Bellasi raccomanda: “Ci conosciamo da trent’anni;tu eri tenente io cronista: vedi di mettercelatutta; è come se mi facessi un favorepersonale”. “Te lo farò senz’altro” risposel’altro.La determinazione e l’impegno <strong>dei</strong> suoiuomini e la stella benigna (o qualcos’altro dicui non si è mai capito bene la natura durantee dopo il processo) consentono all’altoufficiale d’adempiere in un tempo davverobreve alla promessa fatta all’amico. Già il 5giugno i carabinieri, sospettando che qualcuno<strong>dei</strong> terroristi possa essere statopresente al dibattito che Walter ha moderatola sera del 27 maggio, mostrano al direttoredel giornale di via Solferino e ai suoi cronistii volti di alcuni <strong>dei</strong> presenti alla manifestazioneal Circolo della Stampa ma senza risultati.A metà mese, l’inchiesta s’infila nella direzionegiusta. Nel covo di via Negroli, dopol’arresto del brigatista Corrado Alunni, i militidi Dalla Chiesa recuperano un volantinoscritto a mano con il quale si rivendica ildisarmo di due vigili urbani. La grafia èconfrontata con quella delle lettere cheMarco Barbone, un giovane di 22 anni, figliodi Donato Barbone, un dirigente editorialedella Sansoni (che fa parte della casa editriceRizzoli), scrive alla sua compagna CaterinaRosenzweig detenuta a San Vittore. Lagiovane, che ha la residenza in via Solferino34, casa frequentata dal giovanotto, hacompiuto un attentato incendiario contro laditta Bassani-Ticino. Pedinato per giorni, ilsospettato “presenta”, inconsapevolmente,ai carabinieri alcuni <strong>dei</strong> suoi amici che sonofotografati.Una delle loro facce assomiglia terribilmenteall’identikit della persona che il 7 maggio hasparato a Guido Passalacqua. La fotografiaè mostrata al caposervizio della Repubblicail quale trasalisce: “Ma questo è “Cina” esclama;questo è un amico”. Autenticamenterattristato, commenta: “Se è tutto vero, sec’entra lui, è una vicenda straziante. “Cina” èil soprannome di Francesco Giordano, ungiovane militante della sinistra che il giornalistafrequenta da qualche tempo.A colpo sicuro le indaginidel generale Dalla ChiesaAlla fine del mese di giugno del 1980 CarloAlberto Dalla Chiesa ha già individuato l’accozzagliadi giovani sbrigliati che quasi certamentesono responsabili dell’assassinio diTobagi. Tuttavia, per evitare che insufficienzeinvestigative possano fornire appicci airesponsabili del delitto per sottrarsi al castigoo mettere in ombra elementi significativiper l’accusa, il generale procede con cautelanon lasciandosi sfuggire in quella fase alcunchédelle indagini neppure con il suo amicoDi Bella che pure agogna di vedere in galeragli assassini del suo bravo inviato. Ma dopol’8 luglio, la segretezza che ha tenuto celatirisultati e sviluppi (anche se incompleti) delleinvestigazioni rischia d’essere vanificatadalla naturale voglia di scoop di due giornalisti.Quel giorno l’alto ufficiale è chiamato aRoma a deporre presso la Commissioneparlamentare d’inchiesta sul caso Moro.Interrogato da alcuni deputati sullo statodelle indagini dell’assassinio Tobagi, forniscein via riservata parecchie indiscrezioni chealcune settimane più tardi sono riportate daun periodico. Per non pregiudicare il prosieguodell’inchiesta, e per evitare che qualcuno<strong>dei</strong> colpevoli possa sottrarsi all’arresto, il25 settembre i carabinieri arrestano MarcoBarbone che presta servizio militare adAlbenga. Condotto a Milano nella casermadi via Moscova, il giovanotto è interrogatodallo stesso Dalla Chiesa. “Devi essere unsoldato che parla al suo generale; ti convieneconfessare” lo ammonisce.Marco Barbone confessai nomi <strong>dei</strong> suoi compliciBarbone, che si è dato il nome di battagliadi “Enrico”, osserva la consegna ricevuta e“confessa” lo svolgimento completo dell’assassiniodel giornalista del Corriere dellaSera rivelando i nomi <strong>dei</strong> suoi complici chei carabinieri hanno in gran parte individuato.Sono: Paolo Morandini (Alberto), 21anni, studente universitario, figlio del criticocinematografico del Giorno, in procinto dipartire per il servizio militare; Manfredi DiStefano (Ippo), salernitano, operaio, ex militantedi Lotta continua; Francesco Giordano(Cina), 28 anni, calabrese di Catanzaro,operaio, collaboratore d’una impresa chedistribuisce giornali; Daniele Laus (Gianni),un romano di 22 anni, studente d’architetturaa Firenze, figlio d’un dirigente industrialee di un’insegnate di lingue e infine LuigiMarano (Fabio), 27 anni, anche lui studented’architettura con il padre dirigente d’azienda.Oltre ai sei, Dalla Chiesa arresta altre24 persone appartenenti all’area eversivain cui il gruppo si è formato.Il baricentro attorno al quale orbita la compa-15


gnia di malfattori è Marco Barbone comeaccerta la magistratura cui il giovane è statoaffidato dall’Arma il 2 ottobre. Dapprimaimpegnato nei collettivi scolastici del liceoBerchet, successivamente, nonostante la suagiovane età, era stato ammesso nei circoliesclusivi dell’Autonomia milanese dove avevainiziato la sua militanza in Rosso. Con quell’appellativoera conosciuto un periodicodell’ultrasinistra. In realtà dal 1976 questadenominazione indicava un’organizzazionepolitico militare, lo stato maggiore dell’Autonomiaorganizzata. Per Autonomia, negli anniSettanta, s’intendeva l’area politica extraparlamentaredell’estrema sinistra che ambiva di“promuovere la rivoluzione in modo autonomoe al di fuori <strong>dei</strong> partiti e dalle istituzioni”.Dopo un breve bigio passato in alcuni schieramentieversivi quali le Formazioni comunistecombattenti, le Unità comuniste combattentie le Brigate comuniste, i sei giovanottiavevano deciso di dare vita ad una loro organizzazione.Perché la scelta di colpireil settore della stampaLa nuova struttura nasce il 28 marzo 1980,lo stesso giorno in cui i carabinieri abbattonoa Genova i quattro brigatisti nel covo di viaFracchia. Gli articoli <strong>dei</strong> giornali sull’eventoligure colpiscono particolarmente la bandadi fusciarra la quale decide d’adottare la dataquale denominazione del proprio gruppo edi preparare un’azione contro i giornalisti.L’operazione avrebbe dovuto servire ai seiper acquistare ragguardevolezza presso lesigle più temute del brigatismo rosso.La scelta di colpire il settore della stampa vamessa probabilmente in relazione con gl’incolpevolirimbombi che di quel mondo i genitoridi Barbone e di Morandini facevanorisuonare gli echi nelle loro case e nelle“accademie” in cui culminavano le periodicheriunioni con gli amici. L’“analisi politica” elaboratadalla brigata assegna al settore dell’editoriail ruolo di “sistema portante della controrivoluzione”e ai giornalisti l’ufficio di professionisti“impegnati nella gestione della guerrigliapsicologica”. Il passaggio all’azionesarebbe dovuto avvenire per gradi: avrebberocominciato con piccole operazioni intimidatorieper passare a un ferimento e culminarecon un omicidio.Mentre si sviluppa la prima parte delprogramma con l’incendio <strong>dei</strong> furgoni delCorriere della Sera e l’assalto ad un mezzodi trasporto dell’Unità, la banda lavora allaschedatura <strong>dei</strong> giornalisti da colpire. Laselezione ne assortisce un gruppo formatoda “democratici illuminati, orientati politicamenteverso la sinistra istituzionale e che ilterrorismo ha cominciato a considerarenemici di classe”. Dall’odiosa cerna sortisconoil direttore della Notte Livio Caputo egl’inviati Marco Nozza del Giorno, GiampaoloPansa della Repubblica e WalterTobagi del Corriere della Sera. L’elencocomprende anche il nome di Guido Passalacquae quelli di alcuni cronisti giudiziari digiornali milanesi. Ma per questi ultimi labrigata 28 marzo ha in programma solo intimidazionie ferimenti. Per i primi quattro ladecisione unanime è: morte. Caputo, non faparte del gruppo <strong>dei</strong> giornalisti orientati asinistra. La sua colpa è quella “d’essersidichiarato favorevole all’operazione <strong>dei</strong>carabinieri di Genova”.Il lungo elenco di colleghinel mirino <strong>dei</strong> terroristiLa preparazione degli attentati impegna lamasnada in pedinamenti, appostamenti eriscontri d’orari che nel caso del direttoredella Notte mettono in luce complicate difficoltàle quali consigliano alla banda diabbandonare l’obiettivo. Cade anche leipotesi d’assassinio di Marco Nozza. L’azioneavrebbe esposto la congrega “ad un’operazioneproblematica” in quanto il cronistadel Giorno abitava nel centro di Milano“in una zona militarizzata”. Il personaggiopoi non osservava orari regolari. Pansa, alcontrario, era prevedibile nei suoi quotidianiimpegni che assolveva con diligente esattezza.Tuttavia prima di pensare a lui, ibrigatisti mettono in calendario il ferimentodi Passalacqua che “sotto l’alibi della sinistrasvolgeva funzioni d’appoggio allarepressione”. La missione si rivelò semplice:Giordano conosceva tutto del personaggio;dove abitava, gli orari e come passavala giornata. Il giornalista della Repubblica fucolpito alle gambe il 7 maggio 1980 nellasua abitazione. Per agevolare i soccorsi, gliattentatori lasciarono la porta dell’appartamentoaperta; Barbone e Morandini chiamaronoaddirittura l’autoambulanza.Rispettosi del programma che si eranoimposti, i terroristi, secondo l’agenda,avrebbero dovuto occuparsi di GiampaoloPansa. L’inviato di Repubblica fu però involontariamentesalvato dai Reparti comunistid’attacco. Un giorno i brigatisti di quellaformazione irruppero in una radio privata.Dai microfoni dell’emittente minacciarono ilprofessionista che da quel momento modificòimpegni e orari quotidiani sconciando ilprogetto criminale di quelli della 28 marzo.E giunge il momento stabilito per colpireTobagi. Alla sua eliminazione concorronodue elementi: uno d’ordine generale e l’altrodi carattere personale. Intanto il rapidopassaggio da uno stadio semplice a uno piùcomplesso della lotta armata in Italia. Apartire dal mese di febbraio 1980 sono statiassassinati il professor Vittorio Bachelet,presidente dell’Azione cattolica e vice presidentedel Csm, i giudici Nicola Giacumbi,Girolamo Minervini, e Guido Galli mentreuna guardia della polizia privata è stata uccisaa Torino. Che cosa avrebbe dovuto farein quel frangente una formazione al suoesordio se non accreditarsi con un assassinio,tenuto anche conto che il ferimento delgiornalista di Repubblica aveva sollevatocritiche nell’ambiente dove si sosteneva che“in fondo di giornalisti peggiori di Passalacquace n’erano altri?”. Questo era stato ilragionamento aberrante <strong>dei</strong> sei che attraversola deviante riflessione pervengono alparalogismo: “bisogna colpire Tobagi, che èconsiderato il massimo esponente dellacorrente intelligente <strong>dei</strong> giornalisti”.Attraverso riscontri, sorveglianze e appostamenti,l’accozzaglia scopre che Walterquale inviato non osserva orari fissi d’ufficio.Accerta che quando è a Milano esce dicasa fra le 9,30 e le 10 e vi fa ritorno fra le13 e le 13,30; rimette piede in redazioneattorno alle 16 e rincasa fra le 19,30 e le 20.Verifica pure che guida un’automobile e chela parcheggia nel garage di via Valparaiso,un paio di centinaia di metri in linea d’ariadalla sua abitazione.Scatta il piano operativodopo lunghi pedinamenti“Una prima ipotesi operativa” richiede chealcuni della combriccola si appostino nellarampa del garage per “ impattarlo”. Stabilitoil come ucciderlo, restano tutte le incertezzeche si riferiscono al quando. Tobagi viaggiamolto e l’unico giorno certo circa la suapresenza in città è la domenica. Cosicchésenza indugiare oltre, la banda decide d’ucciderlola mattina del 24 maggio. Barbone eMarano si appostano dietro all’edicola chesorge nei pressi della casa del giornalista;Morandini dovrebbe avvistarlo e avvisareLaus che si trova alla guida d’una Renaultrubata a San Siro: Gianni dovrà portare l’autodavanti alla siepe del ristorante “daiGemelli” dove i primi sono incaricati di spararecontro l’inviato. Manca Giordano impiegatoin azioni di copertura.Attesa per un’ora e mezza la vittima, il drappello,temendo “d’aver dato nell’occhio”,abbandona la zona. “Provando la via di fuga”gli sconsiderati s’accorgono che davanti auna banca stazionano due pantere della poliziae deducono che se avessero agito quelgiorno sarebbero stati sicuramente arrestati.Quando si sono già congedati dagli altri,Barbone e Laus scorgono Tobagi in piazzaleBaracca insieme con la famigliola; la moglieStella e i due figlioletti.L’attentato fu differito alla domenica successiva.Tuttavia la notizia che l’inviato delCorriere avrebbe moderato un dibattito alCircolo della Stampa la sera di martedì 27diede loro la certezza che il giornalistasarebbe stato sicuramente a Milano il 28 edecretarono per quel giorno la sua fine.Mercoledì mattina Barbone, Marano, Morandinie Laus s’incontrarono presto davanti allastazione di Porta Genova. Di Stefano, che sitrovava già sotto la casa dell’inviato, appenali scorse lasciò la postazione rimpiazzato daMorandini. Questi, avvistato qualche oradopo Tobagi, inforcò la bici, ne segnalò aglialtri la presenza in strada e fuggì verso casadove apprese dalla radio l’esecuzione delgiornalista. A sparare per primo alle spalledel professionista era stato Marano seguitoda Barbone.Esecrata dal mondo civile, l’uccisione diWalter fece giungere “significativi consensi”agli assassini. Il nucleo storico delle BrigateRosse “valutò positivamente l’azione”. Nonostantei complimenti ricevuti da coloro pressoi quali avrebbero voluto acquistare stima,poco dopo il delitto, Barbone (questo vorrà farcredere più tardi) avverti “un crollo psicologicoche non gli permise di prendere più in manoun’arma” e “dovette forzarsi per parteciparead una rapina per autofinanziamento”. Sullabase di questo sentire, si è portati a supporreche dopo l’assassinio potrebbe essere maturatoin lui il desiderio del castigo per una veracatarsi al fine di pervenire ad una completapurificazione dello spirito. Barbone e Morandinisi pentirono sì subito dopo l’arresto ma illoro gesto fu considerato (dalla maggioranzadell’opinione pubblica) un’azione strumentaleper evitare i rigori del codice penale e perutilizzare la legge sui pentiti. Forse perchécome Roskolnikov in Delitto e castigo, i duecoltivarono nei loro animi la convinzione dinon avere commesso un delitto ma di averesbagliato uccidendo invano.Una sentenza sconcertanteper l’opinione pubblicaIl processo si tenne a Milano nel 1983nell’aula bunker di piazza Filangieri a partiredal primo marzo. La sentenza pronunziata il28 novembre, dopo 106 udienze, condannòBarbone a 8 anni e 9 mesi di carcere. Lastessa pena fu inflitta a Paolo Morandini. Glialtri subirono le seguenti condanne. ManfrediDi Stefano, 28 anni e 8 mesi; DanieleLaus, 27 anni e 8 mesi; Mario Marano, 20anni e 6 mesi; Francesco Giordano, 30 annie 8 mesi. Il verdetto colpì particolarmentel’opinione pubblica anche per qualche paradossoscaturito dalla legislazione. Una ripugnanteassurdità furono considerati i quasinove anni di carcere comminati a MarcoBarbone, uno <strong>dei</strong> due assassini materiali diTobagi a fronte <strong>dei</strong> trent’anni inflitti a FrancescoGiordano che nel delitto aveva svolto ilruolo del palo. Alla mitezza della pena s’aggiunsel’altra stravaganza, per non dire altro,costituita dalla contemporanea liberazione diBarbone e di Morandini.Con il benestare del pubblico ministero, i dueprincipali imputati furono posti in libertà provvisoriaall’indomani della sentenza e a menodi tre anni del loro arresto. Il provvedimentofu spiegato con l’aritmetica giudiziaria. Applicandola legge sui pentiti, la pena dell’ergastoloera stata ridotta al minimo: dieci anni.Un riconosciuto “contributo eccezionale”aveva comportato un ulteriore sconto pretesodalle attenuanti generiche che avevaobbligato i giudici a diminuire ancora lacondanna d’un terzo fino ad abbassarla aquattro anni e quattro mesi e dunque amettere fuori dal carcere i beneficiari.Il risultato di quei calcoli sconcertò parecchiagente. Facendosi interprete del disagio dimolti, Montanelli, in uno di quei suoi pezziche confermavano la sua forte disposizionealla concretezza, ricordò che senza i pentiti(“schiuma della terra, il peggio del peggio”)l’Italia non ce l’avrebbe fatta ad uscire daglianni di piombo.Non rinunciò però a proclamare il suo disgustodefinendo quelle norme “inique, infami einfamanti applicate dai magistrati perchévolute dal paese”. Per tutti i nauseati comelui domandò una sola cosa: “essere liberatidall’incubo d’incontrare questi figuri per nonvedere riflessi nei loro occhi la nostra vergognadi avere avuto bisogno di loro e di avererisposto al loro falso rimorso con un perdonoaltrettanto falso”.16 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


ORDINE 5 <strong>2005</strong>WalterTobagiil nostroeroeda primapaginaIl giorno <strong>dei</strong> funerali, il corteo sfila sotto le finestredel Corriere in via San Marco.Un’enorme folla si raduna davantialla chiesa di San Marco.Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e Bettino Craxirendono omaggio alla salma.La benedizione della baradel cardinale Carlo Maria Martini.Il blando castigo invocato durante la sua arringaanche dal pm Spataro e il suo benestarealla richiesta di libertà provvisoria presentatadalla difesa a favore <strong>dei</strong> due principali responsabilidell’assassinio, fecero avvampare lapolemica mentre i giudici popolari e togatientravano in camera di consiglio in un cascinalevicino Monza. I contrasti sulle incongruenzeemerse dalla vicenda Tobagi, chenon si erano mai chetate, videro contrappostiancora una volta magistrati ed esponenti delPsi. Il direttore dell’Avanti! Ugo Intini scrissedi “offesa alla morale perché la coscienza delpiù insensibile <strong>dei</strong> cittadini mai si sarebbepotuto capacitare all’idea che a tre anni esattidall’assassinio l’esecutore se ne vada inlibertà” e di offesa al diritto in quanto “le mitipene proposte non erano imposte da quellalegge che prevede forti sconti per chi nelpentimento offre alla giustizia contributi eccezionalima dipenderebbero dalla parzialità delmagistrato”.“L’immoralità non è <strong>dei</strong> giudicima della legge sui pentiti”Il pubblico ministero replicò che “l’immoralitàdoveva essere riscontrata non nella richiestadel magistrato ma nella legge che andavaapplicata”, che “quando Barbone avevaconfessato nessuna contestazione gli erastata mossa dai carabinieri” e che “l’imputatocon la sua testimonianza aveva contribuito afar luce su 11 omicidi”.Le dispute sulla scarcerazione e sulla noncorretta applicazione della legge sui pentiti siaggiungevano alla mai risolta controversiasull’esistenza <strong>dei</strong> mandanti e al sospetto(che si richiamava ad una vecchia indiscrezione),secondo il quale gli inquirenti (carabinierie magistratura) sarebbero venuti aconoscenza del delitto ben cinque mesiprima che Tobagi fosse ucciso. Ebbene, il 17dicembre 1980, diciotto giorni dopo lasentenza di prima istanza, l’Avanti! eliminavail condizionale (tempo della eventualità) dallarivelazione che sostituiva con il presente(tempo della certezza) e divulgava il nomedel confidente, il terrorista pentito RoccoRicciardi, soprannominato “il postino”. Se eravera la circostanza, le domande erano tre:come si spiegava il mancato intervento perevitare l’assassinio del cronista? Ancora: chetipo di “contributo eccezionale” aveva portatoBarbone alla scoperta d’un delitto del qualecinque mesi prima si sapeva che sarebbestato commesso? Infine: per quale favore ein nome di che cosa egli sarebbe statocompensato con la notevole riduzione dellapena prevista per pentiti?A denunziare, sia pure in una forma vaga,che i carabinieri erano a conoscenza delprogetto d’uccisione di Tobagi era stato ilsegretario del partito socialista quando ilprocesso di primo grado era ancora alleprime battute. Il 27 maggio 1980, in undiscorso tenuto alla conferenza organizzativadel Psi al Castello Sforzesco, BettinoCraxi aveva chiesto ai giudici se esisteva agliatti una lettera anonima che il generale dellaChiesa aveva ricevuto dopo il delitto Tobagie che conteneva indicazioni relative all’agguato.Domandava pure “se era vero cheorgani di polizia e magistratura fin dal dicembre1979, e cioè sei mesi prima del delitto,erano a conoscenza che gruppi terroristiciprospettavano un attentato ad un giornalistamilanese e che la fonte confidenziale informavache il giornalista sarebbe stato WalterTobagi e indicava dove l’attentato sarebbestato compiuto e dove poi effettivamente l’assassiniofu compiuto”.La replica del procuratore della RepubblicaMauro Gresti e del pm del processo ArmandoSpataro era stata immediata. I due assicuravanoche “tutte le lettere anonime pervenuteall’inchiesta erano state vagliate, fatteoggetto d’indagini e si trovavano nei fascicolidel processo”. Quanto alle informazioniconfidenziali, negavano che fosse mai giuntaalcuna segnalazione alla procura. Aggiungevanoche l’interesse dell’eversione verso ilgiornalista del Corriere era stato desunto dauna serie di appunti che riguardavano lui e ilsenatore Leo Valiani contenuti in una valigetta24 ore trovata nel 1979 sotto un cumulo dineve a Milano e che “entrambi gli interessatierano stati informati”.Le risposte <strong>dei</strong> magistrati non estinguono laforte curiosità del leader socialista e <strong>dei</strong> suoicollaboratori e neanche l’irrequieto desideriodell’opinione pubblica alquanto turbata dauna rivelazione fatta dall’importante esponentepolitico. Le udienze del processoappena iniziato, che si prevedono interessantie, si presume, rivelatrici di molti risvoltidella faccenda rimasti in penombra, favorisconoil differimento delle questioni sollevatedall’uomo che guida il Psi e anche di parecchialtri quesiti che erano stati patrocinati daaltri, curiosi di sapere se nel delitto c’erastato un regista, perché non era stata coinvoltanel processo la fidanzata di Barbone,come mai non si era andati a fondo nel tentativodi sequestro di Tobagi organizzato daBarbone e da altri nel 1978, episodio rivelatoin udienza da Antonio Marocco: interrogativiquesti sui quali durante la fase dibattimentaleera tornato a martellare insistentemente ilgiornale socialista.Deluso delle risposte balzate fuori dalprocesso e dalla sentenza, l’Avanti!, mentreBarbone libero si è ritirato in un istituto religioso(non si sa bene se per meditare suldelitto compiuto o per ringraziare i santi delmiracolo ricevuto), racconta la vicenda diRocco Ricciardi un trentenne salernitanoinfiltrato nelle file delle Formazioni combattenticomuniste, che regolarmente informava“gli inquirenti” attraverso un contatto che eratenuto da un brigadiere <strong>dei</strong> carabinieri.Questi ad ogni incontro “redigeva un resocontoche era poi trasmesso a tutte le autoritàcompetenti”. Alla rivelazione, il direttoredel giornale Ugo Intini faceva seguire uncommento duro con il quale si domandavachi avesse avvisato Tobagi dell’esatta naturadel pericolo e quali misure fossero statedisposte per sventarlo.Una sconcertante novitàdalle dichiarazioni di ScalfaroLa procura di Milano definì la faccenda una“montatura pazzesca” di cui qualcuno dovràrispondere. Ma tre giorni più tardi, OscarLuigi Scalfaro confermava la correttezzadella denunzia del foglio socialista. Il ministrodegli Interni, rispondendo ad un’interrogazione,riferiva che “agli atti del reparto operativodel gruppo carabinieri di Milano 1 esisteval’originale di una relazione di servizio redattada un sottufficiale dell’Arma il 13 dicembre1979. Nel documento si leggeva: “Secondo ilpostino, il… (segue il nome d’un altro confidente)e gli altri avrebbero lasciato il propositodi compiere azioni in Varese ma avrebberoin programma un’azione a Milano. Il… nonha lasciato capire pienamente quale possaessere il loro obiettivo ma ha riferito al postinoche si tratta d’un vecchio progetto delleFormazioni comuniste combattenti”. L’informativadel sottufficiale, di cui più tardi sisaprà il nome in codice “Ciondolo”, proseguiva:“Per quanto riguarda l’azione da compierequi a Milano e la zona nella quale il grupposta operando, il postino ritiene che vi siain programma un attentato o il rapimento diWalter Tobagi, esponente del Corriere dellaSera. La zona in cui il gruppo sta operandodovrebbe essere quella di piazza NapolipiazzaAmendola-via Solari dove il Tobagidovrebbe abitare. Il Tobagi è un vecchioobiettivo delle Formazioni comuniste combattenti”.Il ministro degli Interni ricordava che “inprecedenza, nel settembre 1978 e nelgennaio 1979, erano stati rinvenuti, rispettivamenteall’interno di un covo ed in una valigia24 ore abbandonata, due documentieversivi recanti una nota biografica delpubblicista, verosimilmente oggetto d’inchiestada parte delle stesse Fcc e Cra, che talireperti erano stati consegnati all’autoritàgiudiziaria competente che -secondo quantoconsta all’Arma - ne aveva informato il Tobagie l’autorità di Ps e che il giornalista avrebberifiutato la scorta propostagli”.Ma allora avevano ragione Craxi e l’Avanti!?Dalle dichiarazioni di Scalfaro sembra poiemergere un’altra sconcertante novità. Ecioè che gli informatori siano due. Questerivelazioni, in aggiunta alle durissime criticheriservate alla scarcerazione <strong>dei</strong> principaliimputati avvenuta una ventina di giorniprima, inducono il quotidiano del Psi a formu-17


lare accuse contro i magistrati che si eranooccupati dell’inchiesta incolpati d’avere assicuratol’impunità a Caterina Rosenzweig,d’avere occultato prove e alterato atti processualiper fare apparire spontanea e genuinala confessione del principale pentito.Mentre preparano contro l’Avanti!, accusatodi diffamazione, le querele (seguite dacondanne (1985) poi amnistiate (1987)), igiudici precisano e correggono il ministroche è incolpato anche di “inesattezze storiche”.Spiegano di non essere stati informatinemmeno verbalmente e che solo agli inizidi giugno, qualche settimana dopo la denunziadel segretario socialista Bettino Craxi alcomizio del Castello Sforzesco, i magistratiavevano sollecitato una spiegazione e che icarabinieri avevano raccontato “di quellaconfidenza”. Quanto all’esistenza di unsecondo postino, puntualizzano che si trattad’un equivoco nel senso che il “postino” erasempre il Ricciardi che alcune volte (da qui ilfraintendimento) era citato con quel soprannomenon grazie ad un codice particolarebensì perché era nell’organico delle Posteitaliane.Le confidenze del “postino”al sottufficiale <strong>dei</strong> carabinieriMa che cosa aveva raccontato il postino?Ricciardi, superando il risentimento che loaveva contristato nel dicembre dell’80 inseguito al suo smascheramento, il 17 giugnodel 1985, durante la deposizione davanti aigiudici della corte d’Assise d’Appello delprocesso Tobagi, svelerà la sua verità. Militantedelle Formazioni comuniste combattenti,nel marzo del 1979 era stato fermatodopo una perquisizione nel suo appartamento.Per evitare la presura, aveva accettato didiventare informatore <strong>dei</strong> carabinieri lasciandosialle spalle la lunga militanza eversiva.Nove mesi più tardi espose al suo referente,un sottufficiale <strong>dei</strong> carabinieri, un interessanteaccadimento. Narrò d’essersi imbattuto aMilano in un altro brigatista, Pierangelo Franzetti,uomo di vertice <strong>dei</strong> Reparti comunistid’attacco. Questi gli riferì che la banda stava“studiando qualche operazione contro lastampa”. Gli confidò pure che per superarele portinerie nel lavoro di schedatura dipossibili obiettivi si dava per propagandistadel settimanale Famiglia Cristiana.Ricciardì assicurò che l’altro brigatista nongli diede alcuna indicazione sul possibileobiettivo cui era diretta l’operazione in corsod’attuazione.Ma allora com’era venuto fuori il nomedell’inviato del Corriere della Sera? Secondoil confidente “non fu illogico interpretare ildiscorso di Franzetti nel senso di riconoscerenel loro bersaglio la persona di Tobagiricollegandosi ad un vecchio tentativo delleFormazioni comuniste combattenti, di cui luiaveva fatto parte, di rapire il giornalista di viaSolferino, progetto che lo aveva visto protagonistainsieme con Marco Barbone e conCaterina Rosenzweig. Si trattava del sequestrodenunciato in aula in un’udienza delprocesso da Antonio Marocco? Proprio diquello.Così saltò il pianomesso a punto nel 1978Il piano messo a punto nel 1978 prevedevala cattura di Walter davanti alla sua abitazionee il suo trasferimento dentro un furgonein una baracca lungo il Naviglio dove sarebbestato tenuto prigioniero finché i brigatistinon avessero ottenuto spazio sui quotidiani“per le loro idee e per le loro battaglie”.Il giorno stabilito per l’azione, Ricciardi s’appostòsotto la casa di Tobagi in attesa chequesti uscisse mentre l’automezzo con icomplici stazionava poco distante pronto adaccoglierlo. Tuttavia sopraggiunse un imprevisto.In via Solari irruppe sgommando unapantera della polizia che si fermò a pochipassi da Ricciardi. Dietro l’auto si collocò ilfurgone. Il brigatista sostenne che i poliziotti“capirono l’antifona” e cioè che egli era prontoa sparare, e s’allontanarono. In ogni casoil piano saltò.Ma quando il postino collega per associazioned’idee il vecchio progetto di rapire Tobagicon la nuova azione promossa dai Reparticomunisti d’attacco di Franzetti ne parla aicarabinieri? E questi che cosa fanno?Ricciardi a due anni di distanza dal processoin corte d’Assise non fornisce risposteconvincenti. Anzi non offre affatto spiegazioni.Perché si ripara dietro i non ricordo. Incalzato,è costretto a svelare che “nei suoirapporti confidenziali non raccontava tutto”.Protesta: “Dovevo premunirmi rispetto a unmio possibile arresto e non potevo vuotare ilsacco sui miei reati”. La studiata cautelamanifestata dal testimone porta a supporreche i carabinieri avessero sbagliato a nonessere andati a fondo all’abortito sequestrodel 1978 perché se lo avessero fatto sarebberoarrivati sicuramente a Barbone impedendoquanto accadde il 28 maggio 1980.I sospetti sul mandantesecondo Bettino CraxiAnche se largamente carente, la puntualizzazionedi Ricciardi indizia di forte ambiguitàla confessione di Barbone il quale avevaraccontato che il l’inviato era stato sceltoinsieme con gli altri tre dopo la costituzionedella brigata 28 marzo mentre dalle paroledel postino si deduce che egli era già nelmirino della sua pistola quando ancora nonera una firma. L’episodio raccontato dalsalernitano rende poi fragile la tesi di coloroche nella diversità delle sigle che si contendevanoTobagi e nella distanza di tempo incui si collocano le operazioni criminali cui èfatto oggetto il cronista, indicano l’alibi pergiustificare la sua mancata protezione. Nonva però dimenticato che Ricciardi parla dueanni dopo il primo processo e che le sueverità sono come quelle del “Quinto evangelista”.Anche sul mandante (o regista o suggeritore)del delitto, di cui il direttore del Corrieredella Sera aveva sospettato l’esistenza conuna connotazione aziendale, era stato BettinoCraxi a rilanciare il sospetto nel comiziodel 27 maggio 1980 mentre si svolgeva ilprocesso nell’aula bunker. Commemorandoil “compagno e l’amico vilmente assassinato”,il segretario del Psi aveva riproposto iltema del “delitto politico frutto di fanatismo,dell’odio del terrorismo lungamente progettatoe ispirato da mandanti”.Sin dal primo momento Di Bella aveva acquistatocertezza d’avere individuato nel volantino“la presenza di un cervello professionaleinformatissimo per raffinatezza di linguaggioe per conoscenza di problemi editoriali”.Barbone appena arrestato ne aveva esclusofermamente l’esistenza. Nei primi interrogatoricui l’aveva sottoposto Dalla Chiesa,aveva spiegato che la perfezione di linguaggioeditoriale che si pretendeva egli (insiemecon Morandini) avesse utilizzato per stilare ildocumento, altro non era che una sorta dizibaldone che mescolava discorsi sentitinelle loro abitazioni e nelle case <strong>dei</strong> loroamici insieme con l’estrapolazione d’informazionie di locuzioni compendiate da PrimaComunicazione, un mensile che si occupa dieditoria e di giornalismo, da Numero zero, ungiornale che allora era portavoce della Federazionenazionale della stampa (che in quelperiodo attaccava spesso la posizione politicadi Tobagi) e da Ikon.La precisazione non aveva crepato in alcunmodo il convincimento del direttore del fogliodi via Solferino. Di Bella era un professionistadisincantato da anni di cronaca; un uomocui il giornalismo aveva insegnato l’effettivitàe lo aveva provvisto d’un’acutezza d’ingegnoche gli permetteva di leggere gl’indecifrabilicaratteri di certe realtà che spesso si appiattanofra l’intricato groviglio degli elementi cheavvolgono talune informazioni.Dell’esistenza d’un burattinaio che non agivaall’interno del corpo redazionale bensì inquello più vasto “dell’ambiente giornalisticoeditoriale-pubblicitario”(anche se avevaesortato Dalla Chiesa “a cercare pure neicorridoi di via Solferino”) aveva suspicatoleggendo il contenuto del volantino di rivendicazionealla presenza di altri del mestiere.La sua ferma opinione s’era rafforzata quandoDi Paola, direttore generale della casaeditrice Rizzoli, aveva ribadito d’averepronunziato la frase “necessità pubblicitarielocalmente circoscritte”, riferendola al lanciodell’Occhio (il giornale affidato poi a MaurizioCostanzo), alla presenza d’una decina dipersone. Appena era venuto a conoscenzadell’arresto di Barbone, il giornalista avevaesternato le sue inquietudini all’amico generale.Questi lo aveva rassicurato garantendoche “il delitto non aveva avuto suggeritori maera stato consumato dai sei al solo scopo disuperare gli esami di terrorismo”.Il direttore aveva screduto a quella tesi.Sapeva che il suo inviato era stato bersagliodi polemiche anche dure. “Un giorno” racconteràpiù tardi al processo “Tobagi giunse inredazione quasi piangente per gli attacchiverbali che aveva ricevuto”. Tuttavia egli nondisponeva di prove atte a dare corpo alleombre agitate dai suoi sospetti. Qualchesettimana dopo l’arresto <strong>dei</strong> sei, Di Bellariaprì con il generale il discorso sulla questionedel mandante. I due tenzonarono su checosa si dovesse intendere per mandante: seun suggeritore o un istigatore. Entrambi alzaronola voce.Ostinato, il direttore del Corsera preparòuna serie di domande che l’alto ufficialesottopose a Barbone. Dal confronto nonvenne fuori null’altro che il rassodamentodel forte disaccordo esistente tra il giornalistae il militare il quale ribadì in quella occasioneche “non c’era alcun elemento penalmenteapprezzabile sui mandanti”. Ladiscussione fu ancora una volta aspra: i duesi rimbeccarono. Il generale se ne uscì conla frase: “Tu sei come Craxi e Martelli, radicatinella convinzione che esistono <strong>dei</strong>mandanti”. Per mesi quando s’incontravano,il giornalista e il carabiniere non si rivolgevanola parola.Si intensifica la polemicadurante il processoLa polemica sui mandanti affocò ancora unavolta con violenza durante la celebrazionedel processo allorché l’Avanti!, che ne propugnaval’esistenza, pubblicò (1 giugno 1983)alcuni brani della relazione che Dalla Chiesaaveva svolto l’8 luglio 1980 davanti allaCommissione parlamentare d’inchiesta suldelitto Moro. In quella occasione l’ufficialeaveva definito la banda della 28 marzo “canisciolti che hanno trovato nel giornalismoqualche sostenitore più accanito”. Avevapure rivelato che dopo il delitto “nei giornalisi trovava una carica maggiore, non dico afavore, ma quasi a giustificare il gesto, l’atto,il fenomeno per non essere individuati e nonessere colpiti”. E ancora: “Si erano spaventatitutti: dagli editori, ai direttori, agli azionisti,ai cronisti”. Aveva aggiunto: “Però, secondome, è qualcosa che rimane nell’ambito <strong>dei</strong>cronisti e i cronisti ospitano nelle loro filecertamente qualcuno che si è avvalso dikiller per uccidere Tobagi”.Dalla Chiesa si mostrava consapevole dellagravità di quanto affermava tuttavia rimarcavache sapeva di “poterlo sostenere”. Uncommissario gli domandò: “E i mandanti? “L’ufficiale replicò: “Siamo a livello d’indizi ese ne ho parlato è perché questi indizi inquella direzione sono apparsi. Ma che daquesto si possa passare all’imputazione,mentre un’indagine è in corso, credo di nonpoterlo sostenere”.L’alto ufficiale precisò ancora che le motivazionialla base del volantino non potevanovenire che dall’ambiente giornalistico. “Labrigata 28 marzo ha quasi il significato chesia qualche organizzazione nuova spuntataanche nel settore del giornalismo; così comepuò nascere in fabbrica, può nascere nelcorpo redazionale di un giornale, in unambiente giornalistico, anche se fa tremarel’idea che un giornalista possa arrivare a fareil mandante”.Tra tortuosità verbalie indagini incompleteLe tortuosità verbali e le ambiguità concettualiche improntano le dichiarazioni dell’alloracomandante <strong>dei</strong> carabinieri dellaLombardia sono quasi certamente da impu-18 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


