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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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16 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIAcontributiva (5), esplicitate da un reddito imponibile da determinarsisulla base delle risultanze contabili (6).Orbene, la disciplina generale (sebbene più volte modificata) (7)degli studi di settore – che nelle iniziali intenzioni del legislatoreavrebbero dovuto costituire l’evoluzione o, meglio ancora, il perfezionamentodegli originali parametri (8) – è essenzialmente contenuta ne-(5) Con riferimento al principio di capacità contributiva si veda, per tutti,G. Falsitta, Il doppio concetto di capacità contributiva, inRiv. dir. trib., 2004,889 ss., cui si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici. Più recentemente cfr. P.Boria, Il bilanciamento di interesse fiscale e capacità contributiva nell’apprezzamentodella Corte costituzionale, in L. Perrone e C. Berliri, <strong>Diritto</strong> tributario eCorte costituzionale, Roma, 2006, 57 ss.(6) In tal senso cfr. M. Beghin, Utilizzo sistematico degli studi di settore erispetto del principio di capacità contributiva, inCorr. trib., 2007, 1973 ss.; Id., Isoggetti sottoposti all’applicazione degli studi di settore, inManuale di dirittotributario, Parte speciale, (a cura di) G. Falsitta, Padova, <strong>2008</strong>, 644 ss.(7) La disciplina degli studi di settore è stata sin dall’inizio oggetto di continuiinterventi e modifiche, finendo così per rappresentare il risultato confuso diuna progressiva stratificazione normativa; tutto ciò ha certamente contribuito inmodo rilevante ad accentuarne (specie per gli operatori) le difficoltà applicative e,soprattutto, interpretative. Peraltro, gran parte di tale disciplina è contenuta nongià in fonti normative primarie, bensì in numerosi decreti ministeriali recanti larelativa disciplina attuativa, in cui, sulla base di formule matematico – statistichee partendo da dati contabili ed extracontabili, vengono determinati, per i diversisettori di attività, i ricavi presunti. A queste fonti normative primarie e secondarie,vanno poi aggiunte le numerose e (considerata la peculiarità della materia)molto spesso essenziali, indicazioni operative fornite dall’Amministrazione finanziaria,in specie attraverso l’emanazione di apposite circolari. Pertanto, prescindendodalle problematiche sostanziali connesse ad un eccessivo e non correttoutilizzo degli studi di settore, quale strumento di accertamento di redditi presunti,può fin d’ora evidenziarsi un primo, seppur formale (ma certamente non irrilevante),profilo di criticità: l’eccessiva frammentazione e progressiva stratificazionedelle fonti normative recanti la disciplina degli studi di settore. Sarebbe, dunque,auspicabile, specie al fine di rendere meno ardua l’individuazione e la concretaapplicazione della stessa da parte degli operatori, un intervento del Legislatore direttoa riunire in un unico testo normativo tutta la disciplina, in alcuni casi migliorandone,se possibile, la formulazione legislativa, nonché dirette a realizzareun miglior coordinamento tra la normazione primaria, quella secondaria attuativae la relativa prassi ministeriale, al fine di risolvere alcune delle perplessità interpretativeed applicative.(8) Difatti, l’art. 62-bis, d.l. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito con modificazionidalla l. 29 ottobre 1993, n. 427), così come più volte modificato, disponeche gli uffici del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze, sentite leassociazioni professionali e di categoria, elaborano, entro il 31 dicembre 1995,in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di renderepiù efficace l’azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazionedei coefficienti presuntivi di cui all’art. 11 del d.l. 2 marzo 1989, n. 69 (...). Atal fine gli stessi uffici identificano campioni significativi di contribuenti appartenentiai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare ele-

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