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a cura di Roberto Fantoni e Johnny Ragozzi con ... - Walser Italiani

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LA GESTIONE DELLE RISORSE NELLE COMUNITÀ DI FRONTIERA ECOLOGICA.ALLEVAMENTO E CEREALICOLTURA NELLA MONTAGNA VALSESIANADAL MEDIO EVO AL NUOVO MILLENNIOATTI DEL CONVEGNO DI CARCOFORO, 11 E 12 AGOSTO 2007a <strong>cura</strong> <strong>di</strong> <strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong> e <strong>Johnny</strong> <strong>Ragozzi</strong><strong>con</strong> <strong>con</strong>tributi <strong>di</strong>Michele Corti<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong>Alfredo Papale<strong>Johnny</strong> <strong>Ragozzi</strong>Angela RegisMario RemognaMarta SassoMarino SesoneCarcoforo2007


In copertina: Al pascolo, dettaglio della mappa catastale <strong>di</strong> Balmuccia(carta acquerellata a mano, 100 x 45 cm)recante il titolo OTRA MAPPA PRIMA e l’iscrizione 1775 in Agosto (ASCBa).© Gruppo <strong>Walser</strong> Carcoforo, 2007Prima e<strong>di</strong>zione luglio 2007Se<strong>con</strong>da e<strong>di</strong>zione, riveduta e corretta, ottobre 2007È <strong>con</strong>sentita la riproduzione e la <strong>di</strong>ffusione dei testi, previa autorizzazione del Gruppo <strong>Walser</strong> Carcoforo,purché non abbia scopi commerciali e siano correttamente citate le fonti.


ASSOCIAZIONI ED ENTI ORGANIZZATORI E PATROCINATORICOMUNE DI CARCOFOROGRUPPO WALSER CARCOFOROPRO LOCO CARCOFOROPARCO NATURALE ALTA VALSESIACOMUNITÀ MONTANA VALSESIAPROVINCIA DI VERCELLICAI SEZIONE DI BOFFALORAWALSERTREFFEN ALAGNA 2007IL TURISMO DEGLI ALPEGGI


INDICEPresentazioniMarino Sesone 6Paolo Casagrande 7La Valsesia: un laboratorio <strong>di</strong> cultura alpina<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong> e <strong>Johnny</strong> <strong>Ragozzi</strong> 9ALLEVAMENTO E CEREALICOLTURA NELLA MONTAGNA VALSESIANADAL MEDIO EVO AL NUOVO MILLENNIO.RIASSUNTI DELLE COMUNICAZIONI DEL CONVEGNO DI SABATO 11 AGOSTO 2007 13Le comunità <strong>di</strong> frontiera ecologica della Valsesia me<strong>di</strong>evale<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong> 15Produzione agraria e alimentazione in Valsesia fra Antico Regime e RestaurazioneAlfredo Papale 21I cereali in Valsesia: memoria storica e prospettive futureAngela Regis e Marta Sasso 26Aspetti storici e prospettive <strong>di</strong> rifunzionalizzazione dei sistemi d’alpeggio:la realtà valsesiana nel <strong>con</strong>testo alpino centro-occidentale.Considerazioni sull’evoluzione “parallela” dell’alta Valsesia e della ValchiavennaMichele Corti 33LA PRODUZIONE ALIMENTARE 39L’alimentazione a Rimella, una comunità dell’alta ValsesiaMario Remogna 41Attestazioni tardome<strong>di</strong>evali della produzione casearia valsesiana.<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong> 44L’olio <strong>di</strong> nociMarta Sasso 52Le miacce: testimonianze documentarie <strong>di</strong> una secolare tra<strong>di</strong>zione valsesiana<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong> 55Degustazione <strong>di</strong> prodotti alimentari valsesiania <strong>cura</strong> <strong>di</strong> <strong>Johnny</strong> <strong>Ragozzi</strong> 59GUIDA AD UN’ESCURSIONE DA CARCOFORO AGLI ALPEGGI DELLA VAL D’EGUA 61<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong>, <strong>Johnny</strong> <strong>Ragozzi</strong> e Marino Sesone,<strong>con</strong> la collaborazione della sezione CAI <strong>di</strong> BoffaloraBibliografia generale 75Fonti archivistiche 78Ringraziamenti 795


PRESENTAZIONITestimoni ed ere<strong>di</strong> della presenza secolare dell’uomo in queste amene e <strong>di</strong>fficoltose, ma al tempo stesso,spettacolari ed affascinanti terre <strong>di</strong> montagna,nostro compito è quello <strong>di</strong> salvaguardare e trasmettere alle future generazioni i molteplici aspetti della vita,della cultura e della cultura materiale <strong>di</strong> questi luoghi.Si<strong>cura</strong>mente quelle che un tempo erano attività agro-silvo-pastorali <strong>di</strong> pura, o quasi, sussistenza, oggigiornodebbono integrarsi ed interagire <strong>con</strong> le opportunità fornite dalla facilitazione delle comunicazioni e lerisorse fornite dalla fruizione turistica della valle.Per valorizzare queste risorse si deve parlare <strong>di</strong> prodotti agro-pastorali unici e dalle caratteristiche nutritivee nutraceutiche irripetibili e inimitabili dai prodotti <strong>di</strong> origine industriale, prodotti strettamente legati alterritorio <strong>di</strong> origine; solo così riusciremo a <strong>con</strong>servare e a gestire, unitamente a nuove e più ottimali forme<strong>di</strong> gestione territoriale e fon<strong>di</strong>aria e all’impiego <strong>di</strong> un appropriato tipo <strong>di</strong> meccanizzazione, quanto ci è statotrasmesso, <strong>con</strong> inimmaginabile fatica, dalle generazioni che ci hanno preceduto.Quali significati e sentimenti susciterebbe Carcoforo agli occhi dei suoi abitanti e del turista <strong>di</strong> lungo temposenza la sua <strong>con</strong>ca erbosa affienata e pascolata, i suoi campi e i suoi alpeggi?Probabilmente gli stessi che suscita un’antica ghiviola che fa bella mostra <strong>di</strong> se nel salotto buono <strong>di</strong> unaqualsivoglia villa <strong>di</strong> una qualsivoglia città: un semplice oggetto <strong>di</strong> antiquariato, del quale, probabilmente,non si comprende neppure quale possa essere stato il suo uso!Non si tratta solamente <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso legato al sentimento e al ricordo del passato; la <strong>con</strong>servazione e larifunzionalizzazione delle attività agro-silvo-pastorali sono alla base della preservazione del territorio edella tutela sociale dei suoi abitanti.Ecco quin<strong>di</strong> l’importanza dello stu<strong>di</strong>o e della <strong>di</strong>vulgazione delle forme <strong>di</strong> cultura materiale ed immaterialerivolti sia alla creazione <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> turismo “sostenibile” che alla formazione <strong>di</strong> un’identità nella comunitàlocale, che <strong>con</strong> il turismo deve appropriatamente interagire senza però <strong>di</strong>menticare le proprie origini.Un sentito ringraziamento agli organizzatori e a quanti hanno dato il loro <strong>con</strong>tributo agli atti del presente<strong>con</strong>vegno, che unitamente ad altre iniziative intraprese, quali la collaborazione <strong>con</strong> la Facoltà <strong>di</strong> Agrariadell’Università <strong>di</strong> Torino, delineano il percorso da seguire se si vuole <strong>con</strong>tinuare a far si che Carcoforo,come molti altri paesi <strong>di</strong> montagna, possa <strong>con</strong>tinuare ad essere un paese vivo!Marino SesoneSindaco <strong>di</strong> Carcoforo6


Nella se<strong>con</strong>da metà dell’Ottocento l’abate valdostano Aimé Gorret scriveva che “un viaggiatore che partaper la montagna lo fa perché cerca la montagna, e credo che rimarrebbe assai <strong>con</strong>trariato se vi ritrovasse lacittà che ha appena lasciato”.L’intuizione, che precorse notevolmente i tempi, rimase per lungo tempo ignorata nella <strong>di</strong>scussione sullafrequentazione turistica della montagna e un secolo dopo la sua formulazione in gran parte dell’arco alpinosi andavano affermando modelli urbanistici e sociali che replicavano quelli citta<strong>di</strong>ni.Solo negli ultimi decenni è cresciuta la <strong>con</strong>sapevolezza che la marginalità alpina da problema potrebbe<strong>di</strong>venire risorsa e, significativamente, la citazione della frase dell’abate Gorret è <strong>di</strong>venuta sempre piùfrequente nei <strong>di</strong>battiti sulla vocazione turistica dell’area alpina.La rivalutazione <strong>di</strong> questa marginalità non può però appiattirsi su un modello alpino globalizzato in cui tuttele case sono “baite walser” e la cucina tra<strong>di</strong>zionale è costituita sempre, e solo, da polenta <strong>con</strong>cia. Lavalorizzazione della marginalità alpina può avvenire solo attraverso la riscoperta delle peculiarità <strong>di</strong> ognivalle della catena.La Valsesia, grazie alle numerose testimonianze <strong>di</strong> cultura materiale e all’estrema ricchezza delle fontidocumentarie, costituisce un ottimo laboratorio per quest’approccio.Il <strong>con</strong>vegno <strong>di</strong> Carcoforo fornisce un prezioso <strong>con</strong>tributo alla riscoperta della peculiarità agropastorali edalimentari della Valsesia; la successione delle comunicazioni ricostruisce ac<strong>cura</strong>tamente le trasformazioniavvenute nel territorio, senza alcun appiattimento su un passato spesso ritenuto sempre uguale, e i singoliinterventi valorizzano adeguatamente il ricco patrimonio valsesiano.Il percorso per trasformare la Valsesia in un laboratorio <strong>di</strong> cultura alpina, supporto in<strong>di</strong>spensabile ad unanuova vocazione turistica della valle, è lungo, ma questo <strong>con</strong>vegno ne ha in<strong>di</strong>cato la strada.Paolo CasagrandeAssessore alla Culturadella Comunità Montana Valsesia7


LA VALSESIA: UN LABORATORIO DI CULTURA ALPINA<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong> e <strong>Johnny</strong> <strong>Ragozzi</strong>La colonizzazione delle vallate alpine <strong>con</strong>cluse,tra Duecento e Trecento, la fase <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssodamentoiniziata attorno al Mille nelle aree <strong>di</strong> pianura. Ilprogetto colonico, anche in queste aree, era basatoessenzialmente su allevamento ed agricoltura.Nelle testate delle valli ubicate alle quote piùelevate la realizzazione <strong>di</strong> questo processoavvenne in <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> frontiera ecologica e lagestione delle risorse fu soggetta, nei secolisuccessivi, a gran<strong>di</strong> trasformazioni.La ricerca storica per le valli del versantemeri<strong>di</strong>onale del Monte Rosa, uno dei punti piùelevati raggiunti dalla colonizzazione alpina, si èsoffermata principalmente sulla <strong>di</strong>namica delpopolamento, de<strong>di</strong>cando particolare attenzionealla componente walser. In un libro recente EnricoRizzi chiudeva però il capitolo su quattrocentoanni <strong>di</strong> storiografia walser scrivendo che occorreoggi ripartire dalla “micro-storia”, valle pervalle, tema per tema – come già una nuovagenerazione <strong>di</strong> vali<strong>di</strong> ricercatori sembra averiniziato a “<strong>di</strong>ssodare” – per poter ri<strong>con</strong>durredomani nuovi e vecchi stu<strong>di</strong> “locali” … ad unacompiuta storia dei walser. La Valsesia, graziealle numerose testimonianze <strong>di</strong> cultura materiale eall’estrema ricchezza delle fonti documentarie,costituisce un ottimo laboratorio perquest’approccio sistematico e dettagliato.Alla gestione delle risorse in queste comunità <strong>di</strong>frontiera ecologica è de<strong>di</strong>cato il <strong>con</strong>vegnoorganizzato a Carcoforo nell’estate 2007. Ilprogramma, <strong>di</strong>stribuito su due giornate (11 e 12agosto), offre una serie <strong>di</strong> proposte culturalmente<strong>di</strong>fferenziate in grado <strong>di</strong> raggiungere un’utenzaestremamente <strong>di</strong>versificata. Questo quaderno,<strong>di</strong>stribuito in occasione del <strong>con</strong>vegno, raccoglie i<strong>con</strong>tributi relativi alle tre sezioni del programma(<strong>con</strong>ferenze, degustazioni ed escursioni guidate).Il <strong>con</strong>vegno, de<strong>di</strong>cato ad Allevamento ecerealicoltura nella montagna valsesiana dalMe<strong>di</strong>o Evo al nuovo millennio, ripercorre letrasformazioni avvenute nelle comunità valsesiane(fig. 1).Il progetto colonico, basato su allevamento ecerealicoltura, fu realizzato negli inse<strong>di</strong>amentidell’alta Valsesia in età tardome<strong>di</strong>evale in<strong>con</strong><strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> frontiera ecologica (FANTONI,questo volume, pp. 15-20). La fondazione e laveloce espansione delle colonie presenti sulversante meri<strong>di</strong>onale del Monte Rosa si realizzòtra la metà del Duecento e la prima metà delCinquecento. Ai primi decenni <strong>di</strong> questo secolorisalgono le ultime spora<strong>di</strong>che comparse, nellefonti documentarie, <strong>di</strong> nuovi inse<strong>di</strong>amenti(FANTONI E FANTONI, 1995). L’esaurimento dellepossibilità d’espansione delle risorse agropastoralicoincise <strong>con</strong> un sensibile deterioramentodei parametri climatici che regolavano lepotenzialità <strong>di</strong> allevamento e campicoltura, chesubirono una forte <strong>con</strong>trazione.colonizzazioneemigrazionestagionaleemigrazionepermanente1558-1569 1828 2006Fig. 1 - Le tre fasi <strong>di</strong> gestione della montagnavalsesiana esemplificate attraverso l’andamento delpatrimonio zootecnico della comunità <strong>di</strong> Carcoforo.Questo periodo <strong>di</strong> generale deterioramentoclimatico, è caratterizzato dal cambio <strong>di</strong> regimedemografico, determinato dall’iniziodell’emigrazione stagionale, e dalla lentaintroduzione in valle dei prodotti importati inEuropa dopo la rivoluzione colombiana.All’emigrazione valsesiana sono stati de<strong>di</strong>catinumerosi articoli e <strong>con</strong>vegni, che si sonosoffermati soprattutto sul periodo compreso tra lafine del Settecento e la metà del Novecento(AA.VV., 1989, <strong>con</strong> bibliografia). Ancora poco<strong>con</strong>osciute sono invece l’entità del fenomeno el’età del suo debutto. Un metodo in<strong>di</strong>retto perstimare il volume dell’emigrazione stagionale ècostituito dall’analisi degli effetti demografici,se<strong>con</strong>do un metodo introdotto in letteratura daVAN DE WALLE (1975) per gli inse<strong>di</strong>amentiticinesi che, come quelli valsesiani, fornivanosoprattutto risorse umane per l’industria e<strong>di</strong>le(VIAZZO, 1990). Nelle comunità valsesiane lastagionalità dell’emigrazione era caratterizzata daun rientro in valle nel periodo invernale. L’entità9


dell’emigrazione stagionale, stimata per Alagnatra la fine del Cinquecento e l’Ottocento sulla basedegli in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> natalità e <strong>di</strong> nuzialità, sembra esseresuperiore alla metà della componente maschile inetà lavorativa (VIAZZO, 1990). Valori simili sonostati calcolati per Rima (AXERIO, 2000) ed i datisinora analizzati per altre località valsesiane (Rivae Carcoforo) mostrano andamenti simili.La sottrazione della mano d’opera maschileall’attività agro-pastorale, praticata tra primaveraed autunno, fu quasi totale ed il lavoro fu affidatoquasi esclusivamente alla componente femminile<strong>di</strong> queste comunità. Anche quando la <strong>di</strong>mensionee<strong>con</strong>omica dell’emigrazione raggiunse livelli talida rendere ininfluente il red<strong>di</strong>to agricolo, illegame della componente femminile che rimanevasul posto <strong>con</strong> l’attività agro-pastorale rimase alto.Ne è un chiaro esempio la <strong>di</strong>fficoltà chel’impren<strong>di</strong>tore Antonio De Toma in<strong>con</strong>trò nel<strong>di</strong>ssuadere prima la moglie poi la madre adabbandonare la pratica dell’alpeggio (FANTONI etalii, 2006a).Queste trasformazioni incisero sulle modalità <strong>di</strong>gestione delle risorse e determinarono uncambiamento nella produzione agraria e nelleforme <strong>di</strong> alimentazione della popolazionevalsesiana (PAPALE, questo volume, pp. 21-25).La riduzione dell’attività agricola provocò unadrastica riduzione della produzione alimentarelocale. Questa <strong>di</strong>minuzione fu compensata dallerisorse e<strong>con</strong>omiche derivanti dal lavoro esercitatofuori dalla valle, che permise l’acquisto <strong>di</strong> prodottialimentari importati dalla pianura lombarda epiemontese. I cereali prodotti dalla pianuraassunsero un ruolo fondamentalenell’alimentazione della popolazione valsesiana ela limitazione alla loro importazione fu uno deifattori innescanti la rivolta montana del 1678(TONETTI, 1875, pp. 503-512). Oltre ai cerealiusati nella panificazione e nella preparazione <strong>di</strong>pappe e polente, nel Seicento è documentata anchenegli inventari dell’alta valle la presenza <strong>di</strong> scorte<strong>di</strong> riso, che probabilmente sostituì nelle minestremolti cereali tipicamente me<strong>di</strong>evali. A fianco deiprodotti tra<strong>di</strong>zionalmente coltivati in pianurafurono introdotte in valle anche le coltivazioniimportate dall’America. La <strong>di</strong>sponibilità botanica<strong>di</strong> queste specie non coincise però <strong>con</strong> la loro<strong>di</strong>ffusione agraria. Il mais comparvespora<strong>di</strong>camente in alcune vallate alpine alla finedel Cinquecento, si <strong>di</strong>ffuse durante il Seicento e siaffermò solo nel corso del Settecento, <strong>con</strong> forti<strong>di</strong>fferenze tra i <strong>di</strong>versi settori della catena alpina.Ancora più lenta fu la <strong>di</strong>ffusione della patata, cheraggiunse le Alpi solo nella se<strong>con</strong>da metà delSettecento (MATHIEU, 1998, trad. it. 2000, pp. 72-74; tab. 3:1, p. 75). A <strong>di</strong>fferenza del mais, la cuicoltivazione si arrestò nei settori inferiori dellavalli alpine, la patata si <strong>di</strong>mostrò però idonea allacoltivazione anche negli inse<strong>di</strong>amenti montani.Nel corso del Novecento l’emigrazione <strong>di</strong>vennepermanente, determinando un veloce abbandono<strong>di</strong> tutte le tra<strong>di</strong>zionali attività agro-pastorali. Illento ma progressivo declino della cerealicolturasi è <strong>con</strong>cluso, <strong>con</strong> la sua scomparsa totale, nelse<strong>con</strong>do dopoguerra. Il ricordo della produzionecerealicola e il suo utilizzo nell’alimentazione,soprattutto in alta valle, non è ancoracompletamente scomparso dalla memoria storicadella popolazione valsesiana. La sua rinascita,affidata per ora ad esperimenti marginali edestemporanei, potrebbe trovare una valorizzazionenell’ampliamento del progetto ecomusealedell’alta Valsesia e nel <strong>con</strong>ferimento dellaproduzione ad operatori locali dellatrasformazione alimentare, del settorecommerciale e della ristorazione (REGIS e SASSO,questo volume, pp. 26-32). L’allevamento e laproduzione casearia, tuttora presenti in valle,possono essere rilanciati <strong>con</strong> un’adeguatarifunzionalizzazione dei sistemi d’alpeggio(CORTI, questo volume, pp. 33-37).Fig. 2 - “Al pascolo”, dettaglio della mappacatastale <strong>di</strong> Balmuccia (carta acquerellata amano, 100 x 45 cm) recante il titolo OTRA MAPPAPRIMA e l’iscrizione 1775 in Agosto (ASCBa).Ad un altro evento del programma, costituito dalladegustazione <strong>di</strong> prodotti alimentari valsesiani, èassociata la se<strong>con</strong>da sezione del volume (Laproduzione alimentare), in cui sono analizzatealcune produzioni valsesiane storicamentesignificative. Lo stu<strong>di</strong>o sull’alimentazione in unacomunità dell’alta valle, Rimella, evidenzia lapermanenza <strong>di</strong> ricette antiche in cui gli ingre<strong>di</strong>entitra<strong>di</strong>zionali sono stati però quasi completamentesostituiti dai prodotti provenienti dalla pianura oda quelli introdotti in valle dal Settecento <strong>con</strong>l’affermazione della rivoluzione colombiana10


(REMOGNA, questo volume, pp. 41-43).L’alimentazione rimase in gran parte <strong>di</strong>pendentedalla produzione lattiero-casearia, <strong>di</strong> cui esistonoattestazioni documentarie dal tardo Me<strong>di</strong>o Evo(FANTONI, questo volume, pp. 44-51).Tra i cereali tra<strong>di</strong>zionali rimase l’uso, sino intempi relativamente recenti, solo della segale,impiegata prevalentemente nella panificazione; ilmais sostituì invece i cereali tardome<strong>di</strong>evali nellapreparazione <strong>di</strong> pappe e polente e il riso sostituì ilpanìco nelle minestre. Anche nella preparazionedelle miacce, il prodotto alimentare più noto dellavalle, l’ingre<strong>di</strong>ente originale, molto probabilmentecostituito dal miglio, fu sostituito dal frumento edal mais (FANTONI, questo volume, pp. 55-57).Altre produzioni, come quella dell’olio <strong>di</strong> noci,sono praticamente scomparse (SASSO, questovolume, pp. 52-54).Il programma si <strong>con</strong>clude <strong>con</strong> un’escursioneguidata in val d’Egua. L’itinerario, che si svolgesu sentieri agevoli che raggiungono alpeggi ancorafrequentati, permette l’osservazione delle forme <strong>di</strong><strong>con</strong>duzione degli alpeggi analizzate nellecomunicazioni del <strong>con</strong>vegno. La Guidaall’escursione costituisce la terza ed ultimasezione del volume (pp. 63-73).La Valsesia, come molte valli alpine, vantaun’antica tra<strong>di</strong>zione agro-pastorale. La Valsesia,come poche altre valli alpine, <strong>con</strong>serva numerosetracce <strong>di</strong> questa secolare attività e <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> unpatrimonio documentario, solo parzialmenteesplorato, in grado <strong>di</strong> valorizzare queste tracce.La permanenza della popolazione in valle, comein molte altre zone alpine, è prevalentementelegata all’offerta turistica. Ma la vocazioneturistica in queste comunità alpine non può essere<strong>di</strong>sgiunta dalla preservazione della vocazioneagro-pastorale, come aveva già intuito l’abatevaldostano Aimé Gorret, che già nella se<strong>con</strong>dametà dell’Ottocento scriveva che “un viaggiatoreche parta per la montagna lo fa perché cerca lamontagna, e credo che rimarrebbe assai<strong>con</strong>trariato se vi ritrovasse la città che ha appenalasciato”.11