WalterTobagiil nostroeroeda primapaginaWalter Tobagi con Carlo De Martino,presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti dal 1965 al 1989.Camera <strong>dei</strong> deputati, 19 dicembre 1983Scalfaro legge una relazionedi un sottufficiale dell’Armadel 13 dicembre 1979“È in programmaun attentatoo il rapimentodi Walter Tobagi...Tobagiè un vecchioobiettivodelle Formazionicomunistecombattenti (Fcc)Dal libro Le carte di Moro, perchéTobagi di Roberto Arlati e RenzoMagosso (Franco Angeli 2003)riprendiamo un passaggio (pagine142/143) che riguarda la risposta19 dicembre 1983 del ministrodell’Interno Oscar Luigi Scalfaronell’aula di Montecitorio a unainterrogazione sul delitto Tobagi.Era stato Bettino Craxi (primoministro dal 4 agosto 1983) adaccusare: “Qualcuno ha taciutouna nota informativa che preannunciaval’organizzazione dell’assassiniodi Walter Tobagi”. Questala risposta di Scalfaro:“Agli atti del reparto operativodel Gruppo carabinieri di Milano1 esiste l’originale di una rela-“zione di servizio redatto da un sottufficiale dell’Arma (“ilbrigadiere Ciondolo”, ndr) il 13 dicembre 1979 nella quale silegge: “Secondo il postino, il...(segue il nome di un altroconfidente) e gli altri avrebbero lasciato il proposito dicompiere azioni in Varese ma avrebbero in programmaun’azione a Milano. Il ....non ha lasciato capire pienamentequale possa essere il loro obiettivo ma ha riferito al postinoche si tratta di un vecchio progetto delle Formazionicomuniste combattenti (FCC). Per quanto riguarda l’azioneda compiere qui a Milano e la zona nella quale il grupposta operando il postino ritiene che vi sia in programmaun attentato o il rapimento di Walter Tobagi, esponente delCorriere della Sera. La zona in cui il gruppo sta operandodovrebbe essere quella di piazza Napoli-piazza AmendolaviaSolari dove il Tobagi dovrebbe abitare. Il Tobagi è unvecchio obiettivo delle Formazioni comuniste combattenti...”.Dagli accertamenti svolti il postino di Varese si identificacon un certo Rocco Ricciardi. Va rilevato che l’attivitàdell’Arma <strong>dei</strong> carabinieri in tutte le vicende sufferiferiteè attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, ildovere di riferire in via esclusiva all’autorità giudiziariadalla quale dipende”.La precisazione è sconvolgente. È l’ultima frase a far sensazione.Scalfaro mette in luce che i carabinieri debbono informarei magistrati. “Questa puntualizzazione – scrivono Arlatie Magosso – appare, alla luce <strong>dei</strong> fatti, come un rimprovero.Lascia implicitamente intendere che i carabinieridell’Antiterrorismo di Milano non hanno detto tutto ai magistratimilanesi”.Camera <strong>dei</strong> deputati, 18 giugno 2004Giovanardi: “Nessunoha indicato gli assassinidi Tobagi alla polizia”Milano, 18 giugno 2004. “Nessuno ha mai indicato a poliziae carabinieri i nomi di chi sarebbero stati gli assassini. Cimancherebbe altro che fosse emersa una circostanza diquesto tipo”. Così si è espresso al question time il ministroper i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, riferendosiall’omicidio di Walter Tobagi.“A distanza di 24 anni - aveva affermato poco prima il parlamentareverde Marco Boato - sono ricorrenti gli interrogativisulle gravi omissioni da parte di ufficiali <strong>dei</strong> carabinieri dell’epocache nascosero e non diedero seguito a una nota informativapreventiva redatta da un sottufficiale del nucleo antiterrorismo.Già nel dicembre ’79, sei mesi prima dell’omicidio,i nomi <strong>dei</strong> terroristi che stavano progettando l’assassiniodi Tobagi, erano noti, ma nulla, assolutamente nulla vennefatto per impedirne la morte. Il 28 maggio scorso il direttoredel Corriere, Folli, ha dichiarato: “Non si tratta di una storiache possa considerarsi chiusa. La morte di Tobagi è una feritaancora aperta. È necessario che questa vicenda vengariaperta”.“Sulla base di informazioni attinte dall’autorità giudiziaria - harisposto Giovanardi - devo smentire categoricamente le illazionidell’onorevole Boato, che non corrispondono a verità, esono dietro quel filone della dietrologia attraverso la quale iresponsabili degli omicidi non sarebbero gli assassini chehanno ammazzato le vittime negli anni di piombo, ma sarebberosempre trame oscure, la colpa è <strong>dei</strong> carabinieri o delleforze dell’ordine, di coloro che, non si capisce perché, nonavrebbero cercato di evitare questi omicidi”.“Il Governo - ha aggiunto il ministro sempre al question time- non ha potuto far altro che attingere dalla Procura di Milano,dai magistrati, con le dichiarazioni di allora e di oggi, laloro volontà di non spiegare nuovamente cose che hannogià chiarito in tutte le sedi competenti. Ricordo solo l’ultimaaffermazione del dottor Armando Spataro, che era statoresponsabile di quell’inchiesta, che ha ribadito che la mortedi Tobagi è connessa soltanto e solo a quello che rappresentavaper la democrazia di questo Paese. Purtroppo èstata una delle centinaia di vittime dell’eversione armata diquei tempi che voleva nei giornalisti, nei magistrati, nei politici,soffocare e annullare la democrazia nel nostro Paese.Credo che non dovremmo mai finire di condannare quegliassassini e non cercare ancora oggi, nel 2004, come faBoato, di cercare di dare la colpa ai carabinieri e a chicombatteva l’eversione e il terrorismo”.“La risposta di Giovanardi è indecente” ha replicato Boatoprecisando, rivolto al ministro, che “lei semplicemente si èbasato su informazioni di seconda mano e non ha capitoassolutamente il significato di questa denuncia”. (ANSA)ORDINE 5 <strong>2005</strong>tare allo stato d’incompletezza in cui versanoin quel mese di luglio 1980 le indagini suBarbone che, non ancora arrestato, ed inprocinto di partire per il servizio militare (oforse già in divisa), è controllato costantementedai carabinieri. Successivamente,dopo avere interrogato lungamente il principaleimputato, l’ufficiale si convincerà dell’inesistenzadel regista, determinazione cheprovoca lo scorticante dissenso con DiBella, persuaso del contrario, e con Craxi. Ilquale, irriducibile anche lui, affida ad un’équiped’esperti uno studio comparato delvolantino con gli scritti apparsi sulle rivistespecializzate del mondo dell’informazione.L’indagine sarà poi trasmessa alla magistraturache non troverà alcun elemento atto alegittimare la presenza d’un suggeritore neldelitto.Alla fine fu scartatal’ipotesi del “regista”L’ipotesi dell’ispiratore parve acquistarevigore nell’udienza del 12 ottobre del 1983.Francesco Giordano rivelò che una decinadi giorni dopo l’assassinio del giornalistaaccompagnò Barbone nella sede delCorriere della Sera. Quando corte, difesa,pubblica accusa e parte civile gli chieserocosa fosse andato a fare il suo complice invia Solferino, se per accedere agli ufficiaperti al pubblico (abbonamenti, inserzioni,necrologie, servizio arretrati), per incontrareun giornalista o per altra ragione, il calabresereplicò dapprima con un rosario di nonso. Successivamente, lasciando sconcertatitutti, se ne uscì asserendo che non avevafatto domande perché “tra loro non siusava”.Il presidente della corte Antonino Cusumanopoco convinto del rapporto contegnoso chel’imputato voleva far credere improntasse lerelazioni personali fra assassini, gli rivolsequesta domanda. “Ma secondo lei, c’eraqualcuno alle spalle di Barbone? C’erainsomma un mandante? Giordano rispose:“Ho <strong>dei</strong> pensieri, ma preferisco…”Oltre che da Dalla Chiesa, l’ipotesi del registafu scartata anche dal suo braccio destroil colonnello Nicolò Bozzo e dal pubblicoministero del processo Armando Spataro.Facendo appello alla sua esperienza, l’ufficialericordò che non era un fenomenonuovo la circostanza che sospetti di complicitàcon gli assassini s’addensasseronell’ambiente di lavoro della vittima specialmentenei delitti di terrorismo. Era accadutodopo l’uccisione d’un dirigente della Fiat. Ilvolantino di rivendicazione aveva sbalorditocarabinieri e manager del complesso automobilisticoperché conteneva frasi che si riferivanoad un incontro tenuto alla presenza dinove persone. Poco tempo dopo la faccendafu chiarita: le locuzioni erano state estrapolateda un giornale interno del gruppo tantoche una copia era stata trovata in un covodelle Br.Della tesi di Bozzo si rese mallevadore ilpubblico ministero Armando Spadaio chenon si richiamò ad elementi dottrinali bensìad una personale cognizione. Spiegò: So peresperienza che i documenti di rivendicazionedanno a quelli che vivono nell’ambientedella vittima la sensazione d’essere spiati.Sembrano essere stati scritti da qualcunoche ci vive accanto. È successo nei casi degliassassini di Alessandrini e di Galli”. Il magistratoricordò che “le indagini esigono razionalitàe lucidità”. Ammonì: “Il brigatismo èmaniacalmente portato alla raccolta delleinformazioni. Il linguaggio del terrorismo è ilprodotto d’una cultura tetra e infida”.Nel 1985 pene confermatea Barbone e MorandiniLa sentenza escluse l’esistenza <strong>dei</strong> mandanti.Per i giudici, il giornalista fu scelto comebersaglio in una rosa di giornalisti attenticome lui al fenomeno terroristico. Il verdettorimarcò la pregiudizievole dannosità dellatesi che sosteneva l’esistenza del suggeritoreperché “i sospetti e le illazioni coltivate conpervicacia, in assenza di qualsiasi positivoriscontro, finivano per impoverire un sacrificioe per svilire una figura tanto degna facendonesoltanto un vessillo per una lotta fradiverse fazioni.”A Barbone e a Morandini le pene furonoconfermate nel 1985. Riduzioni subironoquelle di Giordano (21 anni); Laus (16 anni)e Marano (12 anni). Quanto a Manfredi DiStefano, la morte, sopravvenuta nell’apriledel 1981, lo affidò ad un magistrato che ipentiti li giudica scrutando dentro al cuoredegli uomini (anche di quelli che hannocambiato cognome) e senza elevare ad articolidi fede i verbali degli incartamentiprocessuali. Almeno si spera.Enzo Magrì19


L’Associazionelombarda <strong>dei</strong>giornalisti eIl tempo del riformismo è arrivatoCon calma, serenamente, ma con fermezza e senzatentennamenti è andato controcorrente. Ha seminato le sueidee trovando terreno molto fertile. Ha abbandonato lacorrente di “Rinnovamento” nella quale non riusciva più ariconoscersi e con un gruppo di colleghi ha fondato “StampaDemocratica”. Il “suo” manifesto diceva: “Porre al centrodella linea sindacale la professionalità significa ancheaffrontare il rinnovo contrattuale senza il complesso della‘categoria privilegiata’ e senza sottostare alle crisi delleaziende. Significa affermare il principio della equità retributivache salvaguardi la professionalità evitando l’appiattimento,e d’altra parte, elimini abusi, personalismi, sperequazionidi giornalisti di pari mansioni e livelli professionadiGiovanni Negripresidente dell’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalistie direttore di “Giornalismo”Un volto dai tratti gentili, segnato da un sorriso dolce. WalterTobagi si esprimeva con pacatezza, ma i concetti che esprimevaerano forti, tanto da segnare un pezzo importante nellavita del sindacato <strong>dei</strong> giornalisti. Venticinque anni fa è statoassassinato dalle Brigate Rosse con spietatezza. Hannospento la sua voce. Non le sue idee, tant’è che Walter ci parlaancora oggi e ci indica la strada da percorrere.È molto difficile ricordare in poche righe un collega, unamico, un leader sindacale che ha cambiato la storia delsindacato <strong>dei</strong> giornalisti. E l’ha cambiata davvero. A caroprezzo. È stato definito un “cronista buono” per la sua pacatezza,gentilezza, disponibilità. Oggi, rileggendo i suoi scrittie i suoi interventi, noi lo definiamo un giornalista “contro”.Contro coloro che non volevano un sindacato democraticoe pluralista. Al sindacato si è accostato per attrazione fatale,riconoscendogli un ruolo propulsivo di fondamentaleimportanza. E contemporaneamente individuandone lucidamentei limiti. Al sindacato Tobagi aveva dedicato gli studipiù approfonditi e più lucidi: al sindacato aveva dedicato ilsuo impegno civile, nel tentativo, riuscito, di riportare lacategoria <strong>dei</strong> giornalisti e il suo sindacato sulla stradamaestra della democrazia senza aggettivi.Con calma e fermezzaandò controcorrentericordano Walter Tobagi con affetto, gratitudine e nostalgiaWalterTobagiil nostroeroeda primapaginali”. E ancora: “La normativa deve tendere ad affinare egeneralizzare gli strumenti che garantiscano il lavoro giornalisticoda ingerenze, censure, tagli; introdurre normativecollegate alle tecnologie che si pongano all’avanguardia,una volta tanto, sapendo prefigurare il futuro dell’aziendaeditoriale”. Era l’ottobre 1978. Walter era già diventato unleader scomodo. Aveva seguito. Non si limitava a enunciareprincipi, si batteva per realizzarli.Nel sindacato viene introdotto il sistema proporzionale pergarantire rappresentatività anche alle componenti di minoranza.Il processo iniziato burrascosamente al Congresso diPescara, sempre nel 1978, trova sbocco nella modifica delloStatuto della Lombarda. Tutto si è consumato in pochi mesi.Tobagi diventa presidente dell’Associazione lombarda <strong>dei</strong>giornalisti. Avrà davanti a sé nemmeno due anni di lavoro.Erano gli “anni di piombo”, del terrorismo. Ma Walter andòavanti con la determinazione derivata dalla convinzione chepiù democrazia ritornava di fatto in tutti gli ambiti della società,compreso il sindacato <strong>dei</strong> giornalisti, più la società sarebbecresciuta e progredita liberandosi dalle ubriacature ideologichedi quegli anni. E il sindacato, tutto il sindacato italiano,non solo quello di categoria, era il luogo più delicato e importantenel quale fare emergere la voglia di democrazia. ScrivevaTobagi: “In termini pratici, la domanda che torna, implicita emartellante, è sempre la stessa: ‘Quale sindacato è più capacedi rappresentare e difendere i lavoratori? Quale sindacatogarantisce un progresso sostanziale?’ Gli sconvolgenti anniSettanta offrono l’esperienza senza precedenti di un poteresindacale che rivendica l’egemonia nell’indicare i percorsidelle grandi riforme. Con l’autunno caldo il ‘nuovo modello disviluppo’ diventa uno slogan quasi scontato: la promessa diuna trasformazione ‘rivoluzionaria’.. Dieci anni dopo, i miti sistemperano nella riscoperta d’una verità antica come la storiadell’uomo: non sono le parole tonanti, ma i comportamenti diogni giorno che modificano le situazioni, danno senso all’impegnosociale: il gradualismo, il riformismo, l’umile passo dopopasso sono l’unica strada percorribile per chi vuole elevareper davvero le condizioni <strong>dei</strong> lavoratori”.Tobagi puntava a una rivoluzione culturale: un giornalismoforte, libero, non omologato a interessi politico-partitici. Lavita sindacale di Walter Tobagi non è stata facile. Molti glihanno voluto bene, moltissimi l’hanno stimato, altrettantihanno cercato di fermarlo trasformando la battaglia sindacalein feroce personalizzazione. La campagna è stata è stataterribile, squallida, dilaniante.Un gruppo di ragazzetti, per lo più di buona famiglia, imbevutie plagiati da ideologie distorte, pensava che i personaggiscomodi andassero semplicemente eliminati. Gli spararonoquattro colpi di pistola a tradimento, alle spalle. Un ultimocolpo alla nuca. Un uomo a terra, il volto annegato nelsangue e nell’acqua di una pozzanghera. Così è mortoWalter in un freddo mattino di primavera.Si possono uccidere gli uomini, ma non le idee. Erano tempibui, quelli, ma Walter ragionava con estrema lucidità. Avvertein un suo scritto: “Se il recupero riformista non fosse neppuretentato, la macchina del tempo potrebbe tornare indietrocon conseguenze traumatiche per l’equilibrio democratico.Ma perché essere pessimisti? Il recupero riformista, nellasostanza, è già in atto, è una questione di tempo”.E quel tempo è arrivato.I libri editi dal Sindacato e dall’<strong>Ordine</strong> di MilanoWALTERTOBAGISi uccidono gli uominima non le loro idee“un mestiereche resta duro,artigianale,nonostantel’applicazionedelle tecnologiepiù moderne”GIORNALISTAAssociazione lombarda <strong>dei</strong> giornalistiProvincia di Milano20 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong>giornalistidellaLombardiaAssociazione “Walter Tobagi” per la Formazione al GiornalismoIstituto “Carlo De Martino” per la Formazione al GiornalismoAnno XXXVn. 5 <strong>Maggio</strong> <strong>2005</strong>Direzione e redazioneVia A. da Recanate, 120124 MilanoTelefono: 02 67 71 37 1Telefax: 02 66 71 61 94http://www.odg.mi.ite-mail:odgmi@odg.mi.itPoste Italiane SpASped.abb.post. Dl n. 353/2003(conv. in L. 27/2/2004 n. 46)art. 1 (comma 2).Filiale di MilanoGIOVANNI PAOLO IIPubblichiamo l’ultimomessaggio(24 gennaio <strong>2005</strong>)di Giovanni Paolo IIdedicato allecomunicazioni dimassa, scritto inmemoria di sanFrancesco di Salespatrono <strong>dei</strong> giornalisti.Il Papa è morto alle21,37 del2 aprile <strong>2005</strong>NELLE PAGINE 2-3 IL TESTO INTEGRALE“Media strumenti meravigliosi, madeve essere garantito il pluralismo”I mezzi di comunicazione sono strumentimeravigliosi di cui bisogna servirsisenza paura ma deve essere garantito ilpluralismo, perché la loro potenza è taleda aver creato una nuova cultura globalizzata:è uno <strong>dei</strong> messaggi della letteraapostolica dedicata dal Papa ai mezzi dicomunicazione.Oltre a Internet - si legge nella lettera -vanno utilizzati altri nuovi media e verificatenuove utilizzazioni di strumentitradizionali. Anche la Chiesa deve saperusare questi beni preziosi, importantiper l’umanità attuale come l’aria, il cibo,l’ambiente e il lavoro. Questo il testodella lettera apostolica indirizzata airesponsabili delle comunicazioni sociali.KarolWojtylae Internet:comunicareil Vangeloanche coinew mediaGiovanni Paolo II è stato il primo, tra i successori di Pietro, a vivere il mondodi Internet. Il suo pontificato comincia infatti nel 1978 e proprio in quegli anniil dipartimento della Difesa degli Stati Uniti iniziava l’interconnessione sperimentaledi alcuni calcolatori sparsi per tutto il paese.Di lì come spesso accade, le innovazioni tecnologiche apportate alla ricercamilitare vennero utilizzate dal mondo civile. Nacque così e si sviluppò “L’oceanoInternet”.Il rapporto tra il mondo cattolico e la rete è sempre stato ed è tuttora un argomentomolto dibattuto e controverso, ma anche in questo caso Papa Wojtylaha voluto segnare il tempo.Si racconta che il Santo Padre, avendo capito le potenzialità di Internet, avessedomandato: “Perché la Santa Sede non è ancora lì? Chi deve deciderequesto?”. Spettava a Lui - gli risposero; “E allora si faccia!”. Il 24 marzo del1997 la Santa Sede entra così ufficialmente in Internet. Il sito è www.vatican.va.Per un certo periodo il Papa ha avuto una casella di posta elettronica personale,poi chiusa per eccesso di mail; il 15 agosto del 1998 un suo messaggiodomenicale viene pubblicato per la prima volta sulla rete.Nel novembre del 2001 affida esclusivamente ad Internet il documento ufficialerelativo all’esortazione apostolica Ecclesiae in Oceania.Il 22 dello stesso mese per la prima volta invia un messaggio al mondo affidandosial ciberspazio: si tratta delle scuse alle vittime degli abusi sessualida parte <strong>dei</strong> sacerdoti.Sempre nel 2001 affronta direttamente il tema dell’etica e dell’uso della retedicendo:“Consideriamo... la capacità positiva di Internet di trasmettere informazioni einsegnamenti di carattere religioso oltre le barriere e le frontiere.Quanti hanno predicato il Vangelo prima di noi non avrebbero mai potutoimmaginare un pubblico così vasto... i cattolici non dovrebbero aver paura dilasciare aperte le porte delle comunicazioni sociali a Cristo affinché la SuaBuona Novella possa essere udita dai tetti del mondo!”.Dunque la rete globale quale elemento di evangelizzazione, quale modo perla chiesa cattolica per comunicare al suo interno, ma anche quale mezzo percombattere le immoralità’ presenti nel ciberspazio stesso. La rete infine hacertamente significato un contatto diretto con i suoi maggiori fruitori, i giovani,coloro che il Papa ha tanto cercato.di Cinzia Iannaccio(inserito su www.infocity.it l’8 aprile <strong>2005</strong>)SOMMARIOSPECIALE 1980-<strong>2005</strong>WALTER TOBAGIIL NOSTRO EROEDA PRIMA PAGINARisparmio Bipop-Carire,e giornalismo uno scandalo ignorato pag. 4Società Il Prozac fa male, ecco le prove pag. 6“Over 50” sottoutilizzati pag. 6Editoria Giornalismo inglese,la guerra <strong>dei</strong> tabloid pag. 7Memoria Filippo Sacchi, un esempiodi impegno civilee onestà intellettuale pag. 8Professione Diventare giornalista pubblicista pag. 12Delibera sugli incarichiall’interno dell’OgL pag. 15La libreria di Tabloid pag. 16ORDINE 5 <strong>2005</strong>La Cassazionerilancia la vecchiafigura del“collaboratore fisso”Roma, 18 marzo <strong>2005</strong>. La sezionelavoro della Cassazione ha recuperatola vecchia figura del collaboratorefisso, stabilendo che, in baseall’articolo 2 del contratto nazionaledi lavoro giornalistico, nel testo resovalido erga omnes del Dpr n. 153del 16 gennaio 1951, la posizionelavorativa del “collaboratore fisso” ècaratterizzata dai requisiti della“prestazione continuativa”, della“responsabilità di un servizio” e del“vincolo di dipendenza”.Deve ritenersi “collaboratore fisso”colui che mette a disposizione leproprie energie lavorative per fornirecon continuità ai lettori dellatestata un flusso di notizie in unaspecifica e predeterminata areadell’informazione, attraverso laredazione sistematica di articoli ocon la tenuta di rubriche, conconseguente affidamento dell’impresagiornalistica, che si assicuracosì la copertura di detta area informativa,rientrante nei propri pianieditoriali e nella propria autonomagestione delle notizie da far conoscere,contando per il perseguimentodi tali obiettivi sulla piena disponibilitàdel lavoratore anche nell’intervallotra una prestazione e l’altra.Più in particolare, il “collaboratorefisso” assicura un contributo professionalespecifico ed una continuitàdi apporto che lo rendono organizzabilein modo strutturale dallaredazione giornalistica(Cassazione Sezione Lavoro n.5878 del 17 marzo <strong>2005</strong>, Pres.Mattone, Rel. Balletti).(da http://www.legge-e-giustizia.it)Emendamento del senatoreAntonino Caruso (An) al DL35/<strong>2005</strong> sulla competitivitàAssembleedi Ordinie Collegi:convocazioneper postaprioritaria,fax o postaelettronicacertificataIl testo completo a pagina 141


MEMORIA E “SFIDE” TECNOLOGICHE“Media strumentimeravigliosi,ma deve esseregarantitoil pluralismo”Il riferimento a Internet.I meravigliosi strumenti1. Il rapido sviluppo delle tecnologie nelcampo <strong>dei</strong> media è sicuramente uno <strong>dei</strong>segni del progresso dell’odierna società.Guardando a queste novità in continua evoluzione,appare ancor più attuale quanto silegge nel Decreto del Concilio EcumenicoVaticano II Inter mirifica, promulgato dal miovenerato predecessore, il servo di Dio PaoloVI, il 4 dicembre 1963: “Tra le meraviglioseinvenzioni tecniche che, soprattutto ai nostrigiorni, l’ingegno umano, con l’aiuto di Dio, hatratto dal creato, la Madre Chiesa accoglie esegue con speciale cura quelle che più direttamenteriguardano lo spirito dell’uomo e chehanno aperto nuove vie per comunicare, conmassima facilità, notizie, idee e insegnamentid’ogni genere”.IUn fecondo camminosulla scia del DecretoInter mirifica2. Ad oltre quarant’anni dalla pubblicazione diquel documento appare quanto mai opportunotornare a riflettere sulle “sfide” che lecomunicazioni sociali costituiscono per laChiesa, la quale, come fece notare Paolo VI,“si sentirebbe colpevole di fronte al suoSignore se non adoperasse questi potentimezzi”. La Chiesa, infatti, non è chiamatasoltanto ad usare i media per diffondere ilVangelo ma, oggi più che mai, ad integrare ilmessaggio salvifico nella “nuova cultura” chei potenti strumenti della comunicazione creanoed amplificano. Essa avverte che l’usodelle tecniche e delle tecnologie della comunicazionecontemporanea fa parte integrantedella propria missione nel terzo millennio.Mossa da questa consapevolezza, la comunitàcristiana ha compiuto passi significativinell’uso degli strumenti della comunicazioneper l’informazione religiosa, per l’evangelizzazionee la catechesi, per la formazionedegli operatori pastorali del settore e perl’educazione ad una matura responsabilitàdegli utenti e destinatari <strong>dei</strong> vari strumentidella comunicazione.3. Molteplici sono le sfide per la nuova evangelizzazionein un mondo ricco di potenzialitàcomunicative come il nostro. In considerazionedi ciò nella Lettera enciclica Redemptorismissio ho voluto sottolineare che il primoareopago del tempo moderno è il mondodella comunicazione, capace di unificarel’umanità rendendola — come si suol dire —“un villaggio globale”. I mezzi di comunicazionesociale hanno raggiunto una tale importanzada essere per molti il principale strumentodi guida e di ispirazione per i comportamentiindividuali, familiari, sociali. Si trattadi un problema complesso, poiché tale cultura,prima ancora che dai contenuti, nasce dalfatto stesso che esistono nuovi modi di comunicarecon tecniche e linguaggi inediti.La nostra è un’epoca di comunicazioneglobale, dove tanti momenti dell’esistenzaumana si snodano attraverso processimediatici, o perlomeno con essi devonoconfrontarsi. Mi limito a ricordare la formazionedella personalità e della coscienza, l’interpretazionee la strutturazione <strong>dei</strong> legami affettivi,l’articolazione delle fasi educative eformative, l’elaborazione e la diffusione difenomeni culturali, lo sviluppo della vita sociale,politica ed economica.In una visione organica e corretta dellosviluppo dell’essere umano, i media possonoe devono promuovere la giustizia e la solidarietà,riportando in modo accurato e veritierogli eventi, analizzando compiutamente lesituazioni e i problemi, dando voce alle diverseopinioni. I criteri supremi della verità edella giustizia, nell’esercizio maturo dellalibertà e della responsabilità, costituisconol’orizzonte entro cui si situa un’autenticadeontologia nella fruizione <strong>dei</strong> modernipotenti mezzi di comunicazione sociale.II Discernimentoevangelicoe impegnomissionario4. Anche il mondo <strong>dei</strong> media abbisogna dellaredenzione di Cristo. Per analizzare con gliocchi della fede i processi e il valore dellecomunicazioni sociali può essere di indubbioaiuto l’approfondimento della Sacra Scrittura,la quale si presenta come un “grande codice”di comunicazione di un messaggio non effimeroed occasionale, ma fondamentale perla sua valenza salvifica.La storia della salvezza racconta e documentala comunicazione di Dio con l’uomo, comunicazioneche utilizza tutte le forme e le modulazionidel comunicare. L’essere umano èstato creato a immagine e somiglianza di Dio,per accogliere la rivelazione divina e per intessereun dialogo d’amore con Lui. A causa delpeccato, questa capacità di dialogo a livellosia personale che sociale si è alterata, e gliuomini hanno fatto e continuano a fare l’amaraesperienza dell’incomprensione e dellalontananza. Dio però non li ha abbandonati eha inviato loro il suo stesso Figlio (cfr Mc 12,1-11). Nel Verbo fatto carne l’evento comunicativoassume il suo massimo spessore salvifico:è così donata all’uomo, nello SpiritoSanto, la capacità di ricevere la salvezza e diannunciarla e testimoniarla ai fratelli.5. La comunicazione tra Dio e l’umanità haraggiunto dunque la sua perfezione nel Verbofatto carne. L’atto d’amore attraverso il qualeDio si rivela, unito alla risposta di fede dell’umanità,genera un dialogo fecondo. Proprioper questo, facendo nostra, in un certo modo,la richiesta <strong>dei</strong> discepoli “insegnaci a pregare”(Lc 11,1), possiamo domandare al Signoredi guidarci a capire come comunicare conDio e con gli uomini attraverso i meravigliosistrumenti della comunicazione sociale.Ricondotti nell’orizzonte di tale comunicazioneultima e decisiva, i media si rivelano unaprovvidenziale opportunità per raggiungeregli uomini in ogni latitudine, superando barrieredi tempo, di spazio e di lingua, formulandonelle modalità più diverse i contenuti dellafede ed offrendo a chiunque è in ricercaapprodi sicuri che permettano di entrare indialogo con il mistero di Dio rivelato pienamentein Cristo Gesù.Il Verbo incarnato ci ha lasciato l’esempio dicome comunicare con il Padre e con gliuomini, sia vivendo momenti di silenzio e diraccoglimento, sia predicando in ogni luogo econ i vari linguaggi possibili. Egli spiega leScritture, si esprime in parabole, dialoganell’intimità delle case, parla nelle piazze,lungo le strade, sulle sponde del lago, sullesommità <strong>dei</strong> monti. L’incontro personale conLui non lascia indifferenti, anzi stimola adimitarlo: “Quello che vi dico nelle tenebre ditelonella luce, e quello che ascoltate all’orecchiopredicatelo sui tetti” (Mt 10,27).Vi è poi un momento culminante in cui lacomunicazione si fa comunione piena: è l’incontroeucaristico. Riconoscendo Gesù nella“frazione del pane” (cfr Lc 24,30-31), icredenti si sentono spinti ad annunciare lasua morte e risurrezione e a diventare coraggiosie gioiosi testimoni del suo Regno (cfr Lc24,35).6. Grazie alla Redenzione, la capacità comunicativa<strong>dei</strong> credenti è sanata e rinnovata.L’incontro con Cristo li costituisce nuove creature,permette loro di entrare a far parte diquel popolo che Egli si è conquistato con ilsuo sangue morendo sulla Croce, e li introducenella vita intima della Trinità, che ècomunicazione continua e circolare di amoreperfetto e infinito tra il Padre, il Figlio e loSpirito Santo.La comunicazione permea le dimensioniessenziali della Chiesa, chiamata ad annunciarea tutti il lieto messaggio della salvezza.Per questo essa assume le opportunità offertedagli strumenti della comunicazione socialecome percorsi dati provvidenzialmente daDio ai nostri giorni per accrescere la comunionee rendere più incisivo l’annuncio. Imedia permettono di manifestare il carattereuniversale del Popolo di Dio, favorendo unoscambio più intenso e immediato tra le Chieselocali, alimentando la reciproca conoscenzae la collaborazione.Rendiamo grazie a Dio per la presenza diquesti potenti mezzi che, se usati dai credenticon il genio della fede e nella docilità allaluce dello Spirito Santo, possono contribuirea facilitare la diffusione del Vangelo e arendere più efficaci i vincoli di comunione trale comunità ecclesiali.III Cambiamentodi mentalitàe rinnovamentopastorale7. Nei mezzi della comunicazione la Chiesatrova un sostegno prezioso per diffondere ilVangelo e i valori religiosi, per promuovere ildialogo e la cooperazione ecumenica e interreligiosa,come pure per difendere quei solidiprincipi che sono indispensabili per costruireuna società rispettosa della dignità dellapersona umana e attenta al bene comune.Essa li impiega volentieri per fornire informazionisu se stessa e dilatare i confini dell’evangelizzazione,della catechesi e dellaformazione e ne considera l’utilizzo come unarisposta al comando del Signore: “Andate intutto il mondo e predicate il Vangelo ad ognicreatura” (Mc 16,15).Missione certamente non facile in questanostra epoca, in cui va diffondendosi laconvinzione che il tempo delle certezze siairrimediabilmente passato: per molti l’uomodovrebbe imparare a vivere in un orizzonte ditotale assenza di senso, all’insegna del provvisorioe del fuggevole. In questo contesto, glistrumenti di comunicazione possono essereusati “per proclamare il Vangelo o per ridurloal silenzio nei cuori degli uomini”. Ciò rappresentauna sfida seria per i credenti, soprattuttogenitori, famiglie e quanti sono responsabilidella formazione dell’infanzia e dellagioventù. Con prudenza e saggezza pastoralevanno incoraggiati nella comunità ecclesialecoloro che hanno particolari doti per operarenel mondo <strong>dei</strong> media, perché diventinoprofessionisti capaci di dialogare con il vastomondo mass-mediale.8. Valorizzare i media non tocca però solamenteagli “addetti” del settore, bensì a tuttala Comunità ecclesiale. Se, come è stato giàrilevato, le comunicazioni sociali interessanodiversi ambiti dell’espressione della fede, icristiani devono tenere conto della culturamediatica in cui vivono: dalla liturgia, sommae fondamentale espressione della comunicazionecon Dio e con i fratelli, alla catechesiche non può prescindere dal fatto di rivolgersia soggetti che risentono <strong>dei</strong> linguaggi edella cultura contemporanei.Il fenomeno attuale delle comunicazionisociali spinge la Chiesa ad una sorta di revisionepastorale e culturale così da essere ingrado di affrontare in modo adeguato ilpassaggio epocale che stiamo vivendo. Diquesta esigenza devono farsi interpreti anzituttoi Pastori: è infatti importante adoperarsiperché l’annuncio del Vangelo avvenga inmodo incisivo, che ne stimoli l’ascolto e nefavorisca l’accoglimento. Una particolareresponsabilità, in questo campo, è riservataalle persone consacrate, che dal propriocarisma istituzionale sono orientate all’impegnonel campo delle comunicazioni sociali.Formate spiritualmente e professionalmente,esse “prestino volentieri il loro servizio,secondo le opportunità pastorali [...]affinché da una parte siano scongiurati idanni provocati dall’uso viziato <strong>dei</strong> mezzi edall’altra venga promossa una superiorequalità delle trasmissioni, con messaggirispettosi della legge morale e ricchi di valoriumani e cristiani”.9. È proprio in considerazione dell’importanza<strong>dei</strong> media che già quindici anni or sonogiudicavo inopportuno lasciarli all’iniziativa disingoli o di piccoli gruppi, e suggerivo di inserirlicon evidenza nella programmazionepastorale. Le nuove tecnologie, in particolare,creano ulteriori opportunità per una comunicazioneintesa come servizio al governopastorale e all’organizzazione <strong>dei</strong> molteplicicompiti della comunità cristiana. Si pensi, adesempio, a come Internet non solo forniscarisorse per una maggiore informazione, maabitui le persone ad una comunicazione interattiva.Molti cristiani stanno già utilizzando inmodo creativo questo nuovo strumento,2 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


