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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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DOCUMENTISÌ, SE È CATTIVA E MASSIMAMENTE INCERTA (*)193. – L’imposta ottima, alla quale i legislatori aspirano, sappiamo giàessere quella che non grava, che non pesa, che non preleva nulla, anzi crescela ricchezza dei contribuenti. E questa non si può chiamare imposta. Inversamente,è vera imposta quella che sul serio grava preleva taglieggia; quellaprelevata dallo Stato che porta via assai e poco restituisce ai cittadini. E questala chiameremo «taglia».194. – Nei tempi moderni gli uomini quasi non conoscono più che cosasia la vera taglia. Bisogna risalire agli scrittori del decimosettimo e decimottavosecolo per leggere qualche pagina su di essa.Un secolo innanzi alla rivoluzione La Bruyère descriveva il contadinofrancese:«Si veggono, sparsi per la campagna, neri, lividi e bruciati dal sole taluni animaliselvatici, maschi e femmine, asserviti alla gleba che essi frugano e rimuovono coninvincibile ostinazione. Costoro hanno quasi una voce articolata e, quando si alzano inpiedi, dimostrano una faccia umana, ed in verità sono uomini. Durante la notte si ricoveranoin tane ove vivono di pane nero, d’acqua e di radici. Poiché essi scansano aglialtri uomini la fatica di seminare, di arare e di mietere per vivere, costoro meritano dinon mancare di quel pane che hanno seminato».Delle cause le quali avevano persuaso Saint Simon a dire del più gran red’Europa che egli era anche il re «de gueux», una è messa in risalto da Alessiodi Tocqueville: l’incertezza arbitraria dell’imposta.«L’esattore a cui tocca la mala ventura di ripartire la taglia fra i contribuenti delsuo comune è nel tempo stesso tiranno e martire. Poiché egli è responsabile con tuttala fortuna per il versamento della somma assegnata al comune, ognuno schiva il caricoruinoso e tutti son chiamati a forza a sostenerlo a turno. “L’ufficio” afferma Turgot,“è cagione di disperazione e quasi sempre di rovina per coloro ai quali è affidato;tutte le famiglie agiate del villaggio sono così ridotte ad una ad una alla miseria”. Ridottoegli alla rovina, tiene in pugno la rovina di tutti. “La preferenza per i suoi parenti”diceva nel 1772 l’assemblea provinciale dell’alta Guienna “per gli amici e per ivicini, l’odio, la sete di vendetta contro i nemici, il bisogno di un protettore, la pauradi recar dispiacere a un cittadino agiato che fornisce lavoro, lottano nel suo cuore colsentimento della giustizia”. Il terrore toglie all’esattore ogni senso di pietà. In taluneparrocchie l’esattore non va in giro se non accompagnato da soldati e da uscieri. Nes-(*) Le pagine di Luigi Einaudi (tratte da Miti e paradossi della giustizia <strong>tributaria</strong>,Einaudi ed., Torino, 1970, 205 ss.) sono di piena attualità.

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