ALLEVAMENTO E CEREALICOLTURANELLA MONTAGNA VALSESIANADAL MEDIO EVO AL NUOVO MILLENNIO.RIASSUNTI DELLE COMUNICAZIONIDEL CONVEGNO DI SABATO 11 AGOSTO 2007


LE COMUNITÀ DI FRONTIERA ECOLOGICA DELLA VALSESIA MEDIEVALE<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong>IL PROGETTO COLONICOIl processo <strong>di</strong> popolamento della montagnavalsesiana, che <strong>con</strong>cluse la fase <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssodamentoiniziata attorno al Mille nelle aree <strong>di</strong> pianura, sirealizzò in un periodo abbastanza lungo ad opera<strong>di</strong> coloni walser e valsesiani (fig. 3). Il progettocolonico è chiaramente espresso negli atti <strong>di</strong>fondazione dei nuovi inse<strong>di</strong>amenti. Nel 1270 ilcapitolo <strong>di</strong> S. Giulio d’Orta <strong>con</strong>cedeva a titoloenfiteutico a coloni walser l’alpe Rimella affinchévi potessero costruire case e mulini e impiantareprati e campi (FORNASERI, 1958, d. CXIII; RIZZI,1991, d. 89). Un’espressione simile era utilizzatanel 1420 dai testimoni al processo informativosulle alpi del Vescovo <strong>di</strong> Novara in alta Valsesia,che asserivano che su queste alpi trasformate ininse<strong>di</strong>amenti permanenti i coloni creavanocasamenta et hae<strong>di</strong>ficia ac prata et campos(FANTONI e FANTONI, 1995, d. 13).L’attuazione <strong>di</strong> questo progetto, tra la metà delDuecento e l’inizio del Quattrocento, permise ilpopolamento delle testate delle valli sul versantemeri<strong>di</strong>onale del Monte Rosa.L’inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> coloni latini a Fobello risale aiprimi decenni del Duecento (FANTONI, 2003a). Lafondazione collettiva <strong>di</strong> Rimella, avvenuta a metàDuecento da parte <strong>di</strong> coloni walser, è documentatadalle pergamene del 1256 e del 1270 (FORNASERI,1958, dd. C, CXIII). Nello stesso periodo avvennepresumibilmente la colonizzazione <strong>di</strong> Macugnaga.Ad inizio Trecento è documentato il popolamentodelle frazioni alagnesi, da parte <strong>di</strong> coloniprovenienti da Macugnaga, e delle frazioni dellaVal Vogna, da parte <strong>di</strong> coloni gressonari (RIZZI,1983).Solo a fine Trecento si realizzò, su beni delvescovo <strong>di</strong> Novara e <strong>di</strong> famiglie legate alla mensavescovile, la colonizzazione multietnica <strong>di</strong>Carcoforo (RIZZI, 1994; FANTONI e FANTONI,1995) e la fondazione collettiva <strong>di</strong> Rima da parte<strong>di</strong> <strong>di</strong>eci capifamiglia alagnesi (FANTONI eFANTONI, 1995, dd. 8, 16; RIZZI, 2006).Carcoforo (1305 m) e Rima (1411 m), checostituis<strong>con</strong>o gli ultimi inse<strong>di</strong>amenti in or<strong>di</strong>necronologico, furono i punti più elevati raggiuntidalla colonizzazione valsesiana e walser nelle vallidel Sesia. La loro ubicazione, per <strong>con</strong><strong>di</strong>zionimorfologiche e climatiche, può essere ritenutaprossima al limite ecologico per una comunitàde<strong>di</strong>ta ad agricoltura ed allevamento.In val d’Otro (1664-1724 m) e in val Vogna(Larecchio, 1895 m) gli inse<strong>di</strong>amenti permanentiraggiunsero quote ancora più elevate, che furonoperò abbandonate verso la fine del Cinquecento<strong>con</strong> la retrocessione <strong>di</strong> queste frazioni a<strong>di</strong>nse<strong>di</strong>amenti stagionali.Le forme d’inse<strong>di</strong>amentoLe comunità inse<strong>di</strong>ate in alta Valsesia sonogeneralmente costituite da inse<strong>di</strong>amenti sparsi e,solo in alcuni casi, da inse<strong>di</strong>amenti accentrati.Le valli <strong>di</strong> Fobello e <strong>di</strong> Rimella, <strong>con</strong> decorso N-S,quasi ortogonale alla <strong>di</strong>rezione d’affioramentodelle principali unità geologiche, sonocaratterizzate da un lato idrografico sinistro, menoripido e <strong>con</strong> <strong>di</strong>ffusa copertura morenica, chepresenta una vegetazione a latifoglie e un limitesuperiore del bosco a <strong>con</strong>trollo antropico moltobasso; il lato idrografico destro si presenta inveceroccioso e ripido, <strong>con</strong> fitta copertura boschiva.Nelle due valli gli inse<strong>di</strong>amenti permanenti si<strong>di</strong>stribuis<strong>con</strong>o su una fascia altimetrica analoga. Ilnucleo inferiore, ubicato in entrambe i casi sulfondovalle, è a 883 metri <strong>di</strong> quota a Fobello(Cadelmeina) e a 961 a Rimella (Grondo); quellisuperiori, in entrambe i casi sul versanteidrografico sinistro, raggiungono 1247 a Fobello(Ronco) e 1333 metri a Rimella (Villa superiore).In entrambe i casi l’escursione altimetricacomplessiva è <strong>di</strong> circa 400 metri.Il <strong>con</strong>fronto tra le due comunità esaminateevidenzia come, in un territorio <strong>con</strong> ugualipotenzialità agro-pastorali, i coloni valsesiani <strong>di</strong>Fobello svilupparono forme <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amento similia quelle adottate dai coloni walser <strong>di</strong> Rimella.Entrambe le comunità sono, infatti, caratterizzateda un inse<strong>di</strong>amento sparso, <strong>con</strong> nuclei <strong>di</strong> entitàvariabile dal singolo podere unifamiliare allafrazione <strong>con</strong> una ventina <strong>di</strong> fuochi. La comunità <strong>di</strong>Rimella, escludendo gli inse<strong>di</strong>amenti minori,generalmente privi <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici religiosi, chenell’organizzazione sociale del territorio venivanoaggregati alle altre vicinanze (SIBILLA, 1980, p.41), era <strong>di</strong>stribuita in 14 inse<strong>di</strong>amenti, quella <strong>di</strong>Fobello in 15. Con<strong>di</strong>zioni simili sono presenti adAlagna, <strong>con</strong> una ventina <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amenti <strong>di</strong>stribuititra 1150 e 1386 metri.15


1387inse<strong>di</strong>amenti presenti nel 1217migrazione <strong>di</strong> coloni walsermigrazione <strong>di</strong> coloni valsesianianno <strong>di</strong> documentazioneBannioMonte RosaMacugnaga~ 126012541256, 1270CarcoforoFobello130214621419Rima1387Piè <strong>di</strong> RossoCampo <strong>Ragozzi</strong>1387Rimella1385Gressoney la TriniteGressoney St JeanVerdobbia13371325PedemonteAlagnaRivaPeccia1395Ca RavottiCampertognoBoccioletoScopettaScopaFailungoScopelloPiodePilaRossaCervaBrugaroSabbiaBrugaroloNosuggioCravaglianaCervaroloGuaifolaBalmuccia1217?-1241VoccaIsolaBalangeraValmaggiaMorcaVaralloFig. 3 – I percorsi <strong>di</strong> colonizzazione della montagna valsesiana in età tardome<strong>di</strong>evaleLa colonia esclusivamente walser <strong>di</strong> Rima (1411m) e quella multietnica <strong>di</strong> Carcoforo (1305 m),ubicate a quote più elevate alla testata delle valliEgua e Sermenza, sono invece caratterizzate dainse<strong>di</strong>amenti accentrati (FANTONI, 2001a, pp. 70-71 e nota 50, p. 108) 1 .Le <strong>di</strong>verse potenzialità del territorio <strong>di</strong> Rima eCarcoforo sono chiaramente in<strong>di</strong>cate dallapopolazione raggiunta dalle due comunità alla finedel periodo <strong>di</strong> forte crescita demografica checaratterizzò i secoli successivi alla fondazione,quando ogni comunità raggiunse probabilmente lamassima capacità <strong>di</strong> carico. Nella se<strong>con</strong>da metà1 Le comunità ubicate alle quote inferiori <strong>di</strong> queste vallisono invece caratterizzate da inse<strong>di</strong>amenti sparsi similial modello fobellese-rimellese. La Comunitas VallisEigue era composta da 10 inse<strong>di</strong>amenti permanenticompresi tra 1084 e 1223 metri, <strong>di</strong>stribuiti sulfondovalle o sui terrazzi morfologici presenti, a <strong>di</strong>versequote, sui due versanti della valle. La Comunitas VallisRime era composta da 10 inse<strong>di</strong>amenti permanenticompresi tra 1044 e 1113 metri, <strong>di</strong>stribuiti quasiesclusivamente sul fondovalle del T. Sermenza(FANTONI E FANTONI, 1995; 2003b).del Cinquecento, in un periodo <strong>di</strong> campionamentocompreso tra 1558 e 1569, sono documentati 35nuclei familiari a Carcoforo (corrispondenti acirca 200 abitanti) e 27 a Rima (FANTONI eFANTONI, 1995). Nello stesso periodo le comunitàstanziatesi a quote inferiori nelle altre testate dellevalli del Sesia avevano raggiunto una popolazionenettamente superiore: Fobello e Rimellaraggiungevano un numero analogo <strong>di</strong> abitanti,prossimo a mille (FANTONI, 2003a; SIBILLA eVIAZZO, 2004) ed un valore simile è registrato adAlagna (VIAZZO, 1990, p. 179).LA GESTIONE DEL TERRITORIOAttorno al nucleo abitato, costituito da case cheaccorpavano le funzioni civili e rurali (FANTONI,2001a) 2 gli atti notarili del Quattrocento eCinquecento presentano un uso del territoriocaratterizzato da orti, campi, limi<strong>di</strong>, gerbi<strong>di</strong>, prati,2Sulla originaria separazione e sul successivoaccorpamento delle funzioni si rimanda alla <strong>di</strong>scussionein FANTONI (2001, pp. 68-69).16


meali, pasquate, trasari e pascoli, che denuncianochiaramente la vocazione agricola e pastoraledella comunità. Negli inventari cinquecenteschigli utensili per la lavorazione dei campi figuranoa fianco <strong>di</strong> quelli per l’allevamento e lafienagione: in un elenco <strong>di</strong> beni della famigliaViotti <strong>di</strong> Rima del 1563 sono significativamentecitati in sequenza una sappa e una ranza (sASVa,FNV, b. 8931).I <strong>di</strong>versi appezzamenti <strong>di</strong> terra si <strong>di</strong>stribuivanogeneralmente in fasce <strong>con</strong>centriche attorno alvillaggio. Gli orti erano ubicati quasiesclusivamente presso le case; i campi e i pratinelle imme<strong>di</strong>ate vicinanze del paese; le pasquatenella fascia interme<strong>di</strong>a; i pascoli e gli alpeggi nellezone più lontane ed alte. La <strong>con</strong>ferma delladestinazione d’uso per quegli appezzamenti <strong>di</strong>terra citati serialmente nella documentazioned’archivio sembra in<strong>di</strong>care la presenza <strong>di</strong> unmodello basato su coltivazioni permanenti, <strong>con</strong>separazione spaziale tra prati e campi, senza<strong>con</strong>versione temporale.La proprietà <strong>di</strong> campi e prati era privata e<strong>di</strong>n<strong>di</strong>viduale; quella degli alpeggi privata main<strong>di</strong>visa. Le selve, salvo alcune eccezioni,rimasero in gran parte <strong>di</strong> proprietà collettiva.Gli ortiGli orti, ubicati per lo più presso le case o almargine dell’abitato, erano de<strong>di</strong>cati allaproduzione <strong>di</strong> ortaggi e legumi. I tipi più <strong>di</strong>ffusi <strong>di</strong>queste due categorie furono fissati anche da duenomi <strong>di</strong> famiglia (Rava, o Ravotti, e Arbelia),probabilmente originati dalla trasmissione <strong>di</strong> unsoprannome. Il primo cognome, che fu assegnatoanche ad un piccolo inse<strong>di</strong>amento permanente, èlegato alla coltivazione della rapa. Il cognome èdocumentato dal 1395, quando compaionoPerrotus filius quondam Zanini Rave et Johannesfilius Petri Rave, ambo de Petris Zimellishabitatores vallis Rime (FANTONI e FANTONI,1995, d. 3); questi coloni fondarono, in unalocalità ancora priva <strong>di</strong> nome, l’inse<strong>di</strong>amento chevenne in seguito identificato <strong>con</strong> il loro cognome(Ca Ravotti; alta val Sermenza) 3 .Nel Me<strong>di</strong>o Evo le rape, grazie alla loro facilità <strong>di</strong>coltivazione e <strong>di</strong> <strong>con</strong>servazione, erano, insieme aicavoli, i vegetali più frequenti in tutte le mense esvolgevano un ruolo successivamente occupatodalla patata (CHERUBINI, 1981, 1984, p. 126;NADA PATRONE, 1981, pp. 153, nota 108). La3 Il toponimo domus de Ravotis è attestato per la primavolta in un documento del 1482 (FANTONI e FANTONI,1995, d. 40). La voce ricorre anche nella microtoponomastica(campus de la ravera alla Carvaccia inval d’Egua nel 1571, sASVa, FNV, b. 10620).rapa costituiva uno degli ingre<strong>di</strong>enti principali,<strong>con</strong> le carni salate, degli uberlekke, uno dei piattitra<strong>di</strong>zionali alagnesi; solo successivamente aqueste verdure si sono aggiunte le patate(RAGOZZA, 1983, p. 146). La loro coltivazionedoveva essere ampiamente <strong>di</strong>ffusa in valle 4 se laproibizione <strong>di</strong> commettere danni nei campumraparum era oggetto <strong>di</strong> specifici articoli neglistatuti comunali 5 .Le arbelie, fissate in un cognome <strong>di</strong>ffuso a Rossa,in bassa val Sermenza, corrispondevanoprobabilmente ad una o più specie <strong>di</strong> legumi. Inquesto territorio la loro presenza è documentata trale decime riscuoteva che il prete Zali nel 1617(FANTONI e CUCCIOLA, 1998, p. 230).Campi e mulini: la cerealicolturaLa <strong>di</strong>ffusione dell’agricoltura anche in alta valle ètestimoniata, durante il Quattrocento e ilCinquecento, dall’elevato numero d’appezzamenti<strong>di</strong> terra a campo citati negli atti notarili.Nei documenti compaiono <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> cerealimicrotermici. La specie più <strong>di</strong>ffusa (anche alle altequote, ove rimase persistente nel tempo) era lasegale, caratterizzata da una germinazione rapidaanche alle basse temperature e da un breve ciclovegetativo. La più antica attestazione in Valsesia ècostituita dalla citazione, in un documento del1345, <strong>di</strong> un appezzamento <strong>di</strong> terra colta etseminata cum sicali a Piè d’Alzarella (MOR, 1933,d. XCI, pp. 222). Ma era presente in maniera<strong>di</strong>ffusa anche l’orzo, che, sebbene meno resistenteal freddo della segale, cresceva anche dove ilfrumento non si adattava bene. Non mancavanoinoltre cereali tipicamente me<strong>di</strong>evali, come ilmiglio, il panìco e l’avena. Solo in alcune localitàdella Val Grande e della bassa Val Sermenza erapresente anche il frumento.L’ampia gamma <strong>di</strong> cereali coltivati nei campidelle località più basse e solatie è fornitadall’elenco delle decime che il prete Zaliriscuoteva nel 1617 nel territorio <strong>di</strong> Rossa,costituite da 15 some <strong>di</strong> segale, 13 some <strong>di</strong>panico, 10 rubbi <strong>di</strong> canapo, 2 staia <strong>di</strong> formento, 2staia <strong>di</strong> arbelie et orzo (FANTONI e CUCCIOLA,1998).Nelle comunità dell’alta valle la produzione eramolto meno <strong>di</strong>fferenziata. A Rimella la tra<strong>di</strong>zione4 La coltivazione proseguì sino all’Ottocento (PAPALE,questo volume, p. 21-25). Il King nel 1855 annotava lapresenza nell’orto del <strong>cura</strong>to <strong>di</strong> Carcoforo <strong>di</strong> “un’aiuola<strong>di</strong> rape” da cui proveniva un esemplare <strong>di</strong> oltre unmetro <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro (traduzione in CERRI e CREVAROLI,1998, p. 133).5 Articolo XX degli Statuti <strong>di</strong> Crevola del 1289 (MOR,1924, p. 130).17


vuole che vi crescessero solo segale e orzo (ms.Rinol<strong>di</strong>, 1943, in BAUEN, 1978, p. 416) 6 . Ma lacoltivazione <strong>di</strong> cereali nelle valli a<strong>di</strong>acenti a quelledel Sesia raggiunse anche quote superiori. AMacugnaga, se<strong>con</strong>do quanto riportava unarelazione <strong>di</strong> Joachim de Annono del 1553 non si fasalvo che un seminerio, cioè <strong>di</strong> segale, o <strong>di</strong> miglio,o <strong>di</strong> panico (BIANCHETTI, 1878). La coltivazionedei cereali arrivava nella vicina valle <strong>di</strong> Gressoneysino all’inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> Tschaval (1823 m), ove èattestata da un documento del 1440 relativo alpagamento <strong>di</strong> un canone d’affitto in naturacostituito da orzo (RIZZI, 1992).A Rima, negli atti notarili del Cinquecento, vieneripetutamente citato l’appezzamento <strong>di</strong> terra intuscampos de avena (o campos avene 7 ; sASVa, FNV,bb. 10366-10368, 8931-8934). La persistenzatoponomastica esprime bene il limite ecologicodel territorio <strong>di</strong> Rima. L’avena, oltre ad adattarsibene ai climi fred<strong>di</strong> come cereale a semina estiva,può essere facilmente coltivata nei terrenirecentemente roncati, in quanto non necessitazappature profonde. Nonostante l’avena sia unodei cereali più nutrienti, si<strong>cura</strong>mente quello <strong>con</strong>potere calorico più elevato, il suo scarsoren<strong>di</strong>mento in farina ne limitava l’usoprevalentemente all’alimentazione animale enell’alimentazione umana veniva generalmenteimpiegata in grani. Ma anche a Rima, come nelresto della valle, era coltivata la segale. Nel 1612il BESCAPÈ (ed. 1878, p. 156) scriveva che “<strong>di</strong>notte cade la neve che danneggia i grani <strong>di</strong> segalenon ancora maturata, e scarsi ivi sono questigrani”.Le scorte cerealicole denunciate negli inventaricinquecenteschi sono costituite quasiesclusivamente dai cerali <strong>di</strong> cui è documentata lacrescita sul luogo. In alta valle sono citate riservegeneriche <strong>di</strong> grani e riserve <strong>di</strong> segale (ad esempio30 staia <strong>di</strong> segale, <strong>con</strong>tenute in un’”arca <strong>di</strong>legno”, ad Oro in val Vogna nel 1548; Briciole,pp. 227-228). In un altro inventario del 1671della val Vogna sono esplicitamente citate stara 5biada trovata nei campi (PAPALE, 1988, p. 14).6 Una <strong>di</strong>sposizione ricorrente nei testamenti <strong>di</strong> questalocalità riguardava la <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> staia <strong>di</strong> segale informa <strong>di</strong> pane (1481, 1547; VASINA, 2004, pp. 96, 97).Ogni famiglia doveva alla Confraternita <strong>di</strong> SantoSpirito alcune staia <strong>di</strong> grano. In un elenco del 13maggio 1616 compaiono tutti i <strong>con</strong>tribuenti, cheversano quantità <strong>di</strong> segale variabili tra 0,5 e 7 coppi <strong>di</strong>segale, per un totale <strong>di</strong> circa 250 litri <strong>di</strong> grani(DELLAROLE e PAPALE, 2004, p. 254; TONELLA REGIS,2004, p. 172).7 Il toponimo campus avene è documentato anche aRimella (DELLAROLE e PAPALE, 2004, p. 255).L’importanza delle cerealicoltura è <strong>con</strong>fermatadalla <strong>di</strong>ffusione dei mulini, che compaiono giàcome parte integrante degli atti <strong>di</strong> fondazione deinuovi inse<strong>di</strong>amenti colonici. A Rimella, nel 1256,compariva già uno ius molen<strong>di</strong>ni (FORNASERI,1958, d. C). Nella <strong>con</strong>cessione enfiteutica del1270 era chiaramente in<strong>di</strong>cato il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong>“costruire case e mulini, impiantare prati ecampi” (FORNASERI, 1958, d. CXIII); tra ledecime figurava la blava, termine <strong>con</strong> cui inambito pedemontano si in<strong>di</strong>cavano in modogenerico tutti i tipi <strong>di</strong> cereali, ma in particolarmodo quelli primaverili o una mistura compostada segale, miglio e panìco (NADA PATRONE,1981, p. 63). Il <strong>con</strong>tratto univa quin<strong>di</strong> in modoesemplare il bene (campi), il suo prodotto (blava)e il suo strumento <strong>di</strong> trasformazione in alimento(mulino) 8 .Fig. 4 – Al pascolo (da VALLINO, 1878)Prati e pascoli: l’allevamentoDurante il Cinquecento il patrimonio zootecnicome<strong>di</strong>o d’ogni gruppo familiare può essereidentificato <strong>con</strong> quanto inventariato nel 1563 tra ibeni lasciati da Pietro Viotti a Rima: tre vacche,due manze, quattro capre e tre pecore (sASVa,FNV, b. 8931). In un altro inventario degli ere<strong>di</strong><strong>di</strong> Giovanni Francesco <strong>di</strong> Vogna del 1548compaiono cinque vacche da latte e due manzole(Briciole …, pp. 227-228). Una composizione8 Sulla <strong>di</strong>stribuzione dei mulini nelle valli Egua eSermenza nel periodo imme<strong>di</strong>atamente seguente allacolonizzazione si rimanda a FANTONI (2001).Per un dettaglio sul territorio <strong>di</strong> Rima si rimanda aFANTONI (2006a). In letteratura sono inoltre <strong>di</strong>sponibilii censimenti degli e<strong>di</strong>fici esistenti sino a tempirelativamente recenti <strong>di</strong> alcune località valsesiane(MOLINO, 1985, per Campertogno; FANTONI, 2001, perla val Cavaione). Nell’ambito del progetto ecomusealedell’alta Valsesia sono stati recentemente ristrutturatidue mulini a Mollia e Alagna.18


