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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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44 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIAvi è chi ritiene che nei casi in cui il soggetto che si trasferisce non sconta alcunaexit tax all’estero non occorre garantire la «rivalutazione» fiscale dei beni(22).Per questi autori (23) i beni che già possiedono un valore fiscalmente riconosciutoin Italia dovrebbero mantenere tale valore anche dopo la fusione,mentre quei beni che non possiedono ancora un valore fiscalmente riconosciutoai fini italiani dovrebbero essere assunti nel nostro ordinamento in baseal valore fiscale ad essi riconosciuto nell’ordinamento di provenienza, salvasempre l’ipotesi in cui vi sia stato l’esercizio del prelievo sotto forma di exittax da parte dell’ordinamento estero, per il fatto che tali beni non siano confluitiall’interno di una stabile organizzazione nel Paese della società incorporata(24). Ne conseguirebbe però, come sottolineano altri, che dopo la fusioneil Paese dell’incorporante acquisirebbe plusvalori imponibili maturati nell’ambitodell’ordinamento fiscale alieno, magari in base a specifiche disposizionifiscali come quelle relative agli ammortamenti.Anche un’analisi di altre disposizioni interne, peraltro, non risolve laquestione: da un lato, infatti, è noto che nell’assoggettare a prelievo i redditi(22) Baggio, La perdita e l’acquisto della residenza fiscale: quadro d’insieme edaspetti controversi, inRiv. dir. trib., 2006, I, 556 e ss.; Maisto, Possibili criteri direttiviper una revisione dell’Ires improntata alla competitività del sistema fiscale italiano, inRiv.dir. trib., 2007, I, 349; Id. Implementation of the EC Merger Directive, inBullettin for In’lFisc. Doc., 1993, 486 e nota 34 alla stessa pagina; posizione in parte assimilabile quella diZizzo, Le riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi, Milano, 1996, 352 e ss., chedistingue il caso in cui la società incorporante mantenga una stabile organizzazione nelPaese dell’incorporata da quello in cui dopo l’operazione non permanga alcuna stabile organizzazionein tale Paese. Mentre nel primo caso occorrerebbe recepire anche ai fini dell’ordinamentodell’incorporante i valori fiscali dei beni di primo grado precedentemente riconosciutiall’incorporata, nel secondo si potrebbe riconoscere come nuovo valore fiscaleper l’incorporante il valore di mercato dei beni al momento della loro «entrata». Pare invececontrapporsi a questa interpretazione Assonime, circolare 31 ottobre 2007, n. 67, nota72, che, pur riconoscendo la problematicità della fattispecie, propende per un criterio di valutazioneche sia uniforme, a prescindere dalla permanenza nel Paese della fonte di una stabileorganizzazione. In un’ottica de iure condendo, peraltro, l’associazione sottolinea ancheil problema che nascerebbe laddove, riconosciuto il valore di mercato in entrata su beni rimasticonnessi ad una stabile organizzazione estera, si riconosca anche l’accreditamentodelle imposte estere applicate dal Paese della fonte in riferimento a valori storici che sonostati mantenuti per la sua fiscalità: in questi casi, naturalmente, occorrerebbe prevederel’inapplicabilità del credito d’imposta, dato che non sussisterebbe alcun rischio di doppiaimposizione.(23) V. in particolare Zizzo, Le riorganizzazioni societarie, cit.(24) Vi sarebbe inoltre anche il caso della stabile organizzazione della società incorporatain un Paese terzo, ipotesi per cui sia la direttiva che la disciplina domestica prevedonoun apposito meccanismo di notional tax credit, che se da un lato consente allo Statodella incorporata di esercitare il prelievo (in quanto tali beni sfuggiranno dopo la riorganizzazionealla sua potestà impositiva) dall’altro impongono però il riconoscimento di un creditod’imposta nozionale per quanto, in caso di realizzo, si sarebbe dovuto pagare nel Paesedove si trova la stabile organizzazione. Sul punto v. Silvestri, cit., 503 e 504, il quale prendespunto da questo esempio per un’ulteriore critica dell’interpretazione per cui occorrerebbeassumere in entrata valori fiscali costruiti in ordinamenti stranieri, oltretutto in base alladisciplina fiscale di ciascun singolo Paese; il caso, infatti, porrebbe il dilemma di quale valorefiscale assumere anche ai fini interni, se quello dei beni della stabile organizzazionenel Paese della fonte, ove si trova la detta stabile organizzazione, oppure quello riconosciutoai medesimi beni nel Paese della società incorporata.

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