GUERRA, VITA E MEDIA SECONDO “KAROL IL GRANDE”Il “NO” ALLA GUERRALa “spallata” data da Giovanni Paolo II al muro di Berlino è stato solo il processo più visibile ditutto un pontificato segnato dal cammino verso la pace. Lui che aveva vissuto gli orrori delsecondo conflitto mondiale e delle “soluzioni finali” sentiva il compito pressante di ammonirele generazioni più giovani ad inseguire la pace fino in fondo. Primo Papa a recarsi in TerraSanta e a recitare il mea culpa sull’antisemitismo cristiano, per Giovanni Paolo II il “no” allaguerra, emerso prepotentemente alla vigilia del conflitto in Iraq, ha un valore politico oltre chereligioso. Per Wojtyla la guerra, quella “umanitaria”, è accettabile solo se ogni tentativo didialogo è fallito, se si oppone a uno sterminio, se è decisa dall’Onu.Così Giovanni Paolo II invoca nel 1993 la comunità internazionale a fermare le stragi inBosnia, davanti alle quali “non esiste il diritto all’indifferenza”. Ma è lo stesso Papa ad opporsi,due anni dopo, all’attacco Nato alla Serbia, perché il negoziato è ancora possibile. Conl’approssimarsi della guerra all’Iraq, Giovanni Paolo II si oppone al mantello ideologico dellalotta del bene contro il male, anche nel timore di uno “scontro di civiltà” che avrebbe conseguenzeirreparabili. È un messaggio fondamentale, che parte dalla considerazione più volteespressa dal Papa polacco che il Cristianesimo e la Chiesa non si identificano solo con l’Occidente.LA “SACRALITÀ DELLA VITA”“Ad ogni essere umano va garantito il diritto a svilupparsi secondo le proprie potenzialitàassicurandone l’inviolabilità dal concepimento alla morte naturale”. Così Giovanni Paolo II,durante l’Angelus del 3 febbraio 2002, ribadiva il fermo principio della sacralità della vita. Unprincipio che deve essere esteso, secondo il Vaticano, anche alla tutela dell’embrione, inopposizione al “Far west” della genetica. Una posizione netta, davanti alla quale anche ilmondo scientifico si è diviso. E nella quale il mondo del femminismo ha visto l’ennesimosegno del conservatorismo vaticano.La bioetica, per Giovanni Paolo II, è un campo nel quale ad aver diritto di parola non sonosolo gli scienziati o i legislatori. Secondo Wojtyla gli embrioni vanno tutelati giuridicamentecome persone umane, perché “titolari <strong>dei</strong> diritti essenziali”. È nell’enciclica Evangelium vitaedel 1995 che Wojtyla postula l’obiezione di coscienza contro leggi considerate immorali. Lacontraccezione e l’aborto “affondano le radici nella stessa mentalità edonistica e deresponsabilizzante”,anche se “dal punto di vista morale sono mali specificamente diversi”.I MEDIAGiovanni Paolo II ha saputo sfruttare la rete <strong>dei</strong> media, diffondendo il suo messaggio in ogniparte del pianeta. La particolare attenzione rivolta al mondo della comunicazione rientra in unpreciso piano di evangelizzazione messo in atto dalla Chiesa del terzo millennio. Karol Wojtylasi è più volte rivolto agli operatori dell’informazione invitandoli al rispetto <strong>dei</strong> principi dellaprofessione. In uno <strong>dei</strong> suoi ultimi Angelus, letto il 13 marzo scorso dal sostituto della Segreteriadi Stato, l’arcivescovo Leonardo Sandri, il Papa ha voluto rivolgere il suo pensiero ancorauna volta ai giornalisti. “In questi giorni di degenza – ha scritto – avverto in modo particolarela presenza e l’attenzione di tanti operatori <strong>dei</strong> mass media. Oggi desidero rivolgere a essiuna parola di gratitudine, perché so che non senza sacrificio svolgono il loro apprezzatoservizio, grazie al quale i fedeli, in ogni parte del mondo, possono sentirmi più vicino edaccompagnarmi con l’affetto e la preghiera”.John Patrick Foley, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, in occasionedel simposio “Chiesa e media: un futuro che viene da lontano” il 24 febbraio scorso,aveva ricordato come la Chiesa “sia sempre stata presente nei media”, citando il decretoconciliare Inter mirifica e l’Enciclica Redemptoris missio nella quale Giovanni Paolo II hadefinito i mezzi di comunicazione di massa moderno “areopago” in cui far risuonare ilmessaggio evangelico.Paolo M. Alfieri e Nicola Zaccagniesplorandone le potenzialità nell’evangelizzazione,nell’educazione, nella comunicazioneinterna, nell’amministrazione e nel governo.Ma a fianco di Internet vanno utilizzati altrinuovi media e verificate tutte le possibili valorizzazionidi strumenti tradizionali. Quotidianie giornali, pubblicazioni di varia natura, televisionie radio cattoliche rimangono molto utiliin un panorama completo della comunicazioneecclesiale.Mentre i contenuti vanno naturalmente adattatialle necessità <strong>dei</strong> differenti gruppi, il loroscopo dovrebbe sempre essere quello direndere le persone consapevoli della dimensioneetica e morale dell’informazione. Allostesso modo, è importante garantire formazioneed attenzione pastorale ai professionistidella comunicazione. Spesso questi uominie queste donne si trovano di fronte a pressioniparticolari e a dilemmi etici che emergonodal lavoro quotidiano; molti di loro “sonosinceramente desiderosi di sapere e di praticareciò che è giusto in campo etico e morale”,e attendono dalla Chiesa orientamento esostegno.IVMedia, croceviadelle grandiquestioni sociali10. La Chiesa, che in forza del messaggio disalvezza affidatole dal suo Signore è anchemaestra di umanità, avverte il dovere di offrireil proprio contributo per una migliorecomprensione delle prospettive e delleresponsabilità connesse con gli attuali sviluppidelle comunicazioni sociali. Proprio perchéinfluiscono sulla coscienza <strong>dei</strong> singoli, neformano la mentalità e ne determinano lavisione delle cose, occorre ribadire in modoforte e chiaro che gli strumenti della comunicazionesociale costituiscono un patrimonioda tutelare e promuovere. È necessario cheanche le comunicazioni sociali entrino in unquadro di diritti e doveri organicamente strutturati,dal punto di vista sia della formazionee della responsabilità etica che del riferimentoalle leggi ed alle competenze istituzionali.Il positivo sviluppo <strong>dei</strong> media a servizio delbene comune è una responsabilità di tutti edi ciascuno. Per i forti legami che i mediahanno con l’economia, la politica e la cultura,è necessario un sistema di gestione che siain grado di salvaguardare la centralità e ladignità della persona, il primato della famiglia,cellula fondamentale della società, ed ilcorretto rapporto tra i diversi soggetti.11. S’impongono alcune scelte riconducibili atre fondamentali opzioni: formazione, partecipazione,dialogo.In primo luogo occorre una vasta operaformativa per far sì che i media siano conosciutie usati in modo consapevole e appropriato.I nuovi linguaggi da loro introdottimodificano i processi di apprendimento e laqualità delle relazioni umane, per cui senzaun’adeguata formazione si corre il rischio cheessi, anziché essere al servizio delle persone,giungano a strumentalizzarle e condizionarlepesantemente. Questo vale, in modospeciale, per i giovani che manifestano unanaturale propensione alle innovazioni tecnologiche,ed anche per questo hanno ancorpiù bisogno di essere educati all’utilizzoresponsabile e critico <strong>dei</strong> media.In secondo luogo, vorrei richiamare l’attenzionesull’accesso ai media e sulla partecipazionecorresponsabile alla loro gestione. Se lecomunicazioni sociali sono un bene destinatoall’intera umanità, vanno trovate formesempre aggiornate per rendere possibileun’ampia partecipazione alla loro gestione,anche attraverso opportuni provvedimentilegislativi. Occorre far crescere la culturadella corresponsabilità.Da ultimo, non vanno dimenticate le grandipotenzialità che i media hanno nel favorire ildialogo, divenendo veicoli di reciproca conoscenza,di solidarietà e di pace. Essi costituisconouna risorsa positiva potente, se messia servizio della comprensione tra i popoli;un’”arma” distruttiva, se usati per alimentareingiustizie e conflitti. In maniera profetica ilmio venerato predecessore, il Beato GiovanniXXIII, nell’Enciclica Pacem terris aveva giàmesso in guardia l’umanità da tali potenzialirischi.12. Grande interesse desta la riflessione sulruolo “dell’opinione pubblica nella Chiesa” e“della Chiesa nell’opinione pubblica”. Incontrandogli editori <strong>dei</strong> periodici cattolici, il miovenerato predecessore Pio XII ebbe a direche qualcosa mancherebbe nella vita dellaChiesa se non vi fosse l’opinione pubblica.Questo stesso concetto è stato ribadito inaltre circostanze, e nel Codice di Diritto Canonicoè riconosciuto, a determinate condizioni,il diritto all’espressione della propria opinione.Se è vero che le verità di fede non sonoaperte ad interpretazioni arbitrarie e il rispettoper i diritti degli altri crea limiti intrinseciall’espressione delle proprie valutazioni, nonè meno vero che in altri campi esiste tra icattolici uno spazio per lo scambio di opinioni,in un dialogo rispettoso della giustizia edella prudenza.Sia la comunicazione all’interno della comunitàecclesiale che quella della Chiesa con ilmondo richiedono trasparenza e un modonuovo di affrontare le questioni connesse conl’universo <strong>dei</strong> media. Tale comunicazionedeve tendere a un dialogo costruttivo perpromuovere nella comunità cristiana un’opinionepubblica rettamente informata e capacedi discernimento. La Chiesa ha la necessitàe il diritto di far conoscere le proprie attività,come altre istituzioni e gruppi, ma altempo stesso, quando necessario, devepotersi garantire un’adeguata riservatezza,senza che ciò pregiudichi una comunicazionepuntuale e sufficiente sui fatti ecclesiali. Èquesto uno <strong>dei</strong> campi dove maggiormente èrichiesta la collaborazione tra fedeli laici ePastori, giacché, come opportunamentesottolinea il Concilio, “da questi familiarirapporti tra i laici e i Pastori si devono attenderemolti vantaggi per la Chiesa: in questomodo infatti si è fortificato nei laici il sensodella loro responsabilità, ne è favorito lo slancioe le loro forze più facilmente vengonoassociate all’opera <strong>dei</strong> Pastori. E questi, aiutatidall’esperienza <strong>dei</strong> laici, possono giudicarecon più chiarezza e più giustamente sia inmateria spirituale che temporale, così chetutta la Chiesa, sostenuta da tutti i suoimembri, possa compiere con maggiore efficaciala sua missione per la vita del mondo”.VComunicarecon la forzadello Spirito Santo13. Per i credenti e per le persone di buonavolontà la grande sfida in questo nostrotempo è sostenere una comunicazione veritierae libera, che contribuisca a consolidareil progresso integrale del mondo. A tutti èchiesto di saper coltivare un attento discernimentoe una costante vigilanza, maturandouna sana capacità critica di fronte alla forzapersuasiva <strong>dei</strong> mezzi di comunicazione.Anche in questo campo i credenti in Cristosanno di poter contare sull’aiuto dello SpiritoSanto. Aiuto ancor più necessario se si consideraquanto amplificate possano risultare ledifficoltà intrinseche della comunicazione acausa delle ideologie, del desiderio di guadagnoe di potere, delle rivalità e <strong>dei</strong> conflitti traindividui e gruppi, come pure a motivo delleumane fragilità e <strong>dei</strong> mali sociali. Le modernetecnologie aumentano in maniera impressionantela velocità, la quantità e la portata dellacomunicazione, ma non favoriscono altrettantoquel fragile scambio tra mente e mente, tracuore e cuore, che deve caratterizzare ognicomunicazione al servizio della solidarietà edell’amore.Nella storia della salvezza Cristo si è presentatoa noi come “comunicatore” del Padre:“Dio, in questi giorni, ha parlato a noi permezzo del Figlio” (Eb 1,2). Parola eterna fattacarne, Egli, nel comunicarsi, manifestasempre rispetto per coloro che ascoltano,insegna la comprensione della loro situazionee <strong>dei</strong> loro bisogni, spinge alla compassioneper la loro sofferenza e alla risoluta determinazionenel dire loro quello che hanno bisognodi sentire, senza imposizioni o compromessi,inganno o manipolazione. Gesù insegnache la comunicazione è un atto morale:“L’uomo buono dal suo buon tesoro trae cosebuone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivotesoro trae cose cattive. Ma io vi dico che diogni parola infondata gli uomini renderannoconto nel giorno del giudizio, poiché in basealle tue parole sarai giustificato e in base alletue parole sarai condannato” (Mt 12,35-37).14. L’apostolo Paolo ha un chiaro messaggioper quanti sono impegnati nella comunicazionesociale — politici, comunicatori professionisti,spettatori: “Bando alla menzogna: diteciascuno la verità al proprio prossimo; perchésiamo membra gli uni degli altri [...] Nessunaparola cattiva esca più dalla vostra bocca; mapiuttosto parole buone che possano servireper la necessaria edificazione, giovando aquelli che ascoltano” (Ef 4,25.29).Agli operatori della comunicazione, e specialmenteai credenti che operano in questoimportante ambito della società, applico l’invitoche fin dall’inizio del mio ministero diPastore della Chiesa universale ho volutolanciare al mondo intero: “Non abbiatepaura!”.Non abbiate paura delle nuove tecnologie!Esse sono “tra le cose meravigliose” — “intermirifica” — che Dio ci ha messo a disposizioneper scoprire, usare, far conoscere laverità, anche la verità sulla nostra dignità esul nostro destino di figli suoi, eredi del suoRegno eterno.Non abbiate paura dell’opposizione delmondo! Gesù ci ha assicurato “Io ho vinto ilmondo!” (Gv 16,33).Non abbiate paura nemmeno della vostradebolezza e della vostra inadeguatezza! Ildivino Maestro ha detto: “Io sono con voi tuttii giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).Comunicate il messaggio di speranza, digrazia e di amore di Cristo, mantenendosempre viva, in questo mondo che passa,l’eterna prospettiva del Cielo, prospettiva chenessun mezzo di comunicazione potrà maidirettamente raggiungere: “Quelle cose cheocchio non vide, né orecchio udì, né maientrarono in cuore di uomo: queste ha preparatoDio per coloro che lo amano” (1Cor 2,9).A Maria, che ci ha donato il Verbo della vita edi Lui ha serbato nel cuore le imperiture parole,affido il cammino della Chiesa nel mondod’oggi. Ci aiuti la Vergine Santa a comunicarecon ogni mezzo la bellezza e la gioia dellavita in Cristo nostro Salvatore.A tutti la mia Benedizione!Dal Vaticano, 24 gennaio <strong>2005</strong>, in memoriadi San Francesco di Sales, patrono <strong>dei</strong> giornalisti.IOANNES PAULUS IIORDINE 5 <strong>2005</strong>3


RISPARMIO TRADITO EGIORNALISMO TRADITODiverse grandi banchenel capitale di moltigiornali oppure diversieditori indebitaticon le bancheRisultato:annullatoil diritto<strong>dei</strong> cittadiniall’informazioneBIPOP-CARIREConferenza stampa il 19 ottobre 2004 a Montecitorio promossa da 15parlamentari sul tema “Bipop-Carire: come s’inganna un risparmiatore. Laparola ai truffati – Presentazione dell’indagine promossa dal Comitatorisparmiatori. I risultati di oltre 500 questionari”. Nel caso coinvolti più di70.000 risparmiatori e piccoli azionisti con una distruzione di risparmiosuperiore ai 10 miliardi di euro, Mentre la notizia ha avuto ampio risalto suvarie testate (in Rai 1 è stata la prima notizia del Tg Economia, con intervistee preannuncio nel Tg1), su altre testate (Sole 24 Ore, Corriere dellaSera e La Repubblica) non è apparso neppure un trafiletto.IL CRAC BIPOP-CARIRENON FA NOTIZIA!!!Un caso di cattivo giornalismo denunciato da FrancoAbruzzo, costituito parte civile per conto dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong>giornalisti della Lombardia nel procedimento penale incorso a Brescia contro i vertici di Bipop-Carire. Abruzzoper conto dell’OgL (assistito dall’avv. Raffaele Di Palmadel Foro di Milano) ha presentato una circostanziatadenuncia penale a tutela <strong>dei</strong> danni subiti dall’ente traditodai vertici di Bipop-Carire, che, com’è noto, usavano unasorta di “doppiopesismo bancario”, favorendo i clientiamici. Sin dal 2002 l’assemblea degli iscritti è stata messaal corrente delle perdite subite per circa 500 milioni divecchie lire, di cui l’OgL ha chiesto la restituzione. AncheTabloid e il sito www.odg.mi.it ne hanno parlato.Uno scandalo ignorato e rimosso dalladi Giorgio Salsi - presidente Comitato risparmiatori e piccoli azionistiBipop-Carire (iscritto all’elenco pubblicisti dell’Albo)ROMA, 14 febbraio <strong>2005</strong>. La costituzione di parte civile nel procedimento penale in corso aBrescia di soggetti quali l’<strong>Ordine</strong> giornalisti della Lombardia e il Comitato risparmiatori epiccoli azionisti Bipop-Carire, può rappresentare un’opportunità per cercare di superare larimozione che riguarda da troppo tempo lo scandalo Bipop-Carire, banca passata, dopo loscoppio della crisi, sotto il controllo di Capitalia.Per capire la portata di tale rimozione è interessante, per l’<strong>Ordine</strong> professionale e per i giornalisti,l’illustrazione di un caso concreto di cui è stato protagonista e testimone il Comitato(promosso lo scorso anno da Azionariato diffuso e da FedeRisparmiatori / Federconsumatorinazionali), alla cui iniziativa stragiudiziale e conciliativa hanno aderito finora più di 4.000risparmiatori e piccoli azionisti Bipop-Carire, di cui oltre 1.500 si sono anche costituiti partecivile nell’udienza preliminare del 13 gennaio <strong>2005</strong> a Brescia.Il 19 ottobre dello scorso anno, presso la sala stampa della Camera <strong>dei</strong> deputati, è statoorganizzato un incontro stampa, promosso da quindici parlamentari di diverso orientamentopolitico e tenuto dai rappresentanti del Comitato, sul tema “Bipop-Carire: come s’inganna unrisparmiatore. La parola ai truffati – Presentazione dell’indagine promossa dal Comitato. Irisultati di oltre 500 questionari”. Da notare che uno degli scopi dell’incontro era di “superarela rimozione stampa cui è soggetto il caso Bipop” (!).Quali sono stati i principali temi affrontati nell’incontro, introdotto, come preannunciato daltitolo, dalla presentazione <strong>dei</strong> risultati di un’indagine basata su un campione significativo dioltre 500 questionari e su centinaia di colloqui con risparmiatori e piccoli azionisti truffati? Etali temi erano interessanti per i mezzi d’informazione e i loro lettori?Partendo dalla constatazione che il caso Bipop-Carire è stato uno <strong>dei</strong> più gravi scandali dirisparmio tradito, che ha coinvolto direttamente una banca e più di 70.000 risparmiatori epiccoli azionisti, per una distruzione di risparmio superiore ai 10 miliardi di euro, la tesi sostenutanell’incontro in Parlamento è stata che il caso è emblematico del “risparmio tradito” peralmeno quattro ordini di motivi.1Per la violazione sistematica dellanormativa prevista dal Testo Unicoche regola l’intermediazione finanziaria.La commercializzazione <strong>dei</strong> prodottiè, infatti, avvenuta con evidenti conflittid’interesse e scarsa trasparenza. Senzache la banca raccogliesse adeguate informazionisulle caratteristiche e propensioneal rischio di risparmiatori e piccoli azionisti.Fornisse adeguate informazioni su caratteristichee rischiosità <strong>dei</strong> prodotti venduti.Considerasse l’adeguatezza degli stessirispetto ai risparmiatori.2Per il colossale abuso della fiduciache i risparmiatori riponevano nellevecchie banche che avevano datoluogo alla fusione.Risparmiatori ai quali sono stativenduti prodotti finanziari del tutto inadeguatialle loro caratteristiche e propensione alrischio, prioritariamente sulla base <strong>dei</strong>budget di vendita e di profitto della banca enon sulle loro esigenze, attese e abitudinid’investimento. Con la vendita quindi diprodotti particolarmente “aggressivi” e, inparte, “dinamici”, a risparmiatori “conservatori”o al massimo “prudenti”.Abuso di fiducia che ha riguardato inoltre lapresunta “gestione attiva” degli investimentiaffidati alla Bipop-Carire, che non c’è assolutamentestata, come dimostra l’assenza dicambiamenti tra le diverse tipologie di gestionee nell’asset allocation, nonostante levistose inversioni nell’andamento <strong>dei</strong> mercatifinanziari e quanto tutti consigliavano unadiminuzione della componente azionaria <strong>dei</strong>portafogli.3Come esempio evidente degli effettidisastrosi che possono derivare airisparmiatori, quando una bancaesaspera alcune storture, presenti intutto il mercato finanziario, per i finidelittuosi evidenziati nelle richieste di rinvio agiudizio del Pubblico Ministero di Brescia, delittiimpossibili da ipotizzare senza un coinvolgimentomassiccio di risparmiatori e piccoli azionistiusati come “parco buoi”. Storture derivantidal rapporto del tutto squilibrato tra risparmiatorie intermediari finanziari. Rapporto a suavolta inquinato dall’assoluta asimmetria informativasui prodotti di risparmio e investimentosempre più complessi e non comprensibili aipiù. Dai vasti conflitti d’interesse e dalla scarsatrasparenza delle banche. Dalla totale assenzadi tutela commerciale <strong>dei</strong> risparmiatori.4Per la soluzione della crisi, dopo loscoppio dello scandalo, che haaggiunto al danno subito da risparmiatorie piccoli azionisti, la beffa. Ilpassaggio sotto il controllo di Capitalia,favorito da Bankitalia, è, infatti, avvenutodefinendo un concambio che ha sopravvalutatoBanca di Roma e sottovalutato Bipop-Carire. Con la riconferma, nelle “nuove”banche del gruppo Capitalia, di personeinquisite e poi imputate di “associazione perdelinquere” o gravissimi reati finanziari.Senza iniziative concrete per recuperare fiduciae credibilità perdute. Senza che Capitaliaabbia ancora accettato di aprire un tavolo diconciliazione per valutare le singole posizioni<strong>dei</strong> truffati, così com’hanno fatto altre banche,come ad es. Monte Paschi Siena per lo scandalodella Banca 121, passata poi sotto il suocontrollo.Riteniamo difficile sostenere che il casopresentato, il luogo e i promotori dell’incontro,le argomentazioni citate (scaturite daun’indagine approfondita e che meriterebberogrande attenzione anche nel Ddl sulrisparmio), non rappresentino una “notizia”interessante per la stampa, degna di esserepubblicata.Anche perché all’incontro in Parlamento,oltre alla maggior parte <strong>dei</strong> parlamentaripromotori e di altri, erano presenti le piùimportanti agenzie e testate giornalistiche,tra le quali Ansa, Agi, Radiocor, Tg1,Sole 24 Ore, Corriere della Sera, LaRepubblica, Messaggero, Unità, ItaliaOggi. Ed era anche presente una rappresentantedell’ufficio stampa Capitalia (P.Di Raimondo).Eppure, mentre la notizia ha avuto ampiorisalto su varie testate (ad es. in Rai 1 èstata la prima notizia del Tg Economia, coninterviste e preannuncio nel Tg1), su altretestate (Sole 24 Ore, Corriere della Serae La Repubblica) non è apparso neppureun trafiletto. Giornali che, d’altra parte, alcaso Bipop-Carire, in altre occasioni, hannodedicato articoli e approfondimenti importanti.Mentre probabilmente hanno giudicatoquanto emerso dall’incontro in Parlamentouna notizia non interessante per i loro lettori.E per questo, o altri motivi, gli stessi giornalio i giornalisti presenti all’incontro hannodeciso di non pubblicarla.Da parte nostra continuiamo a scandalizzarciper la rimozione cui è sottoposto loscandalo Bipop-Carire che invece, proprioperché caso rappresentativo, meriterebbeampie inchieste giornalistiche dalle qualiscaturirebbero certamente indicazioni utilisu cosa fare per tutelare concretamente ilrisparmio e i risparmiatori, nel momento incui langue il Ddl in discussione in Parlamento.Certo ciascuno è libero di considerare piùinteressanti per i propri lettori, le affermazionidell’amministratore delegato e delpresidente Capitalia. Come quella di MatteoArpe circa la necessità per il sistemabancario di allontanare gli amministratori edirigenti che sbagliano (proprio come hafatto Capitalia nel caso Bipop-Carire).Oppure l’affermazione di Geronzi secondoil quale il caso Bipop-Carire è stato la veraEnron italiana (con i conseguenti comportamenticoerenti già citati al precedentepunto 4). Forse però sarebbe stato utileconfrontare queste amene affermazioni coni reali comportamenti della banca di cui gliinteressasti sono autorevoli esponenti.Trattandosi della newsletter di un importante<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, può essere utile un’ultimaannotazione più generale sul ruolofondamentale che – secondo la nostraopinione – potrebbero svolgere i mezzid’informazione nella tutela del risparmio e<strong>dei</strong> risparmiatori. Mentre sui casi clamorosi illoro ruolo è stato spesso essenziale e lospazio dedicato in genere al risparmio ènotevolmente aumentato. Manca purtroppola continuità sulle storture che si verificanotutti i giorni, nel silenzio della cronaca, acausa <strong>dei</strong> nodi strutturali irrisolti del sistema.E soprattutto è del tutto carente – per motivazionioggettive (fonti) – il punto di vistadella tutela del risparmio e del risparmiatore.È indubbio che la stampa sia subissata dainformazioni che si pongono dal punto divista dell’industria finanziaria (uffici relazioniesterne delle potenti imprese finanziarie;associazioni di settore, con le loro attività dicomunicazione e lobbying; agenzie di stampa,ecc.). Mentre vi è una quasi totale assenzadi fonti alternative “dalla parte del risparmiatoreo piccolo azionista”.Se “la parola ai truffati”, come recitava il titolodell’incontro stampa in Parlamento, è ignoratada importanti mezzi d’informazione,diventa quasi impossibile quella tutela delrisparmio e <strong>dei</strong> risparmiatori che tutti auspicano.Tanto più se consideriamo che in quelcaso le opinioni erano supportate da un’indagineapprofondita e da un’analisi sullestorture del mercato finanziario che difficilmentesi legge sulla stampa (documentazionedisponibile sul sito www.azionariatodiffuso.it).L’auspicio delle associazioni impegnatea far nascere anche in Italia un movimentodi consumerismo finanziario, è che i mezzid’informazione dedichino uno spaziomaggiore a temi di sicuro interesse dell’opinionepubblica quali ad esempio: confronticompetitivi su costi e rendimenti <strong>dei</strong> variprodotti d’investimento offerti dagli intermediarie sulla loro efficienza. “Bilanci” trimestralie annuali (in termini di efficienza <strong>dei</strong>loro investimenti) anche <strong>dei</strong> clienti di banchee assicurazioni, non solo delle imprese. Tutelacommerciale <strong>dei</strong> risparmiatori, consideratala complessità tecnica <strong>dei</strong> prodotti e l’assolutadisparità informativa tra intermediari erisparmiatori. Assenza di trasparenza e indisponibilitàdi semplici confronti competitivi alivello territoriale <strong>dei</strong> prodotti finanziarivenduti dagli intermediari. Inchieste sui continuiconflitti d’interesse degli intermediari:priorità dai budget di vendita e profitti rispettoalle esigenze <strong>dei</strong> risparmiatori; venditaesclusiva <strong>dei</strong> prodotti di cui si controllaproduzione e distribuzione; politiche organizzative,retributive e delle risorse che privilegianoesclusivamente le attività di vendita ascapito di quelle finalizzate ad assicurareefficienza remunerativa ai prodotti finanziari.4 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


City aprea Genova,Torinoe VeronaMilano, 30 marzo <strong>2005</strong>. City, il quotidiano gratuito di RcsMediaGroup, a partire dal 5 aprile aprirà tre nuove redazionia Genova, Torino e Verona, che si andranno ad aggiungerea quelle di Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Baridove il quotidiano è già presente. L’ampliamento è miratoall’aumento del numero di lettori, “che sono - afferma unanota di Rcs - attualmente 750mila al giorno, e di conquistarenuove quote nel mercato pubblicitario”. “Grazie anche aisegnali di concreto apprezzamento provenienti dal mercatopubblicitario - ha dichiarato il direttore di City, Bruno Angelico- il giornale oggi può contare su un network di 9 città, conuna copertura territoriale che spazia dal Piemonte allaPuglia. L’apertura delle nuove sedi italiane rappresenta unpassaggio importante all’interno del piano di sviluppo dedicatoal quotidiano, che ha preso avvio con la recentissimarivisitazione della veste grafica e il potenziamento <strong>dei</strong> contenutiinformativi”.(ANSA)“grande stampa”L’<strong>Ordine</strong> e i “tosati”della Bipop-CarireMilano, 15 febbraio 2002. In un articoloapparso su Borsa e Finanza del 9 febbraioscorso (“Anche l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti tra iclienti ‘tosati’ da Sonzogni”, pagina 10, asigla G.Riv.) si dà conto in maniera non deltutto corretta della spiacevole situazione incui s’è venuto a trovare l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistidella Lombardia in quanto cliente dell’istitutobresciano. Per completezza d’informazionee in attesa della relazione di tesoreriasui conti 2001 che verrà presentataall’assemblea annuale, fissata per il prossimo21 marzo, si rendono necessarie alcuneprecisazioni. Nell’assemblea del marzo2001, comunque, il consigliere tesorieredell’epoca ha già riferito sulle perdite del2000 (–240 milioni di lire circa) coperte conil ricorso agli accantonamenti.L’OgL (con voto unanime del Consiglio edel Collegio <strong>dei</strong> revisori <strong>dei</strong> conti) ha affidatoall’inizio dell’anno 2000 una quota delsuo patrimonio - all’incirca 775mila euro;1,5 miliardi delle vecchie lire - a una gestionepatrimoniale su fondi proposto dal Serviziodi Private Banking della Filiale di Milanodella Bipop-Carire. La scelta, fatta dalprecedente Consiglio, si inquadrava in unmomento storico particolare: l’OgL, a frontedella prospettiva di una riforma che parevaimminente e che avrebbe potuto portareal superamento dell’attuale assetto degliordini professionali, decise di escluderel’ipotesi di acquisto di una propria sede. Inattesa di capire gli sviluppi politici e legislativisi scelse di valorizzare il patrimonioabbandonando un vecchio investimento inobbligazioni Cariplo per una più innovativagestione patrimoniale. E Bipop-Carire, dueanni fa, risultava essere la banca italianadotata di uno <strong>dei</strong> servizi di private bankingche poteva garantire, sul fronte dellegestioni in fondi, certificazioni di qualità e dicontrollo da parte di società di rilievo internazionaleche altri istituti non avevano. IlConsiglio dell’<strong>Ordine</strong> e il Collegio <strong>dei</strong> revisori,comunque, scelsero Bipop-Cariredopo un attento esame di un ventaglio diofferte fatte da cinque primari istituti dicredito.L’affidamento in gestione venne fatto suuna tipologia di asset allocation che prevedevauna quota azionaria del 45% e unaquota obbligazionaria del 55%: il portafoglioera costituito da fondi internazionaliraccolti in quattro linee di investimento e ilbenchmark prescelto garantiva una renditasul capitale da verificare su una duration di5-7 anni. Purtroppo il pessimo andamento<strong>dei</strong> mercati azionari e obbligazionari nelbiennio che è seguito ha portato a unaminusvalenza piuttosto importante (circa–31% dall’inizio della gestione). Una situazionecertamente preoccupante anche perun investitore istituzionale qual è l’OgL. Eche resta grave (–500 milioni di lire circain due anni) anche se confrontata con irisultati conseguiti da altri enti comel’Inpgi (che al 30 settembre 2001 haTabloid marzo 2002subito una svalutazione in portafoglioper i titoli mobiliari detenuti pari a 28,1miliardi di lire). Tuttavia i veri guai conBipop-Carire sarebbero arrivati a metà ottobre,quando il nuovo amministratore delegato,Maurizio Cozzolini, ha comunicatocon una missiva agli azionisti che era statascoperta una lista di 250 clienti privilegiatiafferenti alle gestioni patrimoniali in fondi.Appresa la notizia il Consiglio s’è subitomosso dando mandato a un legale, l’avvocatoRaffaele Di Palma, affinché individuasseun’eventuale linea difensiva. A metànovembre la Procura della Repubblica diBrescia ha aperto un’inchiesta ipotizzandoreati di falso in bilancio, aggiotaggio, violazionedella legge bancaria, e associazionea delinquere. L’OgL, ente pubblico noneconomico, non poteva restare ancora aguardare e, infatti, approvata l’apertura diun proprio fronte giudiziario (civile e penale)contro Bipop-Carire a tutela del patrimonioe dell’immagine, il Consiglio ha deliberatola gestione <strong>dei</strong> propri fondi ad altro istitutodi credito (il servizio di private bankingdi IntesaBci), mantenendo invariata la tipologiad’impieghi e la duration dell’investimento,sempre affidata a una gestionepatrimoniale.Fin qui i rapporti con Bipop-Carire, chesarebbero stati risolti allo stesso identicomodo anche a fronte di ben diversi risultatidella gestione sul portafoglio dato in affidamento.L’articolo pubblicato su Borsa e Finanza sichiude con un riferimento all’aumento a100 euro delle quote annue d’iscrizionefacendo intendere che, anche tramite quellamossa, l’OgL starebbe ora cercando di“fare qualcosa per recuperare”. Ovviamentenon è così: l’aumento a 100 euro, chenon riguarda solo i giornalisti della Lombardiama tutti i giornalisti italiani, è stato stabilitodal Consiglio nazionale con motivazioniche nulla hanno a che fare con la situazione<strong>dei</strong> conti dell’OgL e dello stesso Consiglionazionale. L’aumento arriva dopo seianni e rimarrà invariato per i prossimi seianni.(OT)Su libero.itl’informazioneregionaleguadagnaspazio(e fortesuccesso)“Vacanza contrattuale”:accordo sindacaletra Aeranti-Corallo e FnsiRoma, 15 febbraio <strong>2005</strong>. In applicazionedel protocollo 23 luglio 1993 sulla politica <strong>dei</strong>redditi e dell’occupazione il coordinamentoAeranti-Corallo, l’Aeranti, l’AssociazioneCorallo e la Fnsi, tenuto conto che in data02/10/2004 è scaduto il contratto collettivo03/10/2000 per la regolamentazione dellavoro giornalistico nelle imprese di radiodiffusionesonora e televisiva in ambito locale,loro syndication e agenzie di informazioneradiofonica, concordano che con decorrenzadal periodo di paga di gennaio <strong>2005</strong> le aziendeche applicano il predetto contratto collettivocorrisponderanno, con decorrenza dallabusta paga di febbraio <strong>2005</strong>, ai propri dipendentigiornalisti un elemento provvisorio dellaretribuzione denominata “indennità di vacanzacontrattuale”L’importo di tale indennità sarà pari al 30%(trenta per cento) del tasso di inflazioneprogrammato applicato ai minimi retributivicontrattuali di cui all’allegato A) dell’accordoRoma, 30 marzo <strong>2005</strong>. Libero arricchisce l’area dedicataall’informazione con il lancio delle WebNews Regionali, unanuova porta d’accesso alle notizie provenienti da tutte leregioni italiane.Dopo il grande successo riscosso da Libero WebNews, ilmotore di ricerca che raccoglie e organizza per argomento eimportanza le notizie pubblicate da oltre cento fonti giornalistichedel web italiano, Libero ha pensato di estenderequesto servizio anche a tutte le notizie pubblicate dalle testatelocali e regionali.Nascono così le WebNews Regionali, una sorta di rassegnastampa, sempre aggiornata in tempo reale, che raccogliele notizie pubblicate dalle testate locali e regionali e leorganizza per regione e per categoria. Cliccando sul titolodi un articolo, il lettore potrà accedere automaticamente alsito che lo ha pubblicato, dove potrà leggere l’intero testo.In particolare, la nuova area consente al navigatore divisualizzare in ogni momento le notizie dell’ultima oraraccolte da 114 testate locali che coprono tutte le 20 regioniitaliane e, inoltre, di effettuare ricerche per parole chiaveall’interno <strong>dei</strong> circa 2500 articoli pubblicati ogni giorno. Ilnumero delle testate locali selezionate sarà gradualmenteincrementato, in modo da consentire ai navigatori di accederea un panorama sempre più ricco e completo di informazioniriguardanti la loro regione.Grazie alla nuova area dedicata alle News Regionali, da oggiLibero consente di effettuare ricerche su tutta l’informazioneonline in lingua italiana, dalle notizie giornalistiche nazionalie locali, all’informazione proveniente dal mondo <strong>dei</strong> blog.Libero WebNews si basa su una procedura automatica cheanalizza e raccoglie continuamente durante il giorno i titoli ele foto degli articoli pubblicati.L’impaginazione e l’organizzazione nelle categorie - primopiano, cronaca, politica, esteri, economia, sport, spettacoli,scienza e tecnologia - sono realizzate attraverso sofisticatialgoritmi informatici e sono, quindi, prive di qualunque orientamentoeditoriale, politico o ideologico.Libero è il primo portale italiano con 8,5 milioni di visitatoriunici nel mese di febbraio <strong>2005</strong>. Libero ospita la più gran<strong>dei</strong>nternet community italiana con oltre 3,4 milioni di utenti attivie il più grande servizio di posta elettronica con 4,4 milioni diutenti attivi al mese (dati Nielsen NetRatings di febbraio<strong>2005</strong>). (ITALPRESS)per la rinnovazione biennale 3/10/2002.Decorsi sei mesi (cioè a decorrere dal periododi paga di aprile <strong>2005</strong>) senza che siaintervenuta l’intesa per il rinnovo della parteeconomica del contratto collettivo, dettoimporto sarà pari al 50% (cinquanta percento) dell’inflazione programmata semprecalcolata sui minimi retributivi contrattuali dicui all’allegato A) dell’accordo per la rinnovazionebiennale 3/10/2002.Il tasso di inflazione programmato previsto perl’anno <strong>2005</strong> è pari al 1,6% secondo quantoprevisto dal documento di Programmazioneeconomico-finanziaria del 29/7/2004.Conseguentemente la suddetta indennitàsarà pari allo 0,5% (30% di 1,6%) per i periodidi paga da gennaio a marzo <strong>2005</strong>, mentreper i mesi successivi l’indennità sarà commisurataallo 0,8% (50% di 1,6%).Per quanto sopra gli importi della indennitàdi vacanza contrattuale saranno i seguenti:I suddetti importi corrisposti a titolo di inden-QUALIFICHE MINIMI IND. VAC. IND. VAC.STIPENDIO CONTR. 30% CONTR. 50%Tele-radio giornalista TV con oltre 24 mesi 1.640,83 8,20 13,13Tele-radio giornalista Radio con oltre 24 mesi 1.271,43 6,36 10,17Tele-radio giornalista con meno di 24 mesi 1.146,42 5,73 9,17nità di vacanza contrattuale verranno ovviamente riassorbiti dagli importi che risulterannodovuti in sede di rinnovo della parte economica del Ccnl 3/10/2000.ORDINE 5 <strong>2005</strong>5


