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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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228 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIAquali ritornano di moda. Chi le riaffaccia ricorda le ombre che le accompagnarononel passato? Il procuratore alle imposte, funzionario di stato, è forseun imperfetto sostituto del magistrato. In lui, accanto all’animo del giudice,vive il vecchio animo del rappresentante del fisco regio, il quale non solo difendeil suo patrimonio contro gli assalitori, ma lo vuole ad ogni costo e conogni mezzo crescere a danno del privato. In fondo all’animo fiscale vive peròla consapevolezza dell’interesse pubblico e nasce il germe dell’imparzialitàcon la quale il giudice attribuisce il suo allo stato ed al privato. Importa rafforzarei germi buoni e farli crescere; importa attribuire la definizione ultimadi tutti i litigi tributari, di fatto e di diritto, al magistrato indipendente, ed importache egli, non avendo nulla da temere né da sperare dagli uomini e sapendodi dover solo rendere conto dell’opera propria alla coscienza di Dio, sisenta e sia davvero indipendente. Attribuire ai confratelli, ai consorti, sia pureriuniti in associazione, il compito, – gelosamente riservato al padre, al capo,al re e da questi delegato al magistrato che, pur incarnandoli, è tenuto ad ubbidireai loro comandi solo quando siano tradotti nel verbo della legge – diripartire le imposte, sarebbe un ritornare indietro di centinaia d’anni, un abbandonarele bilancie della giustizia in mano ai forti ed agli astuti, con inenarrabileiattura dei deboli e degli onesti.198. – Don Pasquale De Miro, presidente della prima giunta del censimentoscelse a caso ottanta comuni, dieci per ciascuna delle otto provinciedello stato e calcolò quanto ammontasse il gravame delle imposte «regie»supponendo che per tre quarti cadesse sui fondi e per un quarto sulle persone.Disuguaglianze meravigliose furono osservate. Lo scudo di valore capitaledei terreni e degli altri beni catastati apparve soggetto a balzello varabilissimonella stessa provincia e più tra provincie diverse. Fu constatato chenel contado di Milano i terreni del comune meno tassato pagavano in mediasolo 8 denari e 5 punti per scudo, laddove quelli del comune più tassato pagavano2 soldi, 5 denari e 3 punti, il che vuol dire quattro volte tanto; chenel contado di Cremona il minimo carico era di 6 denari e 5 punti ed il massimodi 4 soldi, 7 denari e 9 punti, con un divario di più che da 1 ad 8; e chenell’intiero stato milanese il comune meno tassato tra gli ottanta scelti a casopagava solo 1 denaro e 9 punti, laddove quello più tassato soggiaceva a uncarico di 13 soldi, 5 denari e 1 punto per scudo di estimo, più che 92 volte ilcarico minimo.Disuguaglianze non minori si osservarono nel «carico personale», lequali si possono riassumere dicendo che la testa media del comune meno tassatopagava 13 soldi, 11 denari ed 1 punto, laddove la testa media del comunepiù tassato soggiaceva ad un onere di 36 lire e 9 punti, più di 51 voltetanto.Prudentemente, il presidente De Miro osserva: «Le sproporzioni e disuguaglianzeosservate in detti ottanta comuni hanno luogo anche in tutti gli altridello stato, e ve ne saranno molti, nei quali si darà più grave sbilancio diquello si è notato nei suddetti» (pagina 49). Come potrebbero le disuguaglianzeessere minori, se si tenta di riassumere la descrizione che con animoindignato di giureconsulto il De Miro tracciò del disordine e dell’oscurità diquei metodi di riparto dei tributi?Bocche e teste, bocche e mezze bocche, metà e quarti di testa di femmine,di muti e di storpiati, teste vive e morte e finte, teste di massari e tested’ottava colonica, teste diversificate in ragione della santa comunione o delmatrimonio, teste di famigli, di capi di casa, di ammogliati, di uomini sciolti,di vedove, pertiche civili ecclesiastiche e forensi, punti di pertiche, di uomini

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