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Diritto e pratica tributaria n° 1-2008 - Shop WKI

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158 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIAma con evidenti riflessi in sede processuale, il cui unico punto fermo èl’obiettivo della massimizzazione del profitto che viene imposta agliuffici periferici e presentata ai contribuenti quale necessità inderogabile,ma che in verità non coincide con l’interesse pubblico ad una «giustizia<strong>tributaria</strong>», vale a dire ad un sistema fiscale conforme ai principicostituzionali e statutari (16). La carenza di rappresentatività, determiventeviziata dalle esigenze di «cassa». In tal senso si veda Cass., sez. un., sent.n. 25506 del 30 novembre 2006, in Fisco, 2006, 7313: «... in materia fiscale gliinterventi interpretativi sono sempre pro Fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa(nell’intento di realizzare maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi, alla esigenzadi realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi diuna delle parti in causa. Ciò non facilita l’instaurarsi di un rapporto di fiducia traAmministrazione e contribuente, basato sul principio della collaborazione e dellabuona fede, come vorrebbe lo Statuto del contribuente. Nel caso di specie, poi,non è facile distinguere l’Amministrazione Finanziaria dal legislatore posto che lanorma interpretativa è stata approvata con decreto legge del governo, convertitoin legge, la cui approvazione è stata condizionata al voto di fiducia». È agevoleosservare la corrispondenza al vero di tale annotazione ove la si metta a confrontocon le interpretazioni recate dalle più recenti circolari dell’Agenzia delle entrate:n. 5/E del 2 febbraio 2007, in Fisco, 2007, 853; n. 6/E del 6 febbraio 2007, inFisco, 2007, 1025; n. 7/E del 7 febbraio 2007, in Fisco, 2007, 1013; n. 8/E del13 febbraio 2007, in Fisco, 2007, 1107. Cfr. D’Orsogna, Se l’Agenzia delle entrateriveste più funzioni: di legislatore, interprete e parte in causa, nell’ordinamentotributario, inFisco, 2007, 1574 ss.(16) L’obiettivo emerge chiaramente dai piani diramati dall’Agenzia delle entrateladdove agli uffici periferici si richiedono precisi indici di positività dei controllisostanziali effettuati, indici che negli ultimi anni sono stati fissati ad una quota compresatra l’85% ed il 90%. È del tutto evidente che simili parametri condizionano l’azioneaccertatrice, azione che si impone e giustifica solo in presenza di dubbi riguardouna possibile evasione d’imposta e che, quindi, per sua stessa natura non può mai assicuraresimili percentuali di riuscita, essendo ovviamente e palesemente sottopostaall’alea del riscontro effettivo di un dubbio, sia pure il più fondato. In sostanza, dunque,non si consente ai verificatori un sereno esercizio del delicato compito loro affidatoed in partenza li si costringe a «trovare qualcosa» ad ogni costo con buona pacedell’effettività della capacità contributiva. L’attività di controllo viene, inoltre, caricatadi «significati simbolici» e «drammatizzata» sotto l’egida della lotta all’evasioneche assume connotazioni distorte e fomenta conflitti tra le parti sociali, comeacutamente osservato da Lupi, Accertamento: Fisco con le armi spuntate tra leggi sterilie criminalizzazioni inutili, inGuida alle novità fiscali, inIl Sole 24 Ore, 10dicembre2006, 6e7.Unacorretta e non utopistica interpretazione dei rapporti tra amministrazionee contribuente dovrebbe, al contrario, raccomandare l’esercizio del contraddittoriocon il contribuente e non certo un’impostazione inquisitoria. L’Amministrazionefinanziaria, nell’ambito dei principi e valori costituzionali, dovrebbe valutarel’attività di controllo a prescindere dal suo risultato ed anzi se si volesse dare un’interpretazioneetica dovrebbe persino augurarsi l’esito negativo dell’attività di controlloconfermando, quest’ultimo, l’inesistenza dell’evasione paventata e, dunque, il correttosvolgimento del rapporto fiscale. In altri termini il fisco dovrebbe augurarsi di nontrovare evasori perché questo significherebbe che i consociati percepiscono correttamentel’utilità e la necessità del sacrifico loro imposto. Né può esservi dubbio che

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