S O C I E T ÀSotto accusa l’azienda produttrice. In uno studio gli effetti collateralidell’antidepressivo: «Aggressività e rischio suicidi». «Ma è stato nascosto»L’accusa è di vecchia data, le prove peròsono nuove. Ancora forti sospetti sul Prozac,uno <strong>dei</strong> farmaci più venduti nella storia dellamedicina, la pillola che ha promesso lafelicità a milioni di depressi. La fluoxetina, ilprincipio attivo di cui è composta, era stataaccusata di scatenare drammatici effetticollaterali, da profonde modificazioni delcomportamento al suicidio a forme incontrollatedi aggressività“Il Prozac fa male. Ecco le prove”di Margherita De BacIl dossierLa documentazione, di cui non si aveva tracciadal ‘94, è stata pubblicata nell’ultimonumero del British Medical Journal: secondoun rapporto datato 1988, «il 38% <strong>dei</strong> malatia cui è stata somministrata fluoxetinapresentano un eccesso di eccitazione motoria,contro il 19% <strong>dei</strong> pazienti che invece ricevonoil placebo». Lo studio, dunque, mostrerebbel’esistenza di un legame fra l’assunzionedell’antidepressivo e forme di aggressività,fino al suicidio. Gli editori della rivistamedica hanno ricevuto il materiale per posta,da un mittente ignoto, e adesso alcuni espertici stanno lavorando per stabilire eventualiresponsabilità della casa madre.Alla Eli Lilly, la multinazionale statunitenseche sul Prozac ha costruito parte della suafortuna dalla metà degli anni ‘80, si rinfacciadi aver nascosto la verità negando ilcompromettente dossier al Fda, l’enteamericano per la registrazione <strong>dei</strong> farmaci.L’azienda non commenta, ma ricorda che ilmedicinale «ha migliorato in modo significativola vita di moltissimi pazienti. È una dellemolecole più studiate ed è stato prescritto a50 milioni di malati. La sua sicurezza ed efficaciasono state ben analizzate». Il casofluoxetina è divampato nell’89. Un uomo sisuicidò dopo aver ucciso 8 colleghi col fucile.Era sotto cura per depressione. La famigliaraccolse le prove e tirò fuori durante ilprocesso le carte che evidenziavano comela pillola fosse causa di forte «agitazione,aggressività e aumento delle tendenzesuicide». Il fascicolo sparì nel ‘94.ClasseIl Prozac appartiene alla classe degli inibitoridella ricaptazione della serotonina, gliSSRI. Interviene sul meccanismo di uno <strong>dei</strong>neurotrasmettitori che regolano il nostroumore. Da oltre un anno è uscito di brevettoper esordire nella categoria <strong>dei</strong> generici.Qualsiasi azienda può decidere di produrlo.Nel frattempo sono entrate in commerciomolecole sempre più sofisticate, di ultimagenerazione, che hanno ridotto la popolaritàdella «prima nata». Eppure della famosapillola si continua a parlare, come èaccaduto solo pochi mesi fa a proposito diun aumento di incidenza di suicidi che glipsicofarmaci procurerebbero tra i minorennisenza che sui foglietti illustrativi siano riportatii necessari avvertimenti mirati suibambini.ConsumiCelebrità legata soprattutto ai consumi ealla diffusione <strong>dei</strong> disturbi psichiatrici.Secondo Giuseppe Dell’Acqua, direttore deldipartimento Salute mentale di Trieste,dall’1,5 al 3% di italiani soffrono di problemigravi, il 25% denunciano nell’arco dell’annostati di sofferenza psichica. In Italia nelquadriennio 2000-2003 la vendita deglipsicofarmaci è cresciuta del 75%. Si contano50 confezioni di antidepressivi ogni 100abitanti, oltre a 126 di benzodianzepine(ansiolitici e tranquillanti) e 20 di antipsicotici.Rispetto ad altri Paesi siamo tra gli utilizzatoripiù morigerati. Nota Dell’Acqua:«Sono un sostenitore delle cure farmacologicheper lenire il dolore ma da qui acostruire un modello imperante che interpretatutto in chiave farmacologica ce nepassa. Che gli antidepressivi abbiano effetticollaterali lo sappiamo bene. Il problema èche se ne abusa ed è normale poi che cisiano casi estremi».EffettiNon si sorprende <strong>dei</strong> recenti sviluppi sulProzac Silvio Garattini, dell’Istituto MarioNegri: «Gli effetti di questa classe di molecole,come fluoxetina e paroxetina, non sonoun segreto. Non sempre danno felicità».Fabrizio Starace, primario di psichiatria alCotugno di Napoli, teme «la criminalizzazionedell’antidepressivo, che invece è unarisorsa utile per chi sta male». E spiega:«Bisogna invece criminalizzare le modalitàdi prescrizione. Il farmaco è l’unico agenteterapeutico prodotto a scopo di lucro a differenzadi psicoterapia e interventi territoriali.Va da sé quali interessi si trascini dietro».Il rischio dell’inappropriatezza è in agguato.Ma Alberto Siracusano, cattedra di psichiatriaa Tor Vergata, invita a non fare confrontitra Usa e Italia: «La nostra cultura ci riportaad un uso molto oculato. In molti hannobeneficiato <strong>dei</strong> vantaggi <strong>dei</strong> serotoninergici,mi sembra assurdo rifarsi a un episodio di20 anni fa».(da www.corriere.it- 3 gennaio <strong>2005</strong>)Ricerca Eurispes“Over 50”sottoutilizzatie a “rischiodi estinzione”Nuovi scenarioccupazionaliLa forbice tra la percentuale di popolazioneultracinquantacinquenne in attività sullapopolazione attiva totale e la percentualedegli anziani (oltre 65 anni) sulla popolazionein età attiva diventa, con il tempo,sempre più ampia. Se nel 2002, secondo lestime della Commissione Europea, sicontano 17 lavoratori ultra 55enni e 25anziani ogni 100 persone in età attiva, nel2010, a fronte del progressivo invecchiamentodella popolazione, non aumenterà laforbice, ma si eleveranno entrambe lepercentuali, passando, rispettivamente, aun 19% e un 27%. Dal 2015 la differenzatra le percentuali comincerà ad aumentaree raggiungerà i 10 punti; dal 2035 la forbiceassumerà un’ampiezza ben più elevata,che modificherà profondamente lo scenariodemografico dell’Unione.Interessante, secondo l’Eurispes, è ancheconstatare come la curva dell’attività di uominie donne abbia subito profonde trasformazioninel corso degli ultimi decenni: la parabola relativaai maschi del 1970 era significativamentepiù ampia di quanto non si registri nel 2000,con un ingresso nel mercato del lavoro piùanticipato e un’uscita più ritardata. Gli uominidel 1970 già a 15-16 anni erano inseriti nelmondo del lavoro e vi rimanevano saldamentefino ai 60 anni e oltre; nel caso del 2000 nonsolo, è posticipato l’ingresso, ma si osservauna brusca caduta dell’occupazione già intornoai 55 anni. Discorso diverso per le donne,che nel 2000 conoscono tassi di occupabilitàmolto più elevati (eccetto, anche in questocaso, per le età più giovani). Anche per loro siosserva tuttavia una brusca caduta intorno ai55 anni e, nell’età intorno ai 60, i valori del1970 e del 2000 tendono ad eguagliarsi.L’uscita forzatadal mondo del lavoroNel 29,4% <strong>dei</strong> casi in Europa si è smesso dilavorare a causa del prepensionamento, nel27,8% del pensionamento e, a seguire, perragioni di malattia o sopraggiunta disabilità(15,3% del totale) o episodi di licenziamento(poco meno del 12%).Il caso italianoSecondo l’Istituto il nostro Paese è una dellenazioni che tendono ad espellere di più imeno giovani dai circuiti professionali. Nel2004 in Italia ogni cento persone con un’etàcompresa tra i 55 e i 64 anni, ne lavoranosoltanto 31, contro 41 della Francia, 43 dellaGermania, 57 del Regno Unito e, prima tra lenazioni europee, le oltre 70 persone dellaSvezia. Nonostante questo forte ritardo, apartire dal 1999, nel nostro Paese si registrauna contrazione <strong>dei</strong> flussi di uscita dal mercatodel lavoro della popolazione in età matura.In particolare, tra il 2002 e il 2003, pur nonosservando un significativo aumento dellapopolazione complessiva in età 55-64, siregistra un notevole +9,8 tra le forze di lavoro,contro il +4,6 relativo alla fascia 35-54.Similmente, aumentano gli occupati nellafascia di età più elevata (essi raggiungonoquasi un +11%, una quota più che doppiarispetto alla fascia 35-54) e, tra i 55-64enni,diminuiscono sensibilmente, nel medesimoperiodo, i disoccupati (-14,1%).Il ruolo delle donneL’aumento dell’occupazione nella fascia dietà 55-64 riguarda in modo sensibilmentesuperiore le donne. I valori percentuali registratiper gli uomini in questo caso vengonoquadruplicati.La forza lavoro degli «over 50» è sottoutilizzatae a «rischio di estinzione». È quanto emergeda una ricerca dell’Eurispes, l’Istituto di studipolitici economici e sociali, secondo cui nel2004, in Italia, «ogni cento persone con un’etàcompresa tra i 55 e i 64 anni, ne lavoranosoltanto 31, contro 41 della Francia, 43 dellaGermania, 57 del Regno Unito e, prima tra lenazioni europee, le oltre 70 persone dellaSvezia».Il “possibile” part timeL’Eurispes, confrontando il nostro Paesecon quelli dell’Unione, rileva come l’Italiaconosca una diffusione ancora limitata delpart-time: oltre due punti percentuali inmeno rispetto alla media europea per gliuomini e oltre sei punti per quanto concernele donne.Soltanto i 30-39enni vengono utilizzati di piùcon il part time: si calcola per questi lavoratoriuna percentuale pari al 67,8% contro il64% degli ultracinquantenni.Over: ancora occupatiLa presenza di lavoratori tra i 60 e i 74 anniresta rilevante, oltre che nella Pubblicaamministrazione (25,2%), in agricoltura(14,6%) e nel commercio (21%). Tra glianziani prevalgono i lavoratori autonomi(61,3%) contro i dipendenti (38,7%). Tra isessantenni una persona su due che possiedela laurea è ancora occupata, contro unasu tre diplomata e una su sei con la licenzadella scuola dell’obbligo.(La Stampa - 18 marzo <strong>2005</strong>)6 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


E D I T O R I ARoma, 21 marzo <strong>2005</strong>. “Siamo tentati, in Italia, e con moltofondamento, di guardare alla stampa di altri grandi Paesi,paragonabili all’Italia per dimensioni e reddito, con una certainvidia per due ragioni fondamentali, molto elementari: laprima è che i giornali vi si vendono molto di più (in Francia) oenormemente di più (in Germania e in Inghilterra), la secondache dovunque in Europa (anche in Spagna) i giornalihanno più pubblicità che da noi e sono dunque molto più fortinella competizione con la televisione”. È quanto scrive GiancarloBosetti, direttore di Reset, nella prefazione al volume diGiancarlo Salemi Europa di carta. Guida alla stampa esterache uscirà domani in libreria per le edizioni Franco Angeli.“Queste differenze sono così marcate - prosegue Bosetti -che è inevitabile parlare di un’anomalia italiana, che nonaccenna a ridursi, ma tende anzi ad aggravarsi”.Dal libro di Salemi (Franco Angeli Editore) pubblichiamo unestratto.Il giornalismo inglese, dalla guerra<strong>dei</strong> costi a quella <strong>dei</strong> tabloiddi Giancarlo SalemiLa prima battaglia, quella consumata neglianni Novanta attraverso una consistenteriduzione <strong>dei</strong> prezzi di vendita <strong>dei</strong> quotidianidi qualità, portata avanti con decisione daRupert Murdoch attraverso il suo imperoeditoriale e, in particolare, con la naveammiraglia dell’informazione, The Times,alla fine non ha avuto né vincitori e né vinti.La corsa al ribasso, infatti, ha innescato unmeccanismo che ha portato anche altri giornalia ritoccare il prezzo di vendita, primo fratutti il Daily Telegraph, in modo da annullareil vantaggio competitivo che il magnateaustraliano voleva assicurarsi nel panoramaeditoriale inglese. Adesso, la nuova sfida,più ambiziosa e più pericolosa, perchérischia di scompaginare per sempre lecaratteristiche del giornalismo britannico, sichiama compact quality, ovvero l’idea che sipossa affiancare al tradizionale giornale diqualità a formato lenzuolo (o meglio broadsheet,come lo chiamano gli inglesi) unclone che, mantenendo i presupposti diun’informazione seria e rigorosa, si presentiai lettori sotto forma di tabloid. Una vera epropria rivoluzione. Perché, in Inghilterra, laseparazione fra stampa popolare e di qualitàè netta non solo nel formato editoriale maanche rispetto alle tipologie di lettori, allostile e all’impaginazione degli articoli, allinguaggio adoperato e, ovviamente, al prezzofinale di vendita.Un cambiamento che rischia di essereepocale e che, d’altra parte, si è reso necessarioanche per la perdita <strong>dei</strong> lettori <strong>dei</strong> giornalidi qualità, che, negli ultimi dieci anni, èoscillata tra il –2% e il –5%. Secondo i datidell’Audit Bureau of Circulation, l’organismoche segue l’andamento delle vendite <strong>dei</strong>quotidiani, il calo medio nel 2003 per ibroadsheet è stato fra il 5 e il 20%, con ilsegno meno per quasi tutti i giornali diqualità: Telegraph (-6%), Times (-9%),Guardian (-16%) e la crisi maggiore per ilFinancial Times (-20%).Per questo The Independent, quotidianoradicale-libertario da diversi anni in declinoe con lo spettro di una chiusura in agguato,ha deciso di innescare la possibile miscelaesplosiva. Iscritto nella schiera <strong>dei</strong> giornalidi qualità, il 30 settembre del 2003, halanciato accanto a quella tradizionale, unaversione compatta destinata a valutare l’effettonel pubblico inglese. Una scelta che ilproprietario del giornale, l’imprenditoreirlandese Tony O’Reilly, ha giustificato inquesti termini: “Siamo i pionieri di uncambiamento che potrebbe essere epocaleo potrebbe ridursi ad una semplice scommessaandata male”. I primi dati, tuttavia,parlano a favore di questa anomala propostaeditoriale: le vendite del quotidiano sonocominciate a risalire e, dopo un anno dallasperimentazione, il giornale con il formatotradizionale è quasi scomparso dalle edicoleed è rimasto quello in versione baby, chevende oltre 260 mila copie, circa il 16% inpiù, il livello più alto mai registrato dall’ottobredel 1997.Se per Independent si è trattato di un esperimentoandato a buon fine, per la qualitypress si è rotto un incantesimo che volevaassociata al grande formato l’informazione diqualità, diversa da quella urlata e sensazionalista<strong>dei</strong> tabloid. Una scossa di terremotonon da poco se su questa scommessa hadeciso di investire perfino lo storico TheTimes, benché il progetto pilota sia limitatoalla sola città di Londra.Murdoch non se lo è fatto ripetere due volte:analizzando i dati del quotidiano rivale,poche settimane dopo, ha deciso di passareal contrattacco. Così il 21 novembre del 2003anche il giornale guidato da Robert Thomsonè arrivato in edicola con una versionecompact. È stato lo stesso direttore a spiegarein un’intervista rilasciata al Sole 24Orele motivazioni di questa scelta coraggiosa:“La nostra versione tabloid è frutto di unalunga gestazione. A tale formato pensavamogià negli anni Settanta, quando era direttoreWilliam Rees Mogg. Mancava però l’occasione:The Independent ha svolto per noi un’interessantericerca di mercato, di cui abbiamoapprofittato”.La verità è un’altra. Quando Thomson afferma“mancava un’occasione” fa riferimento alfatto che mai e poi mai il quality press pereccellenza sarebbe sceso a patti con ilmercato se prima non ci fosse stato un apripista.E in ogni caso uno strano effetto si èconsumato, lasciando storditi i vecchi lettoriinglesi. Anche se è lo stesso direttore delTimes a precisare: “è un modo diverso diporre le notizie, certo. In Europa vi sonoperaltro già importanti giornali nel formatotabloid. Per noi è molto interessante perchéci obbliga a creare priorità più nette per lenotizie ed essere più selettivi, mentre il grandeformato, con i montaggi, a volte pubblicanotizie di contorno di poco interesse”.Anche qui i numeri sono di conforto al ragionamentofatto dal management del Times: ilgiornale quotidianamente arriva a sfiorare le700mila copie vendute (di queste circa45mila derivano dalla versione ridotta) avvicinandosisempre più alla soglia del milione,che ancora oggi è appannaggio del primoquotidiano di qualità, The Daily Telegraph.Quest’ultimo, da sempre alieno ai pettegolezzidelle vicissitudini editoriali, serio e indipendentecome vuole la tradizione, verabibbia dell’ampio pubblico <strong>dei</strong> conservatoriinglesi, non ha potuto partecipare alla battagliadel tabloid perché ha dovuto fronteggiareuna pericolosa quanto traumatica guerraintestina che ha visto salire sul banco degliimputati il direttore-padrone, Conrad Black.“Preso con le mani nel sacco”, così ha titolatoil rivale Sun il 17 ottobre 2003 all’indomanidello scandalo finanziario che ha portato alledimissioni del numero uno del Telegraph.Cosa era successo? Conrad Black dasempre alla guida del quotidiano inglese trail 2000 e l’anno successivo avrebbe versatosul conto personale e di altri dirigenti quasi10 milioni di euro sottratti alla casa editrice,la Hollinger International.Un trucco finanziario scoperto dall’organo divigilanza della Borsa inglese che ha finito percoinvolgere la quasi totalità del consiglio diamministrazione della società. Così il giganteDaily Telegraph ha iniziato un’agoniaimprovvisa ed è diventato anche oggetto diforti pressioni perché diversi gruppi editorialisi sono fatti avanti per cercare di acquistarlo,magari a prezzi di saldo. Il primo a presentareun’offerta è stato Richard Desmond, lostesso imprenditore che ha scalato in Franciail gruppo Express e che del Telegraphpossiede già le tipografie.Non ha tardato a farsi vivo anche il DailyMail & General Trust della famiglia Rothemere,che chiaramente vorrebbe affiancareal tabloid Daily Mail e agli altri organid’informazione già in suo possesso comeMail On Sunday e Evening Standard,anche un foglio di qualità come quelloguidato da Lord Black. Ma come è facileprevedere la lista <strong>dei</strong> pretendenti ha cominciatoad ingrossarsi giorno dopo giorno,arrivando a comprendere anche l’ex direttoredel Daily Mirror, David Montgomery, eperfino, oltre confine, il gruppo americanoGannett, lo stesso che pubblica Usa Today,primo giornale statunitense con oltre 2milioni di copie quotidiane vendute epresente già in Gran Bretagna con 17 giornaliregionali. Una ridda di voci, di indiscrezioni,di offerte, di battaglie legali che difatto nei mesi successivi allo scandalohanno indebolito il quotidiano britannico.Fino a quando la vicenda non si è risolta conil classico colpo di scena: a rilevare il Telegraphper oltre un miliardo di euro sono statii fratelli gemelli Barclay (proprietari dellafamosa catena alberghiera Ritz) mentre nellacarta stampata hanno il controllo <strong>dei</strong> periodiciThe Business e The Scotsman.Il passaggio di mano è avvenuto il 23 giugnodel 2004 e nei giorni successivi all’acquistosi è notato subito un cambiamento di rottadel giornale britannico. “Non saremo più lavoce <strong>dei</strong> conservatori”, con questo titoloinfatti in un’intervista rilasciata al Guardianuno <strong>dei</strong> fratelli Barclay, David, ha spiegato lelinee guida della nuova gestione. “Questogiornale storicamente è sempre stato orientatoa destra, ma ciò non vuol dire chequesta sia la nostra strada e che MichaelHoward, leader <strong>dei</strong> Tory, avrà automaticamenteil nostro appoggio. Pensiamo ad ungiornale meno legato al potere, liberale ecentrista e che debba ricollocarsi ancheverso una fascia di pubblico più giovanile”. Inquest’ultimo passaggio, poi, ci sarebbe quellacorsa al formato tabloid a cui anche il Telegraphsta pensando.Una rivoluzione, insomma. Che avrebbecome conclusione la nascita di una versionecompact anche per il numero uno <strong>dei</strong> giornaliinglesi di qualità. Che qualche meccanismosia saltato nell’informazione ingleseoramai appare sotto gli occhi di tutti. Si èinnescato una specie di risiko, un meccanismoanomalo dove nessuno ha più unproprio confine, anzi dove il mescolamento<strong>dei</strong> generi giornalistici è un must per cercaredi vincere la concorrenza televisiva, quell’informazioneglobalizzata e globale cherischia di ingoiarsi il giornalismo d’analisi ed’approfondimento.Nessuno si sarebbe mai aspettato che ilglorioso Times potesse un giorno ammettereuna versione compact tra i palmares dellasua storia. Così come fa ancora più paurache in questa strana corsa all’imitazioneanche il Telegraph comunque forte della suaposizione di leadership dell’informazione diqualità, ha deciso di imboccare la medesimastrada, aprendo all’edizione tabloid.Il corrispondente deIl Sole – 24 Oreda Francoforte prevalecon una inchiestasulla politica industrialee la flessibilità del mercatodel lavoro in GermaniaMilano, 4 aprile <strong>2005</strong>. Attilio Geroni, corrispondentede Il Sole – 24 Ore da Francoforte,si è aggiudicato la quarta edizione italianadel Journalistic Excellence Award, ilpremio internazionale ideato da Citigroupper promuovere il giornalismo economicofinanziariodi alto livello.Germania: lavorare di più, lavorare tutti, l’articolovincente pubblicato su Il Sole – 24 Oredel 14 luglio 2004, è una inchiesta cheaffronta i temi della politica industriale inGermania con particolare riferimento allaflessibilità del mercato del lavoro. La giuriaha scelto questo articolo perché “affrontaORDINE 5 <strong>2005</strong>“Citigroup Journalistic Excellence Award”: si afferma il giornalismo di respiro internazionaleAttilio Geroni vincela quarta edizionedel premio Citigroupcon originalità l’argomento e perché analizzala svolta politico-ideologica avvenuta inGermania anticipando temi con risvoltiimportanti anche in Europa”.Geroni, prenderà parte – insieme ai vincitoridi tutti gli altri Paesi partecipanti – all’InternationalJournalists Seminar che si terràdal 31 maggio al 10 giugno <strong>2005</strong> presso laColumbia Graduate School of Journalismdi New York, la più prestigiosa facoltàamericana di giornalismo, fondata nel 1912da Joseph Pulitzer. Il seminario affrontatemi di attualità legati all’economia e allafinanza globale e prevede incontri conpersonalità tra cui Charles Prince, Ceo diCitigroup; Robert Rubin, presidentedell’Executive Committee di Citigroup; JeffSachs, direttore dell’Earth Institute pressola Columbia University; e Joseph Stiglitz,vincitore nel 2001 del premio Nobel perl’economia.Al secondo posto si è classificata MariaAngela Tessa, giornalista di Affari&Finanza,con l’articolo Per Pistorio si apre la sfidaindiana, un approfondimento sulle opportunitàper le nuove tecnologie italiane nelmercato indiano, mentre Nicola Borzi, redattorede Il Sole 24 Ore/Plus, è risultato terzocon l’articolo dal titolo La nuova primavera<strong>dei</strong> prestiti sindacati, quadro preciso e bendocumentato su una tipologia di mercato chevede riaccendersi l’interesse e incrementarei volumi.Anche l’edizione <strong>2005</strong> del premio ha potutocontare su una giuria particolarmenterappresentativa composta da: FrancoAbruzzo, presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistidella Lombardia; Massimo Capuano,amministratore delegato di Borsa italianaSpa; Stefano Micossi, direttore generale diAssonime; Carlo Secchi, professore ordinariodi Politica economica europea e direttoredell’Istituto studi latino-americani (Isla)presso l’Università Bocconi; Luigi Spaventa,professore di Economia politica dell’Universitàdi Roma; Terri Thompson, ColumbiaGraduate School of Journalism; GiacomoVaciago, direttore dell’Istituto di Economiae finanza dell’Università Cattolica delSacro Cuore.I giurati, in base ai criteri di selezione previstidal regolamento internazionale del premio,hanno valutato gli articoli in forma anonimae hanno quindi fondato la loro scelta esclusivamentesui contenuti. Della giuria non faparte alcun rappresentante di Citigroup.7


M E M O R I AUna brillante carriera al Corrieredella Sera spezzata per l’avversioneal fascismoIl ripiego sul cinema con la scopertadi un nuovo talentoCommentatore politico alla Stampanel dopoguerra e ancora“maestro” della critica cinematograficaFilippoSacchiCorrispondente, scrittore,critico cinematograficoUomo e cittadino, titolo della rivista di storia e civica curata da FilippoSacchi negli anni dell’esilio svizzero nel 1943-45, è in sintesi il programmadi una vita di impegno civile nel difendere la libertà di pensiero e di azione:una costante nel lungo operare del giornalista. Anche il suo esilio è laconseguenza di scelte politiche nette in un periodo, quello del regimefascista, di compromessi sempre più diffusi e di “consensi” interessati.Sacchi appartiene infatti, ha scritto Tullio Kezich, alla generazione che hasubìto “il purgatorio del ventennio”: nel suo caso, però, la robusta baseculturale e gli ideali lo orientano e sostengono nelle prese di posizione,sempre indipendenti.Nato a Vicenza il 6 aprile 1887 da una famiglia lombardo-piemontese – ilpadre è commerciante, fornitore di foraggio all’esercito –, compiuti gli studiginnasiali dai padri Somaschi a Novi Ligure, frequenta il liceo classico diVicenza, in un periodo felice dell’”Atene del Veneto”, dove vive AntonioFogazzaro, autore del romanzo di atmosfere risorgimentali Piccolo mondoantico, che diventa punto di riferimento per giovani come Sacchi.Un esempio di impegnocivile e onestà intellettualedi Renata BrogginiSono entrato per la prima volta in casaFogazzaro, presentato da Giovanni Malvezzi,nell’anno che precedette all’uscita delSanto, dunque fra il 1904 e il 1905. Il mioprimo ricordo è perciò quello di un Fogazzaroancor cinquantenne, attivo e felice. Fogazzaroera un ospite incomparabile: la vita, ilcalore della casa, quella apertura ospitale,quel decoro dell’educazione e dell’intelligenza,sciolto in un’aria di familiare ospitalità edi dialettale umorismo, erano suoi. Era unconversatore incantevole, brillante nell’argomentazione,inesauribile nell’aneddoto. Erasoprattutto, lui, presentato dai suoi detrattoricome un bigotto, un uomo di una libertà, diuna tolleranza, di una larghezza di spiritoquasi inconcepibile nel mondo delle lettere.Qui conosce il duca Tommaso Gallarati Scotti,letterato milanese del movimento “modernista”di riforma della società, del qualeresterà amico negli anni e a cui dedicherà ilsaggio Una vita tra Nievo e Fogazzaro. Iniziaa Padova gli studi in giurisprudenza, seguecorsi di musica, passa alla facoltà di lettere,si laurea con la tesi Teoria aristotelica nellatragedia greca. In quegli anni di “enormeeclettismo e dissipazione intellettuale”, sonoparole sue, ma di solida formazione, fondal’associazione di artisti “Il Manipolo” e pubblicaColori in un prisma, sulla IX Esposizioned’arte di Venezia, Uomini e idee nelle mostred’arte, Apologia del decoratore. La raffinatacultura storico-filosofica si rifletterà nei librisulle città del suo Veneto e nei pezzi giornalistici:Passai attraverso le discipline e le esperienzepiù disparate… studiando gli etruschi, poila storia dell’Inquisizione, poi buttandomisulla storia e sulla critica d’arte e scrivendone;per cui i miei primi volumi stampati furonoun libretto sulla biennale di Venezia del1911 e sulle mostre d’arte del 1912.Le prime esperienzesu L’Intesa liberaleMentre insegna al liceo “Pigafetta” di Vicenzafa le prime esperienze sul settimanale politicovicentino L’Intesa liberale, diretta da LuigiMorello: dall’aprile al luglio 1914 pubblicascritti in difesa dell’idea liberale e <strong>dei</strong> princìpicostituzionali, in polemica col moderatismodel foglio cattolico Il Berico e col “radicalismo”socialista. Notato da Piero Giacosa - padrenobile del giornalismo italiano - è incitato aseguire questa professione. Si trasferisceallora a Milano alla scuola tecnica “Piatti” e,su segnalazione di Giacosa, si presenta alCorriere della Sera diretto da Luigi Albertini,fratello di Alberto, genero di Giacosa. Ma all’iniziosenza molto successo:Ora, trovandomi a Milano, un giorno mivenne che dopo tutto potevo anche andarea visitare Albertini e, con una felice incoscienzache misurai più tardi quando conobbil’uomo da vicino, mi presentai in via Solferinoe mi feci annunciare dal direttore. Naturalmentenon venne lui, ma forse per deferenzaverso Giacosa di cui avevo fatto ilnome, arrivò suo fratello Alberto, il quale,squadrandomi con aria sorridente e incuriosita,fu molto gentile ma mi ripeté che nonc’era nessuna possibilità per il momento didarmi un lavoro… Ormai il giorno dopo nonci pensavo più quando, rincasando la serain via Vitruvio, trovo in portineria una letteracon l’intestazione “Corriere della Sera”.L’apro meravigliato. È dell’Alberto. Egli miprega di lasciargli con comodo un appuntoal giornale per dirgli se parlo lingue stranieree quali; è loro consuetudine tener presentequesto dato per tutti coloro che offrono ipropri servigi, e poiché il giorno avanti s’erascordato di domandarmelo lo faceva ora,tanto per regolarità. Io masticavo abbastanzail francese, ma leggevo soltanto un pocoil tedesco. Che dire? Il francese solo? Mipareva poco. Penso, ripenso, e alla finefattomi forza decido di bluffare e scrivosfrontatamente: “francese e tedesco”. Lasera dopo, ecco un’altra busta del “Corrieredella Sera” in portineria. È ancora dell’Albertoche mi dice: “Passi da me al giornalequando può”. Corro sino a Buenos Aires,salto su una carrozza e arrivo in via Solferino.“Vedo che lei parla il tedesco”, mi dicel’Alberto. “Ora, corre in questi giorni a Romavoce che, nel caso d’intervento dell’Italiacontro gli Imperi Centrali, la Svizzera mobiliterebbeimmediatamente contro di noi.Vuol andare per conto nostro nella Svizzeratedesca, che è quella che ci è più ostile, efare una piccola inchiesta per vedere cosac’è di vero? Naturalmente questo è daconsiderare un incarico straordinario chenon impegna assolutamente il giornaleverso di lei”. Rimasi come se un fulminedivino cadesse a incenerirmi per la miabugia. Era un bel pasticcio ma a quel puntonon potevo tirarmi indietro”.Inizia così da Zurigo dove non raccoglienessuna notizia, va allora a Berna dove chiedeaddirittura un colloquio col presidentedella Confederazione. Lo ottiene, e ArthurHoffmann - che parla l’italiano - gli concedeuna lunga intervista che il Corriere pubblicain prima pagina il 30 novembre 1914: Laneutralità Svizzera e i rapporti con l’Italia.Con il privilegio, per un esordiente, di firmarecon le iniziali “F.S.”. Il clamore dello scoop glivale l’assunzione immediata al giornale.Ancora da Berna invia un pezzo sull’organizzazionedella Grenzbesetzung - difesa difrontiera; mentre da Ginevra titola Lacoscienza patriottica: tema, quello dellacoscienza civica, che lo accompagnerà pertutta la vita.Sono i mesi difficili seguiti allo scoppio dellaGrande guerra, quando l’Italia è ancoraneutrale ma movimenti italiani guardano alle“terre irredente”, Trento e Trieste, quali obiettiviper portare il paese nel conflitto: unalarga parte della stampa anche moderatarigurgita di slogan nazionalistici. Le corrispondenzedi Sacchi, inviato proprio a Trieste,colpiscono per la “solida preparazionepolitica, un sereno distacco critico e una totaleassenza di retorica nazionalistica”, nelgiudizio che ne darà Alessandro GalanteGarrone. Ormai in forza al Corriere, si trovain un ambiente eccezionale in quanto almaggior quotidiano italiano collaborano fragli altri Luigi Einaudi, Luigi Barzini, Ugo Ojetti,e sono firme del Corriere Giovanni Verga,Luigi Pirandello, Gabriele D’Annunzio,Grazia Deledda, per fare qualche nome.Sacchi diventa presto uno <strong>dei</strong> più validi corrispondentiper gli “Imperi centrali” - copertodalla qualifica di rappresentante estero dellacartiera “Pirola” -, manda articoli da Budapest,Vienna, Monaco, Dresda, con sigle difantasia, firmati solo dopo il 24 maggio 1915con l’entrata in guerra dell’Italia, quando è dinuovo inviato a Berna. Arruolato nel settembre1916, ufficiale degli Alpini, mantienecontatti col giornale con incarichi di corrispondenzedal fronte. A fine guerra, nelgennaio 1919 torna in Germania, a Weimare a Berlino, dove assiste alla rivolta deglispartachisti; dal settembre è corrispondentestabile da Vienna; dal 1921 è redattore itinerantein Polonia, Jugoslavia, Grecia, Marocco,Olanda, Spagna, Egitto da dove inviamemorabili pezzi ripresi nel volume Città(1923). Ancora corrispondente per il conflittofra Russia sovietica e Polonia, è ormai unafirma di punta al Corriere.La reazione di Mussolinia un articolo dalla Spagna“Coerentemente e decisamente antifascista”dopo la marcia su Roma e la presa fascistadel potere nel 1922, Sacchi non si piega agliallettamenti di Mussolini verso i giornalisti,tanto da averne la carriera spezzata. Corrispondentein Spagna, invia difatti da Madridun articolo Esegesi di una dittatura (12 ottobre1923) che presenta con tono ironico ilgenerale Miguel Primo de Rivera, l’”uomoforte” del governo, con analogie evidenti all’Italia:Primo de Rivera viene a liberare il popolospagnolo da questo servaggio. Nelle dichiarazioni<strong>dei</strong> colleghi e nei panegirici dellastampa amica egli porta ormai il titolo aureodi “Salvatore della Spagna. Noi possediamol’autorità più alta”. È interessante seguire losviluppo di questa dottrina. Perché una voltamessi sulla strada dell’autolegittimismo, ecostituiti se stessi come fonte di diritto, èchiaro che tutto quello che essi fannotrascende il dominio delle contingenze politicheper passare in quello delle verità provvidenzialie della storia rivelata… Sicuri diquesta base, è perfettamente logico che ildirettorio abbia preso fin dal principio misureenergiche per tappare la bocca, ai “delinquentie ai perturbatori”, a tutti quelli che nonla pensano come lui.L’articolo provoca una violenta reazione diMussolini contro il Corriere e contro di lui,additato agli squadristi sul Popolo d’Italia pernome e cognome nel corsivo Il “Corrieredella Sera” gesuita e canaglia:Povero signor Filippo Sacchi, che crede di farla franca, diessere un grand’uomo, di apparire un genio, anzi un eroeche parte in campo a difendere la libertà, il Parlamento,la legalità, tutti gli aggeggi per cui spasimano i sedicentiliberali del Corriere della Sera!… Povero Filippo Sacchinon sarai tu a spiantare il Fascismo! E nemmeno ilCorriere della Sera che va ancora una volta bollato comegesuita, come canaglia… I fascisti di tutti i paesi d’Italia losappiano e lo ricordino.La minaccia è esplicita. Per molto meno,quanti italiani sono stati aggrediti, bastonatio uccisi? In quel clima di violenza, spesso8 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