quasi simile avevano quasi tutte le altre aziendedocumentate 9 .Per il mantenimento <strong>di</strong> questo patrimoniozootecnico si sfruttava ac<strong>cura</strong>tamente tutto ilterritorio. Gli appezzamenti <strong>di</strong> terreno citati neidocumenti del Quattro-Cinquecento eranocostituiti, oltre che da orti e campi, da prati, meali,pasquate (maggenghi) e alpi.I prati, <strong>con</strong>siderati meno importanti dei campi,occupavano le zone periferiche rispetto agliinse<strong>di</strong>amenti. Nei prati grassi venivano eseguitidue o più sfalci; nei prati magri un solo sfalcio.La qualità del fieno era nettamente <strong>di</strong>versa e gliinventari <strong>di</strong>stinguono i due tipi <strong>di</strong> scorte; in uninventario <strong>di</strong> beni a Fervento del 1594 sononettamente <strong>di</strong>stinti rubbi n. 33 feno maijgro,rubbi n. 14 feno grasso (sASVa, FNV, b. 8937).Nelle pasquate, voce locale identificante imaggenghi, venivano generalmente praticati sfalciad anni alterni.Negli alpeggi, che tra Quattrocento e Cinquecentofurono frazionati e sfruttati da gruppi <strong>con</strong>sortilititolari <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti d’erbatico, veniva praticato quasiesclusivamente il pascolo.Gli stessi documenti descrivono un ac<strong>cura</strong>tosfruttamento delle potenzialità dei prati e deipascoli affidato ad un adeguato sistema irriguo;frequenti sono gli appezzamenti <strong>di</strong> terra a pratocum suis rugis et aqueductibus, il cui uso eraac<strong>cura</strong>tamente regolamentato.Lo sfruttamento dei pascoli era praticato dallesingole aziende agrarie monofamigliari attraversouna progressiva risalita altitu<strong>di</strong>nale nel corso dellastagione estiva, che comportava generalmente tresoste: il maggengo e due stazioni <strong>di</strong> alpeggio. Unesempio attestato a Rima sino dal Cinquecento ècostituito dalla pasquata del Lanceronacco e dallealpi Lanciole <strong>di</strong> sotto (1710 metri) e <strong>di</strong> sopra(1937 metri). In modo analogo veniva sfruttatol’asse Vallaracco (1598 metri), Vallé <strong>di</strong> sotto(1746 metri) e <strong>di</strong> sopra (2175 metri) (FANTONI,2006a).Gli inventari cinquecenteschi redatti nel periodoinvernale in<strong>di</strong>cano, a fianco della composizionedel patrimonio zootecnico, le riserveimmagazzinate per la sua alimentazione. Nelsopraccitato inventario Viotti <strong>di</strong> Rima del 1563 siprecisava la presenza del fieno sufficiente a9Tra i beni degli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Antonio Giadolli <strong>di</strong>Fervento, nel 1591, comparivano 5 vacche da latte, 3manze e 6 pecore (sASVa, FNV, b. 8937); 4 vacchecostituivano il patrimonio zootecnico della famigliaPeracino a Carcoforo del 1568 e della famigliaManetta a Piè <strong>di</strong> Rosso nel 1584 (sASVa, FNV, b.8931).“svernare” le bestie presenti nella stalla (sASVa,FNV, b. 8931).Fig. 5 – La fienagione (da VALLINO, 1878).VALSESIA, 1563: CHI PARTE, CHI RIMANE, CHIARRIVAA metà Cinquecento l’occupazione <strong>di</strong> tutte le areea vocazione agro-pastorale si era completata. Lastruttura del territorio rimase poi <strong>con</strong>servata pernumero d’inse<strong>di</strong>amenti e numero <strong>di</strong> costruzioniper inse<strong>di</strong>amento, e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> servizio e sistemaviario. Cambiò invece nel tempo l’uso <strong>di</strong> campi,prati e pascoli. Un impatto notevole ebbe sulleattività agropastorali il fenomeno dell’emigrazionestagionale, il cui debutto è stato variamente (espesso liberamente) citato nella letteratura locale.Un in<strong>di</strong>ce sensibile al fenomeno migratorio èofferto dalla stagionalità delle nascite, che negliinse<strong>di</strong>amenti caratterizzati da migrazionestagionale <strong>con</strong> rientro a <strong>di</strong>cembre-gennaio (caso<strong>di</strong>ffuso in Valsesia) determina una forte natalitànei mesi <strong>di</strong> settembre-ottobre. Un forte incrementodelle nascite in questo periodo è descritto daVIAZZO (1990), a partire almeno dall’ultimodecennio del Cinquecento. Una <strong>con</strong>fermaqualitativa a questa fonte viene dal GIORDANI(1891), che riteneva che gli Alagnesi avesseroiniziato ad emigrare verso il Seicento. Laproporzione delle nascite registrate ad Alagna neltrimestre autunnale nei decenni a cavallo tra fineCinquecento e inizio Seicento è analoga a quellaregistrata nell’Ottocento. Valori simili sono staticalcolati da AXERIO (2002) per Rima ed i datisinora analizzati per altre località valsesiane (Rivae Carcoforo) mostrano andamenti simili.Un’altra fonte che <strong>con</strong>ferma questa cronologia ècostituita dagli atti redatti in occasione delleriunioni assembleari delle comunità <strong>di</strong> villaggio.Mentre nella prima metà del Cinquecentocompaiono quasi tutti i capifamiglia, dalla fine delsecolo sono sempre più frequenti le assenze <strong>di</strong>rappresentanti <strong>di</strong> interi gruppi famigliari. Nel19


Seicento e Settecento queste riunioni si svolserosolo nel periodo invernale e nei rari casi <strong>di</strong>assemblee svoltesi in altre stagioni compaionorappresentanze quasi esclusivamente femminili(FANTONI, 2000).L'analisi <strong>di</strong> un documento quasi sincrono fornisceun quadro dell'intensità dell'emigrazione inValsesia. Negli atti <strong>di</strong> visita d’Antonio Torniellidel 1641 (ASDN, vv. 133-134) si legge cheplerique exeunt da Alagna, fere omnes daRimasco, multi da Riva, Scopello, Scopa, Rimellae Rossa, evidenziando la <strong>di</strong>ffusione del fenomenonelle comunità dell'alta valle. In <strong>con</strong>trasto siscopre che gli emigranti dalle comunità dellabassa valle erano nonnulli a Borgosesia, Cellio,Valduggia, Ferruta, Locarno e Colma, pauci aPlello, Agnona e Doccio, nulli a Foresto (VIAZZO,1989, p. 82). La <strong>di</strong>stribuzione evidenzia il forteimpatto ambientale sul fenomeno, che investesoprattutto le comunità <strong>di</strong> frontiera ecologicadell'alta valle, analogamente a quanto èdocumentato in Ossola (MORTAROTTI, 1985, pp.175-176) ed a quanto è logico aspettarsi in altrearee alpine.VIAZZO (1989, p. 82), a <strong>con</strong>ferma dellapersistenza delle stesse <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni nell'Ottocento,cita LANA (1840) estraendone alcune in<strong>di</strong>cazionisull'intensa emigrazione nei paesi dell'alta valle in<strong>con</strong>trasto a quanto avveniva nella comunità <strong>di</strong>Breia, ove i più si applicano in patria colle donnea tesse tela, all'agricoltura ed alla custo<strong>di</strong>adell'armento. Ma, come avverte lo stesso Viazzo,lo stu<strong>di</strong>o delle variazioni dell'intensitàdell'emigrazione e l'analisi della proporzione traintensità nell'alta e nella bassa valle deve essereapprofon<strong>di</strong>to <strong>con</strong> l'analisi <strong>di</strong> serie storichequantitative.Dalla fine del Cinquecento l’attività agro-pastoralein alta valle fu quin<strong>di</strong> affidata quasiesclusivamente alla componente femminile <strong>di</strong>queste comunità. La <strong>di</strong>minuzione del carico deglialpeggi, indotta dalla riduzione del patrimoniozootecnico, affidato alla <strong>cura</strong> della solacomponente femminile delle comunità alpine, fusfruttata dai pastori transumanti <strong>di</strong> pecore, la cuipresenza è documentata dalla fine delCinquecento. In origine questi pastori furono <strong>di</strong>provenienza esclusivamente orobica e solosuccessivamente furono sostituiti da pastori <strong>di</strong>provenienza biellese.Pastori d’origine orobica sono documentati aRima (1563, Zanino pastoris de valle Camonica) ea Carcoforo, ove sfruttavano le alpi d’Egua (1623,Joannes de Nanis Vallis Brembane territorisCivitatis Bergam). Alcuni <strong>di</strong> loro si trasferironodefinitivamente in valle: nel suo testamento del1715, Marcus Cesalli loci de Parre DiocesisBergamensis habitator Carcoffori, che avevasposato Maria Maddalena Josti, stabilì la suasepoltura nel cimitero della chiesa parrocchiale <strong>di</strong>S. Croce. Dalla stessa località (Parre) provenivaanche Petrus Capella, anche lui habitatorCarcophori, che perse la vita nel 1735 cadendopresso la cappella <strong>di</strong> S. Agata a Ca Forgotti (vald’Egua), proveniente da Varallo <strong>con</strong> li suoisommari per andare a Carcoforo. Nello stessoperiodo è documentata anche la presenza <strong>di</strong>Bartholomei Pensa de valle Sogna pastorishabitantis eius <strong>di</strong>cti loci Campi Regutii, ove avevasposato Maria Maddalena Zuccalla. Il pienoinserimento <strong>di</strong> questi pastori nella comunità ètestimoniato dall’elezione <strong>di</strong> Pietro Bigoni pastorea perito <strong>di</strong> parte in un <strong>con</strong>tenzioso per i <strong>con</strong>fini trai <strong>con</strong>sorti delle alpi Selva Bruna e Trasinera equelle delle alpi Chignolo, Mazza e Fornetto nel1714 (FANTONI, 2000, 2006a). Questi pastorierano presenti anche nella valli laterali prossime alBiellese. Nel 1634 il pastore bergamasco Pietro deBono prometteva <strong>di</strong> <strong>con</strong>segnare a GiovanniBattista Ubertalli <strong>di</strong> Portula tutta la lana ricavatadalla tosatura delle sue pecore e <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong>Domenico Malugano, suo compagno d'alpeggio,per un gregge <strong>di</strong> 150 capi portati sulle alpi <strong>di</strong> Merae Valsessera (CESA, 1997). Presso le baitedell'Alpe del Prato (Val Sorba) una lastra rocciosareca l'iscrizione Agos. 1751 pastori bergomensis.Dalla metà del Settecento inizia ad esseredocumentata la sostituzione dei pastori orobici <strong>con</strong>quelli biellesi. A Rimella, <strong>di</strong>eci anni dopo il<strong>con</strong>tratto d’affitto del 1753 ad un Bigoni, è infatti,documentato l’arrivo <strong>di</strong> altri affittuari. Il 7settembre 1763 Giuseppe Antonio Colombo eDomenico Colombo si accordarono <strong>con</strong> il pastoreCostanzo Giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Trivero per l’affitto delpascolo ed erbatico dell’alpe del Capezzone,Bosaracche, Lavezzaro et Bisarosso 10 .10 L’accordo avvenne <strong>con</strong> la previa affissione degliavvisi a stampa per la locazione dell’alpeggio nellecittà <strong>di</strong> Casale Monferrato, Vercelli e Novara e nelborgo <strong>di</strong> Omegna. Anche il nuovo <strong>con</strong>tratto ebbe unadurata <strong>di</strong> nove anni ed un canone annuo <strong>di</strong> 350 liresenza verun appen<strong>di</strong>tio <strong>di</strong> formaggio peccorino(DELLAROLE e PAPALE, 2004).20


poco territorio utile solo colla zappa in tre giorniera tutto coltivato e che le uniche produzioni localiannue erano circa tre staia <strong>di</strong> segale, circa stajacento <strong>di</strong> tartuffole, mille rubbi <strong>di</strong> fieno, circaquaranta rubbi <strong>di</strong> canape, circa mezzo rubbo <strong>di</strong>noci in olio, non certo sufficienti a nutrire unapopolazione che era allora <strong>di</strong> 176 in<strong>di</strong>vidui, esclusoil cantone <strong>di</strong> Dorca sottoposto a Fervento. Eccoperché gli uomini emigravano tutti, eccettuati lidecrepiti.Il famoso agronomo Lodovico Mitterpacher, tantoletto, stu<strong>di</strong>ato e <strong>con</strong>sultato nelle aree lombarde allafine del Settecento, affermava che la segale vienpur essa in terreno forte, ma generalmente suoleseminarsi in que’ luoghi ove non alligna bene ilgrano: ideale quin<strong>di</strong> a coltivarsi in Valsesia, anchese la quantità <strong>di</strong> cereale prodotto non era sufficienteai bisogni alimentari delle popolazioni,specialmente <strong>di</strong> quelle stanziate alle quote piùelevate.La segale venne integrata a partire dagli ultimidecenni del Settecento dall’introduzione dellepatate o pomi <strong>di</strong> terra nella varietà bianca(tartìffuli), per pregiu<strong>di</strong>zi vari coltivatetar<strong>di</strong>vamente a migliorare le avare risorsealimentari del territorio solo dopo oltre due secoliche erano state <strong>con</strong>osciute durante l’esplorazionedelle Americhe. Ancora negli “Annali <strong>di</strong>Agricoltura del Regno d’Italia” (1809-1814),l’indagine dell’agronomo Filippo Re (1745-1827)mostrava una situazione <strong>con</strong>fusa sull’impiego dellapatata in alimentazione. Tuttavia, già nel periodonapoleonico quando le istituzioni, su impulso delfrancese Antoine-Augustin Parmentier (1737-1813), dei lombar<strong>di</strong> Alessandro Volta (1745-1827)e Teresa Castiglioni (1750-1821) e, localmente, delnotaio rimellese Michele Cusa (1771-1855)spingevano perché la patata si <strong>di</strong>ffondesse, rispettoad altre aree, in Valsesia il tubero appariva giàsaldamente affermato, certamente per la estremapenuria <strong>di</strong> altre produzioni vegetali, al punto che ilcitato compen<strong>di</strong>o statistico del 1828 asseriva esseremolto maggiore d’ogni raccolto quello delle patate(PECO, 1993, p. 171). Affermato per sfamare, mapoco <strong>con</strong>siderato dal punto <strong>di</strong> vista gastronomico:infatti il sindaco <strong>di</strong> Mollia nel “Prospetto del totaleraccolto dei generi” del 1805 (sASVa, VicePrefettura, b. 103) scriveva che si usa in questoluogo la coltura della patata o sia pomi <strong>di</strong> terra,cibo assai grossolano che serve a sfamare tantefamiglie in<strong>di</strong>gene. Lo stesso canonico Sottile nelsuo Quadro della Valsesia del 1803, mentreaffermava che si è introdotto da varj anni l’uso <strong>di</strong>coltivare dei pomi <strong>di</strong> terra, ossia tartufi, né potevafarsi cosa più saggia in un paese mancante <strong>di</strong>grani, sotto sotto lasciava capire che la patata erasolo un rime<strong>di</strong>o utile a non morir <strong>di</strong> fame, poiché lacoltivazione della solanacea in Valsesia era tantopiù necessaria che il Valsesiano, solito aguadagnarsi il pane col suo ostinato lavoro, non saadattarsi a men<strong>di</strong>carlo come gli abitanti delle altrevalli; e del resto questo era stato anche il pensierodel Mitterpacher quando affermava che la patata opomo <strong>di</strong> terra è quasi il solo cibo de’ poveri.Dalle risposte ai quesiti del 1807, compilate daisindaci valsesiani su invito del Prefettodell’Agogna Mocenigo per la miglioreamministrazione delle Comuni e del Dipartimento,importando <strong>con</strong>oscerlo sotto tutti li rapporti,emerge bene la povertà dei suoli e la loro scarsaattitu<strong>di</strong>ne a proficue coltivazioni (ASNo, Agogna,b. 2054): pochi campi sterili ed arenosi <strong>di</strong> pocaquantità (Campertogno); pochi campi dai quali siricava il frutto <strong>di</strong> tartuffole e canape (Carcoforo); icampi sono molto rari perché non adattati al clima(Rima); la quantità dell’aratorio è pochissima(Balmuccia); l’aratorio è pochissimo e quel poco è<strong>di</strong> qualità arenosa, sassosa ed inferiore (Camasco);aratorio leggiero e freddo (Quarona).LA PRODUZIONE ALIMENTAREPer esaminare la situazione produttiva dei comunidella Valle risultano estremamente interessanti levoci dei questionari compilati nel 1828. I datirelativi alla produzione agraria delle comunitàvalsesiane sono riassunti in tab. 1.Dalla lettura sincrona <strong>di</strong> questi reso<strong>con</strong>ti appareevidente come scendendo <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, oltre segalee patata, cominciassero a comparire in piccolaquantità, sempre che le <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni del suolo lopermettessero, altri tipi <strong>di</strong> granaglie, quali ilfrumento (nella varietà invernenga), la meliga,l’orzo, il miglio e il panìco (marzaschi o sagginavolgarmente detti), integrati da legumi e da frutti,fra i quali un posto <strong>di</strong> rilievo spettava alle castagnee alle noci per la produzione rispettivamente dellafarina e dell’olio, e alla canapa quale pianta tessilee per l’olio.La bassa valle: cereali e castagne a QuaronaIl comune <strong>di</strong> Quarona, ubicato in bassa valle (406m), nel 1828 <strong>con</strong>tava 658 abitanti. Il terreno eracoltivato a prati, abbondanti in fieno <strong>di</strong> primo ese<strong>con</strong>do raccolto e a campi, che producevanosegale, poco formento, <strong>di</strong>screto granoturco,volgarmente detto meliga in primo raccolto, e pocopanico dopo la segale, quale non giunge sempre amaturità.Produzioni vegetali: Segale q 320; meliga q 350;paglia q 220; vino acido q 235; panico q 125; fienoq 7800; patate q 320; faggiuoli q 7; canape q 40;22


assa Valsesiaval Mastallone Val Grande valli Egua e SermenzaBorgosesia Breia Quarona Cravagliana Rimella Scopa Pila Rassa Riva Alagna Balmuccia Rossa Boccioleto Fervento Rimasco S. Giuseppe Rima Ferrate Carcoforoquota centro (m) 354 809 406 615 1.176 622 686 917 1.112 1.154 560 813 667 791 906 1.113 1158 1304abitanti 2.550 711 658 1.200 1.185 845 25 630 200 130 434 740 765 179 265 131 200 238 207albicocche 1fichi 1pesche 20 6prugne 20pel solociliegie 3 uso delle 100 e 6mele 150 1 2 r famiglie10600 180pere 400 8 r 8uva 6.000vino 2.000 110 235 14 16 b 5noci 1.500 160 300 5 s 30 e 10castagne 340 300 230 500 150 s 100 e 40patate 600 569 320 1.600 800 450 30 2800 e 20 300 182 160 e 200 20 10 5 10 18 26cavoli 3 3 9 3rape 3 15 200 e 5fagioli 60 7 3carote 1granoturco 1.700 2 350frumento 25 3 45 st 20 epanico e miglio 100 125 80 e 430orzo 12 2 3 e20segale 1.800 160 320 40 4 2 8 14 s 150 360 efoglie 450 450 20 200 c 30 40 500 378 1000paglia 10 220 4 60 100 225fieno 17 6840 f 7.800 7.000 15.000 6580 f 200 3000 f 1.000 2.500 2150 f 9000 e 5000 1700 620 1.000 1800 10.000 10.000buoi 10vacche estate 313 200 500215 238 155 500 500 200 130 92 230 200 50 55 70 100 80 115vacche inverno 100 80 335vitelli 60 155 90 125 175 160 30 40 50 120 55 100 60 30 15 15 30 50 90pecore estate 40080 100 30025 150 100150 100 80 90 50 100 150pecore inverno 45216 140310100 170montoni 40agnelli 20 20 50 5 50 40 20 30 25capre 250 250 60 150 30 100 40 160 174 100 184 170 30 79 7330capretti 93 50 60 4 30 60 100 15 10 20 80 50suini 20 40equini 93 13 3galline 400 400alveari 6 sc 60 40 atrote 1 1 0,5 1Tab. 1 - Produzione vegetale e allevamento in Valsesia nelle "Risposte alla circolare dell'Ill.mo Signor Vice Intendente della Provincia delli 10 luglio 1828" (sASVa, Viceintendenza dellaValsesia, bb. 171-173). La produzione vegetale è espressa in quintali, salvo <strong>di</strong>verse in<strong>di</strong>cazioni (b: brente, c: carichi, e: emine, f: fasci, r: rubbi, s: sacchi, st:staia). Per gli alveari a: alveari,sc: sciami.


