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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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PARTE PRIMA 23posta» (19), iniziando con i coefficienti presuntivi di compensi e ricavi,per giungere poi ai più recenti studi di settore. La loro introduzione,rappresenta, difatti, la diretta conseguenza della scelta fatta con lariforma del sistema delle imposte sul reddito del 1971, laddove si decisedi ancorare la determinazione del reddito d’impresa alle risultanzedel conto economico, anche per le piccole realtà imprenditoriali, per lequali la tenuta delle scritture contabili finiva, di fatto, per diventare«un fardello fiscale piegato all’obiettivo della determinazione dell’imponibilema del tutto inutile dal punto di vista della misurazione delleperformances aziendali» (20). Tuttavia, così facendo, il regime di totaledipendenza del reddito fiscale dal reddito civilistico finiva spessevolte per precludere agli Uffici impositori – salvo i casi di dimostratainattendibilità delle scritture contabili – la possibilità di ricostruire induttivamentegli eventuali maggior redditi non dichiarati, utilizzandoelementi esteriori (non desumibili dalla contabilità) in grado di far presumerela sussistenza di fattispecie evasive.In considerazione di ciò, mentre poteva apparire giustificabile la previsionenormativa che consentiva all’Amministrazione finanziaria l’utilizzodegli strumenti presuntivi de quibus al fine di intercettare le sacchedi evasione che potevano (e possono) annidarsi nelle attività d’impresadi piccole dimensione, diversamente, appare del tutto irragionevoleed incoerente l’attuale ampliamento dello spettro applicativo degli studidi settore a (quasi) tutti i soggetti titolari di redditi d’impresa, a prescinderedalle dimensioni aziendali, dimenticando il dato di fatto secondocui la tendenza a manipolare i dati contabili per finalità evasive è fisiologicamentepiù diffusa nelle attività d’impresa di modeste dimensione,laddove, invece, al crescere delle dimensioni dell’azienda si assiste ad unanaturale e fisiologica riduzione di tale rischio (21).Anche per queste ragioni, sarebbe auspicabile un intervento legislativoche comporti un «ritorno all’origine» relativamente all’utilizzabilitàdegli studi di settore nei confronti dei soggetti in contabilità ordinaria,escludendola o quanto meno limitandola per questi ultimi, poichél’«irrilevanza» delle risultanze contabili nell’individuazione delreddito da sottoporre a tassazione, quale effetto sostanziale delle novitàintrodotte dalla c.d. «Riforma Prodi», appare assolutamente irragionevole,oltre che costituzionalmente illegittima, rischiando di trasformarel’attuale sistema impositivo reddituale da un sistema fondato sullaeffettiva capacità economica della persona - contribuente, in un si-(19) In questi termini cfr. M. Beghin, I soggetti sottoposti all’applicazionedegli studi di settore, op. cit., 645. Si veda anche L. Salvini, Commento all’art.11 della L. n. 154 del 1989, inNuove leggi civ. comm., 1990, 1091.(20) In questi termini cfr. M. Beghin, op. ult. loc. cit.(21) Difatti, l’aumentare dei clienti, la più complessa struttura amministrativa,la maggiore intercettabilità dei flussi reddituali dell’impresa rendono certamentepiù difficile la manipolazione delle scritture contabili. Sull’argomento cfr.M. Beghin, op. ult. cit., 648 ss.

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