Filippo Sacchicon l’attriceGinaLollobrigidae il produttoreCarlo Pontisul setdella Romana(1954).Feltrinelli. Questa situazione familiare lomette di fronte a una scelta difficile quando ildirettore Aldo Borelli gli comunica “o iscriversio lasciare”. Per Sacchi è “una mazzatasulla testa”:Io cercai di difendermi, di fargli presente lamia situazione non facile. Non era possibile,considerasse i miei precedenti, avevo godutala personale fiducia di Luigi Albertini, erostato nella pattuglia di punta <strong>dei</strong> suoi redattoricon Parri con Bauer con Mira con GallaratiScotti, avevo collaborato al “Caffè”: comefacevo a tirare un frego sul passato. Sottomettermiequivaleva alla mia morte civile…ORDINE 5 <strong>2005</strong>alla denuncia giornalistica seguono i fatti. Ilcollega Alberto Tarchiani gli consiglia dilasciare di sua volontà prima di essere espulso.Altra soluzione sarebbe adeguarsi ai“tempi nuovi” imposti dal regime che vaconsolidandosi. Ma Sacchi non si adegua enel 1924, dopo il delitto Matteotti, è autore -con Ferruccio Parri, Giovani Mira e RiccardoBauer - dell’editoriale del foglio antifascista IlCaffè. “Fu uno <strong>dei</strong> non molti cittadini, chefurono antifascisti d’istinto, per ragioni moralie, direi, di umana decenza”, scriverà GalanteGarrone:Pochi però sanno che Sacchi, nel novembre 1924, fu <strong>dei</strong>pochissimi che ebbero il coraggio di firmare e pubblicaresul Mondo di Amendola una lettera di solidarietà allavedova Bissolati, che si era rifiutata di partecipare all’inaugurazionedi una lapide in onore del marito, perchéannunciata la presenza di Mussolini. Firmarono con luiBauer, Calamandrei, Donati, Facchinetti, Gobetti, Gui(Vittorio), Jahier, Provenzale, Salvemini, Sforza, Zuccarini:il fiore dell’antifascismo italiano di quegli anni.Dopo la stretta autoritaria imposta dal regime,nel 1925 Sacchi è inviato speciale inAustralia e Nuova Zelanda lontano dallaprevedibile vendetta del fascismo. Nelle suecorrispondenze vi sono precisi attacchiall’incipiente retorica fascista, e l’opposizionesi manifesta anche nello stile <strong>dei</strong> suoiarticoli: sobrio, antiretorico, pieno di garbo eumiltà, eleganza e misura, venato di humore arguzia. Ispirato alla vita <strong>dei</strong> piantatori etagliatori di canna da zucchero italianiemigrati nel Queensland è il suo romanzoLa casa in Oceania (1932). Ristampato daMondadori nel 1955 nella collana “Grandinarratori italiani”, verrà recensito sul Corriereda Eugenio Montale:Il Sacchi, in un’arguta dedica che ci è capitata sott’occhio,preferisce definirsi narratore medio. Non si trattasolo di modestia (che in lui sarebbe sincera), ma di chiaracoscienza di quel carattere di umanissima e serena“medietà” che forma il persistente interesse del libro… Ilsuo libro ha la veridicità del documento e la nervatura,benché dissimulata, dell’opera costruita… Nella Casa inOceania s’incontrano figure ben delineate e un’indaginepsicologica assai sottile, anche se la mano dell’autoreresta sempre leggera. Tre o quattro di questi personaggici rimarranno nella memoria. Giudichi il lettore se esistanomolti “grandi narratori” italiani capaci di tanto.Rientrato, nel marzo 1926 viene “richiamato”su Parigi dove Alberto de Stefani, ministrodella Finanze, amico degli anni giovanilia Vicenza, lo fa convocare per “ammorbidirlo”.Sacchi non si presenta: “Non misentivo di rivederlo, e glielo scrissi. L’on. DeStefani prese questa lettera, di caratterestrettamente personale e privato, e la inoltròufficialmente a Roma perché si provvedessecontro di me”. La reazione del Corriere,“allineato”, è immediata: “Ella si è volontariamentemesso nella condizione di nonpoter continuare a collaborare nel nostrogiornale”, gli si scrive, sicché il contrattoviene “risolto per Sua colpa”. E questo èsoltanto il primo provvedimento.Nel maggio 1927 difatti Sacchi viene esclusodall’albo <strong>dei</strong> giornalisti, assieme aGiuseppe Antonio Borgese per disposizionedi Lando Ferretti, segretario del sindacato<strong>dei</strong> giornalisti e capo ufficio stampa delduce. Una brillante carriera interrotta. Il “nonpiù giornalista” è comunque aiutato dacolleghi amici: Eligio Possenti lo fa collaborare“in incognito” alla Domenica del Corrieree Guido Treves gli inventa una rubricacinematografica saltuaria sulla IllustrazioneItaliana, siglata da Sacchi con lo pseudonimo“John La Loupe”. Lo stesso direttoreamministrativo del Corriere gli affida unarubrichetta di “cronache del cinema”. L’11maggio 1929 compare la sua prima “Rasse-Ottanta di queste recensioni Sacchi le raccoglierànel volume Al cinema col lapis (1958).Ora una scelta di duecento su oltre duemilastanno nel libro Al cinema negli anni Trenta.Recensioni dal “Corriere della Sera” 1929-1941 (2000), curato da Elena Marcarini,studiosa di cinema italiano a Londra, e sonoconsiderate una scuola di critica cinematografica.“Sembrano contributi scritti appenaieri”, scrive Tullio Kezich nella prefazione allibro, perché “stimolano considerazioni einteressi d’ogni tipo”; inoltre la “ricchezzadell’espressione”, la “felicità dello stile” el’”esteso ventaglio <strong>dei</strong> riferimenti culturali”,sottolinea pure, sono “tirati in ballo senza laminima pedanteria”.Ma all’inizio degli anni ‘40, con la guerra, glispazi di manovra si restringono, e sulla stampanon si può discutere di iniziative che nonsiano state in precedenza “istruite” dal ministerodella Cultura popolare, cioè della propagnacinematografica” settimanale, poi quasigiornaliera, alla quale si aggiunge, dalmarzo 1932, “Corriere di Cinelandia”.Fu Balzan che dopo due anni vedendomi -come devo dire?- in pasticci, si mise in testadi ripescarmi… Naturalmente bisognavaavere il permesso da Roma. Fu Gino Roccache si mise di mezzo. Cosa curiosa ilpermesso fu dato con facilità, alla solacondizione che non comparissero né la miafirma né le mie iniziali. Sino allora, lo confesso,ero andato poco al cinema. Ma quandoho cominciato ad occuparmene, mi ci sonoattaccato.Dino Buzzati, firma storica del Corriere, ricorderà:Mi ricordo benissimo nel lontano 1929 lo choc provocatoa Milano e anche tra noi redattori del giornale dalle primecritiche cinematografiche pubblicate dal Corriere dellaSera. Sembrerà assurdo ai giovani di oggi ma negli anniVenti il cinematografo presso i benpensanti era ritenutoper lo più uno svago per ragazzi discoli che bigiavano lascuola, per cameriere e reclute in libera uscita. Come mail’austero Corriere prendeva sul serio una simile roba? Malo stupore e il quasi scandalo furono dissipati in pochesettimane. E così Sacchi, suo malgrado, divenne celebrein Italia come felice pioniere della critica cinematografica.Fama che finì per eclissare i suoi altri meriti di giornalistae di scrittore.Ma ancora interviene la politica. Regolarmenteassunto il 1° ottobre 1929, arrivaimmediata da Roma la rampogna di Ferretti,se già il 7 ottobre Eugenio Balzan devegiustificarne l’assunzione:Ora, credo bene ricordarLe che il Sacchi lavorava per gliillustrati, col Suo consenso, fino da quando lei era Segretariodel Sindacato <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> di Milano, e che se piùtardi il Dr. Maffii lo ha incaricato di fare qualche cosaanche per il Corriere, è stato perché, senza bisogno dialcuna mia richiesta, egli era stato autorizzato ad adoperarlo,purché non avesse, almeno per il momento, a figurarecon la firma.È la conferma di una “congiura” diretta adallontanare dal Corriere anche il direttoreamministrativo e i suoi protetti, perchéBalzan copre per davvero gli antifascisti cheriesce a non far licenziare. Sacchi ricorderàquella “tacita intesa” in La stampa e il cinemanel ventennio:Unico conforto era quello di non essere soli.Ho parlato di pecore nere. In ogni redazionepiù o meno c’era sempre un drappello, diciamocosì con una frase un po’ scurrile matanto pittoresca, di incastrati, quelli che sierano lasciati beccare nella pania. Al “Corriere”era un gruppo ragguardevole, tutta lavecchia guardia albertiniana; c’era Caprin,c’era Zanicotti, c’era Alonzi, e Simonazzi eDe Vita e Lasagna e Possenti e Wronowskie Cabibbe e Sartori; e poi c’era quel bravoamabilissimo cassiere Maggi e il buon protodella “Lettura”, Porati: tutta gente con cui sipoteva parlare liberamente, avere il confortodi uno scambio di idee. Anche del resto lostesso Balzan... Non ci si diceva nulla, manel modo come si salutavano, e parlavano,si sentiva il caldo, la corrente di una tacitaintesa.In pochi anni gli interventi dall’alto si fannopressanti: bisogna scrivere la parola “DUCE”in tutte lettere maiuscole (1933); viene istituitala Direzione generale della cinematografia(1934); tutti i giornalisti all’albo devono iscriversial Partito nazionale fascista. Sacchi nelfrattempo ha sposato Josepha, figlia delbanchiere Mino Gianzana, che a causa diquesta unione tronca i rapporti con la figlia;entra in disaccordo con lei anche la sorella,Giannalisa, moglie dell’industriale Carlo“Il fascismo s’è accontentatodella mia mortificazione”Infine, per poter continuare a lavorare, ècostretto a prendere la tessera: “Il fascismonon ha voluto la mia morte; si è accontentatodella mia mortificazione morale e dellamia squalifica politica”, dirà. Per dieci annicontinua come critico cinematografico alCorriere, sempre però fra limitazioni e pressioniperché si “metta in riga” con le direttive:Io ero pagato male. Benché la rubrica fossein quegli anni, per la immensa fortuna delcinema, e anche perché era un po’ uno scacciapensieri,una delle parti più lette del giornaleio sapevo… che gli altri miei colleghi,anche più giovani, riuscivano praticamente atoccare stipendi e compensi quasi doppi delmio. Un giorno me ne lagnai a ragione. Nonmi si diede torto. Mi si fece soltanto cortesementeosservare che anch’io potevo metterciun po’ di buona volontà. Per esempio sipoteva combinare un mio viaggio a Hollywood.Era semplicissimo. Appena arrivato aNew York io mandavo un articolo, uno soltanto,per descrivere quanto il duce fosseammirato e idolatrato in America. Tutto lì. Poime ne andassi pure a Hollywood, e non mioccupassi più che di dive e di cowboys.Naturalmente io lasciai cadere il discorso erimasi com’ero.Sacchi rifiuta difatti di adeguarsi, compie anziun’opera di erosione del costume e dellamentalità dominanti che diventa anche battagliacontro il regime fatta di giudizi fulminei,ironici, sarcastici, in un linguaggio che i lettoriimparano presto a conoscere. Un famososlogan di Mussolini “Il cinema è l’arma piùforte” viene applicato, si può dire, da Sacchicon un fine ben diverso da quello sottintesodal duce. “Il compito affidato all’antifascistaSacchi”, scrive Glauco Licata nella suaStoria del Corriere della Sera, “era statosottovalutato perché inizialmente non sipensava che la politica potesse entrareanche nel cinema, né si immaginava che sisarebbe specializzato in questo lavoro consideratoallora di secondaria importanza datutti”. Un impegno totale su scelte nonconformiste, malgrado le interferenze dellagerarchia, che gli è possibile perché haseguito nel pubblico e autorevolezza fra gliaddetti ai lavori.Domenico Meccoli in un’intervista sui “poteri”di Sacchi quale critico osserva: “All’indomanidi una ‘prima’ gli esercenti correvanocon gran batticuore a comprare il giornaleper leggere il suo responso, che voleva direbuoni incassi o irrimediabili ‘forni’”. Riescecosì a educare le nuove generazioni a capirecosa possa diventare un film alla scuola<strong>dei</strong> maestri europei e statunitensi. Il letteratovicentino Neri Pozza ha commentato:C’era in quei suoi giudizi fulminei non soltanto il gustolibertino, sottile, gustoso del narratore, ma anche il magisterodel professionista che insegnava a distinguere e acapire che cosa era l’invenzione visiva nelle dinamicadella sequenza, come in un racconto tutto per figure; eche cosa fosse, invece, il film commedia, il film teatro,chiuso nello spazio del palcoscenico, puntato sull’attore osull’attrice e tradotto in pellicola; che potrà essere operad’arte, ma non è cinema.9


M E M O R I AA sinistra:Filippo Sacchi a Locarno,intento a scrivere il diario.Nella foto a destracol suo “garante”, Lüisin Rusca,a Locarno nel 1943-45.FilippoSacchiganda. La critica viene sospesa per un certoperiodo su iniziativa di Vittorio Mussolini,“cineasta, figlio del duce, amareggiato inseguito ad alcune recensioni negative a pellicoleda lui ispirate”. Entrano poi considerazioni“autarchiche” sul cinema, lo stato “spendemilioni” che non possono essere compromessida “critica preconcetta”. Così, nel1941, sempre per decisione dall’alto Sacchiperde la sua rubrica - è sostituito da GuidoPiovene - e viene di nuovo allontanato delCorriere. I veri motivi della sospensionevanno rintracciati, commenta Kezich, in unquadro “squisitamente ideologico”: il punto è“la libertà di pensiero” del giornalista, “intollerabilesotto il tallone di un regime autoritario”.A Sacchi resta qualche collaborazione conromanzi a puntate agli illustrati - La Lettura,diretta da Renato Simoni; all’edizione pomeridianadel Corriere con L’amore viene dalmare; al Romanzo mensile con La Primadonna,ambientato nel mondo della Scaladell’ottocento, e con Il mare è buono. Nelfrattempo vive appartato con la famiglia - haormai tre figli Giorgio, Valeria e Cecilia - fraMilano e Cadenabbia sul lago di Como, econtinua l’intenso lavoro di scrittore. Levicende gli preparano però un ritorno allaribalta della stampa politica quando, il 25luglio 1943, cade il regime fascista e Mussoliniè arrestato. La notizia l’apprende nellavilla sul lago, si precipita in via Solferino,scopre che la maggior parte <strong>dei</strong> giornalistinon sono “reperibili” e che i tipografi lo hannogià acclamato “direttore” in sostituzione diAldo Borelli, estromesso d’autorità.Stare in guardia controogni facile illusioneIl 26 luglio il Corriere della Sera esce firmato“Filippo Sacchi responsabile” poi subentraEttore Janni e gli viene attribuita l’edizionedel Pomeriggio. Nel suo editoriale Perl’Italia, uscito il 27 luglio, si avverte il sentimentodi riconquistata libertà dopo vent’annidi “arbitrio”, ma anche l’avvertimento astare in guardia contro le troppo “facili illusioni”:L’Italia ieri ha sorriso. Chi è sceso nellepiazze cittadine, chi ha percorso i sobborghi,chi ha attraversato in treno campagnee province, ha visto questo miracolo: l’Italiasorridere. Questo popolo al quale sonostate tolte per vent’anni le libertà retaggio<strong>dei</strong> suoi padri, questo popolo avvilito nelsuo senso di giustizia da un regime di arbitrio,offeso nel suo bisogno di onestà da unesercizio di pubblica concussione, questopopolo che sanguina per le mutilazioni diuna guerra impari, appena ha potuto sprigionarel’animo, ridiventare se stesso, hatrovato la forza di mostrare un volto ridente.In questa ora gravissima, alla vigilia di soluzioniche imporranno al paese nuove feritee nuovi sacrifici, ci appaia questo sorrisodelle folle italiche come l’auspicio invocato,come la certezza della comune riscossa e<strong>dei</strong> comuni destini. Dice, questo sorriso,che l’Italia non muore, che le stupendevirtù sono state ottenebrate, non spentedalla sospensione <strong>dei</strong> suoi diritti; dice chechi assume oggi la responsabilità di guidarlopuò contare ancora sopra la mirabileriserva di calma, di laboriosità, di coraggio.Non illudiamoci: come gli individui, nell’oradella sventura, anche i nostri popoli debbonocontare soltanto su se stessi. L’ora dellasventura si è abbattuta sulla nostra patria,per superarla col minor danno, per noi eper i nostri figli, e soprattutto per superarlacon onore, come debbono gli uomini forti ei popoli forti, noi non abbiamo che unmezzo: chiamare a raccolta le nostre energie,stringere i denti, far tacere i sacri e nonsacri egoismi, riunire tutto il meglio di noiper darlo all’Italia.I suoi editoriali - Tornare al lavoro, Chiarificazione,La legalità restaurata - danno lalinea, come i nuovi collaboratori. PieroCalamandrei, commissario straordinariodegli avvocati, manda Gli avvocati e lalibertà e Indipendenza della magistratura:“Le dirò che fin dal 26 luglio i lettori hannoritrovato nel Corriere il “tono” giusto: lafermezza, la dignità, la sincerità senzaenfasi… Pur con tutte le limitazioni postealla stampa, gli articoli del Corriere dannooggi l’impressione di un consapevole egraduale ritorno alla libertà e alla... pulizia”;ma si dice “avvilito e disgustato” di trovarenel giornale ancora i nomi di certi scrittoriche “sebbene ammirati per la loro arte”,non dovrebbero almeno “scherzare cosìsulla smemoratezza e la dabbenaggine delpubblico, e, quel che più offende, sui doloriatroci del nostro Paese”.Si scaglia insomma Calamandrei contro“chi per vent’anni è stato fascista, che dalfascismo ha avuto guadagni e posti dicomando e onori, che certo non avrebbeavuto dalla sua arte”, e a distanza di unmese dal crollo si trova “a fare <strong>dei</strong> giuochidi parole sul regime che l’ha portato su, e asputare allegramente sul piatto che l’hanutrito, come un pagliaccio che si presentaagli spettatori con un nuovo programma dilazzi e di capriole”. Chiamata da Sacchi èanche Camilla Cederna che proprio il 7settembre esce con un articolo rimastofamoso, La moda nera, che, ricorda GiuliaBorgese, le costerà poco dopo l’arresto alritorno <strong>dei</strong> fascisti. All’annuncio dell’armistizio,l’8 settembre, Sacchi scrive sul Pomeriggioil suo ultimo commento di quelle settimane,Coscienza:L’Italia depone le armi. La guerra non èfinita. Lo sappiamo: questa fu la guerra delfascismo. La massa del popolo, la folladegli umili non voleva la guerra; vi futrascinata riluttante. E in quest’ora diespiazione, si può, si deve deprecareancora una volta la follia di una classe politica,che giocò, come fossero gettoni sultappeto verde, la vita e la prosperità dellaNazione… L’armistizio ci separa daglialleati tedeschi. Diciamolo perché è undovere dirlo. Comunque siano le decisionich’essi prenderanno, comunque la via chescelgono, noi dobbiamo congedarci daessi da soldati. Pur perseguendo propriscopi di guerra, essi hanno tuttaviacombattuto al nostro fianco… Diamo lorola certezza di ritrovarsi domani, riuniti inquel nuovo patto sociale e politico <strong>dei</strong>popoli, che dovrà uscire da questa funestaguerra, come è vero Iddio, come è veroche l’Italia è eterna.Quando i tedeschi occupano Milano e prendonoil controllo del Corriere, con altri 34redattori sottoscrive la dichiarazione di“cessazione” con cui si dimette per noncollaborare. Esposto a rappresaglie, siallontana, torna a Cadenabbia e - ricercato- si convince a espatriare. Dalle montagnedella val d’Intelvi raggiunge la Svizzera lanotte del 16 settembre 1943, con altrifuggiaschi, e dopo serrata trattativa è accoltonel Canton Ticino:Quando passai il confine del Generosoquella notte io ero moralmente un apolide.Ero un cittadino senza Costituzione.Lo stato italiano, lo stato del mio paese erasciolto. Tutte le garanzie della legge mierano state tolte perché la legge non avevapiù il potere legale che la garantiva. Io nonavevo più diritti politici.Non potevo più votare. Non ero libero diesercitare la mia professione. La sola leggevalida, la sola funzionante era l’imperiodell’occupante straniero, cioè una leggenon italiana, non mia, non quella sotto laquale ero nato, e sotto la quale, secondogaranzia sovrana, avrei potuto vivere liberoassieme ai miei figli.“Tristissimo giorno di quel fatale settembre”,dirà nel rievocare il momento di lasciarel’Italia, più che altro per “l’offesa che feriscel’uomo libero nel vedersi costretto dallaviolenza ad abbandonare il proprio paese”.Un misto di nostalgia e inquietudine, inconsolabilitàe rabbia repressa: “l’affacciarsi diquella sindrome dell’esiliato che risparmiapochi fuggiaschi e di Sacchi rimase poi ilmaggior tormento”, ricorderà Bruno Caizzi,un altro amico. Sistemato in privato, trovasicurezza e ospitalità da Luigi Rusca“Lüisin”, nella casa ora Pinacoteca comunaledi Locarno. Aiutato a superare ildistacco dalla patria, dal lavoro, dagli affettiha modo di entrare in contatto con famiglielocarnesi, fare amicizie durature e incontrarealtri esuli o fuorusciti, riavere insommauna vita civile. Scrive all’amico EugenioBalzan, da anni residente a Zurigo:Ebbi fortuna, e non solo rimasi, ma fui cosìben aiutato dai miei amici ticinesi che ilComando di Bellinzona mi mise subito inlibertà, assegnandomi di residenza aLocarno, dove ho trovato ospitalità in casadel signor Luigi Rusca, un’eccellentepersona che mi colma di ogni attenzione ecortesia. Caro Balzan, che romanzo!Inizia a prendere appunti giornalieri, per sé,pubblicati a cento anni dalla nascita - Unfuoruscito a Locarno. Diario 1943-1944(1987), curato da chi scrive, e vi riversa leemozioni di incontri, letture, speranze;diario singolare “tutto intessuto non tanto diriflessioni astratte quanto di freschissimeimpressioni dal vivo”, noterà GalanteGarrone nella prefazione. Ignazio Silone ètra i fuorusciti della vecchia emigrazionepolitica con cui si trova:11 <strong>Maggio</strong> [1944], giovedì. Mi telefona[Piero] della Giusta che vuole vedermi nelpomeriggio. Poi [Vincenzo] Formica perdirmi che Silone è a Locarno, e vuol conoscermi.Combino due appuntamenti separati,col risultato naturalmente che tuttitardano e arrivano contemporaneamente.(“Talian!” brontola il Lüisin). Simpatia perSilone: viso lungo e pesante, espressionedi sofferenza e fatica, e quel madore dellapelle degli ammalati di petto. È uno diquegli uomini, come Formica, Pacciardi,…da vent’anni peregrinano tra le prigioni e icampi di concentramento d’Europa. Fu aun certo momento il capo del partito comunistain Italia. Dopo il ‘21 andò in Russia,dove divenne anticomunista, e per questoperseguitato ed espulso. Mi dice come,dopo dieci anni di isolamento assoluto, e dilontananza da ogni partito, si sia risolto dirientrare nel socialismo. È in fondo il suonaturale terreno di azione, nel quale puòancora farsi ascoltare. “È la mia parrocchia”dice. (Il che ha un suono bizzarro, perchéin gioventù Silone aveva incominciato astudiare da prete). Frutto di tutte le esperienzee i disinganni passati, è la convinzioneche compito principale e urgente siadi formare le masse italiane a una coscienzadi civile dignità e libera consapevolezza.E in questo senso ha l’impressione che puòforse lavorare utilmente. Dei suoi libri haun’opinione modesta, ma con serietà. Glifa paura di affrontare il giudizio diretto delpubblico italiano; vorrebbe che non avvenisseprima di poter portare a una piùmatura stesura il suo stile.Anche piccoli episodi di vita quotidianahanno, nelle sue pagine, rimandi a fatti,considerazioni, paragoni con le vicendedrammatiche dell’Italia di quei mesi o conquelle personali degli anni precedenti:24 <strong>Maggio</strong> [1944], mercoledì. Arriva unsesto leprotto. Questo ha forse venti giorni:già un ragazzino. Troppo avvezzo al prato eal bosco, e inselvatichito, non si fa allacasa, e lasciato per la stanza, tenta condisperati balzi sulla parete di cercarsi un’uscita,al punto quasi di aggrapparsi. Lomettiamo nella stessa casa di Gioci, conl’idea che si affiati, ma questi non fa nulla10 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


quotidiani italiani. Temi ricorrenti nei suoipezzi sono: necessità di un serio, profondoimpegno morale e di una partecipazioneindividuale allo sviluppo della democrazia;denuncia di atteggiamenti nostalgici versoil passato e di pressioni ideologiche;promozione di un radicale cambiamento diistituzioni burocratiche; pacifismo e avversionealle gerarchie militari. Sacchi vieneseguito con interesse da un pubblico attentoe critico. Nel 1955 gli scrive ad esempioSandro Pertini, deputato socialista:ORDINE 5 <strong>2005</strong>per confortarlo. Sdraiato, con le due zampe,come a farsi cuscino. Le due posterioribeatamente stirate, la pancia all’aria,contempla indifferente quell’agitazione,come il prigioniero già assuefatto e contentodella tirannia, guarda senza capirla l’angosciadell’uomo libero che stende la manoai ceppi. Dieci anni fa Borelli mi guardavaallo stesso modo, sdraiato dietro alla scrivania,il sigaro in bocca, il giorno in cui micomunicò che dovevo scegliere fra l’iscrizioneo il licenziamento.Il tempo passa nella malinconia, appenaattenuata dalle letture <strong>dei</strong> classici che glirimandano gli echi di una civiltà - quellagreca - tanto ammirata, e dalle amiciziescoperte nella nuova “patria” locarnese.17 Settembre [1944], domenica. Unicoacquisto, in tanta disperazione, è stato lostudio. Le letture greche, che mi hannoridato finalmente familiarità con una linguae una civiltà che sempre più incarnano perme la suprema espressione umana, laconoscenza di Burckhardt, di Bachofen,ecc. furono guadagni reali, <strong>dei</strong> beni chesarei incosciente se non apprezzassi. E unbene fu senza dubbio l’acquisto di un’amiciziacome questa del Lüisin, rara amiciziadi quelle che accompagnano per un pezzo;e anche la dimestichezza con questa caracittà, che così intimamente mi ha accolto,anzi quasi adottato, diventando proprio perme quasi una minore e provvisoria patria.Beni certi, ma forse beni relativi e sostituibili.E perciò non potranno mai compensareil danno assoluto e irreparabile di averperduto un anno di vita assieme al mioamore, a mia madre, ai miei figli.Con il tempo viene però coinvolto dall’esulerepubblicano Egidio Reale, allora a Ginevra,in un progetto “pedagogico” a favore einizia a collaborare alla Young men christianassociation (YMCA), curando pubblicazionidi carattere storico-politico e educativo pergli italiani internati in Svizzera e prigionierinei campi di mezzo mondo, assieme adaltri “rifugiati politici”: Luigi Einaudi, ErnestoRossi, Ernesto Carletti, Gustavo Sacerdoti;raccoglie inoltre e cura gli scritti del volumeUomo e cittadino, pubblicato a Locano nel1945 (con 30.000 copie distribuite nei varicampi d’internamento). Alla notizia dell’insurrezionedi Milano, il 25 aprile 1945,richiede alla delegazione del Comitato diliberazione nazionale alta Italia a Lugano latessera per rimpatriare subito, nonostantela chiusura della frontiera svizzera decretatadagli anglo-americani.Il 28 aprile, Sacchi rientra in Italia viaChiasso e raggiunge la famiglia a Griantedi Cadenabbia, senza sapere che la causadelle sue disavventure e della rovina delpaese, Mussolini, è fucilato lì vicino, a Giulinodi Mezzegra, dai partigiani. Solo ora hamodo di confrontare l’esperienza svizzera,piena di limitazioni, con quella di chi hasubito l’occupazione, e sapere a cosa erascampato: “Noi non avevamo l’idea lassù,di quanto deprimente e brutto sia statoquesto periodo di occupazione, per chi èrimasto qui. Mia moglie molestata non fu,però vennero a cercarmi in casa cinquevolte. E solo qui ho saputo d’essere statoprocessato in contumacia, e condannato atrent’anni”.Ritorno alla vita civile:i cardini della democraziaGià nei primi giorni compila per il Centroitaliano di cultura sociale (CICS) la relazioneRitorno alla vita civile (1945), pubblicataa Como in collaborazione con la YMCA. Iltesto riflette la sua recente esperienza divita, ed è un breve trattato di educazionecivica che analizza i cardini degli ordinamentidemocratici: voto, elezione, diritto allalibertà di pensiero, parola, stampa, riunione,associazione. Tornato poi a Milano,riprende con entusiasmo il lavoro e quandoil Corriere riavvia i supplementi gli vieneaffidata la direzione della Lettura, dovechiama molti tra i maggiori scrittori, poeti,politici e critici italiani: esperienza terminatanell’agosto 1947 “per il rifiuto a seguire l’andazzomonarchico-qualunquista che fece lafortuna di tutti gli altri periodici”.Collabora anche al Corriere d’Informazionediretto dall’amico Borsa, durante lacampagna del referendum istituzionalescrive a favore della repubblica sul NuovoCorriere della Sera e alla sconfitta dellamonarchia il 2 giugno 1946, in una serie dieditoriali, sottolinea la necessità diadeguare i simboli dello stato alla formarepubblicano con la proposta tra l’altro diadottare per “nazionale” l’inno di Mameli.Inviato a Parigi, nell’agosto-settembre1946 segue la Conferenza che impone lecondizioni di pace fra l’Italia e le nazionivincitrici della guerra e invia precise cronache,culminate in cinque articoli di fondo acommento del discorso del presidente delConsiglio, Alcide De Gasperi, e delle replichesuccessive. A Parigi viene a conoscenzadell’ostilità della proprietà delCorriere - i fratelli Crespi - alla linea repubblicanadel direttore Mario Borsa, cheSacchi stima in modo particolare per affinitàdi princìpi.Alla notizia che Borsa è stato sostituito conil monarchico Guglielmo Emanuel, Sacchilascia per il “radicale mutamento nell’orientamentopolitico del giornale” cui “incoscienza non mi sento di aderire”, scriveall’amministratore. Dà seguito così ai temiavviati in Svizzera e pubblica il mensileUomo e cittadino, rivista di studi politicosocialidel Centro italiano di cultura sociale(CICS), voluta col fine di “combattere l’analfabetismopolitico” e “risvegliare l’interessepopolare per la cosa pubblica”. Lasciatodefinitivamente il Corriere della Sera in unperiodo vivace per l’editoria - a Milanoescono 18 quotidiani del mattino - Sacchidiventa nell’agosto 1947 responsabile delpomeridiano Corriere Lombardo, poi anchein edizione del mattino con la testataCorriere di Milano. È finanziato da un gruppodi industriali interessati a sostenere ilruolo di una forza di centro laica - la cosiddetta“terza forza” - garante di una maggioregiustizia sociale. Ma dopo il successoelettorale della Democrazia cristiana il 18aprile 1948, con la fine della “minacciacomunista” l’interesse <strong>dei</strong> finanziatori vienemeno e il giornale cessa le pubblicazioni il30 giugno, dopo l’ultimo editoriale il 12maggio per la nomina di Luigi Einaudi allapresidenza. Ennio Flaiano, alla notizia dellachiusura del Corriere di Milano, scrive aSacchi:Ne provo un dolore sincero, perché è stato un bel giornale,sereno, obiettivo, sempre misurato e tollerante: nonpoteva aver fortuna in questo paese. Tu sai che io ti sonoamico e che se non te l’ho dimostrato collaborando conmolta frequenza al giornale, ciò è dipeso dal troppo lavoroche ho sempre dovuto svolgere per tenermi a galla.Vorrei che in questo momento tu sentissi la mia simpatiaper i tuoi nobili sforzi e il mio dolore per la fine del giornaleche hai così ben diretto.L’ex direttore riprende i suoi temi e pubblical’ABC del cittadino (1950); pubblica Toscanini(1951), ritratto ripreso in gran partedalla viva voce del protagonista integratoda confidenze di testimoni e da documentidisponibili, prima biografia del maestro,ristampato come Un secolo di musica(1960). Nel novembre 1948, su invito diGiulio De Benedetti, passa alla Stampa eper dieci anni è editorialista della domenicae inviato speciale, mentre il giornaleconquista il secondo posto per tiratura fra iCaro Sacchi, non la conosco personalmente, ma ho ilpiacere di leggerla spesso e di constatare quanto spiritualmentesiamo vicini, anche se ella non condivide lamia ideologia. Già prima d’ora avrei voluto scriverle permanifestarle tutta la mia solidarietà per le sue idee da leiespresse sempre con coraggio e sincerità (doti questeun po’ rare oggi). Ma l’ultimo suo articolo non può lasciarmisilenzioso. Permetta che le dica: Bravo, cento voltebravo, caro Sacchi. Non disdegni questo mio plauso. Leviene da un uomo che nella lotta antifascista crede di averpagato un prezzo non lieve. E leggendo il suo forte edonesto articolo, mi sono persuaso che, al di sopra d’ognicontrasto politico ed ideologico, sia possibile un’intesa fraquanti amano le libertà democratiche ed hanno sinceramentea cuore la sorte della Repubblica e della classelavoratrice. Mi consenta di dirle che anche per merito suoLa Stampa è oggi il quotidiano più ben fatto d’Italia.Nel 1954, per l’atteggiamento di eccessivaprudenza del direttore De Benedetti dopo ilcambiamento di proprietà del giornale, daAlfredo Frassati - industriale liberalepiemontese legato a Sacchi da rapporti diamicizia e stima - agli Agnelli, tronca la suacollaborazione. Lasciato il giornalismo politico,torna al suo antico amore e cura perEpoca, diretta da Mondadori, una rubricasettimanale di critica cinematografica durataben diciassette anni. Un’antologia diquesti scritti è ora presentata nel volumeL’epoca di Filippo Sacchi. Recensioni 1958-1971, curato da Nuccio Lodato (2003).Registi e uomini di cinemaattendono il suo giudizioOra sono i più noti registi e uomini di cinemaad attendere con trepidazione il suogiudizio. Così ad esempio De Sica nel1956: “ti ringrazio per il tuo articolo e tuadifesa per lo scempio eseguito dalla censura”;Fellini a proposito di Giulietta deglispiriti: “Caso Sacchi, che gioia, che soddisfazione,che conforto. Grazie con tutto ilmio cuore e un abbraccio commosso ancheda parte di Giulietta”. Per La dolce vita locomplimenta Ennio Flaiano:Caro Sacchi, non ridere… Ho aspettato a scriverti un po’di tempo per vedere se, assieme a te, qualche altro criticocinematografico si era accorto della mia presenza nelfilm La dolce vita. Vana attesa. Soltanto tu hai notato lamia collaborazione. Abbiti quindi tutti i miei ringraziamenti.In un mondo indifferente e forse ostile fa piacere lacertezza di un amico che ricorda. Ti sono tanto più gratodella tua citazione, perché in essa trapela l’antica stima esimpatia che mi hai sempre dimostrato e che io contraccambiocon affetto. Dunque… non ridere.Ottiene <strong>dei</strong> riconoscimenti: nel 1961presiede a Venezia la giuria della Mostrainternazionale del cinema, nel 1962 riceveil premio “Città di Cattolica” per la criticacinematografica, nel 1964 il premio “Marotta”,nel 1968 il “Saint Vincent” quale “giornalistache, con la propria attività, si èparticolarmente distinto nell’esercizio dellasua professione, sia per la validità dellasua pubblicistica sia per la dirittura morale”.Partecipa al ciclo di Lezioni e testimonianzemilanesi su Fascismo e antifascismo(1918-1948); pubbica l’antologia dellasua produzione giornalistica che intitolaViaggi al paese del Mai Mai (1961), riferimentoal viaggio mitizzato in Oceania del1925.Negli ultimi anni torna alla vocazione perl’insegnamento con un manuale di storia intre volumi per le scuole medie superiori Lanostra storia (1969-1971): “È il mio contributoper cercare di capire il passato”, spiegava,“in un Paese come il nostro dove sidimentica tutto e quel poco che resta sismussa in breve tempo”. Sacchi muore il 7settembre 1971 durante la villeggiaturanella casa <strong>dei</strong> Ronchi, in Versilia, pochigiorni dopo essere andato alla stazione diMassa a consegnare al capotreno (tramitefuori sacco, servizio speciale per i giornalisti,come usava) la recensione per Epocadi Scusi lei è favorevole o contrario, rivalutazionedel film di Alberto Sordi del 1967.Lorenzo Pellizzari, storico del cinema,osserva: “quale migliore morte sulcampo?”. Vivo e attuale resta però il suoimmenso lavoro di educatore e giornalista.11