castagne ver<strong>di</strong> q 230; noci q 160; pere e mele q180; altri frutti pel semplice uso della famiglia.Allevamento: Cavalli 3; mule 6; asini 4; vacche155; vitelli 90; pecore, compresi gli agnelli, 140.Tutti li generi che si produ<strong>con</strong>o nel territorio si<strong>con</strong>sumano nel medesimo alla riserva dei seguentiche si smerciano ai mercati <strong>di</strong> Borgosesia eVarallo, cioè: castagne q 150; fieno q 2800; vitelliingrassati 80 <strong>di</strong> libre metriche 65 caduno; pesci q3; olio <strong>di</strong> noci prodotto dal suolo q 7; pere e mele q100.Importazione generi: S’importano li seguentioggetti mancanti nel suolo e necessarj allapopolazione oltre li prodotti del territorio e cioè: lameliga per mesi sei all’anno q 350; segale q 340;formento in natura ed in pasta q 66; vino q 120.Le località esposte al sole: cereali e frutta aRossaIl comune <strong>di</strong> Rossa è ubicato su un versante espostoa sud, <strong>con</strong> inse<strong>di</strong>amenti permanenti <strong>di</strong>stribuiti tra600 e 1075 metri. Nel 1828 <strong>con</strong>tava 740 abitanti.Produzioni vegetali: Frumento emine 20; segale emine360; orzo emine 3; panico e miglio emine 80; patateemine 160; fieno emine 9000; canapa emine 30;castagne emine 100; noci emine 30; pere, mele ed altrifrutti emine 100.Allevamento: Vacche 230; vitelli 100; pecore 100;agnelli 40; capre 160; capretti 60.Importazione generi: S’importa dalla Provincia quantomanca <strong>di</strong> prima necessità.Le comunità <strong>di</strong> frontiera ecologica dell’altavalle: patate e segale ad AlagnaGli inse<strong>di</strong>amenti permanenti del comune sono compresitra 1154 e 1388 metri <strong>di</strong> quota. Nel 1818 <strong>con</strong>tava 552abitanti.Produzioni vegetali: Segale q 150 circa se<strong>con</strong>do leannate; fieno circa q 2500; paglia circa q 100; foglie <strong>di</strong>faggio ad uso de letti circa q 40; legna se ne <strong>con</strong>sumacirca q 130; poche prune e ciriegie selvatiche; patatecirca q 300.Allevamento. Vacche 500 d’estate e d’inverno 335;vitelli 120; pecore d’estate 400 e d’inverno 45; capre100 circa.Importazione generi. Ogni cosa si compra a Varallo.Oltre la frontiera: RimaIl comune costituisce un inse<strong>di</strong>amento accentrato ubicatoa 1411 metri <strong>di</strong> quota. Nel 1828 <strong>con</strong>tava 200 abitanti.Produzioni vegetali: Fieno q 1800; tartuffi q 10.Allevamento: Vacche 100; vitelli 30; pecore 150; agnelli25; capre 30; capretti 20.Importazione generi: Merci importate dalla Provinciacioè: grani q 405; olio q 2; vino q 175; acquavite q 5;canape q 50; carta q 1; ferro q 4; corami q 2; pomi q 2.Mulìn e molinèeOvunque nei pressi dei villaggi la presenza <strong>di</strong> corsid’acqua, Sesia o suoi tributari, dava la possibilità <strong>di</strong>allestire mulini <strong>di</strong> potenza variabile se<strong>con</strong>do laportata, a ruota verticale e asse orizzontale, afunzionamento saltuario per la macina dei cereali,sia quelli prodotti localmente, sia quelli compratidai mercanti. Sempre dalle relazioni statistiche del1828: a Pietre Gemelle molini quattro a duemacine, dacchè per giorno otto staja <strong>di</strong> farina,parte dell’anno stanno ferme; a Mollia molininumero quattro, macine due, una per la meliga el’altra per la segale: ogni macina si calcola seistaja per giorno; a Campertognetto molini n°quattro a due macine caduno, così dette avantaggio, cioè per la biada l’una e per la meligal’altra; ogni macina dà circa uno stajo <strong>di</strong> farina <strong>di</strong>peso libbre 29 alle 30 per ogni ora. Non vanno<strong>con</strong>tinuamente e in un anno però macinano intotale tra tutti sacchi 160 circa; a Campertognomolini numero cinque, macine due, una per lameliga e l’altra per la segale; ogni macina dà <strong>di</strong>farina al giorno otto staia valsesiani; a Pila molinin° 2 che macinano uno staro <strong>di</strong> grano per ogni ora,per giorno staja 12; non vanno però<strong>con</strong>tinuamente, per cui non si può precisare quantomacinano per mese, ma tra ambi ponno macinareall’anno sacchi 700 circa travagliando anche per ipaesi cir<strong>con</strong>vicini; i suddetti molini hanno duemacine per caduno, cioè una per la segale e l’altraper la meliga; a Civiasco tre mulini a vantaggio perla macina del grano <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> alcuniparticolari; a Quarona molini n° 3 a due ruotedritte a coppi: macinano un mezzo staro all’ora.granifarinaceilegumifrumento segale granoturco riso totale patate castagne totale fagiolibassa Valsesia 20 20 20 15 75 8 7 15 10me<strong>di</strong>a Valsesia 15 25 20 5 65 12 18 30 5alta Valsesia 5 40 25 5 75 22 22 3Tab. 2 - Distribuzione percentuale <strong>di</strong> cereali, farinacei e lugumi nell’alimentazione valsesiana alla fine dell’Ottocento


L’ALIMENTAZIONE: PRODUZIONE LOCALE EDIMPORTAZIONEI generi <strong>di</strong> alimentazione solo in parte eranoprodotti localmente mentre le granaglie più pregiatevenivano acquistate nella Bassa novarese evercellese.Nelle relazioni dei sindaci dell’Alta valle, semprenel 1828, si trovano espressioni del tipo: i prodottiin<strong>di</strong>geni bastano semplicemente per due mesi circaal mantenimento della popolazione (Pila); lo scarsoraccolto non basta a nutrire la popolazione tremesi all’anno (Sabbia); il prodotto è appenasufficiente per un quarto dell’annata (Varallo).Nella Bassa valle, oltre Varallo, crescendo lapossibilità <strong>di</strong> coltivazione, come si vede dallestatistiche <strong>di</strong> Quarona e Borgosesia, le produzionivegetali locali potevano bastare anche per circaquattro o cinque mesi.Il fabbisogno in “grani” era pressoché identico intutte le comunità dell’alta valle, variando tra 2 e 2,4q/abitante 12 .Nei paesi in cui veniva registrata in dettaglio latipologia dei “grani” si può notare come allasommità delle valli fossero importati segale, mais eriso 13 .Tra tra<strong>di</strong>zione ed innovazioneNella imponente documentazione raccolta dopol’Unità per gli atti della cosiddetta “InchiestaJacini” del 1883, che Federico Tonetti compilò perla parte relativa alla Valsesia, il Cir<strong>con</strong>dario <strong>di</strong>Varallo venne sud<strong>di</strong>viso in tre zone, in base allaproporzione dei vari generi utilizzati perl’alimentazione (tab. 2).Confrontando i dati riportati nel censimento del1828 <strong>con</strong> quelli dell’inchiesta sull’alimentazionedel 1883 si può notare come in alta valle perdurò lacoltivazione delle segale, che <strong>con</strong>tinuava acostituire la base dell’alimentazione in ambitoceralico. Scendendo lungo la valle <strong>di</strong>veniva invece<strong>con</strong>sistente la quota <strong>di</strong> frumento e <strong>di</strong> granoturco(tab. 2).L’alta valle fu invece più veloce a recepire lacoltura della patata, che alla fine dell’Ottocentocostituiva solo l’8% dell’alimentazione in bassavalle, mentre raggiungeva il 22% in alta valle (fig.6).NOTA METROLOGICADell’antica metrologia comune a tutta la Divisione <strong>di</strong>Novara, comprendente le province <strong>di</strong> Novara, Lomellina,Pallanza, Ossola e Valsesia, ricor<strong>di</strong>amo; fra le misure <strong>di</strong>capacità per le materie asciutte, il moggio <strong>di</strong> 8 staja <strong>di</strong>Milano (litri 146,2343), lo stajo (litri 18,2793), il sac<strong>con</strong>ovarese <strong>di</strong> 8 emine (litri 126,4729), l’emina <strong>di</strong> 16 coppi(litri 15,8094); fra le misure <strong>di</strong> peso, la libbra grossa <strong>di</strong>Novara <strong>di</strong> 28 oncie (g 759,439), la libbra piccola <strong>di</strong>Novara <strong>di</strong> 12 oncie (g 325,474), il fascio <strong>di</strong> 100 libbregrosse (kg 75,9439), il rubbo novarese <strong>di</strong> 25 libbrepiccole (kg 8,136850).Specifici della provincia <strong>di</strong> Valsesia, erano lo spazzo perlegna (metri cubi 3,790), lo stajo <strong>di</strong> Varallo (litri 14,59),il sacco <strong>di</strong> Borgosesia (litri 12,60), la soma <strong>di</strong> Varallo <strong>di</strong>due brente (litri 120,55), il rubbo <strong>di</strong> 25 libbre piccole(chilogrammi 9,036).2520151050patatebassa Valsesia me<strong>di</strong>a Valsesia alta ValsesiaFig. 6 - Distribuzione percentuale della patatanell’alimentazione nei <strong>di</strong>versi settori della vallenell'inchiesta Jacini del 1883.12 565 quintali su 265 abitanti a Rimasco; 405 q. su 200abitanti a Rima; 310 q. su 131 abitanti a S. Giuseppe,405 q. su 179 abitanti a Fervento. Per raggiungere questaquota a Boccioleto, ove vi era una produzione locale <strong>di</strong>430 quintali, si importavano altri 1334 quintali <strong>di</strong>“grani”.13 Rispettivamente 350, 390 e 40 quintali a Balmuccia; 7,14 e 20 ettolitri a Ferrate.


I CEREALI IN VALSESIA: MEMORIA STORICA E PROSPETTIVE FUTUREAngela Regis e Marta SassoINTRODUZIONELa coltura dei cereali risale agli albori della civiltà<strong>con</strong>ta<strong>di</strong>na, quando gli uomini del neoliticoabbandonarono la vita nomade in favore <strong>di</strong> unavita sedentaria, basata su un’e<strong>con</strong>omiaprevalentemente agricola. Affiancando alla cacciae alla raccolta <strong>di</strong> frutti la coltivazione dei terreniresero più eterogenea la loro <strong>di</strong>eta imparando atrasformare le granaglie in farina e a mescolare lafarina <strong>con</strong> l’acqua per preparare pappette, più omeno dense, e farinate cotte sul fuoco. La scopertadella lievitazione naturale, e la <strong>con</strong>seguenteproduzione del pane, avvenne solosuccessivamente. Oggi oltre la metà delle terrecoltivate è occupata dai cereali: nonostantevengano <strong>con</strong>sumati poco nei paesi ricchi, sonospesso l’unica fonte <strong>di</strong> sostentamento per lepopolazioni più povere.I cereali si <strong>di</strong>fferenziano dalle altre graminaceeperché sono in grado <strong>di</strong> fornire farine. Da unpunto <strong>di</strong> vista agrario, nella grande famiglia dellegraminacee si possono <strong>di</strong>stinguere due gran<strong>di</strong>gruppi: cereali da granella e cereali da foraggio.Oggetto <strong>di</strong> questa relazione sono i cerealiappartenenti al primo gruppo coltivati in passatoin Valsesia. A loro volta possono essere sud<strong>di</strong>visiin altri tre gruppi: 1) gruppo del frumento, checomprende grano (detto anche frumento), segale,orzo e avena; 2) gruppo del granoturco, checomprende granoturco (detto anche frumentone omeliga), miglio e panìco; 3) gruppo del riso, checomprende solo il riso.Molto più interessante è un altro tipo <strong>di</strong>classificazione: quella fra cereali microtermi emacrotermi, a se<strong>con</strong>da del fabbisogno termicodelle <strong>di</strong>verse specie. Microtermi sono il frumento,la segale, l’orzo e l’avena: germinano e compionole prime fasi <strong>di</strong> sviluppo nella stagione autunnoprimavera,per <strong>con</strong>cludere il loro ciclo produttivoin primavera-estate; per questo vengono dettianche cereali autunno-vernini. Macrotermi sono ilmais, il miglio ed il panìco; poiché hanno bisogno<strong>di</strong> circa 10 gra<strong>di</strong> in più rispetto ai primi, il lorociclo produttivo si compie in primavera-estate:vengono quin<strong>di</strong> chiamati cereali estivi.I documenti, a partire dall’età me<strong>di</strong>oevale,<strong>di</strong>stinguono invece i cereali un due <strong>di</strong>versecategorie: “grani grossi” e “grani minuti”, aprescindere dalla grandezza del chicco. I primi,che corrispondono ai microtermi, venivanovenduti e acquistati nel periodo estivo; i se<strong>con</strong><strong>di</strong>,che corrispondono ai macrotermi, erano messi sulmercato in autunno.LE PIÙ ANTICHE COLTIVAZIONI VALSESIANEIn Valsesia per <strong>di</strong>versi secoli sono stati coltivaticereali appartenenti ad entrambi i gruppi.La più antica attestazione <strong>di</strong> coltura cerealicolarisale al 1345: è una pergamena che descrive laven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> un appezzamento <strong>di</strong> terra colta etseminata cum sicali a Piè d’Alzarella (MOR, 1933,d. XCI), una frazione del territorio <strong>di</strong> RivaValdobbia attualmente scomparsa. La segale fucertamente coltivata dalle popolazioni valsesiane ewalser inse<strong>di</strong>atesi in tutte le testate delle valli delversante meri<strong>di</strong>onale del Monte Rosa perchésopporta bene il freddo e si adatta ai terreni magri;le colture inoltre erano favorite dal climaparticolarmente secco negli inse<strong>di</strong>amenti a quotapiù elevata.Oltre alla segale, in Valsesia erano presenti inmaniera <strong>di</strong>ffusa anche l’orzo, il miglio, il panìco el’avena. Documenti del Cinquecento e delSeicento attestano che questi cereali <strong>con</strong>tinuaronoad essere coltivati in varie zone della valle e che inalcune località della Val Grande e della bassa ValSermenza si coltivava, seppure in minor quantità,anche il frumento (FANTONI, questo volume, pp.13-18).IL LENTO DECLINO DELLE COLTIVAZIONI 14A partire dal Seicento la coltivazione dei cerealicominciò a <strong>di</strong>minuire, soprattutto a causadell’aggravarsi delle <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni climatiche.Una relazione del 1749 mette in evidenza lanecessità <strong>di</strong> una semina precoce della segale inalta valle e <strong>di</strong> un raccolto tar<strong>di</strong>vo a causa del climarigido: la segala viene tagliata a Riva a fineagosto nei campi e separata dalle spighe insettembre. Si deve subito zappare acciòinseminare li campi a ciò puossino le biade14 Le fonti documentarie <strong>di</strong> questo paragrafo sonocostituite dal fondo Vice Intendenza della Valsesia(sASVa): Qualità delle colture, stato in<strong>di</strong>cativoBoccioleto (b. 125), Panificazione, produzione <strong>di</strong> farinae molini, Boccioleto (b. 126 ), Denuncia delle coltureRossa (b. 165), Censimenti agricoli Rossa (b. 166),Quadri statistici dei comuni (b. 171-173).


germinare, prender forza per mantenersi l’invernoil che non farebbero quando si seminassero licampi dopo li 8 giorni <strong>di</strong> settembre per lafreddezza del paese; sul principio <strong>di</strong> settembre inqualche luogo vi è ancora la biada sopra li campi(RAGOZZA, 1983, p. 135).Proprio a causa del peggioramento del clima, tra ilSeicento e la prima metà dell’Ottocento ci furonoannate <strong>di</strong> carestia che costrinsero molti valsesianiad emigrare in cerca <strong>di</strong> lavoro, il che causò una<strong>di</strong>minuzione della mano d’opera nei campi e ilrelativo abbandono <strong>di</strong> molte colture. Aumentò cosìl’acquisto <strong>di</strong> granaglie e farine nei mercati dellabassa valle.La coltivazione dei cereali <strong>con</strong>tinuò comunqueancora per alcuni decenni nell’Ottocento, seppurein misura <strong>con</strong>tenuta. Frumento, segale, miglio,orzo, panìco comparivano ancora nei rapportistatistici.Il cereale più <strong>di</strong>ffuso era la segale: “coltivasidappertutto,” scriveva Luigi Noè nel suo rapportostatistico del 1828 relativo alla provincia <strong>di</strong>Valsesia, “anzi se ne occupa la maggior parte deiterreni coltivi. Forte è la <strong>con</strong>sumazione <strong>di</strong> questovegetale, servendosene del frutto quasi tutte leclassi <strong>di</strong> persone per formare del pane, a cui vimescolano del grano nella quantità <strong>di</strong> due sopraotto misure. Il total prodotto del segale vienecalcolato a quintali 5.977” (PECO, 1993).La val Grande e la val MastalloneIn val Grande, nei primi decenni dell’Ottocento,troviamo una produzione <strong>di</strong> segale da Scopa adAlagna, <strong>con</strong> la <strong>di</strong>fferenza che nella zona <strong>di</strong> Scopae <strong>di</strong> Scopello accanto alla segale venivanocoltivati anche miglio, panìco e frumento, mentrenei paesi dell’alta valle sebbene in quantitativiinferiori, veniva coltivato l’orzo.Giovanni Gnifetti scriveva che ad Alagna“maturano la segale, il pomo <strong>di</strong> terra, il canape el’orzo, e tali prodotti e cereali vengono coltivati<strong>con</strong> molta <strong>di</strong>ligenza, ed i campi in bell’or<strong>di</strong>ne quae là per quelle chine ridenti ed apriche <strong>di</strong>stribuiti,ti raffigurano altrettanti orticelli lavorati daindustre e <strong>di</strong>ligente giar<strong>di</strong>niere” (GNIFETTI, 1858),sottolineando il fatto che l’agricoltura era a caricoprevalentemente delle donne, come del restoavveniva anche negli altri paesi della valle.L’orzo, a <strong>di</strong>fferenza della segale che venivaimpiegata nella panificazione, veniva usato,seguendo la tra<strong>di</strong>zione walser, per la preparazione<strong>di</strong> minestre ed anche, tostato, come surrogato delcaffè. Noè <strong>di</strong>ceva che in Valsesia l’orzo si trovava“in iscarsissima quantità. Esso coltivasispecialmente nella parte meri<strong>di</strong>onale dellaprovincia. Se ne forma del pane mescolandolo allasegale, e se ne vende agli speziali per usofarmaceutico. Se ne furono raccolti 85 quintali emezzo” (PECO, 1993).Sempre se<strong>con</strong>do Noè, a Riva Valdobbia siproduceva anche grano. Casalis, nel suoDizionario geografico storico statisticocommerciale degli Stati del re <strong>di</strong> Sardegna scrittofra il 1834 e il 1856, scriveva invece che il grano,oltre alla segale e all’orzo, si coltivava ad Alagna.Per quanto riguarda la Val Mastallone, mentreNoè non citava alcun tipo <strong>di</strong> coltivazione, Casalis,attestava la coltivazione <strong>di</strong> segale a Fobello,sebbene in piccola quantità, a Cravagliana e aCervarolo; inoltre affermava che in quest’ultimopaese si producevano anche frumento e gran turco,sebbene in misura limitata.La val SermenzaRiguardo alla val Sermenza Noè scriveva cheBalmuccia “vicino agli abitati presenta ottimacoltura. Vi si seminano <strong>con</strong> profitto i cereali,eccetto però il grano turco; ma esso è <strong>di</strong> poca<strong>con</strong>siderazione”, a Rossa vi erano “piccoli campi<strong>di</strong> <strong>di</strong>versa figura […] coltivati a grano, a segale” ea Carcoforo veniva coltivato il miglio.Il reso<strong>con</strong>to <strong>di</strong> Noè però non è completo, comecompleto non è il reso<strong>con</strong>to <strong>di</strong> Casalis: i quadristatistici dei comuni relativi alla prima metàdell’Ottocento ci danno, a volte, qualche notiziain più (PAPALE, questo volume, pp. 19-23).Incrociando i dati, emerge che la val Sermenza daun punto <strong>di</strong> vista agricolo, così come da un punto<strong>di</strong> vista geografico e climatico, si presentava<strong>di</strong>visa in due zone: la parte più a valle, checomprendeva Balmuccia, Boccioleto e Rossa, e laparte a monte, che comprendeva Rimasco, S.Giuseppe, Rima, Ferrate e Carcoforo.Quest’ultima, tolta la produzione <strong>di</strong> miglio aCarcoforo <strong>di</strong> cui parla Noè, non produceva alcuncereale. Una produzione cerealicola la troviamoinvece a Balmuccia, a Boccioleto e a Rossa. ABalmuccia si<strong>cura</strong>mente si produceva la segale, eprobabilmente anche altri cereali, a Boccioleto sicoltivavano segale, orzo, miglio, frumento e aRossa segale, orzo, miglio, frumento e panìco.La produzione più abbondante era quella dellasegale. Del miglio e del panìco, <strong>con</strong>sideratiinsieme e chiamati saggina, termine checomunemente viene invece usato per in<strong>di</strong>care ilsorgo, Noè <strong>di</strong>ceva che in Valsesia “vi esiste inmaggior quantità” rispetto ad altri cereali. “Di essasi fa pur del pane frammischiandola la poveragente. […] E’ seminata più particolarmente nellaparte meri<strong>di</strong>onale della provincia, eccentuati benpocchi comuni della parte settentrionale, e ciò27


perché questa pianta ama il caldo. Il total raccoltofu <strong>di</strong> quintali 359”.LA MEMORIA STORICANella memoria dei valligiani non è rimasta tracciadell’utilizzo del miglio in cucina, ma è facileipotizzare che fosse usato per preparare polente epolentine: prima dell’introduzione del mais, vistoche era un’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>ffusa in tutta l’Italiasettentrionale in alternativa all’uso del granosaraceno, e forse anche dopo.E’ certo che, in un’epoca antecedente, il miglio haavuto un’importanza <strong>con</strong>siderevolenell’agricoltura locale e, quasi si<strong>cura</strong>mente, nellacucina, visto che una simpatica storiella <strong>di</strong> Rossaevidenzia una <strong>con</strong>siderevole produzione <strong>di</strong> miglio,non riportata nei documenti relativi all’Ottocento.Mariaroi? Ciò i faroi.Garò i masnai? Ciò i garoi.Muriran? Ciò i faran.Muriran poi al tem du mejchi possa gnanca piangi?Chi piangia an po’ una chi go temp! 15Se durante la raccolta del miglio non c’eraneppure il tempo per piangere, significa che illavoro nei campi era davvero cospicuo!Si è detto che nella memoria dei più anziani nonresta traccia delle coltivazioni <strong>di</strong> miglio: lo stessosi può <strong>di</strong>re per quelle <strong>di</strong> panìco. Resta invece ilricordo della panigaa, la minestra <strong>di</strong> verdure epanìco, perché, quando ormai quest’ultimo nonveniva più coltivato e le zuppe si facevano <strong>con</strong> ilriso importato dalla pianura, il termine panigaarimase ancora a lungo nella lingua locale comesinonimo <strong>di</strong> minestra.A proposito <strong>di</strong> zuppe, non possiamo non ricordareche la paniccia, cioè la tipica minestra delcarnevale valsesiano che oggi viene preparata <strong>con</strong>il riso, pare venisse preparata proprio <strong>con</strong> ilpanìco, da cui sembra aver preso il nome. Lapresenza <strong>di</strong> panìco e <strong>di</strong> segale è attestata anchedalla canzone <strong>di</strong> Rossa, “I quattro stagiogn”, dettaanche “Itta d’alfora”, quando parla dei lavorisvolti da Margherita durante l’estate e durantel’autunno.Da sctà l’è a seigu e ‘l fegn cla va sghe’e […]Da brumma […] panìc e tartufli, pummi e piscoeuiLa porta a ca’ sua ansemma i fascoeui 16Un’ulteriore <strong>con</strong>ferma della produzione <strong>di</strong> segalea Rossa e a Balmuccia ci è data da un detto <strong>di</strong>Balmuccia:Santa Margarita da cià e da ‘d là dl’ava,qui <strong>di</strong>avi da ‘n Russa i segu già la biava! 17Agli abitanti <strong>di</strong> Balmuccia, per questioni <strong>di</strong>campanile, bruciava il fatto che i vicini <strong>di</strong> Rossa,avendo i campi ben esposti al sole, potesseroraccogliere la segale prima <strong>di</strong> loro, proprio nelperiodo della festa della santa patrona del paese,che veniva festeggiata agli inizi <strong>di</strong> luglio.A <strong>di</strong>fferenza della produzione <strong>di</strong> segale, laproduzione del frumento non era rilevante per laval Sermenza. A tal proposito Noè scriveva: “Ilgrano però siccome vuole un terreno grasso ben inpocchi luoghi della provincia vien coltivato. Al <strong>di</strong>là <strong>di</strong> Varallo verso settentrione non coltivasi poiche in alcune esposizioni a pieno meriggio. Di quiavviene che il suo prodotto è <strong>di</strong> niun riguardo, eviene <strong>con</strong>siderato più per un pregio del sito, dovecoltivasi, che un mezzo <strong>di</strong> utilità; e <strong>di</strong>fatti a soli129 quintali elevasi il prodotto totale per tutta laprovincia”.Altra produzione <strong>di</strong> scarsa importanza era quelladell’orzo che serviva prevalentemente, fino allaprima metà del Novecento, per la preparazione <strong>di</strong>un surrogato del caffè, previa tostatura fatta incasa <strong>con</strong> un apposito attrezzo, il brusat, cheancora oggi è possibile trovare in alcune case dellavalle.L’INTRODUZIONE DI NUOVI PRODOTTII cereali prodotti in val Sermenza naturalmentenon erano sufficienti a sod<strong>di</strong>sfare il fabbisognolocale per cui era necessario importarli dalla bassavalle. Si importavano segale e, in misura assaiminore, riso, frumento e miglio.Veniva acquistato anche, in quantitativiabbastanza significativi, il mais. Portato in Europada Cristoforo Colombo al ritorno dal suo primoviaggio oltre oceano, rimase a lungo un prodottomarginale, usato tutt’al più come foraggio per glianimali, prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondersi ampiamente. Anchein Italia si <strong>di</strong>ffuse lentamente, assumendo nomi<strong>di</strong>versi: miglio grosso, sorgo, grano grosso,15“Mi sposerò? Lo farò./ Avrò figli? Li avrò./Moriranno? Lo faranno./Non moriranno poi al tempodella raccolta del miglio/ quando non potrò neppurepiangere?/ E’ meglio che pianga un po’ adesso che hotempo!”16 In estate, Margherita oltre al fieno mieteva anche lasegale; in autunno, insieme alle patate, alle mele e allepere, portava a casa anche il panìco.17 “Santa Margherita <strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là dell’acqua” (laSermenza separa i due nuclei abitativi <strong>di</strong> Balmuccia:il centro e Guaifola) “quei <strong>di</strong>avoli <strong>di</strong> Rossa mietono giàla segale!”.28


