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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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160 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIAAnche in questo caso le date aiutano a comprendere la vicenda: la richiestadi delucidazioni era del 24 luglio 2002, gli avvisi di liquidazione(si trattava di Imposta di successione) erano del 4 ottobre successivo. Ilcontribuente lamentava il mancato rispetto del termine minimo di trentagiorni sul presupposto dell’applicabilità della sospensione feriale (gli avvisiavrebbero dovuto essere notificati dopo l’8 ottobre. Il rigetto del motivo èpotuto derivare de plano dalla semplice considerazione che il termine dequo non è un termine processuale, ai quali soli è applicabile la sospensioneferiale.6. – La motivazione degli atti tributari e l’applicazione del principio ai provvedimentidegli enti locali e dell’Agente della riscossioneIl principio per cui tutti gli atti tributari devono essere motivati in fatto ein diritto è stato sancito dall’art. 7 dello Statuto, recependo quelle istanze ditutela del contribuente che, comunque, non erano state in precedenza disattesedalla giurisprudenza.Al significato e alla portata di tale articolo questa Rivista ha già dedicatouna rassegna a firma di R. Zanni nell’annata 2005, sicché più che ripeterequanto già osservato in tale testo si preferisce riportare alcune pronunce recentie significative in tema di motivazione.In particolare, meritano di essere segnalate due pronunce che riguardanonon atti di accertamento delle Agenzie fiscali, bensì atti degli enti locali e delconcessionario (ora ribattezzato Agente della riscossione).Per quanto riguarda gli enti locali la Commissione Tributaria Provincialedi Bologna ha stigmatizzato la motivazione di un atto di accertamento Ici checosì si esprimeva: le contestazioni oggetto del presente avviso sono motivatedalla presentazione di una dichiarazione infedele, incompleta o inesatta perquanto attiene ai parametri di calcolo dell’imposta, come dettagliato nel prospettoriepilogativo (Comm. trib. prov. Bologna, 11 ottobre 2004, n. 200, inBoll. trib., 2005, 390).Nel caso di specie a fronte di una formula di stile, il Comune avevacontestato anche la rendita catastale, l’interpretazione della normativa concernentel’attribuzione della rendita stessa e la sua efficacia nel tempo ai sensidell’art. 74, l. n. 342 del 2000. Era sin troppo evidente che a fronte di un accertamentocosì complesso una motivazione come quella adottata dal Comunenon avrebbe mai potuto adempiere al suo scopo, ossia spiegare il ragionamentologico-giuridico che conduce all’an ealquantum della pretesa <strong>tributaria</strong>.Si tratta, invero, di un atto per così dire paradigmatico dello stile motivazionaledei Comuni: viene infatti utilizzata una formula omnicomprensivavalida per ogni accertamento (è difficile immaginare un vizio della dichiarazionedel contribuente ulteriore rispetto all’infedeltà, all’inesattezza e all’erroneità),con rinvio al prospetto riepilogativo che altro non è se non due colonneaffiancate di numeri e dati, del tutto inutili se si vuol capire cosa contestail Comune, ma di sicura validità per verificare se i funzionari hanno fattocorrettamente la differenza tra dovuto e dichiarato.Nonostante le riforme in materia, gli enti locali si sono dimostrati refrattari(la sentenza li definisce «insensibili») a mutare le loro prassi, volte essenzialmentea rendere il meno faticoso possibile l’accertamento, come ha benpresente chi, per lavoro, si è imbattuto in tali atti.Che si tratti di una prassi ormai contra legem, ancorché diffusa, è di tut-

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