P R O F E S S I O N EIl paradosso di una categoria:“attività giornalistica non occasionale”e retribuzione variabili indipendentiDiventare giornalista pubblicistae svolgere attività da pubblicista:articoli, compensi, Albo e Inpgi/2Per l’ordinamento pubblico è “occasionale” il lavoro fino a 5.000 euro all’anno, mentre per l’Inpgi/2 è occasionale quello fino a 1.500 euro all’anno.L’attività pubblicistica “non occasionale” per conquistare il diritto all’iscrizione nell’Albo (40 articoli in due anni secondo il Cnog) è compresa, sotto ilprofilo economico, nel concetto quantitativo del “lavoro occasionale” sia dello Stato sia dell’Inpgi/2, quando il compenso biennale corrisponda al 25per cento <strong>dei</strong> minimi del Tariffario stabilito ogni anno dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong>.ricerca di Franco Abruzzo*1 2Chi è il giornalistapubblicistaDice l’articolo 1 (IV comma) della legge n. 69/1963: «Sonopubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica nonoccasionale e retribuita anche se esercitano altre professionio impieghi». La Corte di Cassazione (Cass. pen., 2aprile 1971, in Riv. dir. sportivo, 1971, 121) ha stabilito esattamentela differenza fondamentale tra pubblicisti e professionistiin base alla «professionalità esclusiva» di questi ultimi,laddove i primi, pur svolgendo sempre un’attività nonoccasionale e retribuita, possono anche esercitare altreprofessioni. È dunque arbitraria - secondo la Suprema Corte- una discriminazione qualitativa tra la natura e l’ampiezzadegli scritti che sarebbero permessi all’una o inibiti all’altracategoria. “Nell’ordinamento della professione di giornalista,di cui all’art. 35 l. 3 febbraio 1963 n. 69, l’iscrizione nell’elenco<strong>dei</strong> pubblicisti dipende, non dal livello qualitativo degli articoliscritti, ma dal concorso di requisiti e condizioni previstidall’art. 35 della stessa legge, mentre all’organo professionalenon spetta alcuna valutazione discrezionale, neppuretecnica, sull’istanza dell’aspirante, ma il mero riscontro dellasussistenza <strong>dei</strong> richiesti presupposti, essendo da escludereche detta iscrizione abbia la funzione di garantire il buonlivello qualitativo della stampa (richiami a Corte cost. n. 11 e98 del 1968 e n. 424 del 1989)”. (Cass. civ. Sez.III 14-01-2002, n. 360; Giordanelli c. Cons. naz. Ord. giornalisti e altri;FONTI Mass. Giur. It., 2002, Foro It., 2002, I).L’articolo 35 della legge citata disciplina le «modalità d’iscrizionenell’elenco <strong>dei</strong> pubblicisti» e precisa che «la domandadeve essere corredata… anche dai giornali e periodicicontenenti scritti a firma del richiedente, e da certificati <strong>dei</strong>direttori delle pubblicazioni, che comprovino l’attivitàpubblicistica regolarmente retribuita da almeno dueanni». L’articolo 34 del Regolamento per l’esecuzione dellalegge professionale (Dpr n. 115/1965) precisa che «ai finidell’iscrizione nell’elenco <strong>dei</strong> pubblicisti, la documentazioneprevista dall’articolo 35 della legge deve contenere elementicirca l’effettivo svolgimento dell’attività giornalisticanell’ultimo biennio».L’articolo 34 del Regolamento detta norme:a) per chi esplica la propria attività con corrispondenze earticoli non firmati (l’attestazione del direttore in questocaso è fondamentale);b) per i collaboratori <strong>dei</strong> servizi giornalistici della radio televisione,delle agenzie di stampa e <strong>dei</strong> cinegiornali; c) per i telecinefotoperatori.L’articolo 34 del Regolamento afferma, infine,nell’ultimo comma: «Il Consiglio regionale può richiederegli ulteriori elementi che riterrà opportuni in merito all’eserciziodella attività giornalistica da parte degli interessati».L’aspirante pubblicista:a) è normalmente una persona che esercita altre professionio impieghi. È una persona, cioè, che non può svolgere inesclusiva la professione di giornalista, caratteristica quest’ultimadel giornalista professionista;b) condizione per l’iscrizione è l’aver svolto per due anniun’attività giornalistica non occasionale e retribuita regolarmente;c) l’attività giornalistica consiste in scritti, articoli, corrispondenzesu giornali e periodici (la legge non parla ditirature, aree diffusionali, corpo redazionale, etc.);d) i certificati rilasciati dai direttori (delle pubblicazioni) devonocomprovare l’attività pubblicistica regolarmente retribuitada almeno due anni;e) la domanda deve essere corredata dai giornali e periodicicon gli scritti, gli articoli e le corrispondenze (anche nonfirmati). Il Regolamento aggiunge che la documentazionedeve contenere elementi circa l’effettivo svolgimentodell’attività giornalistica nell’ultimo biennio.La retribuzionedell’aspirantepubblicistaIl problema dell’iscrizione all’elenco pubblicisti, sotto il profilodella retribuzione, è stato affrontato due volte dalla Cortecostituzionale con una sentenza e con un’ordinanza:sentenza 21-23 marzo 1968 n. 11a) «L’appartenenza all’<strong>Ordine</strong> non è condizione necessariaper lo svolgimento di un’attività giornalistica che non abbiarigorosa caratteristica di professionalità».b) «L’esperienza dimostra che il giornalismo, se si alimentaanche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente,vive soprattutto attraverso l’opera quotidiana <strong>dei</strong>professionisti. Alla loro libertà si connette, in un unico destino,la libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizioneessenziale di quel libero confronto di idee nel quale lademocrazia affonda le sue radici vitali».c) «Del pari non fondata è la questione relativa al primocomma dell’articolo 35, impugnato nella parte in cui stabilisceche al fine dell’iscrizione nell’elenco <strong>dei</strong> pubblicisti ilrichiedente deve offrire la dimostrazione di aver svolto attivitàretribuita da almeno due anni. Il timore espresso dal giudicea quo che questa norma consenta un sindacato sullepubblicazioni non ha ragione di essere, perché la certificazione<strong>dei</strong> direttori e la esibizione degli scritti sono elementirichiesti solo al fine di consentire che venga accertato sel’attività sia stata esercitata né occasionalmente né gratuitamentee per il tempo richiesto dalla legge, e non ancheallo scopo di imporre o di permettere una valutazione dimerito capace di risolversi, come afferma l’ordinanza, in “unaforma larvata di censura ideologica”».ordinanza 6-18 luglio 1989 n. 420:«È manifestamente infondata la questione di costituzionalitàdell’articolo 35 legge 3 febbraio 1963 n. 69 in quanto l’accertamentodel requisito della regolare retribuzione richiesto perl’iscrizione all’albo <strong>dei</strong> pubblicisti non postula una valutazionediscrezionale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti essendo questo tenutoall’adempimento secondo le comuni regole probatorie esulla base di criteri desumibili dalle normali regole dell’esperienza».Considerazioni sulla sentenza e sull’ordinanza della Cortecostituzionale. La Corte costituzionale dice:a) che il Consiglio non può svolgere alcun sindacato sullepubblicazioni e alcuna valutazione di merito sugli scritti;b) che la certificazione <strong>dei</strong> direttori (che abbraccia anche laregolare retribuzione) e la esibizione degli scritti sonoelementi richiesti solo al fine di consentire che venga accertatose l’attività sia stata esercitata né occasionalmente négratuitamente;c) che il requisito della regolare retribuzione non postula unavalutazione discrezionale dell’<strong>Ordine</strong> essendo questo tenutoall’adempimento secondo le comuni regole probatorie e sullabase di criteri desumibili dalle normali regole dell’esperienza.Questi sono i tre punti centrali della sentenza e dell’ordinanza,che integrano la legge istitutiva dell’<strong>Ordine</strong> e il suo regolamentodi esecuzione. Le pronunce della Corte costituzionalehanno la stessa incidenza della legge.Le conseguenze:1) dalla lettera b) si capisce nettamente che il Consiglio haun potere meramente ricognitivo e che l’attività giornalisticanon deve essere né occasionale né GRATUITA (la retribuzionepuò, quindi, variare da una lira a un massimo indefinito).All’aspirante pubblicista non si applica il TARIFFARIO. IlTARIFFARIO, è evidente, vale a valle, cioè per chi è giàprofessionista o pubblicista.3Non è obbligatoriorispettare i minimi tariffaridel CnogIl pretore di Vasto, con sentenza n. 87 del 4 giugno 1993(pubblicata nel Bollettino dell’Uspi), ha esaminato la legittimitàdelle pattuizioni individuali, che prevedano per le collaborazioniprofessionali compensi inferiori a quelli stabiliti daltariffario approvato dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong>giornalisti. Il pretore ha osservato che l’articolo 2233 delCodice civile, in tema di prestazioni a carattere intellettuale,stabilisce che il compenso, se non è convenuto dalle parti enon può essere determinato secondo le tariffe e gli usi, èdeterminato dal giudice previo parere del competente <strong>Ordine</strong>professionale.In presenza di pattuizioni definite tra le parti e, quindi, ricorrendoil primo <strong>dei</strong> criteri previsti dall’articolo 2233, si rendenecessario, ad avviso del pretore, determinare se tali pattuizionidebbano considerarsi nulle per contrasto con normeimperative di legge che stabiliscono minimi di tariffa inderogabili.In tema di compensi professionali, la giurisprudenzadella Corte di Cassazione - ha rilevato il pretore - sancisceche la semplice previsione di minimi tariffari non di per sésufficiente a comportarne l’inderogabilità, stante il principiodella libera negoziabilità del compenso sancito dal Codicecivile. L’inderogabilità del tariffario potrebbe infatti conseguiresolo dal recepimento dello stesso nell’ambito di specifichedisposizioni di legge. Ne deriva, ad avviso del pretore, che iltariffario adottato dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti,non essendo recepito in alcun atto formale o sostanzialedi legge, può essere legittimamente derogato in pejusnell’esercizio della libera volontà delle parti stipulanti il4compenso.Sentenze che fissano«comuni regole probatoriee criteri desumibilidalle normali regoledell’esperienza»:a) devono essere ritenuti validi anche articoli pubblicati sumodesti periodici (Corte Appello Napoli, 27 gennaio 1971 inAngelo Cardillo, Le leggi sulla stampa, Edizioni Bucalo).Cardillo parla di una cinquantina di articoli nell’ultimo biennioa corredo della domanda di iscrizione nell’elenco pubblicistidell’Albo. Cardillo riferisce, inoltre, che alcuni Consigliprescindono dalla tiratura <strong>dei</strong> giornali e danno peso al contenutoegli articoli; ed anzi, in presenza di un contenuto obiettivamentegiornalistico, accettano anche articoli apparsi superiodici tecnici, scientifici o professionali.b) «Gli Ordini professionali nell’esaminare le istanze di iscrizioneai relativi albi devono solo verificare se l’aspirante sia inpossesso <strong>dei</strong> requisiti prescritti dalla legge senza operare alcunavalutazione del pubblico interesse ad accogliere la domanda...»(Consiglio di Stato, sezione VI, 9 giugno 1986, n. 432).c) «Il collaboratore del «Foro italiano», che abbia prestatocontinuativamente la propria opera retribuita per almeno dueanni, ha diritto alla iscrizione nell’albo <strong>dei</strong> giornalisti pubblicisti;è, pertanto, illegittima la deliberazione del Consigliodell’<strong>Ordine</strong> che ne rifiuti l’iscrizione» (Tribunale Bari, 3 aprile1992, in Foro it., 1992, I, 1554).d) l’attività di pubblicista può essere esercitata dai pubblicidipendenti (Tar Lombardia, sez. I, 12 dicembre 1986, n. 961).e) «L’illegittimo rifiuto della domanda di iscrizione all’alboprofessionale comporta la responsabilità del Consigliodell’<strong>Ordine</strong> per i danni subiti dal professionista a seguito dellamancata iscrizione» (Trib. Roma, 3 febbraio 1994, in Gius,1994, fasc. 8, 221).12 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


*Franco Abruzzo, presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistidella Lombardia dal 15 maggio 1989 e direttore diTabloid dal settembre 1986, è docente a contratto diStoria del giornalismo all’Università degli Studi di MilanoBicocca e di Diritto dell’informazione all’UniversitàIulm di Milano.f) La qualità di proprietario dl un periodico non è incompatibilecon quella di giornalista. La prima sezione delTribunale Civile e Penale di Venezia, con sentenza n.1413del 6 maggio 1993, ha accolto il ricorso del sig. G.G., editoredi un periodico che si era visto respingere la domanda d’iscrizioneall’<strong>Ordine</strong>, prima dal Consiglio regionale e poi dalConsiglio nazionale; in particolare il Consiglio nazionaleaveva rilevato che la periodicità trimestrale della rivista, il suocontenuto, la modestia della retribuzione e la circostanza cheil ricorrente fosse contemporaneamente giornalista e proprietariodella testata, non consentivano di concretizzare il requisitodella non occasionalità della collaborazione. Al riguardola sentenza testualmente rileva:«.... premesso che non è più controversa la sussistenza delrequisito dello svolgimento da parte del G. dl attività giornalisticaretribuita da almeno due anni, in ordine all’altro requisitodella “non occasionalità” della prestazione - che è evidentementecosa diversa dall’esercizio esclusivo o prevalentedell’attività giornalistica - osserva il Tribunale che nessunodegli elementi addotti dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong>appare idoneo a giustificare l’esclusione. Ed invero, come laqualità di proprietario della testata non è incompatibile con1a qualità di giornalista, a prescindere dal tempo ad esse inconcreto dedicato, così la misura della retribuzione(purché effettiva e documentata, come nella fattispecie), lafrequenza della pubblicazione e il contenuto degli articolinulla hanno a che vedere con la continuità o meno dell’attività,la quale postula unicamente un impegno costante neltempo, concretantesi in pubblicazioni di qualsivogliacontenuto e frequenza. Quanto al lavoro svolto dal ricorrente,è indubbio che esso, ancorché pubblicato su di unarivista trimestrale, non è limitato alla stesura materiale deltesto, ma presuppone tutta una attività diretta alla ricerca ealla raccolta di dati materiali e notizie, inconciliabile con l’asseritaoccasionalità della prestazione. La serietà e continuitàdell’impegno del G. nel settore della divulgazione culturale edell’attualità emergono del resto inequivocabilmente dall’elevatonumero degli articoli pubblicati in un arco di tempo moltosuperiore al richiesto biennio».g) «L’indagine del Consiglio può estendersi ad attività eventualmenteesplicata dall’interessato anche in epoca precedenteall’ultimo biennio» (Consiglio di Stato, 10 aprile 1969,sentenza n. 207).5Il Consiglio nazionalefissa, con delibera 30ottobre 1995, i parametriretributivi dell’aspirantepubblicista e il numero(non inferiore a 40) degliarticoli/servizi nel biennio“Il Comitato esecutivo del Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong>giornalisti, rendendosi interprete delle sollecitazioni proposteda numerosi Consigli regionali, giustamente desiderosi dipotersi avvalere, nei loro giudizi, di parametri certi e omogeneiin relazione alla dibattuta questione della retribuzionerichiesta per l’iscrizione nell’elenco <strong>dei</strong> pubblicisti;considerato il rilevante contributo in materia espresso dalleCommissioni giuridica e ricorsi;decide che- fermo restando, per l’aspirante pubblicista, l’obbligo, previstodalla legge, di una attività pubblicistica svolta per almenodue anni e regolarmente retribuita,- sia giusto valutare la domanda anche tenendo conto dellamisura del compenso che, come ha rilevato la Commissionelegislativa, deve essere concreto e non simbolico.E ciò sia per garantire un idoneo rispetto dell’articolo 35 dellalegge 69 del 3/2/1963 (che pretende una regolare retribuzione),sia per recepire in modo corretto le indirette indicazionidell’articolo 36 della Costituzione (che esige un proporzionalerapporto tra l’impegno lavorativo e la retribuzione che locompensa), sia, infine, per riaffermare il decoro di una funzioneche non deve subire umilianti dequalificazioni.Pertanto il Comitato esecutivo del Consiglio nazionaledell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti reputa che, pur tenendo conto dellediverse potenzialità economiche espresse da regioni italianefra loro anche molto differenziate, sia indispensabile giudicareadeguata una retribuzione che, per ognuna delle previsteprestazioni giornalistiche, almeno non sia inferiore al 25%della somma prevista dal Tariffario stabilito ogni anno per leprestazioni professionali autonome <strong>dei</strong> giornalisti.La quantità delle prestazioni che debbono essere fornite nelbiennio proposto all’esame <strong>dei</strong> Consigli dell’<strong>Ordine</strong> sarà giudicatacon il criterio della ragionevole logica applicata, in modoadeguatamente flessibile, alla diversa periodicità delle testateche ospitano gli apporti degli aspiranti pubblicisti, ma checomunque non deve essere inferiore a 40 servizi o articoli.Gli Ordini <strong>dei</strong> giornalisti, pertanto, nell’affrontare la domandadi iscrizione nell’elenco <strong>dei</strong> pubblicisti, valuteranno lacongruità della dichiarata retribuzione, attivandosi - in nomeORDINE 5 <strong>2005</strong>della maggiore attendibilità <strong>dei</strong> giudizio che si accingono adesprimere - anche per verificare, con indagini opportune epossibili, la verità delle affermazioni sottoscritte dall’aspirantepubblicista e dal suo editore.Qualora la produzione pubblicistica non sia stata retribuitaper colpevole inadempimento del committente, gli Ordiniesigeranno una sentenza dell’Autorità giudiziaria (checondanna l’inadempiente) o un verbale di conciliazione (cheprende atto dell’omesso compenso).Il Comitato esecutivo del Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong>giornalisti, infine, ritiene che il rigoroso rispetto della sentenzadella Corte costituzionale (la numero 11 del 21 marzo1968) giustamente attenta ad evitare che il giudizio sullaqualità delle pubblicazioni prodotte sfoci in una forma larvatadi censura ideologica - non impedisca di analizzare gli effettivirequisiti giornalistici della produzione professionale pastaa sostegno della domanda di iscrizione all’elenco”.6Gestione separatadell’Inpgi: non paga alcuncontributochi guadagna finoa 1500 euro. Delibera13 febbraio 2003Il Comitato amministratore della Gestione previdenzialeseparata dell’Istituto (Inpgi/2) ha approvato una rilevantemodifica al Regolamento che potrà risolvere il problema divari giornalisti i quali oggi sono tenuti, in base alla leggegenerale (dlgs n. 103/1996) da cui ha avuto origine l’Inpgi/2,a versare contributi previdenziali che rappresentano unaparte consistente <strong>dei</strong> lori modesti introiti.La delibera prevede che l’iscritto all’Inpgi/2 il quale percepiscaun reddito da attività professionale autonoma pari o inferiorea 1.500 euro annui, abbia la facoltà per quell’anno dinon versare il contributo soggettivo, integrativo e di maternità(attualmente pari, nella misura minima, a 337,53 eurocomplessivi per coloro che siano iscritti all’<strong>Ordine</strong> da più dicinque anni, e a 105,12 euro per chi invece abbia un’anzianitàprofessionale inferiore).La delibera riguarda tutti i giornalisti e anche a coloro cheabbiano già una posizione previdenziale da lavoro subordinatoe che abbiano contemporaneamente redditi da attivitàgiornalistica autonoma.La delibera approvata prevede dunque che l’iscritto all’Inpgi2 il quale percepisca un reddito da attività professionale autonomapari o inferiore a 1.500 euro annui, abbia la facoltà perquell’anno di non versare il contributo soggettivo, integrativoe di maternità (attualmente pari, nella misura minima, a337,53 euro complessivi per coloro che siano iscritti all’<strong>Ordine</strong>da più di cinque anni, e a 105,12 euro per chi invece abbiaun’anzianità professionale inferiore).Nel dettaglio la delibera prevede la seguente procedura:- entro il 30 settembre il giornalista che ritenga di non conseguirenell’anno un reddito superiore a 1.500 euro, potrà inviarealla Gestione separata una dichiarazione in cui attesta ditrovarsi in tale situazione reddituale. In tal caso non dovràcorrispondere i contributi minimi (soggettivo ed integrativo),né il contributo di maternità;- l’anno successivo comunque, l’interessato sarà tenuto adinviare copia della dichiarazione <strong>dei</strong> redditi per la parteriguardante l’attività giornalistica autonoma;- infine, se le previsioni formulate il 30 settembre si rivelasseroerrate, e se entro la fine dell’anno i redditi da lavoro autonomosuperassero i 1.500 euro, il collega sarà tenuto a darnecomunicazione e a corrispondere il contributo minimo, provvedendoal saldo l’anno successivo.7Il lavoro fino a 5000 euroè occasionaleed è privo dell’obbligod’iscrizione alla gestioneseparata Inps.Questo principio valeanche per l’Inpgi/2Il comma 2 dell’articolo 44 della legge n. 326/2003 (Disposizioniurgenti per favorire lo sviluppo e per la correzionedell’andamento <strong>dei</strong> conti pubblici) dice: “A decorrere dal 1°gennaio 2004 i soggetti esercenti attività di lavoro autonomooccasionale e gli incaricati alle vendite a domicilio dicui all’articolo 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114, sono iscritti alla gestione separata (Inps, ndr) di cuiall’articolo 2 (comma 26) della legge 8 agosto 1995 n. 335,solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività siasuperiore ad euro 5.000. Per il versamento del contributoda parte <strong>dei</strong> soggetti esercenti attività di lavoro autonomooccasionale si applicano le modalità ed i termini previstiper i collaboratori coordinati e continuativi iscritti allapredetta gestione separata”.Questa legge in sostanza definisce, come la “riforma Biagi”(dlgs n. 276/2003), il concetto di “lavoro occasionale”, che èquello prefigurato da un compenso annuo fino a 5mila euro.L’Inps finora, comunque, aveva escluso che il lavoro occasionaleinglobasse l’obbligo dell’iscrizione alla gestioneseparata. I confini ora tracciati sono netti.La nuova normativa è applicabile anche all’Inpgi, ente sostitutivodell’Inps, in virtù del punto 4 dell’articolo 76 dellalegge 388/2000: “Le forme previdenziali gestite dall’Inpgidevono essere coordinate con le norme che regolano ilregime delle prestazioni e <strong>dei</strong> contributi delle forme di previdenzasociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”.L’Inpgi da poco tempo accorda un trattamento “ridotto” acoloro che percepiscono compensi complessivi fino a 1.500euro all’anno. Non basta.Con parere n. 881/1998, emesso su richiesta del ministrodel Lavoro, il Consiglio di Stato (adunanza II sezione) hafissato questo principio: “Non sussiste obbligo di iscrizionealla Cassa di previdenza per i soggetti iscritti nell’Albo cheesercitano un’attività professionale in maniera occasionale…il requisito per la tutela previdenziale obbligatoria nonè la mera iscrizione nell’albo o nell’elenco professionale,ma è dato dallo “svolgimento” effettivo dell’attività di liberaprofessione senza vincolo di subordinazione”.Il ministero del Lavoro aveva posto il quesito il 13 maggio1998, allegando l’avviso del ministero del Tesoro (Ragioneriagenerale dello Stato) espresso con nota n. 134012 del 9aprile 1998. Si legge nel parere: “Il ministero (del Lavoro)esprime l’avviso, in linea con il ministero del Tesoro, chel’attività professionale occasionale non genera l’obbligo diiscrizione”. Il Consiglio di Stato, quindi, ha accolto l’impostazione<strong>dei</strong> due ministeri.Per completezza informativa va segnalato che l’articolo 61(comma 2) del Dlgs n. 276/2003 (“Riforma Biagi”) consideralavoro occasionale quel rapporto di lavoro la cui duratacomplessiva non sia superiore a 30 giorni nel corso dell’annosolare con un medesimo committente “ salvo che ilcompenso complessivamente percepito nel medesimoanno solare sia superiore a 5 mila euro”.Quando il compenso supera i 5mila euro “trovano applicazionele disposizioni relative ai rapporti di collaborazionecoordinata e continuativa, prevalentemente personale esenza vincolo di subordinazione, riconducibili a uno o piùprogetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinatidal committente e gestiti autonomamente dal collaboratorein funzione del risultato, nel rispetto del coordinamentocon la organizzazione del committente e indipendentementedal tempo impiegato per l’esecuzione dellaattività lavorativa”. Sul rovescio, quindi, si può dire che èoccasionale il lavoro retribuito complessivamente fino a5mila euro all’anno.Dal campo di applicazione dell’articolo 61 della “riformaBiagi”, dice il comma 3 di questo articolo, “sono escluse leprofessioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessarial’iscrizione in appositi albi professionali”.È evidente che nel nostro caso, quando si discute di professioniintellettuali, si parla soltanto <strong>dei</strong> giornalisti professionisti,cioè di coloro che hanno sostenuto l’esame di Stato“per l’abilitazione all’esercizio professionale” e che “esercitanoin modo esclusivo e continuativo la professionale digiornalista”. “L’esperienza dimostra che il giornalismo, se sialimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedicaprofessionalmente, vive soprattutto attraverso l’opera quotidianadel professionisti” (sentenza n. 11/1968 Corte costituzionale).Dai contratti a progetto, quindi, sono esclusi igiornalisti professionisti, ma non i pubblicisti.Non è possibile, sotto il profilo dell’articolo 3 della Costituzione,che le gestioni separate dell’Inps e dell’Inpgi abbianoregole contrastanti tali da creare disuguaglianze economichee attentati alla pari dignità sociale <strong>dei</strong> cittadini (siveda sul punto la sentenza n. 437/2002 della Corte costituzionalein www.odg.mi.it/437articolo.htm).Dopo la sentenza n. 5280/2003 del Tar Lazio (inwww.odg.mi.it/inpgi%2Dfieg0 %2D1.htm), l’Inpgi è maggiormentetenuto a rispettare le regole che sono dell’Inps (punto 4dell’articolo 76 della legge n. 388/2000).Il Tar Lazio ha deciso che l’esercizio da parte dell’Inpgi dellapotestà di autonomia normativa, a decorrere dalla entratain vigore della legge n. 388/2000 (Finanziaria 2001), “richie<strong>dei</strong>l coordinamento specifico con le norme generali cheregolano il sistema contributivo e delle prestazioni previdenziali”.La sentenza del Tar Lazio riflette il principio fissato nellasentenza n. 15/1999 della Corte costituzionale: “La garanziadell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativae contabile degli enti privatizzati, che costituisce un principiodirettivo della delega, non attiene tanto alla strutturadell’ente quanto piuttosto all’esercizio delle sue funzioni. Intal senso il legislatore delegato ha recepito la formulazionedella norma delegante inserendo tale garanzia nella disposizioneche disciplina la gestione degli enti privatizzati (art.2 del decreto legislativo n. 509 del 1994). Ma anche se,considerando isolatamente i singoli segmenti della formulasegue13


PROFESSIONEnormativa adottata dal legislatore, si intendesse l’autonomiaorganizzativa come elemento del tutto distinto dallaorganizzazione della gestione amministrativa e contabile,riferita quindi alla struttura dell’ente ed alla composizione<strong>dei</strong> suoi organi, essa non implicherebbe un’assoluta libertàdi configurare le strutture dell’ente e non escluderebbel’eventuale indicazione di limiti entro i quali l’autonomiadebba essere esercitata”.Il punto 4 dell’articolo 76 della legge n. 388/2000 in effettifissa <strong>dei</strong> paletti: l’esercizio da parte dell’Inpgi della potestàdi autonomia normativa, a decorrere dalla entrata in vigoredella legge n. 388/2000, “richiede, (come afferma il TarLazio, ndr), il coordinamento specifico con le norme generaliche regolano il sistema contributivo e delle prestazioniprevidenziali”.L’ordinamento generale statale non può trattare “in modoingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmenteuguali” perché se ciò dovesse accadere tale comportamentosi tradurrebbe in una violazione dell’articolo 3 della Costituzione,mentre “l’iscrizione ad albi o elenchi per lo svolgimentodi determinate attività è, infatti, prescritta a tuteladella collettività ed in particolare di coloro che dell’operadegli iscritti intendono avvalersi” (sentenza n. 437/2002della Corte costituzionale).I cittadini non possono avere più diritti o meno diritti inquanto iscritti o non iscritti a un Albo professionale. Ildiscorso della Consulta è limpido e non crea perplessità.8ConclusioniPer l’ordinamento pubblico è “occasionale” il lavorofino a 5.000 euro all’anno, mentre per l’Inpgi/2 è occasionalequello fino a 1.500 euro all’anno. L’attivitàpubblicistica “non occasionale” per conquistare il dirittoall’iscrizione nell’Albo (40 articoli in due anni secondoil Cnog) è compresa, sotto il profilo economico, nelconcetto quantitativo del “lavoro occasionale” sia delloStato sia dell’Inpgi/2, quando il compenso biennalecorrisponda al 25 per cento <strong>dei</strong> minimi del Tariffariostabilito ogni anno dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong>.Tirando le somme, possiamo dire che, per l’ordinamentopubblico, è “occasionale” il lavoro fino a 5.000 euro all’anno,mentre per l’Inpgi/2 è occasionale quello fino a 1.500euro all’anno. L’attività pubblicistica “non occasionale” perconquistare il diritto all’iscrizione nell’Albo (40 articoli in dueanni secondo il Cnog) è compresa, sotto il profilo economico,nel concetto quantitativo del “lavoro occasionale” siadello Stato sia dell’Inpgi/2, quando il compenso biennalecorrisponda al 25 per cento <strong>dei</strong> minimi del Tariffario stabilitoogni anno dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong>.“Il Comitato esecutivo del Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong> giornalisti reputa che, pur tenendo conto delle diversepotenzialità economiche espresse da regioni italiane fraloro anche molto differenziate, sia indispensabile giudicareadeguata una retribuzione che, per ognuna delle previsteprestazioni gíornalistiche, almeno non sia inferiore al 25%della somma prevista dal Tariffario stabilito ogni anno per leprestazioni professionali autonome <strong>dei</strong> giornalisti. La quantitàdelle prestazioni che debbono essere fornite nel biennioproposto all’esame <strong>dei</strong> Consigli dell’<strong>Ordine</strong> sarà giudicatacon il criterio della ragionevole logica applicata, inmodo adeguatamente flessibile, alla diversa periodicitàdelle testate che ospitano gli apporti degli aspiranti pubblicisti,ma che comunque non deve essere inferiore a 40servizi o articoli”.In sostanza i 40 articoli “minimi” per l’iscrizione nell’elencopubblicisti dell’Albo dovrebbero essere valutati, in base alTariffario, da 13 a un massimo di 41 euro cadauno (cioè il25% <strong>dei</strong> compensi previsti dal Tariffario) per un totale cheoscilla da 520 euro a 1.640 euro complessivi nel biennio.Cifre, queste, che sono comprese nel “lavoro occasionale”codificato dal Parlamento e dall’Inpgi/2.L’iscrizione del pubblicista nell’Albo è sottoposta a revisione.Può mantenere l’iscrizione a patto che svolga attività giornalistica“non occasionale”. Che si intende per “attività nonoccasionale”? Che continui a scrivere 40 articoli in un biennio,cioè venti articoli all’anno, meno di due articoli al mese.Le regole vengono dal Consiglio nazionale, organo supremosu questo terreno. Si sa che nessuna azienda rispetta iminimi non vincolanti del Tariffario del Cnog. Vale quello cheha scritto il pretore di Vasto: “L’inderogabilità del tariffariopotrebbe infatti conseguire solo dal recepimento dello stessonell’ambito di specifiche disposizioni di legge. Ne deriva,ad avviso del pretore, che il tariffario adottato dal Consiglionazionale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, non essendo recepitoin alcun atto formale o sostanziale di legge, può esserelegittimamente derogato in pejus nell’esercizio della liberavolontà delle parti stipulanti il compenso”.C’è da sperare che diventi legge la proposta presentata il 7aprile 2004 alla Camera dall’onorevole Marco Rizzo (PdCI),che all’articolo 2 dice: “Ai giornalisti liberi professionisti èriconosciuto un trattamento economico che tenga conto deldiritto all’assistenza e alla previdenza previsti per l’interacategoria <strong>dei</strong> giornalisti attraverso voci aggiuntive a caricodegli editori nella determinazione del compenso. Il tariffariominimo dovrà essere parametrato al costo per gli editori<strong>dei</strong> giornalisti assunti. La determinazione del compensoviene definito attraverso apposito Tariffario <strong>dei</strong> compensiminimi concordato fra le parti sociali, sindacati di categoria,associazioni imprenditoriali e l’<strong>Ordine</strong> professionale”.Emendamento del senatore Antonino Caruso (An) al Dl 35/<strong>2005</strong> sulla competitivitàAssemblee di Ordini e Collegi:convocazione per posta prioritaria,fax o posta elettronica certificataMilano, 12 aprile <strong>2005</strong>. Losviluppo della telematica,dell’uso della posta prioritariae del fax nella pubblica amministrazioneimpone una svoltanelle modalità di convocazionedelle assemblee degli Ordinie <strong>dei</strong> Collegi. Non è possibileprocedere come 50 anni fa,con le raccomandate, unsistema dai costi elevatissimie anche assurdi. “La semplificazionee lo snellimento didetto procedimento - ha scrittoFranco Abruzzo ai ministridella Giustizia e dell’Università- vanno attuati con specificaprevisione normativa inseritanella legge di conversione delDl n. 35/<strong>2005</strong> sulla competitivitàanche nel rispetto dell’articolo3-bis della legge n.241/1990”. Di questa esigenzasi è fatto prontamente interpreteAntonino Caruso,avvocato, giornalista pubblicista,presidente della CommissioneGiustizia del Senato. Ilsenatore Caruso (An) hapresentato un emendamentoall’articolo 2 del Dl 35/<strong>2005</strong>(decreto sulla competitività),che dice:INTERNET/il 46% degliitaliani naviga,ma molti nonusano il pcMondadoris’espandenellaradiofoniaCosta parladi duetrattativein corso“Dopo il comma 8, aggiungereil seguente: «8 bis. Ilcomma 1 dell’articolo 4della legge 3 febbraio 1969è sostituito dal seguente:‘L’assemblea per l’elezione<strong>dei</strong> membri del Consigliodeve essere convocata almenoventi giorni primadella scadenza del Consiglioin carica.La convocazione si effettuamediante avviso spedito,almeno quindici giorniprima a tutti gli iscritti,esclusi i sospesi dall’eserciziodella professione, perposta prioritaria, per telefaxo a mezzo di posta elettronicacertificata. Della convocazionedeve essere datoaltresì avviso medianteannuncio, entro il predettotermine, sul sito Internetdell’<strong>Ordine</strong> nazionale. Èposto a carico dell’<strong>Ordine</strong>l’onere di dare prova solodell’effettivo invio dellecomunicazioni»”.L’articolo 3-bis (Uso della telematica)della legge n.241/1990 dice: “1. Per conseguiremaggiore efficienzaMilano, 6 aprile <strong>2005</strong>. Gli italiani sonosempre più attenti ai contenuti Internet esempre meno interessati all’utilizzo delpersonal computer come strumento di videoscritturao di calcolo, anche se quasi la metàdella popolazione continua a dichiararsi“analfabeta” per quanto riguarda l’informatica.È quanto emerge dal rapporto <strong>2005</strong>dell’Osservatorio sull’editoria digitale dell’Associazioneitaliana degli editori (Aie). Sultotale del campione intervistato, ben il 46%ha dichiarato che utilizza il computer utilizzaper collegarsi alla Rete, mentre solo il 9%Firenze, 1 aprile <strong>2005</strong>. Almeno due trattativein corso per quanto riguarda l’acquisizionedi nuovi network radiofonici, dopo Radio101, e molti progetti che riguardano lapresenza del gruppo all’estero. Sono questele prospettive di sviluppo di Mondadori che ilvicepresidente e ad del gruppo MaurizioCosta ha confermato a Firenze nel corso delsuo intervento a “Progetto Città”. “Sulle radioabbiamo un paio di negoziazioni in corso -ha detto Costa -, speriamo di portarne acasa almeno una”.Più semplice, almeno secondo lui, i progettiche interessano l’estero perché qui il gruppodi Segrate è già presente sia con partecipazionicome quella in Grecia (dove ha il 40%di Attica), sia attraverso leasing come avvenutoin Gran Bretagna dove Grazia è statavenduta alla società editoriale Emak e unadelle storiche testate di Mondadori ed è giàedicola. “I nostri progetti di sviluppo - haaggiunto l’ad - proseguiranno sia in Europasia in Oriente e, in particolare in Cina”.nella loro attività, le amministrazionipubbliche incentivanol’uso della telematica, neirapporti interni, tra le diverseamministrazioni e tra queste ei privati” (articolo aggiuntodall’art. 3, L. 11 febbraio <strong>2005</strong>,n. 15). Al procedimento amministrativorelativo alla convocazionedelle assemblee perl’approvazione <strong>dei</strong> bilanci eper il rinnovo <strong>dei</strong> Consigli degliOrdini e <strong>dei</strong> Collegi è già possibileoggi - come fa l’<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia- estendere (sul piano interpretativo)il principio di cui alpunto 3 dell’articolo 8 dellalegge n. 241/1990: “Qualoraper il numero <strong>dei</strong> destinatari lacomunicazione… risulti particolarmentegravosa, l’amministrazioneprovvede … medianteforme di pubblicitàidonee di volta in volta stabilitedall’amministrazione medesima”.Queste forme di pubblicitàpossono essere alternativamenteo unitariamente la postaprioritaria con distinta rilasciatada Poste Italiane SpA,email, raccomandate elettroni-che, annunci nella prima pagina<strong>dei</strong> periodici editi a stampae/o su web dagli Ordini e daiCollegi.L’avviso, che gli Ordini e iCollegi sono tenuti a spedireagli iscritti negli Albi in vistadelle assemblee <strong>dei</strong> bilanci oper il rinnovo delle carichedentro i Consigli, non è il certificatoelettorale indispensabileper esprimere il proprio votonelle consultazioni politiche,europee o amministrative, mauna comunicazione che “devecontenere l’indicazione dell’oggettodell’adunanza, estabilire il luogo, il giorno e leore dell’adunanza stessa, inprima ed in seconda convocazione”(art. 4 l. 69/1963).L’avviso in sostanza rappresenta“l’avvio del procedimentoamministrativo” (titolo dell’articolo8 della legge n.241/1990), che poi porterà gliiscritti negli Albi a votare,esibendo al seggio un documentodi identità. Gli Ordini e iCollegi, come scrive il senatoreCaruso, hanno “l’onere didare prova solo dell’effettivoinvio delle comunicazioni”.utilizza invece il pc ma senza accedere aInternet. Il numero di chi dichiara di non navigare,né di utilizzare computer per altreoperazioni, raggiunge il 45%.Internet, e i suoi contenuti, sono apprezzatidagli studenti, ma anche dai loro insegnanti:su una scala da 1 a 10 gli insegnanti che piùutilizzano le tecnologie individuano neicontenuti sul Web un linguaggio più vicino aquello degli studenti, l’occasione di un lavoropiù stimolante e un’opportunità per personalizzarei materiali in ciascuna classe.(Apcom)Davanti ai giovani dell’associazione presiedutada Andrea Ceccherini, Costa haraccontato quello che resta un suo rammariconella lunga carriera all’interno di Mondadori:“Circa quattro anni fa - ha spiegato -avviammo trattative serrate per l’acquisto delgruppo editoriale francese Marie Claire, male cose non andarono a buon fine. Forse - haproseguito Costa - avrei dovuto osare di piùper cercare di convincere i nostri azionisti,che peraltro mi hanno sempre ascoltato. Avolte bisogna anche rischiare e questoavrebbe permesso di far crescere primaMondadori”.Ma poi, l’ad ha sottolineato che nel settoreeditoriale “non è mai facile fare acquisizioniin Paesi che hanno tradizioni culturali moltoforti anche perché, in Italia, siamo abbastanzadisponibili a seguire logiche di mercatonel nostro mercato - ha concluso Costa - maabbiamo più difficoltà ad andare nei mercatialtrui”.(ANSA)14 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