melega. Nell’Italia settentrionale venne chiamatogranoturco, intendendo probabilmente il termine“turco” come sinonimo <strong>di</strong> straniero. In Valsesia si<strong>di</strong>ffuse, <strong>con</strong> il nome <strong>di</strong> “meliga”, probabilmentedurante il Settecento, visto che i quadri statisticirelativi al 1818 ne attestano già un’importanteproduzione nei paesi della bassa valle.A Varallo, sempre nel 1818, vennero prodotte 950emine 18 <strong>di</strong> meliga <strong>con</strong>tro 1574 <strong>di</strong> segale, 273 <strong>di</strong>frumento, 38 <strong>di</strong> orzo e 40 <strong>di</strong> grani minuti (miglio epanìco). A Roccapietra furono raccolte 1473emine <strong>di</strong> meliga <strong>con</strong>tro 1504 emine <strong>di</strong> segale equantitativi inferiori <strong>di</strong> altri cereali. Ad Aranco,sempre nello stesso anno, la produzione <strong>di</strong> meligasuperò quella <strong>di</strong> segale: 1000 e 956 emine.Nel suo rapporto Noè scriveva che “… la melagaviene seminata più particolarmente nella partemeri<strong>di</strong>onale. Questa siccome non viene a maturitàsulle piante, si raccoglie, e spogliandosene lepannocchie mettesi penzolone sui poggi delle casenella parte meglio esposta onde secchino; maquesto mezzo non essendo a ciò sufficiente, lasgranano dalla grannocchia a misura del bisogno,e la fanno seccar nel forno, ed in<strong>di</strong> la danno almolino, usando le farine per formar polenta e maipane. Il raccolto totale è <strong>di</strong> quintali 359.”Coltivato in loco o acquistato nei mercati, il maismo<strong>di</strong>ficò le abitu<strong>di</strong>ni alimentari dei valsesiani ecancellò, o quasi, la memoria <strong>di</strong> una cucinaantecedente. La polenta preparata <strong>con</strong> la farina <strong>di</strong>granturco si <strong>di</strong>ffuse a tal punto da non lasciarealcuna traccia sulle tavole, o semplicemente nellamemoria dei valsesiani, <strong>di</strong> una polenta fatta <strong>con</strong> ilmiglio o <strong>con</strong> altri cereali.In un paio <strong>di</strong> secoli le <strong>con</strong>suetu<strong>di</strong>ni alimentari deivalligiani si trasformarono adattandosi ai nuoviprodotti, coltivati in loco o importati. Il <strong>di</strong>scorsovale non solo per il mais, ma anche per la patata:chi oggi pensa ad una cucina tipica senza lepatate? Eppure la loro storia valsesiana ha circa unpaio <strong>di</strong> secoli o poco più. Risultando <strong>di</strong>fficileimmaginare una prima <strong>di</strong>ffusione della patata inValsesia come pianta ornamentale, come avvennealtrove, possiamo pensare che sia stata introdottain un’epoca in cui ormai la sua importanza alivello alimentare e la sua resistenza al nostroclima non lasciavano più margine al dubbio. Nel1828 era già largamente coltivata visto che Noè18 Gli strumenti <strong>di</strong> misura, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> oggi, sibasavano su misure volumetriche e non <strong>di</strong> peso.L’emina piemontese è una misura che corrisponde aldoppio stero valsesiano. Lo staro valsesianocorrisponde a circa 10 chilogrammi <strong>di</strong> oggi. Vi eraanche la quintarola, una paletta che corrispondeva adun quinto dello staro. Cfr. la nota metrologica inPAPALE (questo volume, p. 23).scriveva: “Molto maggiore <strong>di</strong> ogni altro raccolto èquello della patata”.Mais e patate trovarono posto sulle tavole deivalsesiani quando vennero adattati alla tra<strong>di</strong>zioneculinaria locale e alle esigenze <strong>di</strong> una cucina pococostosa. Non per nulla Noè precisava che: “Essemangiansi in modo <strong>di</strong>verso. Alla tavola del riccocompaiono ben <strong>con</strong><strong>di</strong>te; a quella del poverosolamente cotte nell’acqua o sul fuoco”. Le patatequin<strong>di</strong> venivano mangiate, dalla gran parte dellapopolazione valsesiana, dopo essere state lessateproprio come avveniva per la pastinaca, chiamatain <strong>di</strong>aletto pastinaa, un’ombrellifera dalla ra<strong>di</strong>cesimile alla carota, e ricca <strong>di</strong> zuccheri ami<strong>di</strong>, cheprobabilmente era largamente <strong>con</strong>sumata inun’epoca precedente.Anche il riso si inserì sempre più nella cucinalocale prendendo il posto <strong>di</strong> altri cereali:presumibilmente fu durante la se<strong>con</strong>da metàdell’Ottocento, quando ormai il panìco in vallenon veniva più coltivato, che si <strong>di</strong>ffuse ovunquel’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> accompagnarlo alle verdure nellapreparazione delle minestre.Quando gli antichi cereali, che <strong>con</strong>tenevanovitamina B, furono sostituiti dal mais, che ne ètotalmente privo, in Europa <strong>di</strong>lagò la pellagra.Anche se non si sono trovati riferimenti specificidella <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa malattia in Valsesia, èancora ricordato ad Alagna il modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re “Al gàla pellagra” per in<strong>di</strong>care bambini magri ovisibilmente <strong>di</strong> salute cagionevole, usato fino aiprimi decenni del Novecento.LA CEREALICOLTURA TRA OTTOCENTO ENOVECENTOPer quanto riguarda la se<strong>con</strong>da metàdell’Ottocento possiamo solo fare delle ipotesiperché non abbiamo trovato né documenti scritti,né relazioni, come è avvenuto per la prima metàdel secolo, che possano aiutare nella ricostruzionedell’evolversi della situazione.Per fare delle ipotesi dobbiamo, per forza <strong>di</strong> cose,<strong>con</strong>siderare innanzi tutto i primi decenni delNovecento.I documenti relativi alle denunce delle colture e icensimenti agricoli, almeno per quanto riguarda ipaesi della val Sermenza, non ci danno alcun aiutoperché non sono stati compilati. Potrebbe trattarsi<strong>di</strong> una mancanza effettiva <strong>di</strong> colture significative o<strong>di</strong> inadempienza da parte <strong>di</strong> coloro che eranoaddetti alla compliazione.Un maggior aiuto ci viene dato dagli anziani chericordano i campi coltivati a segale (biàva) e amais (meliga) sia in bassa val Sermenza, sia in valGrande, nella zona <strong>di</strong> Scopa e Scopello.29


Alcuni testimoni ricordano che la segale siseminava in autunno e si raccoglieva alla fine <strong>di</strong>luglio dell’anno successivo. Dopo essere statacolta, veniva legata in mazzetti <strong>con</strong> fili d’erba epoi veniva stesa, o appesa, nelle lobbie adessiccare. Quando aveva raggiunto la pienamaturazione veniva sbattuta sopra un asse oppurepercossa <strong>con</strong> un bastone, poi veniva pulitafacendola saltare in un apposito <strong>con</strong>tenitoreintrecciato, detto val. In parte veniva data interaalle galline, in parte veniva macinata. La farinaserviva alla panificazione, a preparare pappettecotte <strong>con</strong> altri cereali, oppure veniva data allemucche mescolata ad altri ingre<strong>di</strong>enti. Con lafarina <strong>di</strong> segale, mescolata ad acqua tiepida, sipreparava anche il barvun, una brodaglia blandache veniva data alle mucche che avevano appenapartorito.Il mais si seminava in primavera e si raccoglievain autunno. Le pannocchie venivano ripulite dallefoglie, eccetto le ultime due o tre che venivanolegate, e poi venivano appese al sole fino acompleta essiccazione. Se il tempo non erafavorevole, il mais, così come avveniva per lasegale, veniva appeso nelle cucine dove il caloredel fuoco sostituiva quello del sole. Quando eramaturo veniva generalmente sgranato a mano 19 .Il mais più bello veniva macinato portandolo almulino.Sappiamo anche <strong>di</strong> chi, volendo semplificarel’operazione, si era fatto costruire un appositomacinino, che ancora oggi viene usato, adatto amacinare il granturco in casa.Anche il alta valle vi erano ancora coltivazioni <strong>di</strong>cereali: Eberhard Neubronner nel suo libro “Lavalle nera“ ricorda che fino a sessant’anni fa in valVogna vi erano campi coltivati a grano, orzo,segale e avena, e un documento del 1934 riportache Pietro <strong>Ragozzi</strong> nel suo mulino, a Carcoforo,macinava “prodotti in prevalenza locali e destinatial <strong>con</strong>sumo locale”.La produzione cerealicola dell’alta valle nei primidecenni del Novecento era si<strong>cura</strong>mente inferioreall’Ottocento, ma, pur non essendo sufficiente asod<strong>di</strong>sfare i bisogni delle famiglie, era ancoraimportante per l’alimentazione degli animali. A<strong>di</strong>fferenza del secolo precedente comprendevaanche il mais, coltivato prima solo nella partebassa della Valsesia; poiché nel Novecento le19Alcuni cercarono <strong>di</strong> facilitare il loro lavorocostruendosi delle ru<strong>di</strong>mentali macchine per sgranare lepannocchie: ad esempio un signore <strong>di</strong> Scopetta costruìun <strong>con</strong>tenitore in legno <strong>con</strong> traversine <strong>di</strong> metallo,mentre una signora <strong>di</strong> Rossa mise sul fondo della gerlaun’enorme grattugia.coltivazioni si estesero anche a monte <strong>di</strong> Varallo,possiamo dedurre che sia stato introdotto nellase<strong>con</strong>da metà dell’Ottocento a scapito del miglio edel panìco, <strong>di</strong> cui non resta quasi più traccia nellamemoria degli anziani.E’ certo quin<strong>di</strong> che nella prima metà delNovecento in Valsesia, a monte <strong>di</strong> Varallo, siproducevano ancora cereali, seppure inquantitativi limitati. Esistevano infatti ancoraalcuni mulini: nell’elenco dei mulini <strong>di</strong> cui ilprefetto della provincia <strong>di</strong> Vercelli decretava lasospensione a partire dal 10 giugno 1943 (permotivi legati al periodo bellico) compaiono cinquemulini valsesiani: ad Alagna, <strong>di</strong> SpiangaGiovanni; a Riva Valdobbia, <strong>di</strong> CarmellinoLorenzo; a Mollia, <strong>di</strong> Novarina Benedetto; aScopello, <strong>di</strong> Anderi Gio<strong>con</strong>do e a Rimella, <strong>di</strong>Rinol<strong>di</strong> Gelindo.La val Sermenza non risulta in questo elenco, maaltri documenti dello stesso periodo attestano lapresenza del mulino <strong>di</strong> <strong>Ragozzi</strong> Pietro, già citatoin precedenza, probabilmente l’unico funzionantein tutta la valle 20 .IPOTESI PER UNA FUTURA CEREALICOLTURAVALSESIANAOggi in val Sermenza non vi è più traccia dei tantimulini: resta qualche rudere che ai più nulla <strong>di</strong>ce;pochi ricordano quale importanza hanno avuto,pochi sanno che là dove oggi ve<strong>di</strong>amo solo terreniincolti, o boschi, un tempo c’erano coltivazioni <strong>di</strong>cereali.20 Se an<strong>di</strong>amo a ritroso nel tempo ve<strong>di</strong>amo che intornoal Cinquecento a monte <strong>di</strong> Rimasco, in val d’Egua e inalta val Sermenza, si <strong>con</strong>tavano 30 mulini e, in tempiben più recenti, solo nella valle del Cavaione, tra Rossae Boccioleto, vi erano più <strong>di</strong> 10 mulini (FANTONI,2001a).Nel 1828 Noè attestava ancora la presenza <strong>di</strong> moltimulini: a Balmuccia “due molini a due macine” <strong>di</strong> cuiuno “rovinato”, a Rossa “cinque molini a due macine”,a Boccioleto “sette molini a due macine”, a Fervento“due molini a due macine, ma uno inesercìto”, aRimasco “due molini a due macine”, a San Giuseppe“un molino a due macine”, a Rima “due molini a duemacine” e a Carcoforo “un molino a due macine”(PECO, 1993). Nel corso dell’Ottocento i mulinirestarono a lungo ancora attivi, anche dopo la<strong>di</strong>minuzione della produzione locale <strong>di</strong> cereali, perchéin un primo momento si importavano dalla bassa valle igrani che venivano macinati in loco. Quando si iniziòad importare non più le granaglie ma le farine, i mulinivennero in parte abbandonati, in parte riadattati ad altriusi.30


La se<strong>con</strong>da metà del Novecento ha cancellatocompletamente le colture cerealicole dell’altavalle, fatta eccezione per qualche campicello <strong>di</strong>mais e <strong>di</strong> avena che ha <strong>con</strong>tinuato a sopravvivereforse più per l’ostinazione <strong>di</strong> qualche valligianoche per effettiva necessità.Lo spopolamento della valle negli anni cinquantanon solo trasformò lo stile <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> chi rimase,ma cancellò anche la memoria: il fatto <strong>di</strong> guardareal futuro come portatore <strong>di</strong> una vita più facile emeno carica <strong>di</strong> fatiche spinse a <strong>di</strong>menticare ilpassato, <strong>con</strong> il risultato che oggi solo pochianziani ancora ricordano ciò che è appartenuto allacultura della montagna.Per i più è s<strong>con</strong>tato che la montagna, <strong>con</strong> i suoiterreni impervi, resti abbandonata a se stessa.Coltivarla costa fatica e poco se ne ricava: oggi ipastori abbandonano ad<strong>di</strong>rittura la fienagionelocale preferendo acquistare foraggio piùe<strong>con</strong>omico all’estero.Eppure, ad Alagna, negli ultimi anni, DiegoRossetti e Pietro Enzio, a cui si sono aggiunti altriappassionati, hanno ricominciato la semina del piùnoto e più <strong>di</strong>ffuso cereale dei secoli passati, lasegale. E’ una coltivazione ancora sperimentale e<strong>di</strong> pochi metri <strong>di</strong> terreno, per la quale si usanoperò gli antichi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> semina <strong>con</strong> la messa a<strong>di</strong>mora delle cariossi<strong>di</strong> in ottobre, appena dopo laraccolta delle patate, prima delle nevicateinvernali, in modo da favorire una germinazioneprimaverile precoce. La semina <strong>di</strong> quest’ultimoanno è stata effettuata in un campo accanto allafrazione Follu e in vari appezzamenti intorno allafrazione Weng, nel Vallone d’Otro. Purtroppoqualche animale si è cibato, nei mesi autunnali onell’inverno, <strong>di</strong> parte della semente posta a <strong>di</strong>moraperché il numero delle piantine è si<strong>cura</strong>menteminore <strong>di</strong> quanto seminato, ma già nel mese <strong>di</strong>luglio i fusti superano il metro <strong>di</strong> altezza e lespighe risultano piene e ben formate. Accanto allasegale viene piantato anche l’orzo, che viene poi otostato per farne un surrogato del caffè o tenutoper le minestre, come da tra<strong>di</strong>zione. La Vald’Otro, pur presentando un’altitu<strong>di</strong>ne maggiorerispetto all’abitato <strong>di</strong> Alagna, garantisce un climapiù secco e asciutto del fondovalle, proprio comein passato 21 . Bisogna comunque ricordare chesemine <strong>di</strong> avena o segale sono state sempre21 Negli ultimi anni si può leggere sul territorio unalenta ripresa delle coltivazioni: aumenta il numero <strong>di</strong>campi coltivati riportati all’antica lavorazione, mentrepurtroppo si ridu<strong>con</strong>o le zone adatte al pascolo, sia perla vegetazione arbustiva che avanza, sia per la presenza<strong>di</strong> specie erbacee infestanti poco apprezzate oad<strong>di</strong>rittura rifiutate dal bestiame, come il rabarbaroselvatico e l’iperico.effettuate, ad annate alterne e in campi <strong>di</strong>versinella zona <strong>di</strong> Alagna ed anche in Val Vogna.Infatti la segale viene seminata in quei campi <strong>di</strong>patate che <strong>di</strong>minuis<strong>con</strong>o la produzione, per “farriposare il terreno”, poiché la patata impoverisced’azoto la terra, rendendola, a lungo andare, menoproduttiva.Il raccolto del 2006 <strong>di</strong> questi pionieri dellacoltivazione ad alta quota, proprio come furonopionieri gli antichi colonizzatori walser nei secoliprecedenti, ha reso circa 50 chilogrammi <strong>di</strong>prodotto. La segale raccolta viene legata in fasci <strong>di</strong>circa 15/20 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro; poi si passa alla fasedella battitura <strong>con</strong> le cariossi<strong>di</strong> che sono raccoltein un telo. In una giornata ventosa i chicchivengono fatti saltare in un cesto largo e senzabor<strong>di</strong>, chiamato val, perché il vento stesso li liberidella pula. Purtroppo la successiva fase dellamacinazione non può avvenire a Otro dove non cisono mulini funzionanti 22 , ma avviene ad Alagna,utilizzando piccole macine in pietra afunzionamento elettrico. Una volta ottenuta lafarina, questa viene riportata in valle d’Otro, doveviene utilizzata per produrre il pane nei mesiestivi, lievitato <strong>con</strong> il cosiddetto lievito madre, ecotto nel forno frazionale come da tra<strong>di</strong>zione.Ogni frazione <strong>di</strong> Otro è ancora provvista delproprio forno funzionante. Per la macinazione, neitempi passati, si scendeva comunque lungo ilcorso del torrente Otro, dove sono ancorarintracciabili almeno 10 siti dove l’acqua venivaincanalata e utilizzata come fonte <strong>di</strong> energia permuovere macine, peste, segherie e presse. Se solouno <strong>di</strong> questi mulini fosse riportato allafunzionalità, il ciclo potrebbe chiudersi e renderepressoché autosufficienti i piccoli abitati dellasplen<strong>di</strong>da valle d’Otro, almeno nei mesi estivi, incui una <strong>di</strong>screta popolazione risiede stabilmente.Il progetto ecomuseale della Comunità MontanaValsesia, negli ultimi anni ha ripristinato all’usodue mulini: uno a Mollia alla frazione PianaFontana, dove sono perfettamente funzionanti duemacine, e un altro a Uterio, frazione <strong>di</strong> Alagna,anche qui <strong>con</strong> due macine azionate ad acqua. E’forse utopia pensare a un futuro in cui questemacine ridurranno in farina i cereali prodotti interra valsesiana, magari proprio nei campicircostanti i mulini, per arrivare a riproporre sulletavole <strong>di</strong> pochi fortunati il pane <strong>di</strong> segale, o panenero, o pan ad biava della tra<strong>di</strong>zione e leoriginarie minestre <strong>con</strong> il panìco o l’orzo?22 L’ultimo mulino, in località Puttero fu <strong>di</strong>strutto da unalluvione nel 1970, quando era stato da poco rimesso infunzione.31


