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Il diritto dei beni comuni. Un invito alla discussione, in Rivista critica ...

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soggetto può rimanere <strong>in</strong>gabbiato nella relazione reciprocamente costitutivafra bene comune e <strong>comuni</strong>tà. È questa una preoccupazioneavvertita <strong>in</strong> modo <strong>in</strong>tenso <strong>in</strong> una certa letteratura liberal nordamericana,sulla quale credo si debba riflettere 45 .iii) Si arriva così al terzo decisivo elemento di un possibile statutogiuridico <strong>dei</strong> <strong>beni</strong> <strong>comuni</strong>: la gestione. O, più esattamente, la gestionecollettiva e/o partecipata del bene comune. Diciamo subito che, anchequi, la questione non è affatto semplice. L’idea di gestione partecipata<strong>in</strong>contra le stesse obiezioni cui va <strong>in</strong>contro l’idea di democrazia diretta:ad es. quella di presupporre un’entità omogenea preposta <strong>alla</strong> gestione,la <strong>comuni</strong>tà, che nella maggior parte <strong>dei</strong> casi non è affatto omogenea,date le ovvie differenze culturali, sociali, di genere al suo <strong>in</strong>terno (ritorna<strong>in</strong> term<strong>in</strong>i rovesciati la problematicità dell’elemento della <strong>comuni</strong>tà).D’altra parte uno strumento sia pur collaudato come quello cooperativo,ove applicabile, non assicura affatto la gestione partecipata,dato il vizio dell’abuso di delega da cui è tendenzialmente afflitto.Alcuni elementi per pensare <strong>in</strong> positivo la gestione partecipata sidesumono d<strong>alla</strong> regolamentazione delle proprietà collettive ancora esistenti<strong>in</strong> Italia: <strong>in</strong>nanzitutto il v<strong>in</strong>colo di dest<strong>in</strong>azione sul bene, che <strong>in</strong>cidesulla gestione <strong>in</strong> funzione di limite. Se poi il carattere comune delbene si accompagna ad una situazione di appartenenza collettiva, com’èappunto nel caso delle proprietà collettive, allora forti limiti <strong>alla</strong>facoltà di disposizione connoteranno ovviamente l’attività di gestione.Tuttavia la situazione di appartenenza non è carattere necessariodel bene comune. Lo è certamente <strong>in</strong>vece la gestione partecipata chequando non si esprime <strong>in</strong> forma di appartenenza deve necessariamentemanifestarsi come facoltà di controllo e tutela <strong>in</strong> capo <strong>alla</strong> <strong>comuni</strong>tà.<strong>Un</strong> possibile modello al riguardo si ritrova nella proposta di riforma<strong>dei</strong> <strong>beni</strong> pubblici licenziata d<strong>alla</strong> c.d. commissione Rodotà: quila categoria <strong>dei</strong> <strong>beni</strong> <strong>comuni</strong> è disegnata a presc<strong>in</strong>dere dall’appartenenza,cioè d<strong>alla</strong> titolarità della proprietà sul bene, che può esserepubblica o privata. <strong>Il</strong> bene comune è piuttosto <strong>in</strong>dividuato <strong>in</strong> quantonecessario <strong>alla</strong> realizzazione <strong>dei</strong> diritti fondamentali degli <strong>in</strong>dividui. Inconseguenza di ciò ciascuno è legittimato ad agire <strong>in</strong> giudizio lamentandola cattiva gestione del bene da parte di chi ne è formalmente titolare.Si tratta di un modello non solo praticabile, almeno <strong>in</strong> teoria,nel sistema attuale, ma anche idoneo ad essere accolto <strong>in</strong> modo favorevolepoiché si avvale della retorica forte <strong>dei</strong> diritti fondamentali. Sipossono però muovere almeno due obiezioni di carattere politico almodello proposto: la tecnica <strong>dei</strong> diritti fondamentali gioca sul terreno<strong>in</strong>dividuale e perciò occulta o trascura la dimensione collettiva che dovrebbe<strong>in</strong>vece connotare la gestione del bene comune; la dimensione45 Cfr. H. Dagan & M.A. Heller, The Liberal Commons, 110 «Yale L.J.» 549(2000-2001).116

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