Delibera sugli incarichi all’interno del Consiglio dell’OgLe sulle linee operative e di indirizzo in tema di Albo, affaridel personale, Tabloid, procedimenti disciplinari, biblioteca,organizzazione <strong>dei</strong> corsi per i praticanti e gli operatoridegli Uffici stampa, assistenza legale e fiscale agli iscritti,Urp, concorso tesi di laurea e regolamento contabile1Il presidente, in base agli articoli 4 e 5 della legge n.241/1990 e al successivo Regolamento del Cnog(recepito dall’OgL il 10 maggio 1994), assegna asingoli consiglieri istruttori i procedimenti amministrativiinerenti alle iscrizioni e alle cancellazioni nonché ai procedimentidisciplinari, ma “ne conserva la responsabilità”.2mensile Tabloid e sito web dell’OgL (www.odg.mi.it):direttore responsabile Francesco (“Franco”) Abruzzo.Le prestazioni del direttore sono gratuite, mentre icollaboratori, soltanto per gli articoli commissionati, vengonoretribuiti di massima in base al tariffario dell’<strong>Ordine</strong> come èavvenuto nel passato. Sono completamente a carico dell’OgL,per quanto concerne Tabloid e il sito, le spese legali e gli onerieconomici collegati a richieste di risarcimento danni in sedecivile, amministrativa/contabile e penale. Il direttore, per la fatturadi Tabloid, si avvale di un consulente retribuito dall’<strong>Ordine</strong> einquadrato come cococo (articolo 7, comma 6, del Dlgs n.165/2001) ovviamente per la durata del mandato del Consiglio(2004/2007). Si dà atto che il Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> ha stipulatouna polizza a copertura <strong>dei</strong> rischi che derivano ai consiglieri eai revisori dall’esercizio delle loro funzioni previste dalla leggen. 69/1963 (e dal relativo regolamento Dpr n. 115/1965), dadelibere del Consiglio, dalla legge n. 241/1990, dal Dlgs n.165/2001 e dall’applicazione di altre norme (come, ad esempio,l’articolo. 331 Cpp e il Dpr 313/2002).Una sentenza della Corte <strong>dei</strong> Conti (sezioni riunite, 5 aprile1991, n. 707/A) riconosce i diritti di chi svolge una funzionepubblica di essere salvaguardato economicamente: “Anchenel campo del diritto pubblico, coloro che sono investiti diuna carica (anche onoraria) agiscono per un interesse nonproprio in quanto legittimamente investiti (mandato pubblico)del compito di realizzare interessi di altri centri di imputazionegiuridica (enti, collettività o altri organismi pubblici), con laconseguenza che i pubblici amministratori non devonosopportare nella propria sfera personale gli effetti svantaggiosio dannosi della propria attività; e, pertanto, i componentidegli organi statutari degli enti pubblici hanno, in lineadi principio, titolo a ricevere il rimborso delle spese sostenuteed il risarcimento <strong>dei</strong> danni sofferti per adempiere fedelmenteil loro mandato”.Questa massima giurisprudenziale è statarecepita dal Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> nella seduta del 19maggio 1997 a tutela della posizione e dell’attività pubblica<strong>dei</strong> consiglieri e <strong>dei</strong> revisori dell’ente.3Consigliere istruttore per i procedimenti disciplinari(art. 6, lett. a-b-c-e, della legge 241/1990): i procedimentivengono assegnati dal presidente al consigliereSergio D’Asnasch. L’OgL si avvale, per la lettura critica <strong>dei</strong>giornali e <strong>dei</strong> periodici, di un collaboratore, inquadrato comecococo (articolo 7, comma 6, del Dlgs n. 165/2001) ovviamenteper la durata del mandato del Consiglio (2004/2007).4Consigliere istruttore per le iscrizioni (art. 6, lett. a-bc-e,della legge 241/1990) all’Elenco professionisti, alRegistro <strong>dei</strong> praticanti (assunzioni normali) e all’Elencospeciale dell’Albo: Franco Abruzzo. Sono pratiche semplici,che vengono esaurite nello spazio di 24 ore. Si tratta peraltrodi atti dovuti. Il presidente poi riferisce al Consiglio per laratifica in occasione della prima seduta.567Consigliere istruttore per le iscrizioni (art. 6, lett. a-bc-e,della legge 241/1990) all’Elenco pubblicistidell’Albo: i procedimenti vengono assegnati dal presidentea Brunello Tanzi e a Cosma Damiano Nigro.Consigliere istruttore per le iscrizioni d’ufficio (art. 6,lett. a-b-c-e, della legge 241/1990) al Registro <strong>dei</strong>praticanti: il presidente delega Laura Mulassano.Affari del personale: Franco Abruzzo (che, come“capo struttura”, esercita i poteri disciplinari di cui all’articolo55 del testo unico del Pubblico impiego-Dlgs n.165/2001 limitatamente alle sanzioni del rimprovero verbale edella censura). Gli altri provvedimenti disciplinari più gravi sonodi competenza del Consiglio al quale il presidente Abruzzoriferisce. In questi casi il Consiglio va integrato con un rappresentantedel personale. Sono di competenza del Consiglio leassunzioni del personale e l’accettazione delle dimissioni.8Consiglieri incaricati dell’organizzazione degli esamidi cultura per l’ammissione al praticantato e <strong>dei</strong> corsisvolti presso il Pime per i praticanti, che devonosostenere l’esame di Stato, e per gli aspiranti pubblicistioperatori degli uffici stampa: Michele D’Elia e Paola Pastacaldi.L’OgL si avvale, come coordinatore, di un consulenteper il corso praticanti e di un consulente per il corso ufficistampa inquadrati come cococo (articolo 7, comma 6, delDlgs n. 165/2001) ovviamente per la durata del mandato delConsiglio (2004/2007).ORDINE 5 <strong>2005</strong>Delibera approvata all’unanimità nella seduta del 10 giugno 2004 ed integrata con il punto 1/bis e con l’ampliamentodel punto 8 al coordinatore del corso Uffici stampa nella seduta del 14 marzo <strong>2005</strong> sempre all’unanimità910Concorso tesi di laurea, biblioteca e iniziativeculturali (anche per quanto riguarda Tabloid): consiglierePaola Pastacaldi.Pareri di congruità (artt. 633 e 636 Cpc): FrancoAbruzzo, che agisce con i poteri del Consiglio,utilizzando come consulente l’avv. Luisa Nicosia.Icasi complessi restano, comunque, di competenza delConsiglio.11Assistenza legale e fiscale gratuita agli iscritti.L’avv. Luisa Nicosia è incaricata del recupero creditia favore degli iscritti liberi professionisti. L’assistenzafiscale-amministrativa viene svolta dallo studio del dott.1per quanto riguarda i praticanti d’ufficio, il Consiglioopera nel rispetto della delibera 12 luglio 1991 del Consiglionazionale (che ribadisce principi fissati già nel 1986),dell’articolo 36 del Contratto di lavoro, dell’articolo 11 dellalegge professionale, e degli articoli 43 e 46 del Regolamentoper l’esecuzione della legge professionale. Bisogna garantirea tutti i cittadini il godimento degli articoli 2 (tutela della dignitàdella persona: essere di diritto quello che si è di fatto) e 4della Costituzione (diritto al lavoro). In sostanza i praticantigiornalisti si dividono secondo queste linee:a) quelli normalmente assunti (quotidiani, periodici, tg, radiogiornali,testate web);b) i pubblicisti assunti ex articolo 36 del vigente Cnlg (trattatieconomicamente come redattori professionisti e con il dirittocontrattuale di sostenere l’esame di Stato);c) quelli che hanno superato il concorso presso l’Ifg e leScuole della Università Cattolica e dell’Università Iulm;d) i redattori “di fatto” (cioè coloro che lavorano normalmente,senza essere assunti, presso quotidiani, periodici, tg,radiogiornali, testate web);e) i “redattori staccati” o “corrispondenti” con incarichi di lavorosu pagine di cronaca elaborate con le tecniche dellecronache cittadine (pubblicisti anche assunti ex articolo 12del vigente Cnlg);f) “pubblicisti free lance”, che abbiano compensi complessivipari al costo di un redattore praticante normale (cioè di almeno21mila euro lordi annui).1/bisI praticanti giornalisti iscritti normalmentecome tali e quelli iscritti d’ufficio (“redattoridi fatto” o “freelance”) dovranno attestare,prima dell’esame di idoneità professionale, di averfrequentato i seminari organizzati dal Consiglio nazionaledell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti o il corso di 120 ore organizzatodall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia oppure corsi diformazione attuati in sede aziendale anche in collaborazionecon l’<strong>Ordine</strong> regionale. Senza la frequenza di uno di talicorsi o seminari non sarà possibile essere ammessi asostenere l’esame di Stato (delibera Cnog 5 luglio 2002).2I dipendenti delle pubbliche amministrazioni conrapporto di lavoro a tempo parziale possono chiederel’iscrizione nell’elenco professionisti dell’Albo (articolo1, commi 56 e 56-bis, della legge n. 662/1996; sentenza11 giugno 2001 n. 189 della Corte costituzionale).3Retrodatazioni nel Registro e nell’elenco professionistidell’Albo: sono sollecitate spesso dall’Inpgi perpermettere il recupero di contributi che, invece,andrebbero restituiti agli interessati e alle aziende. Inpassato gli Ordini iscrivevano i praticanti assunti dalla datadella seduta del Consiglio, che non coincideva con quelladell’assunzione. Ciò era in contrasto con l’articolo 38 dellaCostituzione.4Una testata con redattori professionisti, pubblicistie praticanti non può essere diretta da un iscritto all’Elencospeciale. Così una testata precedentemente direttada un professionista o da un pubblicista non può esserediretta da un iscritto all’Elenco speciale, a meno che nonrispecchi le caratteristiche dell’articolo 28 della legge professionale(pubblicazioni anche on-line a carattere professionale,scientifico o tecnico).Roberto Marcianesi (consulente dell’OgL dal 1992).12Linee operative e di indirizzoUrp (articolo 11 del Dlgs n. 165/2001): incaricoai consiglieri Letizia Gonzales e a Laura Mulassano,che si alterneranno durante l’arco della settimanalavorativa.-----------Nota. La direzione (coordinamento, vigilanza ed attuazionedelle decisioni del Consiglio, affari del personale) degli Ufficidell’<strong>Ordine</strong> è stata affidata dal 2001 ad ElisabettaGraziani (posizione C5 del Cnl parastato, già 9° livello=funzionario capo). Isabella Massara (posizione C 3, già VIIIlivello=funzionario amministrativo) svolge funzioni vicarierispetto a Elisabetta Graziani.5Iscrizioni all’Elenco pubblicisti. Gli aspiranti pubblicistidovranno dimostrare di aver versato il 12% allagestione separata dell’Inps a meno che non abbianoaccordi scritti di data certa (e con anticipo rispetto all’iniziodelle collaborazioni) con gli editori, che prevedano la cessione<strong>dei</strong> diritti d’autore (legge n. 633/1941). Va anche ribaditoche i compensi dovranno avvenire con periodicità e che ilConsiglio non accetta pagamenti unici al termine del bienniodelle collaborazioni giornalistiche.6Iscrizioni all’Elenco speciale. Il Consiglio ha sempreconcepito e concepisce l’Elenco speciale come «elencodella libertà» con il pieno sostegno del tribunale diMilano, nel senso che i cittadini, i quali vogliono assumere ladirezione di una testata con le qualità fissate dall’articolo 28della legge professionale, possono liberamente farlo senzaparticolare formalità. In questo elenco vengono iscritti anchei direttori di periodici religiosi, <strong>dei</strong> periodici delle amministrazionilocali, <strong>dei</strong> sindacati, <strong>dei</strong> movimenti del volontariato. Bisognagarantire a tutti i cittadini il godimento pieno dell’articolo21 della Costituzione.Dopo due anni, i direttori hanno facoltà di presentaredomanda per l’iscrizione all’elenco pubblicisti dell’Albo,qualora il loro giornale non sia pubblicitario o commerciale.La quinta sezione del tribunale civile di Milano (sentenza11 gennaio 2001 n. 1635, Zanardi contro Cnog, depositatail 12.2.2001) ha accolto l’impostazione dell’<strong>Ordine</strong> di Milano:“...le motivazioni del Consiglio nazionale non sonocondivisibili nella parte in cui escludono che l’iscritto all’elencospeciale di cui all’articolo 28 della legge 3.2.1963 n.69 possa chiedere l’iscrizione nell’elenco <strong>dei</strong> pubblicisti, equesto a prescindere da una valutazione di merito circal’attività svolta in concreto dall’interessato...Ad avviso delTribunale, non sussiste un’incompatibilità assoluta tra iscrizioneagli elenchi speciali e iscrizione all’elenco <strong>dei</strong> pubblicisti,che deve invece ritenersi possibile qualora ne sussistanoi presupposti di fatto (svolgimento di attività pubblicisticaregolarmente retribuita per almeno due anni)”. Questasentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano(sentenza 3 luglio 2001 n. 1907, depositata il 10 luglio2001): giornali e articoli, afferma la Corte d’Appello, devonoavere “quel minimo di diffusione di capacità informativaproprio delle pubblicazioni giornalistiche”.7Regolamento contabile del Cnog recepito dall’OgL.Il Consiglio dell’OgL, nella seduta del 12 settembre2001, ha recepito all’unanimità il Regolamento contabiledel Cnog. Il regolamento contabile del Cnog, al quale gliOrdini regionali sono tenuti ad ispirare la loro condotta, introducedelle novità anche per l’amministrazione dell’OgL; valorizzail ruolo istruttorio del direttore; autorizza (senza il votopreventivo del Consiglio) spese fino a £ 5 milioni riguardantile esigenze di funzionamento dell’ente, mentre le spesesuperiori a £ 50 milioni dovranno essere assunte in forma diasta pubblica o di licitazione privata.L’Ufficio economato dell’ente, comunque, è impegnato achiedere tre preventivi per le spese superiori a £ 5 milioni. IlConsiglio, infine, nella seduta del 21-29 gennaio 2002, all’unanimitàha deciso di non accogliere la parte della deliberadel Cnog in tema di indennità di carica e di gettoni di presenzaai consiglieri e ai revisori.A carico dell’OgL rimangono in sostanza le spese di viaggioe di permanenza fuori sede e quelle relative ai pranzi e allecene di lavoro; spese queste tutte in bilancio e classificatecome spese di funzionamento.Il presidente dell’Ogl-estensoreprof. Francesco Abruzzo15


LA LIBRERIA DI TABLOIDThe New York TimesItalia. Luoghi ed emozioni raccontatidai giornalisti americaniEnrica BricchettoIl Corriere della Serae la guerra d’Etiopiadi Giacomo de AntonellisI luoghi e le emozioni suscitateda questa “Italia” raccontatada americani ammiratoridella nostra terra sollecitanoun’analisi dell’opera in chiavetecnica e critica. Possente ilformato (28x33), pregevolel’apparato fotografico (oltre400 immagini a colori), apprezzabilelo sforzo editoriale(con l’Enit partner della DeAgostini), intelligente la strutturadivulgativa (in traduzioneitaliana per il mercato interno,nell’originale inglese all’estero):ecco i tratti essenziali diun volume che - avvalendosidi un’introduzione firmata daUmberto Eco - presenta alcunipeculiari aspetti del nostroPaese secondo l’occhioe la penna di giornalisti statunitensidel The New YorkTimes. E, trattandosi di una diquelle testate straniere solitamenteetichettate come “autorevoli”,si dovrebbe dedurreche anche il contenuto sia dipari altezza. Di fatto gli autoriaffrontano la materia conaperta simpatia, e di tanto bisognaessere grati: rari i commentinegativi, abbondanti lelodi per il caratteri e le capacitàdi quanti abitano – senzarendersene conto – questoautentico paradiso.Seguendo un itinerario chesembra ricalcare quello di“onda verde”, dal nord al centroe poi il sud le isole, l’analisisi sviluppa tra siti famosi (egodibili per un lettore straniero)e luoghi poco noti persinoAnnamariaBernardini de PaceCalci nel cuoredi Michele GiordanoIl termine “crudeltà mentale”è oggi linguisticamente unpo’ demodé, ci porta allamente gli anni Cinquanta, idivorzi <strong>dei</strong> grandi divi diHollywood, i capricci nuzialidi Liz Taylor e RichardBurton. Altre definizioni piùpolitically correct hanno sostituitoquella parola nel linguaggioparlato e in quello<strong>dei</strong> media: oggi c’è il mobbingfamiliare, c’è lo stalking.Insomma, anche la vecchia“crudeltà mentale”, come lospazzino che diventa operatoreecologico, si aggiorna.Annamaria Bernardini dePace, noto avvocato matrimonialistache vive e lavoraa Milano, ma anche giornalistapubblicista, sul concetto,riveduto e corretto, di “crudeltàmentale”, ha scritto unpamphlet dal significativo titoloCalci nel cuore.Naturalmente l’autrice mettea frutto la propria lungaesperienza legale, proponendoal lettore, anche quellonon addetto ai lavori, unaserie di storie-tipo che illustrano,meglio di qualsiasitrattato legale, quanto ancoraoggi “questi fenomeni disopraffazione” – sono parolesue – “incredibilmente, sisviluppano nell’ambito di relazioninate e poi cresciutecome rapporti ‘d’amore’”.Preceduti da epigrafi letterarieche rendono in poche righeil senso dell’argomentodi cui si va a trattare, i novecapitoli sono strutturati conun’ottica ‘di servizio’ nei confrontidi chi vive insostenibilirealtà di coppia, ma che,magari, non ha i mezzi, culturali,psicologici e legali (osi autoconvince di non averli)per uscire fuori da un tunnelche si può a tutti gli effetti,nella buona parte <strong>dei</strong> casi,definire una situazione di‘dipendenza’, non poi cosìdissimile dalla droga o dall’alcol.E, attenzione, qui nonsi parla di famiglie e coppiead un italiano medio, ed è unfattore da apprezzare perscelta e per coraggio. Le cittàd’arte scorrono accanto apaesaggi dai contorni fantasticiin un mixage di grandiositàe di scoperte: Milano conil fondale delle Alpi, Mantovae Ferrara città ducali, Veneziaserenissima e il ghetto nascosto,Roma e le ville rinascimentali,il Molise nel riflessoadriatico, i due mari dellaCalabria, la Sardegna dalcuore bucolico.Quando si mette assiemeun’orchestra, però, può capitarequalche variazione fuoritema se non addirittura unastonatura. La si avverte peresempio in una stravaganteescursione storica su Napoliove si legge che “durante laseconda guerra mondiale,quando fu bombardata, ci fuun’eruzione del Vesuvio e ilfronte alleato retrocedette anord verso Montecassino”ma fortunosamente Posillipo“rimase un porto sicuro” alpunto da trasformarsi in temporaneorifugio di Vip(“Churchill navigava nel golfopartendo da villa Rivalta,Vittorio Emanuele pescava inbarca sotto villa Rosebery eun sergente dell’Ohio incise ilsuo nome sulle piastrelle divilla Barracco di cui fu ospiteanche Giorgio VI”) e poi, proseguendonella confusione ditempi situazioni e personaggi,si afferma che al terminedel confitto “le truppe alleatelasciarono il posto agli emissaridella Nato che hanno arredatoi moderni appartamentirealizzati per loro sulcolle”. Passando più a sud,desta un certo stupore scoprireche il roccioso “CapoVaticano ricorda quando, cinquesecoli fa, lo StatoPontificio aveva qui la suaflotta di galee” (secondo lamia maestra delle elementariil nome derivava dal latinovaticinium cioè “profezia”, aparte il fatto che la zona èaperta ai venti e ben lontanada baie e porti). Poco convincenteappare anche la descrizionedell’antica “città romana”di Sepino tra Campobassoe Benevento, perchéromana non era affatto essendodi origine sannita: èdifficile immaginare un lettore-tipodi Nuova York in gradodi raccapezzarsi tra cardi edecumani, cavea ima e opusreticulatum, civiltà osca evecchi tratturi di ovini. Senzadubbio può capitare ad un inviato,pur scrupoloso, di farequalche confusione ricostruendoappunti scritti in frettama ciò si poteva ovviare insede di traduzione e redazione.A parte il fatto che taluniscrittori della pur “autorevole”testata sembrano attingere lenotizie da guide locali evitandosforzi in approfondimenti.Vi sono tuttavia brani di scritturadavvero encomiabili.Alastair McEwen, ad esempio,dipinge un quadro diMilano basato su stereotipiclassici ma collegati assiemein modo assai gradevole. Tral’altro, a proposito di milanesitutto cuore e riservatezza,sapevate che nell’ottobreborder line, contestualizzatemagari in realtà socio-economichemarginali, ma dinuclei benestanti e, presumibilmente,‘armati’ di conoscenzeche dovrebbero immunizzarlida conflitti e lotteintestine. In realtà ciò avvienesolo nell’immaginario popolaree oggi neppure più inquello (la capillarità mediaticaha messo in discussionele mitologie della coppia ‘riccae felice’).E il libro di Bernardini dePace questo concetto lo evidenziacon forza.Tanto è veroche le ‘storie vere’ (i nomisono ovviamente di fantasia)si sviluppano quasi tuttein ambienti high class. Dalrapporto fra Rosellina, traditadal marito Luca, il cui ‘caproespiatorio’ diviene la figliaSara, a quello della vittimisticaMarianna ‘colpevolizzata’da una più che legittimaseparazione; dall’affascinanteprofessore universitarioAndrea la cui vita vienedistrutta da Bianca chelui, con quella follia cui spessoconduce la disperazione,ucciderà con ventisei coltellate,alla vicenda di ‘liberazione’di Alberto, figlio mammone.In totale dieci storieche per la loro poliedricitàrendono bene l’ idea del panoramadi piccole violenzequotidiane, torture psicologiche,incapacità di ribellarsi2001 (un mese dopo la stragedelle Torri Gemelle) quandoil Comune decise di candidarela città alle Olimpiadi del2012, il documento ufficialeconteneva la seguente clausolarivelatrice della mentalitàlombarda: “Qualora NuovaYork confermasse la propriacandidatura Milano rimanderàla propria al 2016 in segnodi omaggio al grande coraggiocivico che la città hadimostrato e quale espressionedella fiducia nel dialogoe nella fratellanza tra i popoli”.Ed è bello sentirsi dire daun giornalista scozzese, cheadesso vive in mezzo a noi,come il vero segreto della nostrametropoli consista nell’essere“la città più veloce eforse più americana d’Italia”.Non si può concludere senzacitare Umberto Eco il qualeriesce ad assemblare tantielementi diversi – come i dialoghinel film Il terzo uomo, laTelluris theoria sacra diThomas Burnet, le interpretazionisul sublime di EdmundBurke e di Immanuel Kant – iltutto per sviluppare una gustosachiosa sulla qualità esulla varietà del prodottoumano marchiato dalle “milleItalie” di cui si compone questonostro stravagante quantoinimitabile Paese.The New York Times,Italia. Luoghi ed emozioniraccontati dai giornalistiamericani,Istituto geograficoDe Agostini,pagine 416, euro 29,00allo status quo, violenza fisicae morale che caratterizzanomolte, troppe quotidianerealtà di chi s’era giuratoeterno amore.Particolarmente interessanteil corollario al volume, costituitoda due lunghi saggi, ilprimo di Marco Lagazzi, psichiatraforense genovese epsicoterapeuta, su “Comenon ricadere nella dipendenza”e il secondo dell’avvocatoValeria De Lellis (entrambicollaboratori di Bernardini dePace) su “Come uscire dallaviolenza”. Con l’aggiunta diun prezioso elenco <strong>dei</strong>Centri d’aiuto, con tanto dicittà, indirizzo e numero ditelefono, cui i “mobbizzati familiari”(donne o uomini chesiano) possono rivolgersiquando “le proprie risorse individualinon sono sufficienti”.Il che, purtroppo, non èinfrequente. Un libro, questoCalci del cuore, che dovrebbeleggere ogni coppia inprocinto di sposarsi. Altroche stucchevole e retoricocorso prematrimoniale, obbligatorioper chi oggi vogliasposarsi con rito religioso.Annamaria Bernardinide Pace, Calci nel cuore,Sperling & Kupfer Editoripagine 204, euro 16,00di Dario FertilioUn bell’argomento da dibattereper gli studiosi della comunicazione:esiste la veritàdella propaganda? Quest’ultimanon è per sua naturauno strumento falso, e il suoscopo non è quello di influenzarele vittime-bersaglio conargomenti menzogneri?Il dilemma si propone fin daltitolo del saggio di EnricaBrichetto sulla guerra italianain Etiopia e sulla funzione delgiornalismo di allora: raccontarei fatti con spirito professionalee bravura stilistica,ma soprattutto in linea con ledirettive del regime fascista.Siamo infatti a metà degli anniTrenta, per la precisione fral’ottobre 1935 e il maggiosuccessivo: dunque nel momentodi massima affermazionedel regime sia all’internoche sulla scena internazionale,nel cuore di quel periodoche la scuola storiograficadefeliciana ci ha abituatia considerare come “gli annidel consenso” a Mussolini.Naturalmente la risposta è affermativa:esiste, e non potrebbeessere diversamente,una “verità della propaganda”.Il suo scopo infatti, cometipico sottoprodotto ideologico,è quello di sottomettere ifatti alle opinioni. La sua “verità”consiste nel condurre illettore, l’ascoltatore o lo spettatorealle uniche conclusionipossibili e ammesse.Risultato che può essere raggiuntodistruggendo, ancheteoricamente, il concetto di“obiettività” e sottomettendo ilracconto giornalistico a un sistemadi valori differente eparallelo, una piramide in cimaalla quale sta ben saldamentepiantato l’interesse diStato (o, il che negli anniTrenta era lo stesso, quellodella rivoluzione fascista).Impostato in questo modo, ilproblema della “verità dellapropaganda” fascista durantela guerra d’Etiopia rivela lasua affinità all’ideologia e lapropaganda di ogni altro regimeautoritario (come viene disolito definito ad esempio ilfranchismo spagnolo) o totalitario(del tipo comunista sovieticoo nazionalsocialistatedesco). Se l’autrice avesseintitolato il suo saggio “La veritàe la propaganda”, l’avrebbeorientato su un chiaro tonodi denuncia. Così, invece,la ricerca ci consente un approfondimentomolto più originaledel sistema ideologicoe disinformativo fascista. In lineadi massima, quando gliinviati <strong>dei</strong> vari giornali, e inparticolar modo quelli dell’inarrivabileCorriere dellaSera, arrivavano in Etiopiaper seguire da vicino il procederedella guerra coloniale,dovevano subire un duplicefiltro di censura propagandistica:uno preventivo, con ilsovrapporvi una corniceideologica, messa a puntogiorno per giorno dal ministeroromano della Stampa; euno finale, quando i “pezzi”dovevano subire il visto diconformità alle direttive delleautorità coloniali prima di esseretrasmessi in Italia.Sistema macchinoso, comeè ovvio, e largamente dispersivosia di energie che di tempo(ma questo difetto di fondoè sempre stato presente intutte le dittature e costituisceuna delle cause ineliminabilidella loro inarrestabile decadenzaprima del crollo). Unsistema, tuttavia, non completamentedistruttivo: perchéall’interno della cornice ideologicopropagandistica giornalie inviati speciali poteronoesprimere entro certi limiti laloro bravura e creatività.Soffermandosi sulle corrispondenzeetiopiche delCorriere, Enrica Bricchettocita personaggi ancor oggi famosi:dal fascistissimoAlessandro Pavolini, già federaledi Firenze, allo spericolatoVittorio Beonio Brocchieri,per non parlare di LuigiBarzini junior. Ognuno di essi,certo con grandi differenzequalitative, riuscì a lasciareuna traccia nella storia delgiornalismo e nella conoscenza<strong>dei</strong> fatti raccontati. Ilregime fascista dunque, a differenzadi quello hitleriano ostaliniano, ebbe l’accortezzadi non fare della stampa unosterile deserto, e non seppellìi fatti e la verità sotto una coltreuniforme. Da quella regiaduttile e politicamente accortavennero non pochi frutti:sbocciarono talenti giornalisticie altri si espressero dignitosamente,pur imparandoa non disturbare il sommomanovratore della politica.Fu questa dunque, la veritàdella propaganda: un sistemainformativo inquinato eassoggettato gerarchicamenteprosperò per anni, non privodi una sua dignità formalee di coerenza interna. Allostesso tempo, poiché il virusdella disinformazione lasciasempre le sue tracce anchedopo la remissione della malattia,crebbe una generazionedi giornalisti tanto restii alrischio personale quanto ribellia parole, in realtà ossequiosirispetto al potere di turno.E quel difficile libero percorsoche dall’annuncio di unfatto, attraverso la sua narrazione,conduce alla notizia,senza coartare la libertà criticadel lettore, rimase il grandeassente non solo dellastagioni giornalistica fascista,ma in parte anche di quellesuccessive. Molte altre “veritàdella propaganda” furono accettatee diffuse, in omaggioa varie ideologie e appartenenzepolitiche, prima che la“società aperta”, la modernitàtecnologica e la globalizzazione<strong>dei</strong> mercati travolgesserole barriere e segnasserole conquiste di oggi.Enrica Bricchetto,Il “Corriere della Sera”e la guerra d’Etiopia,Edizioni Unicopli,pagine 269, euro 16,0016 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


