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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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PARTE SECONDA 99mente, con l’applicazione di aliquote d’imposta variabili su ogni scommessaa seconda delle sue difficoltà. Ed essendo presumibile che con il crescere delladifficoltà della scommessa, e la conseguente diminuzione delle probabilitàdi vincita, il margine di guadagno del Coni, e dei suoi concessionari, a paritàdi somme scommesse, sia maggiore, vi è una relazione tra l’imposta e la manifestazionedi ricchezza. La considerazione della capacità contributiva, quindi,come meglio si dirà nel prosieguo, non manca del tutto.Da non sottovalutare l’osservazione, svolta in corso di giudizio dal Presidentedel Consiglio dei Ministri, secondo cui, alla luce della giurisprudenzacostituzionale, è sufficiente che la legge stabilisca il limite massimo dell’imposta(49) e, nel caso sottoposto all’attenzione della Corte nel giudizio dequo, è facilmente identificabile l’importo massimo dell’imposta, che è quelloricavabile dall’applicazione dell’aliquota fissa prevista dalla legge sul gettitocomplessivo delle scommesse: è infatti evidente che, essendo comunque labase imponibile, cioè la quota di prelievo lorda, in concreto minore, l’impostasarà sì variabile in base al mutare della quota di prelievo in proporzione alladifficoltà della scommessa, ma in ogni caso minore dell’imposta in misuramassima.Non va sottaciuto, infine, che l’imposta unica è tradizionalmente considerataun’imposta sostitutiva (50): pur se formalmente colpisce il soggettogestore, nella sostanza e sul piano economico, finisce per penalizzare anche ilvincitore, che, di fatto, non percepisce l’importo che discenderebbe dal calcolodelle probabilità; tanto in assoluta controtendenza rispetto alla enunciazioneteorica e all’opinione corrente secondo cui, sulle vincite dei giochi pubblici,non si pagano le imposte.Le ricadute di tale illusoria convinzione sulla psicologia dello scommettitoresono l’incentivazione a partecipare a tale attività di gioco e ciò in direzionenettamente contraria a quella sortita dalle imposte di consumo che produconol’effetto dissuasivo sul pubblico da certi consumi: ma si tratta evidentementedi una tipica illusione finanziaria (51). Tale carattere atipico attenuafortemente la possibilità di concepirne la natura secondo lo schema fondamentaledelle imposte dirette, che colpiscono le manifestazioni di ricchezza,nella misura da esse rivelata.(49) Così Corte cost., 1 o aprile 2003, n. 105, cit.(50) Così la caratterizzava l’art. 5, 2 o comma, l. 22 dicembre 1951, n. 1379, cit.; loribadiscono l’art. 7 d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 contenente «Riordino dell’imposta unicasui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’art. 1, 2 o comma, della l. 3 agosto1998, n. 288»; l’art. 17 d.m. 2 giugno 1998, n. 174 cit. ed ora l’art. 11 d.m. 1 o marzo2006, n. 111, recante «Norme concernenti la disciplina delle scommesse a quota fissa sueventi sportivi diversi dalle corse dei cavalli e su eventi non sportivi da adottare ai sensidell’articolo 1, 286 o comma, della l. 30 dicembre 2004, n. 311».(51) Così Boria, La disciplina <strong>tributaria</strong> dei giochi e delle scommesse. Contributoallo studio dei monopoli fiscali, inRiv. dir. trib., 2007, I, 33 ss.; secondo De Sena, Concorsie operazioni a premio, giuochi di abilità e concorsi pronostici nel diritto tributario,in Dig. disc. priv., sez. comm., III, Torino, 1988, 382, però, pur essendo vero che i vincitorisono anch’essi incisi dall’imposta, in senso economico, in quanto il monte-premi viene fissatoal netto, oltre che della quota riservata agli organizzatori, anche dell’imposta, non losono in senso giuridico, in quanto essendo presupposto di essa l’organizzazione del gioco, ivincitori vi partecipano nella stessa misura di tutti gli altri concorrenti che non possono essereincisi, neppure in senso economico, poiché si limitano ad effettuare una giocata, la cuientità non è in alcun modo modificata dall’esistenza dell’imposta.

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