Forse potrebbe accelerare questo processo ladomanda sempre crescente degli avventori deiristoranti, attenti alla tipicità valsesiana, <strong>di</strong> piattiantichi, oggi proposti <strong>con</strong> ingre<strong>di</strong>enti si<strong>cura</strong>mentealternativi a quelli originali, come il riso o il mais.Perchè non pensare, ad esempio, al riutilizzo delpanìco, che in walser era detto bangu, da cui iltermine bàngada usato per in<strong>di</strong>care genericamentela minestra; analogamente in val Sermenzatroviamo il termine panigaa per minestra, chederiva dal panìco, così come probabilmente nederiva la paniccia, la minestra tipica del carnevale.Molte altre sono poi le ricette <strong>di</strong> cucinatra<strong>di</strong>zionali, rivisitate e stu<strong>di</strong>ate <strong>con</strong> attenzioneanche dai ragazzi dell’Istituto Alberghiero <strong>di</strong>Varallo (AA. VV., 2001): le ricette walsermailginiturta e ràviole recentemente preparate <strong>con</strong>farine <strong>di</strong> mais e <strong>di</strong> grano tenero, la wallisschuppae la skilà <strong>con</strong> fette <strong>di</strong> pane <strong>di</strong> segale, l’erzmillentscha una specie <strong>di</strong> polenta <strong>con</strong><strong>di</strong>ta <strong>con</strong> illatte.Anche a Rimella si ricorda una zuppa, beneciu,fatta in origine <strong>con</strong> il panìco, e una polentinamolle attualmente <strong>con</strong>fezionata <strong>con</strong> farina <strong>di</strong> maische veniva prima tostata e poi cotta (magru), chesi ritrova anche ad Alagna <strong>con</strong> il nome <strong>di</strong> put o inaltri paesi della valle come pot o buiet.La ricetta più <strong>con</strong>osciuta è certamente quella dellemiacce o migliacci, <strong>di</strong>ffuse in tutto il territorio,oggi preparate <strong>con</strong> farina bianca ma un tempoprobabilmente preparate <strong>con</strong> farina <strong>di</strong> miglio,come in<strong>di</strong>ca il nome stesso (FANTONi, questovolume, pp. 55-57). Prodotto in tutta la valle era ilpan ad biava <strong>con</strong> farina <strong>di</strong> segale, che veniva cottoin grosse forme da <strong>con</strong>servare per mesi e cheveniva poi ammorbi<strong>di</strong>to nel brodo o nell’acqua.Tutti i piatti a base <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> mais, a cominciaredalla polenta, sono certamente più recenti oppuresono rivisitazioni <strong>di</strong> piatti più antichi: la tra<strong>di</strong>zione<strong>con</strong>serva ad Alagna il ricordo <strong>di</strong> una polentinamolle <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> miglio e latte che si <strong>con</strong>sumavaa colazione, ma anche l’orzo appare nelle ricettealagnesi (nella minestra d’orzo, gersta, o nellabroda che gli anziani bevevano la mattina, fatta<strong>con</strong> orzo tostato).Se il cibo <strong>di</strong> montagna offerto in prevalenza oggi èla polenta, non è raro scorgere, percorrendo laValsesia in automobile, piccole coltivazioni <strong>di</strong>mais, che arriva a <strong>di</strong>screta maturazione, anche se<strong>con</strong> <strong>di</strong>fficoltà quando sopraggiungono annateparticolarmente piovose. Anche oggi, come inpassato, le piante <strong>di</strong> mais vengono lasciate a<strong>di</strong>mora fino ad autunno inoltrato e, una voltaraccolte, le pannocchie si mettono ad asciugare alsole. Un giovane coltivatore <strong>di</strong> FailungoSuperiore, Andrea Fabris, <strong>di</strong> 17 anni, sperimentaquesta coltivazione da tre anni (18 chilogrammi laproduzione del 2006), utilizzando semi trattatiprovenienti dalla pianura e semi naturali,provenienti dai suoi precedenti raccolti. E’certamente <strong>di</strong>fficile per un giovane appassionarsialla coltivazione degli antichi cereali <strong>di</strong> montagna,se le scuole più vicine che i ragazzi valsesianipossono frequentare sono a Vercelli, a Novara e aRomagnano, zone evidentemente votate acoltivazioni molto <strong>di</strong>verse da quelle montane. Vaevidenziato infatti che solo alla Facoltà <strong>di</strong> Agraria<strong>di</strong> Torino, nel <strong>di</strong>partimento Agrisilver, ci si formaspecificamente sull’agricoltura e sull’allevamentoin montagna, una branca <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> assolutamente<strong>di</strong>fferente da quella della pianura. E’ auspicabileche in un prossimo futuro sia possibile, anche perle scuole superiori, aprire almeno una sezione<strong>di</strong>staccata in Valsesia, o in un’altra vallata alpinavicina, che si de<strong>di</strong>chi prevalentemente allo stu<strong>di</strong>odelle caratteristiche <strong>di</strong> questo settore <strong>di</strong>agricoltura, permettendo ai giovani appassionati <strong>di</strong>formarsi adeguatamente per l’attività che voglionointraprendere, soprattutto perché oggi non si trattapiù <strong>di</strong> <strong>con</strong>tinuare un’attività già esistente, ma <strong>di</strong>riqualificare un territorio coltivo e <strong>di</strong> pascolomolto degradato: i futuri agricoltori potranno farlose si daranno loro i mezzi, le risorse e se potrannocostruirsi le giuste competenze.RingraziamentiRingraziamo i bambini che hanno frequentato la scuolaelementare <strong>di</strong> Boccioleto nell’anno scolastico 2003-2004, <strong>con</strong> i quali abbiamo <strong>con</strong>dotto una prima ricercasulla coltivazione dei cereali in Val Sermenza,all’interno <strong>di</strong> un più ampio lavoro <strong>di</strong> <strong>con</strong>oscenza evalorizzazione del territorio. Durante l’intero annoscolastico, grazie anche all’aiuto delle loro famiglie,abbiamo raccolto materiali e informazioni che hannoportato dapprima alla elaborazione <strong>di</strong> un librettoscolastico, poi alla realizzazione <strong>di</strong> uno spettacoloteatrale, dove sono state rappresentate scene <strong>di</strong> vitatipiche dell’inizio del Novecento, ed infine hannostimolato successivi approfon<strong>di</strong>menti.Fonti oraliMaria Noemi Arcar<strong>di</strong>ni, frazione Molliane, Vocca,nativa <strong>di</strong> Rossa.Luca Cucchi, frazione Weng in Otro, Alagna.Pino Cucciola, frazione Oro, Boccioleto.Berti Enzio, frazione Follu in Otro, Alagna.Francesco Enzio, frazione Dorf in Otro, Alagna.Albino Ghigher, frazione Follu in Otro, Alagna.Carlo Guglielmina, frazione Scopetta, Scopa.Michele Po<strong>di</strong>ni, frazione Weng in Otro, Alagna.Eugenio Sasso, Pila, nativo <strong>di</strong> Musoit, frazione <strong>di</strong> Pila.Maria Valenti, frazione Scopetta, Scopa.32


ASPETTI STORICI E PROSPETTIVE DI RIFUNZIONALIZZAZIONE DEI SISTEMI D’ALPEGGIO:LA REALTÀ VALSESIANA NEL CONTESTO ALPINO CENTRO-OCCIDENTALE.CONSIDERAZIONI SULL’EVOLUZIONE “PARALLELA” DELL’ALTA VALSESIA E DELLAVALCHIAVENNAMichele CortiIl sistema alpicolturale dell’alta Valsesia ècaratterizzato dalla presenza <strong>di</strong> numerose piccolealpi pascolive <strong>di</strong> proprietà privata “sociale”in<strong>di</strong>visa; solo una quota ridotta dei beni silvopastoraliè <strong>di</strong> proprietà comunale. Se si prende inesame l’area complessiva delle Alpi centrooccidentalitale situazione è certamente meno<strong>di</strong>ffusa rispetto a quella, prevalente, in cui i comunio i patriziati 23 detengono la maggior parte deglialpeggi.I SISTEMI D’ALPEGGIO DELLA VALSESIA EDELLA VALCHIAVENNAIl <strong>con</strong>fronto <strong>con</strong> le aree dove si ris<strong>con</strong>tra lo stessoassetto fon<strong>di</strong>ario che <strong>con</strong>nota gli alpeggi valsesianipuò, a nostro avviso, risultare utile per capire lagenesi e l’evoluzione <strong>di</strong> questo particolare sistema<strong>di</strong> gestione dell’alpeggio. Per comprendere sino ache punto sia possibile stabilire analogie <strong>con</strong> ilsistema valsesiano è opportuno precisare che inValsesia, come altrove (tipicamente inValchiavenna), la proprietà del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong>sfruttamento del pascolo e quella fon<strong>di</strong>ariacoincidono mentre in altre valli sono rimasteseparate e la se<strong>con</strong>da è rimasta in capo al comune oal patriziato.L’assegnazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> pascolo a singoli vicinisu singole alpi <strong>con</strong> go<strong>di</strong>mento perpetuo è frequentesulle alpi della Vallemaggia e Valverzasca (inCanton Ticino) e della Poschiavina (Grigioni)(GARZINI, 1957). In questo, caso, però, oltre arestare la proprietà fon<strong>di</strong>aria ai patriziati, il <strong>di</strong>rittod’alpeggio è (era) legato alla proprietà deimaggenghi sottostanti in misura proporzionale allaloro estensione. In questi <strong>con</strong>testi i patriziati siriservavano la <strong>con</strong>cessione del terreno per lacostruzione <strong>di</strong> cascine ed altri fabbricati. Lapresenza <strong>di</strong> <strong>con</strong>sorzi <strong>di</strong> gestione <strong>di</strong> alpeggi <strong>con</strong>sud<strong>di</strong>visione in quote del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> pascolo inpresenza <strong>di</strong> proprietà fon<strong>di</strong>aria comunale èpresente anche in Valgerola (versante orobicovaltellinese).23Gli enti che, nella Lombar<strong>di</strong>a elvetica, hanno<strong>con</strong>tinuato a svolgere il ruolo <strong>di</strong> proprietari dei benisilvo-pastorali in precedenza svolto, anche altrove, dallevicinie.Anche se le forme <strong>di</strong> gestione dell’alpeggio in tuttiquesti casi tendono ad essere simili è inValchiavenna che il sistema <strong>di</strong> gestione e <strong>di</strong>proprietà degli alpeggi presenta maggiori analogie<strong>con</strong> la Valsesia 24 . Senza pervenire a<strong>di</strong>nterpretazioni deterministiche è interessanteosservare come l’alta Valchiavenna (Val S.Giacomo) presenti, ancor più che la Valsesia, unsistema d’alpeggio basato su una forma <strong>di</strong>migrazione stagionale alpina che vedeva i titolaridei <strong>di</strong>ritti d’alpeggio sui vastissimi pascoli dell’altavalle scendere in inverno verso alcuni centri deiPiani <strong>di</strong> Chiavenna, Spagna e <strong>di</strong> Colico (questiultimi in provincia <strong>di</strong> Como). Vale la penaosservare che mentre oggi tale migrazione assumei <strong>con</strong>torni <strong>di</strong> una “salita all’alpeggio” <strong>di</strong> allevatoridel piano essa, storicamente, rappresentava una“transumanza inversa”: dall’alta valle al piano 25 ,come in<strong>di</strong>ca la stretta affinità linguistica (il“<strong>di</strong>aletto del brì” <strong>con</strong> forti <strong>con</strong>notati lombardoalpini26 ) tra le comunità dell’alta valle e quelle <strong>di</strong>alcuni centri del piano (SCUFFI, 2005, p. 21) 27 .Pur se non interessata da forme <strong>di</strong> colonizzazionewalser del tipo della Valsesia, la Valchiavenna,limitrofa a zone <strong>di</strong> colonizzazione walser nellaValle del Reno, ha <strong>con</strong>osciuto forme <strong>di</strong>infiltrazione e <strong>di</strong> influenza walser nel periodo in24Per la <strong>di</strong>scussione del sistema <strong>di</strong> proprietà<strong>con</strong>dominiale degli alpeggi nell’insieme delle Alpilombarde cfr. CORTI (2004).25 “In alcune comuni, come nella valle S. Giacomo, ilcui raccolto non basta per due mesi all’anno, quasi tuttoil popolo esce dal paese, e ad imitazione d’Abramo e <strong>di</strong>Lot cacciando avanti il bestiame, va errando per lecomuni vicine, e gran parte ne viene sul territorioLombardo”. Per “territorio lombardo” si devonointendere le zone dell’alto lago <strong>di</strong> Como attualmente inprovincia <strong>di</strong> Como e <strong>di</strong> Lecco; la Valchiavenna, infattiera allora un territorio ex-Grigione e la sua unione allaLombar<strong>di</strong>a fu sancita solo nel 1814 <strong>con</strong> il Congresso <strong>di</strong>Vienna (GIOIA, 1857, p. 43).26Si tratta <strong>di</strong> varianti linguistiche lombarde <strong>con</strong>elementi <strong>di</strong> transizione al retoromancio affini ai <strong>di</strong>alettipiù settentrionali della Lombar<strong>di</strong>a elvetica (J.G. Bosoni,comunicazioni personali).27 Tale varietà delle parlate lombardo-alpine presentaaffinità <strong>con</strong> quelle delle vallate più settentrionali delCanton Ticino (Val <strong>di</strong> Blenio).


cui i signori feudali 28 sollecitavamo e favorivano lostanziamento <strong>di</strong> colòni.La storia dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> erbatico sulle alpi della ValS. Giacomo non è stata, però, ancora delineata <strong>con</strong>la dovizia <strong>di</strong> particolari <strong>con</strong> la quale è stata messa afuoco quella dell’alta Valsesia 29 . Vi sono, però,sempre nel Duecento, in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> forme <strong>di</strong>affidamento in <strong>con</strong>cessione (afidamentum alpium)<strong>di</strong> gran<strong>di</strong> alpeggi a signori feudali (SALICE, 1997,p. 35). La scarsa rilevanza demica delle comunitàresidenti negli inse<strong>di</strong>amenti permanenti,l’accentuazione della migrazione stagionale (quiperò <strong>con</strong> <strong>con</strong>tinuità secolare <strong>di</strong> carattereagropastorale e verso i piani sottostanti),l’abbandono <strong>di</strong> alcune se<strong>di</strong> permanenti ed il lororitorno alla funzione <strong>di</strong> alpeggio 30 rappresentanoaltrettanti elementi (accentuati ed anche indotti daldeterioramentio climatico noto in letteratura come“Piccola Età Glaciale”), che hanno qui scoraggiatoun ruolo attivo esercitato attivamente altrove daicomuni e dalle vicinie <strong>con</strong> il loro subentro nellaproprietà fon<strong>di</strong>aria degli alpeggi ai precedentiproprietari (laici ed ecclesiastici).Nel tempo, nei <strong>con</strong>fronti <strong>di</strong> una proprietà fon<strong>di</strong>arialontana, i <strong>di</strong>ritti degli allevatori transumanti si sonorafforzati, tanto da ottenere l’affrancazione dalversamento <strong>di</strong> canoni d’affitto e <strong>con</strong>seguire lapiena proprietà. Va comunque osservato che imotivi che, nel prosieguo dei secoli, hanno<strong>con</strong>sentito il rafforzamento della posizione deititolari dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> pascolo sono da mettere inrelazione anche alle <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni giuri<strong>di</strong>che(<strong>con</strong>tratti a livello, enfiteusi) in grado <strong>di</strong> attirareinizialmente i colòni ad operare <strong>di</strong>ssodamenti,bonifiche, realizzazione <strong>di</strong> fabbricati e, in tempisuccessivi, <strong>di</strong> mantenere l’esercizio dell’alpicolturain perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> regresso demografico e <strong>di</strong>peggioramento climatico.Le analogie tra l’alta Valsesia e la Valchiavenna siestendono alla tipologia dei fabbricati. Più che lecaratteristiche costruttive 31 è il carattere dellecostruzioni d’alpeggio, in quanto funzionali allagestione autonoma ed autosufficiente <strong>di</strong> un’aziendafamigliare, che pone sostanziali elementi <strong>di</strong>somiglianza 32 . Più che in Valsesia, dove il numero<strong>di</strong> fabbricati è sempre limitato, l’alpeggio inValchiavenna assume sovente la tipologia delvillaggio accentrato <strong>con</strong> decine <strong>di</strong> baite. Lapresenza <strong>di</strong> strutture comunitarie (fontane, spazicomuni, chiesette per il culto domenicale) accentuaquesto carattere. A volte, però, l’alpeggio ècostituito da nuclei sparsi <strong>di</strong> poche baite od ancheda fabbricati isolati sparsi sul pascolo. Invece chela frammentazione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> alpi in unità autonomepiù piccole, come in Valsesia, qui le unità sonorimaste molto ampie ma, spesso, <strong>con</strong> più nuclei <strong>di</strong>fabbricati piuttosto <strong>di</strong>stanti e le proprietà deiConsorzi attuali mantengono ancora spesso queste<strong>di</strong>mensioni.In tutti i casi, sparsi od accentrati che fossero,questi inse<strong>di</strong>amenti erano abitati da intere famiglieche si trasferivano per tutto il periodo estivo. Lacrisi dell’alpeggio (manifestatasi in Valsesiaattraverso la “femminilizzazione” 33 , <strong>con</strong>l’affermarsi dell’emigrazione stagionale a partiredal Seicento, e la <strong>con</strong>temporanea <strong>con</strong>cessione deipascoli ai pastori ovini transumanti) inValchiavenna è risultata molto meno rilevantetanto che, nell’Ottocento, il patrimonio bovino ha<strong>con</strong>osciuto una fortissima espansione che si èriflessa sul sovraccarico degli alpeggi,sull’aumento dei titolari dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> pascolo e sulloro frazionamento.Già nel 1907 in comune <strong>di</strong> Madesimo si <strong>con</strong>tavano220 comproprietari all’Alpe Andossi (360 vaccate)e 150 all’Alpe Borghetto (195 vaccate), mentre in<strong>di</strong>verse alpi più piccole il numero dei soci eraspesso superiore a quello delle quote. Ciòrappresentava l’effetto delle <strong>di</strong>visioni ere<strong>di</strong>tarieche possono avere per oggetto frazioni <strong>di</strong> quota 34 .Successivamente la polverizzazione è andatavieppiù crescendo. L’Alpe Corte Terza, in comune28 L’influenza <strong>di</strong> alcune casate signorili si estendeva suun’area che comprendeva insieme alla Valchiavenna lelimitrofe vallate dell’attuale Canton Grigioni interessatealla colonizzazione walser.29 Per la storia dell’alpeggio in Valsesia ci siamo riferitia FANTONI e FANTONI (1995), FANTONI (2001, 2003,2006a, BOLONGARO e FANTONI, 2006).30 Un caso emblematico è rappresentato da S. Sisto(1600 m) in comune <strong>di</strong> Campodolcino. Unaretrocessione <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amenti permanenti ad alpeggi (o ainse<strong>di</strong>amenti stagionali) è documentata anche inValsesia (Larecchio in Val Vogna, Otro nella valleomonima, Seccio in val Cavaione).31 L’ampio uso del legno strutturale (qui la strutturablockbau è designata a carden) è comune nelle aree <strong>di</strong>influenza walser, anche se va osservato come esso sia<strong>di</strong>ffuso in Valtellina anche a prescindere da essa.32Va osservato che i fabbricati assumono inValchiavenna un carattere poco specializzato, non siosservano casere e la produzione casearia è (era) legataprevalentemente all’auto<strong>con</strong>sumo. L’alpe è costituitada una sola stazione.33 In Valchiavenna il passaggio alla gestione deglialpeggi da parte dell’elemento femminile si è verificatain tempi molto più recenti, ovvero negli anni Sessantadel Novecento <strong>con</strong> l’aumento delle occasioni <strong>di</strong> lavoroextra-agricolo specie nel settore e<strong>di</strong>le e dell’energia.34 Si arrivava a sud<strong>di</strong>videre le vaccate in “frazioni” <strong>di</strong>vacca, denominate suggestivamente “corno”, “piede”ecc.34


<strong>di</strong> Gordona, nel 1972 era utilizzata da 150 <strong>di</strong>ttein<strong>di</strong>viduali (POLELLI, 1975), un numero enorme sesi <strong>con</strong>sidera che un’indagine <strong>di</strong> qualche annosuccessivo censiva 83 Uba (ERBA et alii, 1986, p.85) 35 e che le baite sono meno <strong>di</strong> trenta. A tutt’oggile quote (“vaccate”) possono essere non solovendute ma anche affittate. In alcuni casi i<strong>con</strong>dòmini hanno <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> prelazione.In anni più vicini gli effetti della polverizzazionedelle quote <strong>di</strong> comproprietà non ha più comportato<strong>con</strong>seguenza sulla gestione in quanto all’aumentodei proprietari corrisponde una drastica riduzionedel numero degli utilizzatori effettivi del pascolo(molti titolari <strong>di</strong> quote sono interessati solo alleabitazioni trasformate in se<strong>con</strong>de case, altri sonoemigrati permanentemente).Il censimento delle alpi valtellinesi del 1978-80metteva in evidenza come la <strong>di</strong>minuzione delbestiame e degli alpeggiatori avesse portato nel20% delle alpi in <strong>con</strong>dominio all’utilizzo da parte<strong>di</strong> un limitato numero <strong>di</strong> <strong>con</strong>dòmini mentre molteerano gestite da uno solo <strong>di</strong> essi (ERBA et alii,1986, p. 14).Fig. 7 – Donna <strong>con</strong> il carpiun (da GALLO, 1892)LE TRASFORMAZIONI IN ATTOLa sorte degli alpeggi posseduti da <strong>con</strong>sorzi è<strong>di</strong>pesa dalla qualità dei pascoli, dalla loroestensione e, soprattutto, dalla loro accessibilità.Alcuni alpeggi (Montespluga, Teggiate, Andossi),grazie alla collocazione sulla strada statale n. 36del Passo dello Spluga, sono tuttora caricati inmodo sod<strong>di</strong>sfacente. Qui, mentre molti proprietarihanno trasformato le baite in case <strong>di</strong> vacanza, altri,che nel paesi del Piano hanno nel frattemporealizzato stalle moderne, hanno a volte costruito35 Uba = Unità bovino adulto.nuovi ricoveri per il bestiame e strutture abitative.Due latterie (una privata, l’altra <strong>con</strong>sortile)lavorano buona parte del latte <strong>di</strong> questi alpeggi.Negli ultimi anni anche la gestione delle mandrie ela mungitura del latte hanno iniziato ad essereoggetto <strong>di</strong> una gestione <strong>di</strong> tipo cooperativo.Questi sviluppi non sono sempre positivi perché lafacilità <strong>di</strong> trasporto e il <strong>con</strong>ferimento del latte allestrutture collettive <strong>di</strong> trasformazione hannoinnescato una tendenza a riprodurre in alpeggiol’orientamento all’intensificazione produttiva, <strong>con</strong>il crescente impiego <strong>di</strong> mangimi, l’uso <strong>di</strong> fermentiselezionati <strong>di</strong> provenienza industriale per lacaseificazione, la monticazione <strong>di</strong> vacche <strong>di</strong> razzaHolstein e Brown Swiss ad elevataspecializzazione (e <strong>con</strong> elevate esigenzenutrizionali). Le tra<strong>di</strong>zionali produzioni caseariesono state abbandonate e oggi in Valchiavenna(dove non in un solo alpeggio si produceva inpassato formaggio grasso) si realizza una buonaparte della produzione del Bitto dop 36 .L’alpeggio, in queste <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni, finisce per essereun’appen<strong>di</strong>ce dell’azienda intensiva <strong>di</strong> pianura ascapito della buona utilizzazione dei pascoli e dellaqualità dei prodotti caseari.Dove gli accessi sono <strong>di</strong>fficili, e lo stesso spazio<strong>di</strong>sponibile per ampliare i fabbricati è limitato(come nel caso degli inse<strong>di</strong>amenti <strong>con</strong> numerosebaite addossate le une alle altre), gli alpeggi sonocaricati <strong>con</strong> equini o ovicaprini e i fabbricati sonoin stato <strong>di</strong> abbandono; se vi è accessibilità, ma le<strong>con</strong><strong>di</strong>zioni del pascolo non <strong>con</strong>sentono unagestione zootecnica ad una scala ritenutaremunerativa dagli impren<strong>di</strong>tori che salgono dalPiano, le baite sono oggetto <strong>di</strong> trasformazioni“vacanziere” che alterano profondamente lecaratteristiche costruttive originarie sinoall’affronto delle perlinature, delle zoccolature adopus incertum ed altri oltraggi. Tali fenomenihanno compromesso in modo irrime<strong>di</strong>abile unpatrimonio e<strong>di</strong>lizio <strong>di</strong> grande valore storico che, in<strong>di</strong>versi siti, recava ancora indelebile l’improntadella colonizzazione tardome<strong>di</strong>evale. Solo in tempirecenti, <strong>con</strong> il miglioramento degli standard <strong>di</strong>red<strong>di</strong>to legato al frontalierato e <strong>con</strong> una certa<strong>di</strong>ffusione della cultura del restauro <strong>con</strong>servativo(o comunque del rispetto dei valori estetici36 Il fatto paradossale è che sono dovuti venire deitecnici e dei casari delle aree <strong>di</strong> produzione tra<strong>di</strong>zionalead “insegnare” a produrre il Bitto, che dovrebbe essereun prodotto tra<strong>di</strong>zionale ra<strong>di</strong>cato nei saperi trasmessiinformalmente. Con il risultato <strong>di</strong> una forte flessione delprezzo (e <strong>di</strong> uscita <strong>di</strong> produttori dal Consorzio <strong>di</strong> tutela),dopo anni <strong>di</strong> euforia e <strong>di</strong> allargamento della produzionedel Bitto a numerosi alpeggi.35