LA LIBRERIA DI TABLOIDRoberto ToppettaLineadi Privacydi Sabrina PeronIl saggio di Roberto Toppetta,edito dal Centro di documentazionegiornalistica,Linea di Privacy – Informazionein equilibrio tra riservatezzae diritto di cronaca,è una precisa e documentataricostruzione <strong>dei</strong> rapportitra privacy e informazione,svolta attraverso le pronuncedel Garante per la protezione<strong>dei</strong> dati personali e dellagiurisprudenza, nel tentativo(riuscito) di offrire il quadroattuale delle relazioni esistentitra il valore (di rangocostituzionale) della libertàdi informazione e quello (anch’essodi rango costituzionale)del diritto alla riservatezza.Il volume, che si aprecon una presentazione diVittorio Roidi (Verso un giornalismopiù sensibile ai dirittidella persona) ed una diMauro Paissan (Non è questionedi gossip), nella primaparte descrive la genesi el’evoluzione della nozione diprivacy sia nella culturanord-americana, attraverso itre casi di Faulkner, Salingere Franzen, che nella giurisprudenza(si viene così asapere che il diritto alla privacyè stato per la prima voltainvocato nel 1890, nelsaggio The right to privacy,i cui autori – Warren eBran<strong>dei</strong>s – erano alla ricercadi uno strumento giuridicocapace di arginare i gossipmass-mediatici di cui era vittimala moglie di Warren, fi-ORDINE 5 <strong>2005</strong>glia di un influente uomo politicofederale). La secondaparte, invece, tratteggia le lineedi sviluppo della nozionedi privacy nell’UnioneEuropea, prima, e nel nostroPaese, poi, attraverso l’evoluzionelegislativa che haportato dall’approvazionedella legge 675/1996, e successivemodifiche, all’adozionedel Testo Unico in materiadi privacy entrato in vigoreil 1° gennaio 2004.Con riguardo all’Italia, vengonomessi in rilievo i variaspetti del Codice deontologico(entrato in vigore il 18agosto 1998) adottato perl’esercizio dell’attività giornalistica,alla luce del suo principioinformatore, volto acontemperare i valori costituzionalidella persona conla libertà di stampa ed il diritto<strong>dei</strong> cittadini al bene dell’informazione,presupponendoche chiunque svolgaattività divulgativa debbasempre operare con correttezzae lealtà nei riguardi <strong>dei</strong>soggetti sui quali raccoglie lenotizie.In particolare, il codice deontologicoimpone che nellaraccolta e diffusione <strong>dei</strong> dati,il giornalista osservi i limitiposti a confine del diritto dicronaca (ossia interesse,pubblico, verità, continenzaed essenzialità dell’informazione),al di fuori <strong>dei</strong> quali, lacronaca rischia di trasformarsiin un pretesto per invaderela sfera dell’altrui riservatezza.Tali principi vengonoenucleati nel saggioPietro Meuccie Luca PaolazziEconomia & Giornalismodi Giacomo FerrariLe cronache economiche(non i commenti, che ci sonosempre stati: basta ricordarequelli di Luigi Einaudi sulCorriere della Sera) sono peri giornali italiani una scopertarelativamente recente. Il primoquotidiano a prevederlefu Il Giorno, quando nacque,nel 1956, per iniziativa diEnrico Mattei, allora potentissimopresidente dell’Eni. Esulla genesi di questa “novità”esistono almeno duescuole di pensiero. La primaè che fu lo stesso Mattei a volereuno spazio espressamentededicato all’economia,per avere la possibilità di ribattereai grandi giornali dell’epoca,tutti schierati a favoredell’industria privata, controquella pubblica. Secondoun’altra interpretazione, invece,le pagine economichevennero inserite nel nuovogiornale semplicemente perchéla formula, dalla graficaalla successione delle sezioni,venne copiata nella suaglobalità da un giornale inglese,che naturalmente avevala sezione economica. Perquanto riguarda le altre tappepiù significative che hannocontraddistinto lo sviluppodell’informazione economicain Italia, merita di essere ricordatala fondazione, nel1946, di Mondo Economico,un periodico rimasto sempredi élite, diffuso in poche copie,ma con un grande prestigionegli ambienti politici e inquelli accademici. E poi la trasformazione(1976) de IlMondo, che da settimanalepolitico-culturale è diventato ilprimo magazine di economia,ispirato, almeno nellaprima fase, al britannico TheEconomist.Bisognerà tuttavia arrivareagli anni ‘70 perché l’informazioneeconomica diventassedavvero “popolare”. Due quotidianinati in quel decennio(Il Giornale e La Repubblica)puntarono molto su questosegmento dell’informazione.E negli anni seguenti le iniziativesi moltiplicarono. Tantoche oggi la situazione dell’informazioneeconomica inItalia è completamente cambiata.Tutti i quotidiani italiani,anche quelli di provincia, sonodotati di una sezione economica.Molti hanno dato vitaa supplementi e inserti settimanali.Lo sviluppo di questo segmentoinformativo in questiultimi decenni ha dello straordinario.Ma bisogna anchechiedersi se sia stato supportatoda una crescita paralleladi chi le notizie di economiadeve spiegarle al pubblico <strong>dei</strong>lettori. E ancora: come si èformata la nuova classe digiornalisti specializzati? Ilsaggio a cura di Pietro Meuccie Luca Paolazzi, che si avvale<strong>dei</strong> contributi di studiosi eoperatori dell’informazione,tenta di dare una risposta aqueste domande. E va ancheoltre, affrontando temi comela deontologia professionale.unitamente ad esemplificazioniestremamente chiaretratte dalla casistica trattatadal Garante, come la seguente:se un pedone vieneinvestito da un bus mentreattraversa la strisce pedonalie perde la vita, il giornalistapuò rivelare le sue generalitàe quelle del conducente,nonché dove e quando l’eventosi è verificato e le modalitàdi causazione, ancheper tentare di capirne le possibilimotivazioni (distrazionedel pedone, stress del conducente,traffico dell’ora dipunta ecc.). Ma non ha sicuramentebisogno di renderesalace il suo racconto facendosapere, poniamo, che lavittima era appena uscito daun club di gay, né può riferireche il conducente era senzacapelli perché aveva appenasmesso un trattamento difarmaci anti-tumorali.Insomma come fa notareRoidi nella sua presentazioneal volume, il giornalistadeve riflettere su questionibasilari: Quali di questi fattiraccontare? Quali rispondonoveramente ai criteri dell’interessepubblico e dell’essenzialità?Come regolarsi,ad esempio, con la sfera dellariservatezza <strong>dei</strong> vip? Quest’ultima,come viene evidenziatoin un paragrafo appositamentededicato, hauna tutela più ridotta di quellariconosciuta al comunecittadino, soprattutto quandosi tratta di soggetti istituzionaliche ricoprono carichepubbliche, ciò perché la pubblicaopinione ha diritto diessere informata sulla moralità<strong>dei</strong> suoi amministratori(ad esempio, se un uomopolitico si batte per abolire laschiavitù sessuale, è giustoche il pubblico sappia se dinotte questo frequenta unacasa squillo), senza peròsconfinare nella curiositàmorbosa delle vicende svoltesinell’intimità della personaassurta a notorietà. Lostesso dicasi per il dirittoall’oblio (anch’esso trattatoin un apposito paragrafo)che si scontra con la tendenzaad attualizzare fatti di cronacaormai superati: in questicasi, la riattualizzazionedella notizia è ammissibilesolo qualora risponda adesigenze di cronaca legatead una evoluzione o ad unasvolta improvvisa degli eventi.Diversamente, prevale ildiritto del soggetto interessatoa recidere il cordoneombelicale con il propriopassato. Cordone, però,sempre più difficile da tagliarein un mondo ogni giornopiù globale, dove basta unmotore di ricerca internet perincatenare una persona aduna notizia (sia essa vera ofalsa) che la riguarda.Il volume è infine è arricchitodall’integrale pubblicazione,in appendice, del testo dichiarimenti forniti dal Garantein materia di giornalismoe privacy; nonché completato,da un’appendice normativa(riguardante il codicedeontologico e le norme delTesto Unico della Privacyconcernenti l’attività giornalistica)ed una appendice bibliograficae giurisprudenzialepiuttosto ampia e completa.Insomma ci troviamo di frontead un libro istruttivo, checompendia diritto, etica edeontologia, e se ne consigliala lettura a tutti coloroche vogliono prepararsi asvolgere quel mestiere difficile– ma fondamentale perla democrazia e la civiltàmoderna – che è la professionegiornalistica.Roberto Toppetta,Linea di Privacy,Centro documentazionegiornalistica,Roma 2004, euro 15,00Aspetto, quest’ultimo, chenell’informazione economicaè particolarmente delicato.Anche le sfumature di un articolo,infatti, nonché la sua titolazione,possono orientare imercati finanziari, che si “nutrono”letteralmente di notizie.Quelle vere, ufficiali, diffuseattraverso procedure tali danon privilegiare alcun operatore,alla fine hanno un impattolimitato sulle quotazioni. Leindiscrezioni e le cosiddette“voci”, invece, provocano reazioniben più importanti,spesso esagerate. Proprioperché è la speculazione amuovere i listini e le decisioniprese da ciascun operatore,sono in realtà altrettantescommesse.Per questo la responsabilitàdi un giornalista economico èenorme. Chi scrive di economiae finanza deve essere, rispettoa un cronista di nera odi politica, ancor più corretto,imparziale, distaccato. Oltrenaturalmente a possedereuna preparazione approfondita<strong>dei</strong> problemi. Che gli permettonotra l’altro di valutarecriticamente le informazioni edi avere così un giusto rapportocon le fonti.Pietro Meuccie Luca Paolazzi,Economia & Giornalismo,Edizioni Il Sole-24 ore,pagine 232, s.i.p.Claude-J. Bertrandcon Chiara Di Martino e Salvatore SicaLa “Morale”<strong>dei</strong> giornalistidi Massimo DiniCome migliorare i media? AClaude-Jean Bertrand, professoreemerito all’Institut Françaisde Presse, non fa certo difettoil coraggio. Nel suo recentesaggio, La Morale <strong>dei</strong> giornalisti,lo studioso affronta senzaremore il problema crucialedi ogni società nell’epoca dell’accessoe delle reti. Già il sottotitolo,“Deontologia <strong>dei</strong> mediae qualità del prodotto editoriale”,accenna alla patologia dellarealtà mediatica e suggerisceuna possibile diagnosi.Bertrand, sia chiaro, non si ergea pretoriano del purismo eticoné sbandiera progetti salvifici.In compenso, fornisce preciseistruzioni di rotta.In sintesi: ora che i media rappresentanoun business vorticosoe lo sviluppo acceleratodella tecnologia dell’informazioneprospetta scenari avveniristici,bisogna trovare con urgenzai mezzi per rafforzare lacorrettezza dell’attività giornalistica.Che questa caduta disenso morale costituisca l’imperfezionedella sconfinataWebcity non è certo Bertrand ascoprirlo. In questi ultimi annianni, con sempre maggiorefrequenza, nei santuari delgiornalismo si recita la stessalitania: l’etica non è un optionalbensì la parte integrante diogni aspetto della professione.Il guaio è che spesso non siesce dall’astrattezza. Il concettodi deontologia tradizionale èin crisi o almeno va ripensato.E l’Italia non fa eccezione.Anzi.Come rileva Salvatore Sicanell’Introduzione, nel nostroPaese l’espansione del ricorsoal giudice statale da parte <strong>dei</strong>cittadini è la riprova del fallimentodelle regole deontologichee della loro applicazione.L’esigenza di arginare l’intromissionedello Stato è, perl’appunto, il perno dell’analisi diBertrand. Da qui il suo forte richiamo:deve essere la stessacategoria <strong>dei</strong> giornalisti a svegliarsidel torpore e impegnarsiad aggiornare le proprie regole(e a osservarle), circoscrivendocosì l’intervento del legislatorealle clausole generali efrenando l’uso della bacchettada parte del giudice. Ammonimentosacrosanto. Ma va anchericordato che istituzioni comel’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti dellaLombardia da anni si battonoproprio in nome di questo principiocon particolare riferimentoalle misure disciplinari senzale quali uno statuto sarebbeun guscio vuoto. Resta, comunque,irrisolto l’interrogativodi fondo: come uscire da questogeneralizzato e pericolosostato di inerzia? Bertrandavanza una proposta concretache costituisce la parte più stimolantee, per alcuni aspetti,discutibile del suo saggio.Dunque: nell’universo adrenalinicodel giornalismo il puntodi riferimento ineludibile dovrebbeessere un sistema diauto-responsabilizzazione <strong>dei</strong>media nei confronti del pubblico,articolato in una trama dimeccanismi di “controllo diqualità”, i cosiddetti Mas (MediaAccountability Systems).Pre-requisito: il sistema puòfunzionare solo a patto chenon sia adottato per via giurisprudenzialee coinvolga i proprietari<strong>dei</strong> media, gli editori e idirettori, i giornalisti e soprattuttoi lettori. Gli organi di informazioneche si conformerannoa questo codice di normepotranno vantare il “bollino diqualità” già adottato in svariatisettori merceologici.Bertrand dipana il proprio filoprogettuale con una ratio geometrica.E proprio in questo ordinelineare del pensiero consisteinsieme il pregio e il limitedel saggio. Sulla premessafondamentale il consenso è ormailargamente diffuso: la formazione<strong>dei</strong> professionisti nell’ambitodelle università o delleScuole di giornalismo post-laureagarantisce cultura generalee conoscenze specialistiche.Lasciano invece un’impressionedi anacronistica fede illuministicaalcuni tra i Mas “cooperativi”,a cominciare da quelloche dovrebbe essere il più “utile”,il Consiglio di stampa nazionaleo regionale, momentodi incontro tra i rappresentanti<strong>dei</strong> proprietari <strong>dei</strong> media, i giornalistie il pubblico per discuterele rimostranze e migliorarecosì la qualità dell’informazione.Sulla carta niente da eccepire,ma spesso nella propostao nel rilancio di questi meccanismi(che, non a caso, nati perlo più negli ultimi 20-30 anni,sono stati in seguito ignorati oabbandonati) è sottesa unaconcezione quasi idealizzatadel lettore, come se tra utenti egiornalisti non esistessero giànodi multipli, come se ormainon facessero entrambi partedi un mondo meticcio, buono ecattivo, senza nette linee di demarcazione.Nell’overdose catodicae informatica tra gli uni egli altri scatta un complessogioco reciproco di aspettative.Perplessità suscitano anchealtre argomentazioni. Se pensiamo,per esempio, al fenomenodi concentrazione duopolisticadelle grandi centraliinformative che distacca il nostroPaese dai parametri europeie mette gravemente a rischioil pluralismo, uno <strong>dei</strong> valorifondanti, come si fa a nonnutrire dubbi sulla possibilità diun’applicazione davvero efficace<strong>dei</strong> Mas? Senza contareche certi meeting (come appuntoil Consiglio della stampa)hanno scarse probabilità di trasformarsiin una rete dialogicaa flusso costante.Un’ultima osservazione: Bertrandliquida troppo sbrigativamentela questione della coscienzaindividuale. Non bastaelaborare un sistema deontologicose poi non si dà il giustopeso al fatto che i principi cardinedi quel sistema devono essere“metabolizzati” dai singoliattori del settore dell’informazione(una funzione che potrebbeessere assolta efficacementeda master universitari eScuole di giornalismo). E tuttaviaun fatto è certo. Bertrandnon ha costruito una città di sogno.Ha lanciato una sfida incampo aperto. E la sfida deveessere raccolta, in tempi rapidi.La posta in gioco è alta: comearrestare il declino della credibilità<strong>dei</strong> media e del prestigioprofessionale. Ovvero la questionedella “responsabilità sociale”.Mai dimenticare la lezionedi Joseph Pulitzer. Nel1913, per recepire le lamenteleindirizzate al suo quotidiano diNew York, il World, istituì un“mediatore” e creò l’Ufficio perla correttezza e l’equità.Claude-Jean Bertrandcon Chiara Di Martino eSalvatore Sica, La “Morale”<strong>dei</strong> giornalisti (deontologia<strong>dei</strong> media e qualità del prodottoeditoriale),Franco Angeli,pagine 237, euro 21,0017


LA LIBRERIA DI TABLOIDLIBRI IN REDAZIONEDaniel C. Hallin, Paolo ManciniModelli di giornalismo. Mass mediae politica nelle democrazie occidentalidi Massimiliano LanzafameC’è un unico tipo di giornalismoo se ne possono individuarediversi a seconda <strong>dei</strong>vari contesti politici? Si vaverso una convergenza <strong>dei</strong>sistemi d’informazione? Ilmodello “anglo-americano” èquello ideale?A rispondere a queste e altredomande sono Daniel C.Hallin, professore al Departmentof Communication dellaUniversity of California, ePaolo Mancini, docente diSociologia della comunicazioneall’Università di Perugia.Con un’indagine comparativatra Europa e Nordamericamettono in luce leconnessioni tra sistemi politicie sistemi mediali. Un“viaggio” attraverso diciottoPaesi paragonati in base allosviluppo del mercato editoriale,all’affermarsi o meno diprofessionalità giornalistica,alla misura dell’interventostatale nel sistema informativoe alla presenza di parallelismopolitico, ovvero il gradoe la natura <strong>dei</strong> legami tramedia e partiti politici.Basandosi su studi già pubblicatiHallin e Mancini mescolanostoriografia conanalisi politica e concetti sociologici,dipingendo un quadroteorico dove convivonotre “tipi ideali” di giornalismo:liberale, democratico-corporativoe pluralista-polarizzato.Per ogni modello individuanocaratteristiche, peculiarità,tratti condivisi e diversità.L’analisi parte dal modellopluralista-polarizzatodiffusosi in Francia, Italia,Grecia, Spagna e Portogallo.Il lungo cammino versola democrazia di questiPaesi ha prodotto un sistemadi comunicazione intimamentelegato al mondo politico,con giornali che rispecchianoorientamenti politiciben distinti. Da sempre igiornalisti privilegiano il commentoe la valutazione e sirivolgono principalmente aun pubblico colto. La televisioneriveste un ruolo centralenella vita <strong>dei</strong> cittadini,anche se spesso è oggettodi strumentalizzazione politica,come succedeva alla Rainegli anni Ottanta con la lottizzazione.Il modello democratico-corporativo,invece,si è affermato in Scandinavia,Paesi Bassi, Germania,Austria e Svizzera.Tutti Paesi con una storia caratterizzatadal susseguirsidi conflitti sociali e dove igiornali sono stati un importanteveicolo di circolazionedelle idee e di organizzazionedell’opinione pubblica. Unevento emblematico è laRiforma protestante diMartin Lutero. Una colossaleguerra di propaganda religiosacombattuta in granparte proprio attraverso lastampa. L’alta diffusione <strong>dei</strong>giornali, poi, ha permessoalle imprese editoriali di incassareabbastanza da poterpagare i giornalisti comeprofessionisti a tempo pieno.È in Europa centro-settentrionaleche i giornalisti hannocostituito le prime associazionidi categoria, tra cui ilpiù antico club della stampa,il Pressclub Concordia, natoin Austria nel 1859. Il sistemademocratico-corporativo,oggi, dà largo spazio suimass media ai partiti, ai sindacati,ai gruppi culturali ereligiosi. La Gran Bretagna èla madre del modello liberale,che lì vi ha trovato terrenofertile grazie alla precocepresenza di democrazia parlamentare,di economia dimercato e diffusa alfabetizzazione.Il sistema si è allargatopoi a tutte le colonie britannichee in particolare alNordamerica, dove è sbocciatala penny press (1830).Lo stile liberale pone in primopiano notizie e informazione,a scapito del giudiziopolitico, ed è contraddistintodal forte influsso delle logichedi mercato nelle scelteeditoriali. I giornalisti “angloamericani”hanno raggiuntoun’elevata professionalità,sospinti dalla neutralità tipicadella stampa di taglio commercialee da una radicatatradizione di libertà di stampa.L’ultima parte della ricerca riguardafenomeni attuali, comel’americanizzazione e lacommercializzazione <strong>dei</strong> media,che stanno spingendo isistemi d’informazione versol’omogeneizzazione al modelloliberale. Partiti politici,associazioni civili e religiosestanno cedendo molte dellefunzioni sociali che un tempoavevano, con la conseguenzache oggi i media sonosempre più subordinati alcontrollo del mercato. Halline Mancini si chiedono se ciòrenderà i giornalisti più autonomio andrà a minare ancoradi più la libertà di stampa.Daniel C. Hallin,Paolo Mancini,Modelli di giornalismo.Mass media e politicanelle democrazieoccidentali,Editori Laterza, Bari 2004,pagine 318, euro 24,00Luigi Ferrara, Che cosa è e come si legge il bilanciod’esercizio, Il Sole 24 Ore, pagine 173, euro 20,00Philip Kotler, Il marketing dalla A alla Z, Il Sole 24 Ore,pagine 220, euro 18,00Philip Kotler, Il marketing secondo Kotler, Il Sole 24 Ore,pagine 298, euro 12,00Philip Kotler, I dieci peccati capitali del marketing, Il Sole24 Ore, pagine 139, euro 14,00Autori vari, Il commercio internazionale, Il Sole 24 Ore,pagine 993, euro 70,00Autori vari, Agricoltura online, Regione Lombardia Agricoltura,pagine 43, euro s.p.Redazione di Diario, Un mese nella vita di EnzoBaldoni, Editoriale Diario, pagine 258, euro 5,00Gino Benedetti, Luci sul lago, Assessorato alla CulturaCittà di Desenzano del Garda, pagine 62, euro s.p.Paola Sandionigi, Peccatrici e… uomini di malaffare,Arte grafica, euro s.p.Paola Sandionigi, 1900 e dintorni, pagine 79, euro s.p.Tiziano Vescovi, La pianificazione di marketing, Il Sole24 Ore, pagine 239, euro 25,00Robert Galford, Anne Seibold Drapeau, Leaderaffidabili, Il Sole 24 Ore, pagine 204, euro 24,00Franca Spinella, Claudio Barbabietola, Luigi Carletti, L’e-Learning, Il Sole 24 Ore, pagine 178, euro 20,00Luca Zanderighi, Commercio urbano e nuovi strumentidi governance, Il Sole 24 Ore, pagine 149, euro 20,00Diego Comba, Ivan Tosco, Gestire una rete di agenti inEuropa, Il Sole 24 Ore, pagine 375, euro 40,00Jean Paul Trèguer, Jean Marc Segati, I nuovi marketing,Il Sole 24 Ore, pagine 264, euro 25,00Michelangelo Marinelli, I contratti di programma, Il Sole24 Ore, pagine 258, euro 40,00Vittorio Mapelli, Invecchiamento e consumo di farmaci, IlSole 24 Ore, pagine 118, euro 18,00Piera Campanella, Andrea Clavarino, L’impresa dell’outsourcing,Il Sole 24 Ore, pagine 238, euro 29,00Alberto Felice De Toni, Andrea Trasogna, L’industria delcaffè, Il Sole 24 Ore, pagine 424, euro 29,00Maria Martello, Intelligenza emotiva e mediazione, Giuffrèeditore, pagine 295, euro 18,00Paola CalvettiNé con te né senza di tedi Olimpia GarganoUna bambina vestita di unabito bianco che le lasciascoperte le lunghe gambeorlate di calzettoni di un’altraetà, di un’infanzia forse mairealmente vissuta, guardadavanti a sé con occhi giàappannati dai ricordi; nellamano sinistra, un ramo di glicinelasciato pendere a terrale sfiora le scarpe di vernicenera. Un dipinto molto bello,che fa da copertina al nuovoromanzo di Paola Calvetti, eche comunica lo stesso sensodi smarrimento venato dicompassione che si prova difronte al personaggio diVera, la protagonista. Nellasua piena maturità, gravatada un passato con cui non siè mai riconciliata, VeraSolari, affermata giornalistae scrittrice milanese, mettefine alla sua storia d’amorecon Nicola attraverso unomicidio-suicidio apparentementeinspiegabile.Delitto passionale, una formulacompendiosa quantobasta per costruire ammiccantititoli di cronaca, ma chemal si adatta a questo casosu cui indaga la polizia criminale.Se per passione si intendesofferenza, Vera ne èdiventata maestra dopo un tirociniodurato tutta la vita.Quanto alla passione intesacome forza cieca che tuttodomina e tutto piega alla propriaillogicità, non è questo iltratto saliente della protagonista,che anzi è fin troppo controllata,algida nella sua geometria<strong>dei</strong> sentimenti. Precisae composta in ogni suo gesto,raffinata nella scelta di arredi,abiti, sofisticate ricette dicucina, predispone con curaanche il vestito – nero – concui si presenta a quello cheha deciso di far diventare l’ultimoappuntamento con la vita.Dopo aver fatto l’amorecon Nicola, gli punta contro lasua Beretta calibro 9: un colpoalla testa per lui, uno alcuore per lei. Tutto qui, apparentemente,in questo gialloatipico in cui il colpevole è notofin dalle prime pagine, perchéciò che conta è il movente.E quello, forse, è destinatoa rimanere misterioso, personei meandri del cuore, malgradogli indizi forniti da un finaleadeguatamente a sorpresa.In questo romanzo tutto parladi agiatezza, buone letture eottima musica. Tutto perfetto,forse troppo, anche nelle elaboratearchitetture espressivecon cui Vera, incapace dileggerezza, dà forma ai propripensieri, soffocando l’uomoche l’ama e vietandosi dicredere in lui. Sulla scia dellasuggestione letteraria evocatadal nec tecum nec sine tevivere possum riecheggiatonel titolo (ma quale amorepotrebbe resistere sotto il pesodi una così totalizzante dichiarazionedi intenti?), l’invitoche si sarebbe voluto rivolgerea Vera potrebbe essereun più cordiale – ma non menoa suo modo “eroico” – carpediem, un’esortazione a vivereintensamente il presentecon un atto di fede nel futuro.Paola Calvetti,Né con te né senza di te,Bompiani,pagine 219, euro 14,00Giusi BonacinaOdiavo le treccedi Patrizia PedrazziniOdiavo le trecce è, prima ditutto, la storia di una donna.O, meglio, la storia di unabambina nata nei primi anniCinquanta in un borgo diBergamo che, attraverso lepiccole e grandi gioie, i piccolie grandi dolori che la vita impone,diventa grande. Unastoria che l’autrice, la giornalistaGiusi Bonacina, racconta,con accattivante semplicità,ai figli, perché “Forse, facendocon me qualche passo indietronel tempo, scoprireteche la differenza tra noi non èpoi così grande anche se avolte vi sembrerà che siamolontani anni luce”.Ecco allora riaffiorare, dalmondo <strong>dei</strong> ricordi, i luoghi e ivolti dell’infanzia, tanto comunia chi, in quegli anni, sia natoe cresciuto nella provincialombarda. La casa, il quartiere,la scuola. La latteria buia,con i vasi di vetro pieni di caramelle.Lo zio comunistacon l’Alfa mezza fumata inbocca. I dispetti delle compagnedi classe. La figura dell’amatissimopadre. E poi gli anniSessanta, e i Settanta.L’eskimo e le manifestazioni,le magistrali e l’università,l’impegno sociale e i primiamori. Fino all’età adulta o,se si preferisce, matura. Conil suo bel corredo di dubbi irrisoltie di sensi di colpa. Dauna parte l’animo sempregiovane, dall’altra i tormenti,le sofferenze, le paure: “un’altrafaccia che tengo quasisempre nascosta. Difficile damostrare, dolorosa da scoprire,ma certamente altrettantomia”.Una sorta di “confessione” allaquale, chiuso il capitolo piùstrettamente autobiografico,l’autrice dedica la secondaparte del libro: otto raccontifra il fantastico e l’onirico, animatida fantasmi, maghi neri,furie infernali. Sempre altalenandofra passato e presente,fra sogno e realtà.E se fosse rimpianto?“Ho un momento di nostalgiaacuta, struggente. La miagiovinezza. È passata in unlampo. Qualcuno forse mel’ha rubata”. E ancora: “I mieidiciotto anni sono ancora qui.Sospesi nell’aria. Il mondo interomi sembrava azzurro. Epulito. O forse la mia stanzaaveva davvero un cielo... Checosa è stato della ragazzache ero in quei momenti felici?Tutto sembra così lontano...È passato un secolo.Forse di più”.Frammenti di immagini che siinseguono, pensieri che siaccavallano. Ma sempre sostenutidalla speranza, fondatisulla certezza che nulla èperduto per sempre. Nel raccontoLa casa, un vecchiodottore torna, dopo anni, suiluoghi dell’ultimo, dolorosoamore. Lei si è tolta la vita,tanto tempo prima. Lui ne avvertela presenza, istintivamentela cerca. Fino a rivederla,lo stesso abito bianco,gli stessi capelli sciolti sullespalle. Ancora una volta sognoe realtà si confondono. Etutto ricomincia.Giusi Bonacina,Odiavo le trecce,Edizioni Sestante 2004,pagine 120, euro 10,0018 ORDINE 5 <strong>2005</strong>


Riccardo CasseroLe velinedel Ducedi Vito SoaviAchille Starace, segretariodel Partito, non godette maidi molto credito nell’Italia fascista,portandosi sulle spalleun’ immagine dove l’intelligenzanon rappresentava laprincipale virtù. Famosa fu lastoriella che circolava neglianni trenta che lo descrivevaalle prese con l’apposizionedella firma su un documentoimportante; gli fecero notareche, erroneamente, avevascritto il suo nome di battesimosenza l’acca (Acille) edegli prontamente aggiunsel’acca dimenticata al suo cognome(Starache).....Mussolini stesso lo giudicavaun “cretino” ma, aggiungeva“ubbidiente”, e per questo gliaffidò l’incarico di tutela dell’immaginedella rivoluzionefascista.Così Starace poté tra l’altroistituire e gestire le famose“veline” per trasferirle poi,dal momento della sua costituzione,alle cure del Minculpop.Riccardo Cassero, con moltadocumentata rigorosità, maanche con un dosato sensodi ironia, narra, nel volume Leveline del Duce, in che modoil fascismo fosse riuscito acontrollare la stampa d’informazionedel tempo.Così, scorrendo queste pagine,emergono tutte le violenzemorali e le contraddizioniche dimostrano fino ache punto eravamo caduti inbasso.Fa sensazione apprendere,per esempio, come si dovevanorisolvere i problemi delMeridione, semplicementespostando a sud della Sicilia iconfini col Mezzogiorno, equelli dell’unità nazionale,vietando a tutti i cittadini l’usodel dialetto; beati Edoardo DeFilippo e Tonino Micheluzziche ottenero la dispensa perpoter continuare la loro attivitàcon il teatro dialettale.Le veline riguardavano anchecronache e commentidelle partite di calcio, con il divietodi uscire dai limiti di ungiudizio tecnico; soprattuttonon si poteva riservare agliarbitri epiteti offensivi (cornuto)e dare spazio eccessivoalle manifestazioni di intolleranza<strong>dei</strong> tifosi.Non si potevano pubblicarenotizie sui suicidi, disdicevoliall’immagine di un popolo felice,né sui parti plurigemellari,per la scarsa probabilità disopravvivenza <strong>dei</strong> neonati; lenotizie di cronaca nera nonpotevano superare un quintodi colonna, e perfino le previsionimeteorologiche di tempoperturbato non potevanoessere rilevate in un Paesedove il sole sorge sempre liberoe giocondo.Bontà sua una velina, diffusail 23 settemre 1939 che si occupavadel ricevimento, daparte del Duce, di gerarchibolognesi, consentiva dicommentare la notizia precisandoperò: “il commento velo mandiamo noi”.Una parte rilevante di questaraccolta di veline si occupadella difesa della razza “ariana”,a cominciare dalla rilevazioneche “l’altezza fisica degliitaliani cresce, per finirecon la notizia che il Gran consigliodel fascismo prendevaatto con soddisfazione che ilministro dell’Educazione nazionale,Giuseppe Bottai,avesse istituito cattedre distudio sulla razza nelle principaliUniversità del regno.La lettura delle veline del duce(mi si consenta, trasgredendole direttive di Starace,di tornare ad usare la “di” minuscolainiziale) ha rappresentatoper me una necessarialezione di ripasso dellastoria del fascismo.Forte di questo ripasso hoprovato a controllare il gradodi ricorso di quel periodo dimiei conoscenti che l’hannovissuto e di altri, più giovani,che non erano ancora natima che sono freschi di studi.La mia piccola indagine personaleha ottenuto risultatisconfortanti.Mi chiedo allora perché, comecorollario ai sacri testiscolastici di storia, non venganoadottati libri come questoche sto recensendo e chefotografa la storia partendoda un approccio diverso e piùrealistico.Senza partigianeria questoprovvedimento rappresenterebbeun interessante approfondimentoe completamentodelle lezioni sullaStoria del nostro Paese.Riccardo Cassero,Le veline del duce.Come il fascismocontrollava la stampa,Sperling & Kupfer Editorinovembre 2004,pagine 178, euro 18,00Rinnovata la convenzionecon “<strong>Maggio</strong>re Rent”Roma, 1 aprile <strong>2005</strong>. L’<strong>Ordine</strong> nazionale <strong>dei</strong> giornalisti harinnovato la convenzione con <strong>Maggio</strong>re Rent (www.maggiore.it)per il noleggio di auto sul territorio nazionale. Gli sconti,fino al 40 per cento, sono applicati su tutte le tipologie divetture. Gli iscritti all’Albo per accedere alle tariffe agevolatedovranno esibire, all’atto del noleggio, il tesserino professionale.La convenzione scadrà il 28 febbraio 2006.Per ulteriori informazioni rivolgersi al centro prenotazionidella <strong>Maggio</strong>re Rent: telefono numero verde 848867067.Editoria: Gianni Locatelliin cda di Editori PerlafinanzaMilano, 30 marzo <strong>2005</strong>. Gianni Locatelli, già direttore del Sole24 Ore e direttore generale della Rai, è stato cooptato nel CdA diEditori Perlafinanza, la società che edita il quotidiano BloombergFinanza e Mercati. Il CdA della società ha intanto anche confermatoper i prossimi 3 anni Silvano Boroli nella carica di presidente,e nominato poi vicepresidente lo stesso Locatelli. “L’ ingressodi un protagonista di grande prestigio nel mondo dell’ informazione- afferma il comunciato che rende nota la notizia - è un ulteriorepasso nel processo di rafforzamento della casa editrice dopola recente nomina di Andrea Salvati a direttore generale del gruppoe di Fabio Dal Boni a condirettore del quotidiano”. (ANSA)<strong>Ordine</strong>/TabloidORDINE - TABLOID periodico ufficiale del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong> giornalisti della LombardiaPoste Italiane SpA Sped.abb.post. Dl n. 353/2003(conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 (comma 2). Filiale di MilanoAnno XXXV - Numero 5, <strong>Maggio</strong> <strong>2005</strong>Direttore responsabile FRANCO ABRUZZODirezione, redazione, amministrazioneVia A. da Recanate, 120124 MilanoCentralino Tel. 02 67 71 371 Fax 02 66 71 61 94Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della LombardiaFranco Abruzzopresidente;Cosma Damiano Nigro vicepresidente;Sergio D’Asnaschconsigliere segretario;Alberto Comuzziconsigliere tesoriere.Consiglieri:Michele D’Elia, Letizia Gonzales, Laura Mulassano, Paola Pastacaldi,Brunello TanziCollegio <strong>dei</strong> revisori <strong>dei</strong> conti Giacinto Sarubbi (presidente),Ezio Chiodini e Marco VentimigliaDirettore dell’OgL Elisabetta GrazianiSeg. di redazione Teresa RiséRealizzazione grafica: Grafica Torri Srl (coordinamentoFranco Malaguti, Marco Micci)Stampa Stem Editoriale S.p.A.Via Brescia, 22 - 20063 Cernuscosul Naviglio (Mi)Registrazione n. 213 del 26 maggio 1970 presso il Tribunale di Milano.Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC)Comunicazione e PubblicitàComunicazioni giornalistiche Advercoop Via G.C.Venini, 4620127 MilanoTel. 02/ 261.49.005Fax 02/ 289.34.08La tiratura di questo numero è di 24.225 copieChiuso in redazione il 25 aprile <strong>2005</strong>Enzo StrianoIl resto di nientedi Anna Maria Di BrinaDopo che la storia di Eleonorade Fonseca Pimentel, pasionariadella rivoluzione napoletanadel 1799, è diventata unfilm (Il resto di niente, presentatodalla regista AntoniettaDe Lillo allo scorso festival delcinema di Venezia) sembraopportuno riprendere in manol’intenso e documentato libroda cui la narrazione delle vicendeè tratta. Un romanzo“storico”, come Enzo Strianostesso, napoletano d’origine,lo definisce in una nota in fondoal testo, una ricostruzionepoetica, un grande affrescodella Napoli borbonica, tra storiae immaginazione. La vita diEleonora, nobildonna d’origineportoghese trapiantata aNapoli, letterata e poetessa,animatrice del Monitore, vocedella gloriosa quanto sfortunatarivoluzione partenopea,si snoda avvincente e dolorosaattraverso le pagine del libro,filo conduttore di una accoratae limpida rilettura <strong>dei</strong>fatti che interessarono Napolisullo scorcio del XVIII secolo.La narrazione di Striano ha unritmo quasi cinematografico,per scene, misurati stacchi ditempo e luogo, da quandoEleonora bambina giocavapresso il romano porto diRipetta, al suo tuffo nella bellezzae nel mistero di Napoli,allo scoprirsi donna e donnapensante, alla conoscenzadella società, delle sue sfide,al formarsi degli ideali, sullascia di quelli illuministici dell’alloratrainante Francia rivoluzionaria,alla nascita del giornale.Eleonora e Napoli, dunque, idue grandi protagonisti del romanzo.Una donna fragile epoco avvenente, ma dagli occhi“de foco”, intellettualmentevivace e curiosa, indipendente,fatto insolito per quei tempi,ritrovatasi, per caso e per destino,giornalista, tra le primefigure femminili di rilievo deditea quest’attività nel nostro paese.E Napoli, densa e torpida,nera e azzurrissima, terribilefango e dolcissima visione. Lacittà, nella ricca e affascinantericostruzione di Striano, è uncorpo vivo, che respira etrasuda: sono i miseri esporchi lazzari sulle strade,le prostitute bambine,i “salaiuoli” e “ferzaiuoli”,l’indistinto popoloanalfabeta che sopravvive eondeggia, tra forti odori di cibie di mare, dominato da unanatura magnifica e inesorabile.Napoli sono anche i ritrovi<strong>dei</strong> nobili e la corte del reFerdinando, sono i nascentislanci ideali <strong>dei</strong> suoi giovaniistruiti, piccola minoranza, cheleggono Foscolo e Goethe,guardano al modello della rivoluzionefrancese e infine nefabbricano una tutta per loro.Il linguaggio di Striano è essostesso ciò che esprime, in unplurilinguismo e in una discorsivitàmultipla che avvolge esconcerta. Napoletano, francese,spagnolo, portoghese,latino si affiancano e accavallano,dando quella sensazionedi vita magmatica e confusa,variegata nei molteplici stimolie influssi che doveva corrispondereproprio a quelladell’epoca.Il dramma dello scollamentodegli ideali rivoluzionari dallavita del popolo è chiaramenteindicato dall’autore, grazie all’acumecritico di figure indimenticabili,come quella dell’intellettualeVincenzo Cuoco,storico della Rivoluzione, comecausa fondamentale dellatragica fine della Repubblicapartenopea e della morte violenta<strong>dei</strong> suoi più promettentiintelletti. “Certi ragazzi sonocome Dio, generosi e sciocchi”pensa Eleonora (oStriano?) assistendo alla terribileesecuzione del giovaneDe Deo, appellato come un“Giacobbe” (giacobino) dallafolla urlante. Dove sta l’errore?Forse proprio nella frase diSanges, amico fedele dellaPimentel, sta la risposta, pernoi tanto più vera, pensandoalla nostra stessa attualità “quista l’errore, da parte di chipensa di costruire un mondodi giustizia e pace scatenandoquell’odio, anziché rimuoverepazientemente le cause chel’hanno generato”.Eleonora tenta di parlare ancheal popolo, attraverso lepagine del suo Monitore napoletano,un giornale inteso asensibilizzare tutti sui problemie sugli obiettivi della collettività.Al suo sforzo di verità e dieducazione col mezzo dellastampa si accompagna, così,l’inevitabile riflessione cui il lettoreè chiamato sul senso dellascrittura e sul ruolo <strong>dei</strong> giornalinella società che si avviaverso la modernità. È in particolarequando a Eleonora èaffidato il compito di scrivere einformare che nella sua mentesi fa urgente la necessità diprendere una posizione chiararispetto ai gravi avvenimentiin corso. Come si può parlareagli altri se non si ha una propriachiara visione delle cose?È giusto o meno raccontare leefferatezze compiute da soldatifrancesi sul suolo napoletanoproprio quando il distac-co e l’avversione del popoloper la Rivoluzione si fanno piùpericolosi? La stampa ha unruolo di propaganda, perquanto giusta, o un compitodi imparziale informazione,per quanto rischiosa?Eleonora è un’idea, un“personaggio”, del qualegià si conosce il percorso,ma è anche una donna, e nellasua umanità Striano lasciaentrare il lettore congarbo, sciogliendone ipensieri, rivelandonesentimenti, debolezze,sogni e sofferenza,l’adesione alla vitacosì come viene, ilcoraggio che la guidaverso l’emancipazione, idubbi, il commoventeinesauribile dolore per lamorte prematura del piccolofiglio.Dalle speranze, le momentaneeconquiste del generosogruppo di ribelli, la narrazioneprocede verso l’inevitabile epilogo,al nulla che infine rimane,dell’ardore, della passionecivile che ha mosso, infiammandogli animi di questi giovani“cittadini” partenopei.Come lo stesso Cuoco ebbe ascrivere, le idee troppo astrattestrapparono la libertà cheintendevano stabilire, e con lalibertà, anche la vita di tanti.Domina, davanti al drammache si compie, il fluire scompostoe inarrestabile dellaquotidianità. Napoli continua avivere, come ogni giorno, tra ichiaroscuri <strong>dei</strong> suoi vicoli e leluminosità trasparenti del suogolfo. Presto dimenticherà.Negli occhi del lettore restano,fissate, le immagini dell’asprabattaglia finale a S. Elmo, polveree grida, lo scempio di povericorpi galleggianti in mare;nei suoi orecchi lo strano silenzioche accompagna l’esecuzionedi Eleonora e quell’ecolontana delle ultime paroledi lei, intrise di saggezza tuttapartenopea, rivolte a un impotenteprete: “Accossì adda i’.Come dicono i lazzari: cosìdeve andare. Tu non ce puo’fa’niente. Il resto di niente”.Enzo Striano,Il resto di niente,Rizzoli 2001,pagine 424, euro 11,50(precedentementepubblicato da Avagliano)IFG TABLOIDA cura dell’Istituto “Carlo De Martino”per la Formazione al GiornalismoDirettore: MASSIMO DINICoordinamento di: Alfredo PallavisiniSegreteria di redazione: Annamaria PizzinatoAssociazione “Walter Tobagi” per la Formazione al GiornalismoPresidente: GIUSEPPE ANTONIO BARRANCOdi VALDIVIESOConsiglio di presidenza (triennio 2004-2007):Giuseppe Antonio Barranco di Valdivieso (presidente),Andrea Biglia, David Messina, Damiano Nigro (vicepresidenti),Guido Re (segretario), Angelo Morandi (tesoriere),Massimo Dini (direttore Ifg),Franco Abruzzo, Livio Caputo, Pasquale Chiappetta,Ezio Chiodini, Alberto Comuzzi, Marina Cosi,Sergio D’Asnasch, Michele D’Elia, Luca Del Gobbo,Pierfrancesco Gallizzi, Letizia Gonzales, Giorgio Mezzasalma,Antonio Mirabile, Maurizio Michelini, Laura Mulassano,Paola Pastacaldi, Luca Pierani, Giacinto Sarubbi, Pietro Scardillo,Brunello Tanzi, Marco Ventimiglia, Maurizio Vitali.Comitato ristretto:Giuseppe Antonio Barranco di Valdivieso, Franco Abruzzo,Andrea Biglia, Luca Del Gobbo, Massimo Dini, David Messina,Angelo Morandi, Cosma Damiano Nigro, Guido Re, Maurizio VitaliCommissione didattica:Piero Ostellino (presidente)Chiara Beria di Argentine, Vincenzo Ceppellini, Mario Cervi,Giovanni Degli Antoni, Massimo Dini, Umberto Galimberti,Alberto Martinelli, Giorgio Rumi, Guido Vergani, Elia ZamboniCollegio <strong>dei</strong> revisori <strong>dei</strong> conti:Luciano Micconi (presidente), Piergiorgio Corbia, DomenicoFiordelisi. Supplenti: Agostino Picicco e Massimo RavelliORDINE 5 <strong>2005</strong>19


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