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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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PARTE SECONDA 171Una ricognizione dei fatti aiuta a capire le ragioni del diniego. In un caso,si trattava del recupero Tarsu compiuto dal Comune nei confronti di unasocietà di gestione di campeggi, la quale aveva dichiarato una superficie imponibileinferiore a quella corretta. Il Comune per molto tempo non avevamosso contestazioni alla società, salvo procedere a una successiva rettificadelle aree imponibili – a seguito di verifica fisica dei luoghi – con conseguenteliquidazione della maggior imposta. Il contribuente contestava il recuperosostenendo che il Comune non aveva fino ad allora mai contestato la dichiarazionedelle aree compiuta dalla società e che ciò aveva determinato unlegittimo affidamento circa la correttezza del comportamento tenuto dallacontribuente stessa.La Corte ha respinto la censura del contribuente, ritenendo che non potesseparlarsi di legittimo affidamento del contribuente il quale aveva effettuatouna dichiarazione parziale delle aree da sottoporre a tassazione, dichiarandosolo quelle che secondo la sua interpretazione erano imponibili.Al contrario, era onere del soggetto passivo dichiarare tutte le aree e poieventualmente chiedere per alcune di esse l’esenzione o la riduzione, in ragionedelle loro caratteristiche. Tale comportamento impediva di configurarela buona fede del contribuente e il fatto che il Comune per molto tempo nonabbia proceduto ad accertamenti o rettifiche non poteva considerarsi ostativoa una successiva azione di accertamento (Cass., sez. trib., 23 marzo 2005, n.6306, in Vita not., 2005, 351).In altro caso, l’applicazione dell’art. 10 è stata esclusa perché la prassidell’ufficio su cui si fondava l’affidamento non aveva i requisiti di oggettivitàper poter essere preso in considerazione. Era l’ipotesi di un soggetto che effettuavail versamento delle imposte direttamente nelle mani di un funzionariocomunale, anziché procedere a pagamento mediante bollettino postale.Accade poi che l’impiegato anziché riversare i pagamenti nelle casse del Comune,ha preferito tenere il denaro per sé.Il contribuente, a fronte della richiesta di pagamento dell’allora Intendenzadi finanza, ricorse in Commissione sostenendo la legittimità del pagamentoe la sua buona fede sia sotto il profilo di cui all’art. 10, sia sotto ilprofilo valorizzato ai fini dell’adempimento dall’art. 1189 c.c.La Cassazione ha respinto le doglianze del contribuente sul rilievo che ladiversa modalità di pagamento non era frutto di una prassi autorizzata oquanto meno avvallata dall’ente impositore, ma trovava fondamento esclusivonei rapporti personali tra contribuente e funzionario. Era pertanto da escluderel’esistenza di una «prassi» riferibile all’ente in grado di supportare un giudiziooggettivo di affidamento.Si è, invece, ritenuto sussistente l’affidamento in un diverso caso nelquale il contribuente, sostituto d’imposta, aveva omesso il versamento delleritenute. La società aveva poi ottenuto la rateazione del pagamento delle ritenutenon effettuate, corrispondendo quanto dovuto alle scadenze indicate dalMinistero. Successivamente aveva proposto istanza per fruire della sanatoriaper le irregolarità formali prevista dal d.l. 2 marzo 1989, n. 69. L’Amministrazionefinanziaria riteneva che il contribuente non potesse fruire della sanatoriain quanto non aveva pagato alle scadenze dei ruoli (secondo il tenoreletterale della legge condonistica).La Cassazione ha respinto l’interpretazione del ministero che ricollegava l’obbligodi pagamento delle imposte alla scadenza originaria e non a quelle stabilitecon il provvedimento di rateazione, ritenendo che tale interpretazione violassei canoni di collaborazione e buona fede in quanto i nuovi termini erano sta-

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