tra<strong>di</strong>zionali), si è osservato qualche segno <strong>di</strong>miglioramento. Troppo tar<strong>di</strong>.La proprietà privata “sociale” da parte <strong>di</strong> numerosefamiglie che si erano tramandate per generazioni i<strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> pascolo, e che aveva rappresentato unostrumento per una colonizzazione pastoraleintensiva <strong>di</strong>retta al miglior sfruttamento dellerisorse, non ha in generale <strong>con</strong>sentito un facileadattamento alla transizione tra l’alpicolturatra<strong>di</strong>zionale (esercitata nel quadro <strong>di</strong> una e<strong>con</strong>omiaagropastorale <strong>di</strong> sussistenza) e quella attuale, chepresuppone strutture atte alla gestione unitaria <strong>di</strong>mandrie <strong>di</strong> una certa <strong>con</strong>sistenza e alla lavorazionedelle relative produzioni <strong>di</strong> latte. In Valsesia comein Valchiavenna va anche ricordato come, alsostanziale egualitarismo del passato che rendevameno <strong>di</strong>fficili forme elementari <strong>di</strong> cooperazione(lavorazione del poco latte in comune a piccoligruppi <strong>di</strong> alpigiani, affidamento del bestiameminuto a pastorelli a turno tra le famiglie,esecuzione <strong>di</strong> attività comuni <strong>di</strong> manutenzionedelle opere <strong>di</strong> viabilità, delle opere idrauliche,dello spietramento, decespugliamento ecc.) siasubentrata una <strong>di</strong>sparità <strong>di</strong> <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni (a partire dalnumero <strong>di</strong> capi posseduti) che ha corroso imeccanismi <strong>di</strong> solidarietà ed accentuato quelli <strong>di</strong>invi<strong>di</strong>a e <strong>di</strong>ffidenza.Questo in<strong>di</strong>vidualismo, esasperato dalle precarie<strong>con</strong><strong>di</strong>zioni e<strong>con</strong>omiche tra Ottocento e Novecento,non è venuto meno <strong>con</strong> le migliorate <strong>con</strong><strong>di</strong>zionie<strong>con</strong>omiche degli anni del boom e <strong>con</strong> il“<strong>con</strong>sumismo” e la “fuga dall’agricoltura” chehanno per molto tempo creato forti <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><strong>di</strong>sparità e<strong>con</strong>omica e culturale (che oggi si stanno<strong>di</strong> nuovo riducendo).I problemi della gestione “<strong>di</strong>ssociata” del pascolo,dell’adeguamento dei locali <strong>di</strong> lavorazione del lattealle normative igienico-sanitarie, delmantenimento del patrimonio e<strong>di</strong>lizio e della suarifunzionalizzazione, nel rispetto dei valoriestetico-culturali da esso rappresentati, neglialpeggi gestiti da <strong>con</strong>sorzi non sono comunquefacilmente risolvibili. Basti pensare a quante<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> <strong>con</strong>servazione e rifunzionalizzazionedegli alpeggi si in<strong>con</strong>trano anche nell’ambito delleproprietà comunali (in grado <strong>di</strong> mobilitare risorsefinanziarie e <strong>di</strong> assumere più facilmente ledecisioni).In Valsesia è forse meno accentuato rispetto allaValchiavenna il dualismo tra alpeggi proiettati inun rinnovato ruolo produttivo/produttivista (<strong>con</strong> ilrischio <strong>di</strong> snaturarne l’identità e, alla lunga, <strong>di</strong>compromettere una valorizzazione e<strong>con</strong>omica chenon può <strong>con</strong>sistere solo nella quantità <strong>di</strong>formaggio prodotta). Le unità produttive chepossono operare nel <strong>con</strong>testo della strutturapascoliva della Valsesia sono comunque <strong>di</strong><strong>di</strong>mensioni <strong>con</strong>tenute e hanno dovuto operare una<strong>di</strong>fferenziazione <strong>di</strong> orientamenti zootecnici 37 . Allaprevalenza (in termini e<strong>con</strong>omici, ma anche <strong>di</strong>prestigio sociale) del bovino è subentrata daqualche decennio a questa parte una rivalutazionepositiva e salutare dei piccoli ruminanti ed inparticolare delle capre che possono <strong>con</strong>sentireproduzioni su piccola scala ma <strong>di</strong> elevato valoreaggiunto. La sostituzione <strong>di</strong> bestiame bovino dalatte <strong>con</strong> bestiame da carne va invece giu<strong>di</strong>catanegativamente ed è giustificabile solo in un<strong>con</strong>testo <strong>di</strong> transizione in cui si desidera evitare unabbandono dei pascoli tale da risultare poi<strong>di</strong>fficilmente reversibile. Le modalità <strong>di</strong>pascolamento dei bovini da carne, che sfruttano inmodo molto <strong>di</strong>somogeneo le risorse foraggere deipascoli, qualora – come normalmente avviene pernon aggravare i costi <strong>di</strong> manodopera – sianomantenuti in <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> pascolo libero,indu<strong>con</strong>o a non promuoverne la <strong>di</strong>ffusione suglialpeggi.PROSPETTIVE DI RIFUNZIONALIZZAZIONE DEGLIALPEGGI VALSESIANIIl mantenimento <strong>di</strong> strutture <strong>di</strong> ridotte <strong>di</strong>mensioni,in grado <strong>di</strong> operare la trasformazione artigianaledel latte (bovino o caprino) rappresenta una<strong>con</strong><strong>di</strong>zione per valorizzare, al <strong>di</strong> là dell’elementoquantitativo, la produzione zootecnica in sensoqualitativo, costituendo un elemento <strong>di</strong> incentivoper la frequentazione turistica del territorio. Inquesto senso come ri<strong>con</strong>osce lo stesso PianoPastorale 38 l’organizzazione della gestionealpicolturale per Comprensori <strong>di</strong> pascolo cheriuniscano i piccoli alpeggi, pur comportandoevidenti vantaggi (centralizzazione delle strutture<strong>di</strong> trasformazione) rischia <strong>di</strong> svalutare la funzionedelle piccole unità <strong>di</strong> gestione pastorale in grado <strong>di</strong>svolgere un servizio <strong>di</strong> manutenzione territorialepiù capillare. Semmai va anche pensato un ruolo<strong>di</strong>chiaratamente “<strong>di</strong> servizio” ed integrativo delleunità “stanziali” da parte <strong>di</strong> greggi ovinitransumanti, già presenti in alcuni alpeggivalsesiani, che possono prestarsi egregiamente alrecupero <strong>di</strong> pascoli degradati come in<strong>di</strong>cano<strong>di</strong>verse esperienze in atto sull’arco alpino, graziealla elevata mobilità (nel corso della stagione37Il Piano pastorale, In: Regione Piemonte, AssessoratoE<strong>con</strong>omia Montana e Foreste. Settore PoliticheForestali. Progetto GESMO. Area Forestale n. 38 ValleSesia. Stu<strong>di</strong>o per il Piano Forestale Territoriale. Gruppo<strong>di</strong> lavoro ALPIFOR, p. 271 e segg..38 Ve<strong>di</strong> nota precedente36


d’alpeggio) e alla realizzazione <strong>di</strong> carichi <strong>di</strong>pascolo istantanei molto elevati.Mantenere attive realtà anche <strong>di</strong> ridotte potenzialitàproduttive, oltre a massimizzare l’efficaciadell’azione <strong>di</strong> manutenzione territoriale del sistemapastorale locale, può anche <strong>con</strong>tribuire allaproduzione <strong>di</strong> ulteriore valenze multifunzionali. Ilvalore del formaggio Macagn d’alpeggio (comeper altri prodotti che intendono <strong>di</strong>fferenziarsi dalleproduzioni industriali) è legato anche allapossibilità <strong>di</strong> organizzare visite guidate edegustazioni sui siti <strong>di</strong> produzione. Queste ultimeattività possono anche rappresentare <strong>di</strong> per sestesse l’induzione <strong>di</strong> una sia pure modesta correnteturistica che può poi però determinare effettimoltiplicativi in una rete ben coor<strong>di</strong>nata <strong>di</strong>agriturismi e bed & breakfast (albergo <strong>di</strong>ffuso),riven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> prodotti alimentari, ristoranti. In questo<strong>con</strong>testo <strong>di</strong>venta più sostenibile e<strong>con</strong>omicamentel’intervento <strong>di</strong> <strong>con</strong>servazione, tutela evalorizzazione del patrimonio <strong>di</strong> testimonianzemateriali costituito, oltre che dai fabbricati,dall’intero paesaggio antropico.Quella che alla luce <strong>di</strong> una <strong>con</strong>siderazionemonofunzionale dell’alpeggio appariva la“<strong>con</strong>danna senza appello” del sistema dei piccolialpeggi <strong>con</strong>sortili della Valsesia e degli analoghialpeggi della Valchiavenna può, alla luce delle<strong>con</strong>siderazioni svolte, essere rivista se nonribaltata. Rispetto a molti alpeggi a gestioneunitaria, che da un secolo a questa parte hannovisto la realizzazione <strong>di</strong> fabbricati “funzionali”sulla base <strong>di</strong> progetti e <strong>di</strong> <strong>con</strong>cezioni standard e cheda mezzo secolo fa in qua sono stati deturpati dabrutte costruzioni in cemento armato, coperture inlamiera, gli alpeggi <strong>con</strong>sortili, spesso sottoutilizzatio a rischio <strong>di</strong> abbandono rappresentano unpatrimonio <strong>di</strong> “architettura spontanea” attraverso ilquale leggere l’interazione <strong>di</strong> fatti storici, etnici,ecologici. Non sarà certo possibile trasformare tuttiquesti inse<strong>di</strong>amenti dando loro nuova vita, ma, afianco <strong>di</strong> nuovi piccoli caseifici e <strong>di</strong> quelle strutturestrettamente necessarie alle moderne esigenzedell’attività alpicolturale, le bellissime costruzioniin legno e in pietra, possono tornare ad essereabitate e “adottate” da chi è originario delle valli oda quei “turisti” che per una certa parte dell’annovivono in città, ma tornano costantemente efrequentemente ogni anno nella stessa valle e sonoparte <strong>di</strong> una “comunità allargata”.Turista e <strong>con</strong>sumatore sono categorie cui il<strong>con</strong>sumismo assegna un ruolo rigido, ma chepossono svolgere un ruolo più attivo che nonquello legato al solo spendere e <strong>con</strong>sumare, magaridando una mano a tenere puliti i pascoli, asistemare i sentieri e - perché no? - le stessecostruzioni d’alpeggio in cambio della<strong>di</strong>sponibilità degli alloggi risistemati. Nuove forme<strong>di</strong> associazionismo sono oggi necessarie per lamontagna: associazioni fon<strong>di</strong>arie per superare laframmentazione e (ri)gestire collettivamente beniche la gestione privata non riesce più a custo<strong>di</strong>re etrasmettere alle generazioni future, associazioni trapastori e <strong>con</strong>sumatori (ancora “adozioni”, maanche soccide etiche”, acquisti anticipati e/ocollettivi ecc.).C’è finalmente una rottura <strong>di</strong> schemi da troppotempo fossilizzati; va bene (entro certi limiti, siintende) l’industria alimentare, ma la tecnologia<strong>con</strong>sente anche <strong>di</strong> “tornare in<strong>di</strong>etro”, <strong>di</strong> rifornirsidel latte crudo dell’ultima munta, igienicamentesicuro, presso l’allevatore del villaggio <strong>con</strong> unasemplice <strong>di</strong>stributrice automatica, come quellerecentemente installate a Varallo e ad Alagna, cherisparmia trasporti e <strong>con</strong>fezioni a perdere dasmaltire e incenerire. E anche per la vacanza el’acquisto <strong>di</strong> formaggi e altri prodotti perché non“vivere l’alpeggio” e fare turismo, cultura, vitaall’aria aperta, alimentazione genuina tutto in uncolpo solo?Coproduttori ma anche coabitanti, la montagnaoggi ha bisogno <strong>di</strong> nuove figure e nuove istituzioniine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> cooperazione <strong>di</strong> nuovo comunitarismo.L’istituzione dell’alpeggio <strong>con</strong>sortile rappresentaun esempio da reinterpretare.Fig. 8 – La fienagione (da VALLINO, 1878)37


LA PRODUZIONE ALIMENTARE


L’ALIMENTAZIONE A RIMELLA, UNA COMUNITÀ DELL’ALTA VALSESIAMario RemognaNon ritengo <strong>di</strong> poter trattare <strong>di</strong> alimentazionerimellese in senso lato, ampliando il <strong>di</strong>scorso alleepoche storiche più antiche, per due motivi:anzitutto perché in altri scritti, relatori qualificati<strong>di</strong>mostrano <strong>di</strong> aver già fatto ricerche in merito e poiperché le mie notizie provengono tutte edesclusivamente dalla voce viva e sincera <strong>di</strong> anzianiall’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo,selezionati per <strong>di</strong>sponibilità e acume.Quasi tutti sono ora scomparsi, facendo ‘si che laloro testimonianza, dopo soli tre lustri, abbia già unvalore documentario significativo e insostituibile.E’ indubbio che la maggior parte delle usanzerimellesi è ris<strong>con</strong>trabile anche in aree affini o<strong>con</strong>finanti, pur <strong>con</strong> varianti che ho verificatoad<strong>di</strong>rittura all’interno della comunità in questione,essendo questa composta <strong>di</strong> agglomerati mai intutto sovrapponibili.Le possibilità alimentari che ho raccolto sonocomplessivamente scarse, in rac<strong>con</strong>ti cheapprossimativamente coprono gli ultimi cento anni.Manca ad esempio qualsiasi citazione <strong>di</strong> segale,avena, miglio, orzo, panìco e sorgo. Fra i leguminessuno ha più memoria <strong>di</strong> arbeglia (lenticchiaselvatica), cece, fava, cicerchia. Eppure si tratta <strong>di</strong>cereali e legumi <strong>di</strong> documentata <strong>di</strong>ffusione nell’areaalpina.Due sono i prodotti della terra basilari per questopopolo walser: la farina <strong>di</strong> mais <strong>di</strong> possibileimportazione dal Seicento, per il basso costo, lafacile preparazione e l’abbinamento a qualsiasi ciboe la patata <strong>di</strong> relativamente semplice coltivazione,dall’Ottocento. Questi sono infatti gli alimenti cheho trovato citati e utilizzati dagli ultimi abitatorio<strong>di</strong>erni e <strong>di</strong> cui loro sapevano rac<strong>con</strong>tare, per laloro quoti<strong>di</strong>anità.Lo sfaldamento <strong>di</strong> questo regime alimentare giàvariato nei secoli ma pur costantemente alpino e<strong>con</strong>seguente alle peculiari caratteristichesocioe<strong>con</strong>omiche, è avvenuto irreversibilmente ametà Novecento. In quel periodo è anche cessata lapanificazione <strong>con</strong> la chiusura dell’ultimo forno <strong>di</strong>Grondo.Ma la gente mia amica, oltre a <strong>di</strong>rmi della polentaarrivata dopo la scoperta dell’America e dellapatata introdotta a inizio Ottocento anche per il<strong>con</strong>vinto patrocinio del notaio Michele Cusa, mi haparlato a volte <strong>con</strong> minuzia, del proprio orto.Nelle vecchie fotografie dei prati degradanti daVilla Superiore a Grondo, non ci si finisce <strong>di</strong>stupire <strong>di</strong> un’attenta sud<strong>di</strong>visione del territorio incui la pendenza viene addolcita in piccoliappezzamenti che nelle immagini hanno <strong>di</strong>fferentitonalità <strong>di</strong> grigio, sorretti da muri a secco in pietra,dovuti alla maestria dei famosi muratori rimellesi.Quel paesaggio così <strong>di</strong>ligentemente antropizzato,segnala l’utilizzo intensivo <strong>di</strong> tratti <strong>di</strong> territoriosoleggiato, in cui gli orti domestici, il più possibilea<strong>di</strong>acenti alle abitazioni, producevano (orapurtroppo non più) gli ortaggi possibili: rapa,cavolo, cipolla, aglio, carota, spinacio, zucca,scarsa insalata, purché la voracità <strong>di</strong> capre sfuggiteal <strong>con</strong>trollo, non ne facesse strage.Fig. 9 – Davanti all’ortoLe piante da frutto che solitamente scan<strong>di</strong>s<strong>con</strong>o glispazi degli orti <strong>di</strong> pianura, qui mancano o sonoricordate come una rarità ininfluente per la loroinproduttività.La pastorizia ha un ruolo fondamentale nellamodesta e<strong>con</strong>omia rimellese e tuttavia i prodottialimentari ottenuti finis<strong>con</strong>o per essere a volte <strong>di</strong>utilizzo marginale in loco. E questo non tanto per lascarsità <strong>di</strong> produzione, quanto perchè il meglio, ciòche è più nutriente e commercializzabile,rappresenta una primaria e irrinunciabile fonte <strong>di</strong>sostentamento famigliare tramite la ven<strong>di</strong>ta e gliscambi <strong>con</strong> il mercato e i negozi <strong>di</strong> Varallo: luogoprimario <strong>di</strong> riferimento. Ne <strong>con</strong>segue che il latteintero utilizzato per il formaggio e il burro ottenutida un’impietosa scrematura, si riduca spesso ad un41


utilizzo saltuario e occasionale per persone inparticolare necessità (partorienti, bambini e malati)o per opportunità sociali (matrimoni, battesimi,veglie funebri) o per cadenze religiose che ritmanol’esistenza della comunità (Natale, festa patronale).Non manca mai l’attribuzione al cibo cosìselezionato, <strong>di</strong> un significato anche sacro:benevolenza verso il prossimo e gratitu<strong>di</strong>ne al cielo,in uno spirito <strong>di</strong> vita comunitaria che si richiamaall’insegnamento evangelico.E’ fatale che per l’uso quoti<strong>di</strong>ano non resti granchè:anumelich che è il siero ottenuto per separazionedurante la produzione del burro, acidulo,equivalente ad uno yogurt magro, kukkrà colostro<strong>di</strong> mucca dalle prime quattro mungiture dopo ilparto, ricotta come residuo finale dell’utilizzazionedel latte, formaggini <strong>di</strong> capra.Si salvano alcune poche ricette tra<strong>di</strong>zionali 39(màgru, malbunfànnu, niokkà, tuttra, zigru) in cui è<strong>con</strong>cessa al latte una presenza più significativa esostanziale.Se <strong>con</strong>tenuto è il <strong>con</strong>sumo del latte e dei suoiderivati, decisamente penalizzato è quello dellacarne. Dell’attività venatoria si può <strong>di</strong>re che èlimitata a camoscio e marmotta in brevi stagioni eper pochi cacciatori.L’animale da stalla morto invece accidentalmenteviene sempre <strong>con</strong>sumato in loco: ceduto sottocostoo regalato <strong>con</strong> la richiesta <strong>di</strong> suffragio per i defunti.Questa dei morti è una presenza costante inmoltissime manifestazioni del quoti<strong>di</strong>ano e unriferimento sentito che, esorcizzandone lascomparsa, accomuna i trapassati alla vita cheprosegue e che avevano <strong>con</strong><strong>di</strong>viso.Alla ven<strong>di</strong>ta esternamente alla comunità sonodestinati gli animali sani (bovini – caprini – ovini),mentre il pollame viene <strong>con</strong>sumato, coriaceo, altermine della produzione <strong>di</strong> uova. I suini spessoallevati all’alpeggio e trasferiti <strong>con</strong> mille attenzioni,subis<strong>con</strong>o l’annuale sacrificio.C’è un solo pezzo <strong>di</strong> carne bovina, dall’anca o daldorso (làffu) che non va mai regalata a chi possiedebestie perché potrebbero ammalarsi e morirne.Ecco un’alimentazione - tipo quoti<strong>di</strong>ana per chisvolge una comune attività lavorativa: màgru almattino (la classica polentina <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> mais inacqua o acqua e latte ed eventuali burro o vino,associabile a patate), a pranzo polenta e lattescremato e/o formaggio, alla sera minestra <strong>di</strong>verdura. Ogni altra aggiunta è scarsamenteinfluente per la sua eccezionalità. Un simile apportoalimentare calorico non va oltre le 1500 – 180039 Per una trattazione più <strong>di</strong>ffusa si rimanda a REMOGNA(1993, 1994).calorie/<strong>di</strong>e e questa sarebbe la necessità <strong>di</strong> unaddetto a lavori sedentari, leggeri.Per un rimellese addetto a lavori agropastorali, oe<strong>di</strong>li (i più tipici <strong>di</strong> questa comunità), dovremmosalire a 2500 – 2800 calorie/<strong>di</strong>e, quota solitamenteirraggiungibile.Fra le componenti alimentari, le più penalizzatesono le proteine animali, per quanto <strong>di</strong>cevo aproposito delle carni, del latte e dei suoi derivati. Lacompensazione che potrebbe <strong>con</strong>seguireall’introduzione <strong>di</strong> legumi risulta in definitivainadeguata (valore ormai solo documentario estorico hanno infatti arbeglia, cece, fava, fagiolodolichos melanophtalmos d’epoca romana, nonl’attuale).Più appropriata la quota dei carboidrati perl’utilizzo prioritario della farina <strong>di</strong> mais.La terza componente alimentare, quella lipi<strong>di</strong>ca nonpoteva che essere animale essendo i grassi vegetaliimpensabili, fatta eccezione per l’olio <strong>di</strong> noci,acquisito al più nei paesi limitrofi della ValleMastallone, e non si <strong>di</strong>sdegnava un tempo il grasso<strong>di</strong> pecora e <strong>di</strong> capra <strong>con</strong>servati fusi in recipienti <strong>di</strong>vetro (schmàlts) ma da tempo negletti e in totale<strong>di</strong>suso. L’utilizzo del burro che sarebbe stata unaprimaria fonte calorica, ha sempre subito lelimitazioni <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>cevo.L’apporto vitaminico era <strong>con</strong><strong>di</strong>zionato dalla cotturadegli alimenti e quin<strong>di</strong> riferibile al solo uso degliortaggi, mancando del tutto la produzionefrutticola. Un sostituto valido della vitamina Dantirachitica, avrebbe potuto essere l’elioterapia deibrevi mesi estivi, se il popolo non avesse sempreavuto l’usanza <strong>di</strong> coprirsi molto, sottraendo quin<strong>di</strong>importanti spazi cutanei all’azione beneficacalciofissatrice sulle ossa dei raggi solari.Di alimenti “voluttuari” non si parlerà certamentein un clima <strong>di</strong> tanta austerità, se si pensa che ilcaffè, oltre che dall’orzo, poteva derivarsi dallera<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> cicoria essiccate, tostate e macinatefinemente.Da tutto ciò la certezza <strong>di</strong> trovarsi <strong>di</strong> fronte ad unasituazione <strong>di</strong> sotto-alimentazione squilibrata quantoa componenti e ipocalorica nella sua globalità,fonte <strong>di</strong> possibili <strong>di</strong>sturbi carenziali, <strong>con</strong> innegabili<strong>con</strong>seguenze negative sulla mortalità infantile, sulladurata della vita me<strong>di</strong>a e sullo stato <strong>di</strong> salute dellagente, poco e male <strong>cura</strong>ta, la cui iponutrizione,l’esposizione a un clima rigido in ambientidomestici precari e l’assogettarsi a lavori gravosi,rendevano preda <strong>di</strong> patologie ingravescenti ancheseriamente invalidanti.Una magra <strong>con</strong>solazione può venire dalla si<strong>cura</strong>assenza <strong>di</strong> obesità <strong>con</strong> associati <strong>di</strong>abete eipertensione anche per l’intensa attività motoria(salvo eventuali endocrinopatie non ri<strong>con</strong>oscibili),42


come dalla assenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbi car<strong>di</strong>o-circolatori da<strong>di</strong>slipidemie, mancando sedentarietà, stress da<strong>con</strong>sumismo e affanno esistenziale eiperalimentazione raffinata.A <strong>con</strong>ferma scrive il LIZZOLI (1802): “Il suolo ègeneralmente poco fruttifero… le malattie dell’altonovarese e della Valsesia… quasi tutte debbonocredersi nate da mancanza <strong>di</strong> buona nutrizione,perché la maggior parte cedono al solo miglioraredel metodo <strong>di</strong> vita… una debolezza ere<strong>di</strong>taria e lamancanza <strong>di</strong> nutrimento produ<strong>con</strong>o i gozzi e lescrofole”.Che poi il problema alimentare avesse un ris<strong>con</strong>troanche estetico ce lo <strong>di</strong>ce il TONETTI: “Il magrovitto… rende le loro sembianze irregolari e le lorofacce <strong>di</strong>magrate. Le donne che da giovani hannovisi gentili, sono robuste e belle, ma perdono prestoquesta loro bellezza, ed invecchiano innanzitempofra gli strapazzi <strong>di</strong> una vita durissima”.Trattare dell’alimentazione a Rimella in definitiva èragionare su una grande capacità <strong>di</strong> adattamento esu un’utilizzazione accorta e parsimoniosa <strong>di</strong>risorse d’alta montagna scarse e insufficienti alsostentamento umano, per qualità e quantità.Un <strong>con</strong>testo <strong>di</strong> austerità e <strong>di</strong> povertà accompagnaquello che è sod<strong>di</strong>sfacimento <strong>di</strong> bisogni vitali maanche gratificazione per un lavoro compiuto,partecipazione alla vita <strong>di</strong> famiglia, riaffermazione<strong>di</strong> affetti e <strong>di</strong> intesa domestica, in una visionereligiosa dell’esistenza umana in cui il rapportarsicol soprannaturale appare <strong>con</strong>solatorio e<strong>di</strong>spensatore <strong>di</strong> giustizia e pace.Credenze e superstizioni non raramente dannose albenessere fisico costituis<strong>con</strong>o una ritualità cheassieme al sentimento religioso è andata sbiadendoal <strong>con</strong>frontarsi <strong>con</strong> l’avanzamento della civiltàesterna, <strong>di</strong>struttiva <strong>di</strong> un mondo sempre piùmarginalizzato.Fig. 10 – In cucina (da VALLINO, 1878)43


ATTESTAZIONI TARDOMEDIEVALI DELLA PRODUZIONE CASEARIA VALSESIANA<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong>LE FONTIIl canone annuo stabilito per l’affitto degli alpeggivalsesiani in età tardomedeivale era generalmentecostituito da una quota in denaro e da una innatura, generalmente basata su uno o più prodottiprovenienti dall’attività esercitata sui beni affittati.La prima citazione <strong>di</strong> canoni in natura per laValsesia è costituita dall’atto del 1196 <strong>con</strong> cuil'abbazia <strong>di</strong> San Nazzaro <strong>di</strong> Biandrate, investìalcuni uomini della comunità <strong>di</strong> Roccapietradell’alpe Olen per il fitto annuo <strong>di</strong> 50 sol<strong>di</strong>imperiali e del latte munto nella festa <strong>di</strong> S. Quirico(FERRARIS, 1984, p. 330; RIZZI, 2004, p. 106) 40 .In un altro <strong>con</strong>tratto d’affitto dello stesso periodo(1208) la stessa abbazia affittò, per due anni, lesue parti dell'alpe Meggiana e l’alpe Sorbella peril canone annuo <strong>di</strong> 5 lire imperiali, 36 formaggi e4 “sarassi” (FERRARIS, 1984, p. 329) 41 .Il <strong>con</strong>tratto del 31 agosto 1272 <strong>con</strong> cui l’abate delmonastero <strong>di</strong> S. Graciniano d’Arona <strong>con</strong>cedevaper due anni e mezzo a Reynero de Vrina l’alpeCampello prevedeva un canone annuo <strong>di</strong> 15 lire e2 serazzi <strong>di</strong> formaggio e la mungitura del latte delgiorno (RIZZI, 2004, p. 147) 42 .40 In un compromesso del 1441 tra i <strong>con</strong>cessionariMartinolio fu Giovanni Zenda della Rocca e Giovannifu Pietro Grampa <strong>di</strong> Campertogno da una parte e i<strong>con</strong>sorti <strong>di</strong> Alagna dall’altra viene ancora menzionatol’obbligo <strong>di</strong> versare all’abbazia il latte della festa <strong>di</strong> S.Quirico (FERRARIS, 1984, p. 330). Il canone annuo<strong>con</strong>tinuò successivamente ad essere <strong>con</strong>fermato nellamungitura delle vacche nel giorno <strong>di</strong> S. Quirico e solonel Cinquecento fu <strong>con</strong>vertito in 6 lire imperiali e 20libbre <strong>di</strong> “burro cotto bello ed idoneo” come canoneannuo immutabile (FERRARIS, 1984, p. 116).41 In un documento rogato a Doccio nel <strong>di</strong>cembre 1202,che l’abate <strong>di</strong> S. Nazzaro aveva ricevuto da Lanfrancoquinque caseos (DEBIAGGI, 2004, p. 24), probabilmentecome affitto <strong>di</strong> un’alpe.42 Nel 1292 il <strong>con</strong>tratto era costituito da 20 libbre <strong>di</strong>formaggio (RIZZI, 2004, p. 147); nel 1297 da 7 lire e 60libbre <strong>di</strong> formaggio e saracco (RIZZI, 2004, p. 147).Nel 1326 gli alpeggi furono <strong>con</strong>cessi per nove anni aOdorico <strong>di</strong> Crusinallo, figlio <strong>di</strong> Ajmerico, per l’affitto<strong>di</strong> tre fiorini d’oro e un “mascarpino” <strong>di</strong> otto libbre(RIZZI, 2004, p. 147). I <strong>con</strong>tratti del 1338 e del 1432per l’affitto delle alpi Capezzone, Pennino eNel 1285 Guido e Ottone, figli del <strong>con</strong>te Ruffino,<strong>con</strong>cessero l’alpe Bors a Pietro notaio de Dulzo(Doccio), Giacomo Lixia della Rocca e MilanoVasola <strong>di</strong> Sillavengo per l’affitto <strong>di</strong> tre lireimperiali e quator seracios et decem caseos alpebonos et suficientes da versarsi nella festa <strong>di</strong> S.Maria <strong>di</strong> settembre (RIZZI, 1983, d. 4; RIZZI, 2006,p. 49).Il <strong>con</strong>tratto d’affitto <strong>con</strong> cui Tommaso <strong>di</strong> Boca<strong>con</strong>cesse nel 1337 l’alpe Camino a <strong>con</strong>sorti dellaPeccia prevedeva un canone in natura <strong>di</strong> “libras 10boni casei ad libram grossam de vigintiocto unciispro libra”, che dovevano essere <strong>con</strong>dotti nellafesta <strong>di</strong> S. Maria “in Bugella” (RIZZI, 1983, d. 17;RIZZI, 1991, d. 75).L’affitto stabilito dalla mensa vescovile <strong>di</strong> Novaranei primi decenni del Quattrocento per i suoialpeggi in alta Valsesia era costituito da casei alpi(1413; FANTONI e FANTONI, 1995, d. 6) 43 .In un atto del 1417 relativo ad un altro alpeggionel territorio <strong>di</strong> Rima viene citato un canoneannuo <strong>di</strong> libras sedecim butiri et libras sedecimcaseri grassi (FANTONI e FANTONI, 1995, d. 8)Nel <strong>con</strong>tratto d’affitto delle alpi Cascivere e Gattèdel 1421 era stabilito il versamento <strong>di</strong> “formaggiobuono e salato” e “burro bollito” nel giorno <strong>di</strong> S.Martino (<strong>con</strong> caducità dell’investitura otto giornidopo) (FANTONI e FANTONI, 1995, d. 17).In due <strong>con</strong>tratti <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse quote dell’alpe Stellanel 1450 compaiono rispettivamente 6 e 2 libbre<strong>di</strong> casei pulcri sucti et salati et bene saxonati(sASVa, FCa, b. 15, dd. 92-94).Nell’atto del 1462 <strong>con</strong> cui Alberto Scarogniniinvestì Milano Peracino dell’alpe <strong>di</strong> Carcoforocompaiono “formaggio secco salato” e “buttirocotto” (FANTONI e FANTONI, 1995, d. 33) 44 .Penninetto in alta Val Strona stabilivano ancora ilversamento <strong>di</strong> 12 libbre <strong>di</strong> mascarpino (VASINA,2004b, p. 82; RIZZI, 2004, p. 148; 2005, p. 30).43 24 libbre per l’alpe <strong>di</strong> Rima, 16 per l’alpe Alzarella,30 per l’alpe Auria e 24 per l’alpe <strong>Ragozzi</strong>.Nel 1413 il pro<strong>cura</strong>tore del vescovo <strong>con</strong>cesse per ottoanni l’alpe Auria <strong>con</strong> il canone annuo <strong>di</strong> 30 lireimperieli e 30 formaggi buoni dell’alpe (RIZZI, 1983, d.34; RIZZI, 1991, d.63; RIZZI, 2004, p. 116).44 Il canone annuo della stessa alpe compare nel 1513anche tra i beni citati nel testamento <strong>di</strong> MilanoScarognini (d. 55).44


50 libbre <strong>di</strong> formaggio buono, salato e benstagionato costituivano il canone in natura <strong>di</strong> un<strong>con</strong>tratto del 1514 dell’alpe Dorca, <strong>con</strong>cessa daMilano Scarognini ai <strong>con</strong>sorti della stessafrazione (FANTONI e FANTONI, 1995, d. 54)Per tutto il Cinquecento <strong>con</strong>tinua ad essereattestato il versamento ai <strong>con</strong>cessionari <strong>di</strong> canoniin natura costituiti da formaggio e burro cotto daparte degli affittuari (FANTONI e FANTONI, 1995,dd. 99-102, 104).Tutti i <strong>con</strong>tratti prevedevano quote in denaro equote in natura, costituite da latte, burro eformaggi. Per questi ultimi i <strong>con</strong>tratti eranogeneralmente basati sul peso complessivo delprodotto piuttosto che sul numero <strong>di</strong> forme.Talvolta la quantità <strong>di</strong> burro era uguale a quella <strong>di</strong>formaggio ed entrambe coincidevano <strong>con</strong> la cifradel canone in denaro (16 lire imperiali, 16 libbre<strong>di</strong> burro e 16 libbre <strong>di</strong> formaggio grasso benstagionato e salato per l’alpe <strong>di</strong> Rima nel 1421,FANTONI e FANTONI, 1995, d. 16). Altre volte ledue quantità erano <strong>di</strong>fferenti (100 libbre <strong>di</strong>formaggio buono e salato e 45 libbre <strong>di</strong> burrobollito per l’alpe Cascivere nel 1421, FANTONI eFANTONI, 1995, d. 17; 25 libbre <strong>di</strong> formaggiosecco salato e 12 libbre <strong>di</strong> burro cotto per l’alpe <strong>di</strong>Carcoforo nel 1462 e nel 1471; FANTONI EFANTONI, 1995, dd. 33, 36).L’affitto veniva generalmente pagato l'11novembre, San Martino, festa del passaggio dallabuona stagione all'inverno; le uniche spora<strong>di</strong>cheeccezioni sono costituite da <strong>con</strong>tratti <strong>di</strong> affitto cheprevedevano il pagamento il giorno della festadella Natività <strong>di</strong> Maria nel mese <strong>di</strong> settembre.L’affitto era da pagarsi, a rischio e pericolo degliaffittuari, a casa dei riscossori, e, pena ildeca<strong>di</strong>mento del <strong>con</strong>tratto, entro 8 o 15 giorni,entro un mese o entro Natale. Dopo tale data ilproprietario (od il <strong>con</strong>cessionario) del bene potevarevocare il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sfruttamento.LA PRODUZIONE CASEARIANei <strong>con</strong>tratti esiste una sostanziale <strong>con</strong>tinuità tra icanoni in natura antecedenti alla fase <strong>di</strong>colonizzazione (versati ai proprietari dei beni dai<strong>con</strong>cessionari provenienti dalla bassa valle) equelli successivi (versati dai <strong>con</strong>cessionari locali odagli allevatori locali).In quest’ultima fase il patrimonio zootecnico delleaziende agrarie locali che ottenevano il fondo eversavano il canone in natura era costituitoprevalentemente da bovini (FANTONI, questovolume, p. 15-20) 45 . Il latte impiegato nella45In Valsesia, nel Cinquecento, il patrimoniozootecnico delle aziende agricole monofamigliari eraproduzione casearia doveva essere quin<strong>di</strong>prevalentemente, se non esclusivamente, vaccino.Bovino era del resto il latte utilizzato in quasi tuttele produzioni alpine citate da Pantaleone daCofienza, in un trattato sui latticini del 1477 46 .La produzione massima giornaliera <strong>di</strong> lattecalcolata per il Cinquecento, dopo unmiglioramento genetico delle razze bovine e unincremento della produzione forraggera, nonraggiungeva i 4 litri/capo e la resa del lattevaccino al massimo oscillava tra l’8 e il 10%(NASO, 1996, p. 134) 47 .Gli autori me<strong>di</strong>evali avevano già correttamentecompreso che la costituzione del latte eracorrelata alla specie animale ma anche a fattoriclimatici e all’importanza del pascolo edell’alimentazione. Lo stesso Pantaleone de<strong>di</strong>cadue capitoli della sua opera alla <strong>di</strong>versità del latte“rispetto agli animali della stessa specie, ma<strong>di</strong>versi per colore del pelo 48 (capitolo V, ed. 2001,pp. 53-54) e “rispetto al clima, ai luoghi e alnutrimento” (capitolo IV, ed. 2001, pp. 50-52). Inquesto capitolo annota che “in luoghi montuosi,dove l’aria è leggera, ve<strong>di</strong>amo che nas<strong>con</strong>o erbecostituito da 4-5 vacche da latte, un paio <strong>di</strong> manzole epochi caprini e ovini (FANTONI, questo volume, pp.15-20), in accordo <strong>con</strong> la <strong>di</strong>ffusione generalizzatadell’allevamento bovino registrata in tutte le vallatealpine a partire dal Quattrocento (NASO, 1996, p. 133).46 La Summa lacticiniorum, stampata a Torino nel1477, è un trattato quattrocentesco <strong>di</strong> alto profiloscientifico che costituisce un’autentica enciclope<strong>di</strong>a deiformaggi dell’Europa tardo-me<strong>di</strong>evale che <strong>con</strong>tiene unaricchezza <strong>di</strong> informazioni sulle tecniche <strong>di</strong> produzionecasearia, sul commercio del formaggio e sulletra<strong>di</strong>zioni alimentari e sulle scelte <strong>di</strong>etetiche delle<strong>di</strong>verse popolazioni (NASO, 1980; NADA PATRONE,1996, p. 104, nota 32, p. 119). Costituisce la fonte piùcompleta ed atten<strong>di</strong>bile sull’argomento (NASO, 1996, p.126).Sulla figura del me<strong>di</strong>co vercellese Pantaleone daConfienza si rimanda a NASO (1999b, 2000, 2001) eNADA PATRONE (2001).47 Questi valori rimasero costanti sino al Settecento,quando ogni mucca produceva appena 4-5 kg <strong>di</strong> latteal giorno. Sino a tutto il Quattrocento inoltre laproduzione <strong>di</strong> latte era strettamente stagionale e<strong>con</strong>centrata tra primavera ed estate e solo dalCinquecento <strong>di</strong>venne più costante nel corso dell’anno(NASO, 1996, nota 51, p. 145, p. 134).48 Il colore del pelo dei capi era frequentemente citatonegli atti <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta. In una permuta del 1498 a Fobellocompare una vacca pili clari (TONETTI, 1885-1891, s.IV, n. 9, p. 143). In un acquisto del 1566 a Piaggiognadue vacche unius pili albi et aliquis pili nigri per scutosundecim italie et testonum unum argenti (sASVa, FNV,b. 10439). In un documento s.d. <strong>di</strong> Rima è citata unavacca rossa del valore <strong>di</strong> 60 lire (ASPRm, b. 134).45


odorose, e che così i formaggi ries<strong>con</strong>o migliori(ed. 2001, p. 51).Il latteSolo il <strong>con</strong>tratto d'affitto dell'alpe Olen ha previstoper un lungo periodo un canone in latte, muntonella festa <strong>di</strong> S. Quirico 49 (FERRARIS, 1984, p.330). La prima documentazione per quest’alperisale al 1196, quando l’abbazia <strong>di</strong> S. Nazzaroinvestì alcuni <strong>con</strong>cessionari della bassa valle. Lastessa forma era ancora valida nel 1441, quandofurono i titolari <strong>di</strong> aziende agricole alagnesi aversare il canone. Solo nel Cinquecento il<strong>con</strong>tratto fu mo<strong>di</strong>ficato, <strong>con</strong> la sostituzione dellatte in burro cotto.La produzione casearia: caseus et seraciumTra i canoni in natura compaiono quasi semprecasei e seracia, ossia formaggi e ricotte. La<strong>di</strong>stinzione tra questi due prodotti compare anchenel trattato <strong>di</strong> Pantaleone da Confienza del 1477.Formaggi e seracchi (preparati solo <strong>con</strong> siero o<strong>con</strong> l’aggiunta <strong>di</strong> latte fresco), freschi ostagionati, si trovano menzionati nei red<strong>di</strong>ti <strong>di</strong>molte proprietà signorili, laiche ed ecclesiastiche(NADA PATRONE, 1996, p. 101). Casei et seraciaerano citati nel Trecento e Quattrocento anche neiren<strong>di</strong><strong>con</strong>ti delle castellanie sabaude (NASO,1999b, p. 103; NADA PATRONE, 1996, nota 14, p.118).Potevano venir in<strong>di</strong>cati come novi (novelli),oppure veteri, se non putrefacti (caratteristica chestando a Pantaleone non era necessariamentenegativa). Spesso venivano acquistati in grandequantità durante le fiere e solo in minima parteerano provenienti dagli allevamenti bovinisignorili (NASO, 1999, p. 103).Casei et seracia sono infine raffigurati negliaffreschi del 1480 del castello <strong>di</strong> Issogne 50 . Nellelunette sotto le volte del portico d’ingresso sonopresenti scene raffiguranti le botteghe del sarto,del fornaio, dello speziale, del pizzicagnolo; lafarmacia, la macelleria, il corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a e ilmercato <strong>di</strong> frutta e verdura).Nella bottega dei prodotti alimentari siri<strong>con</strong>os<strong>con</strong>o chiaramente <strong>di</strong>versi prodotti caseari(fig. 11). A sinistra sono osservabili due seracchitagliati aventi pasta bianca e forma aparallelepipedo <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni 51 . A destrasi ri<strong>con</strong>os<strong>con</strong>o tre forme intere <strong>di</strong> un formaggioidentico all’attuale fontina e, sopra a queste, unaforma iniziata <strong>di</strong> toma 52 .Fig. 11 - Bottega <strong>di</strong> prodotti alimentari, 1480,Castello <strong>di</strong> IssogneCaseusNella maggior parte dei <strong>con</strong>tratti compare, comeprincipale canone in natura, il formaggio (caseus);la produzione <strong>con</strong>segnata al proprietario dell’alpeera quasi sempre costituita da forme d’alpeggio(casei alpis). Nei <strong>con</strong>tratti frequentemente siesplicitava che il formaggio doveva essere buono(casei boni), oppure bello (casei pulcri), masoprattutto si riba<strong>di</strong>va che doveva essere benstagionato (casei bene sesonati, caxei salati etbene saxonati).Poiché la riscossione degli affitti avvenivageneralmente l’11 novembre, san Martino, festadel passaggio dalla buona stagione all'inverno acasa dei riscossori, i prodotti dovevano essereopportunamente <strong>con</strong>servati.Il prelievo <strong>di</strong> panna destinata al burro dovevaessere quantitativamente ridotto, permettendo unaproduzione casearia a latte intero o soloparzialmente scremato che, se<strong>con</strong>do il gustodell’epoca, riba<strong>di</strong>to dallo stesso Pantaleone,pre<strong>di</strong>ligeva il <strong>con</strong>sumo <strong>di</strong> formaggi grassi.Nel rinnovo dei <strong>con</strong>tratti delle alpi del vescovoseguente allo scioglimento della <strong>con</strong>duzionesolidale da parte <strong>di</strong> un <strong>con</strong>sorzio <strong>di</strong> alcuni<strong>con</strong>cessionari, l’affitto <strong>di</strong> ogni alpeggio,in<strong>di</strong>pendentemente dal canone in denaro, cherisulta ovviamente variabile, era costante e pari a49 La festa <strong>di</strong> S. Quirico, invocato come propiziatoredella produzione del latte, cade il 16 giugno, all'iniziodel periodo <strong>di</strong> alpeggio.50 Un graffito presente nella lunetta del corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>ain<strong>di</strong>ca il nome dell’autore, il magister Collinus.51Una sezione simile (17x17 cm), ma un’altezzanotevolmente più limitata (24 cm) presentano alcuneforme documentate in collezioni private provenienti daGressoney (cfr. ad es. PRIULI, 2004, p. 194).52 Distinzione che rimase in val d’Aosta, dove si sonosempre identificabili montagnes a gruyere (poi anchea fontina e abondance) e montagnes a tomme (JANIN,1976; ALLOVIO, 2001; AIME, 2002).46


12 libbre <strong>di</strong> formaggio (1425, FANTONI eFANTONI, 1995, d. 20).acidula <strong>di</strong> latte, fatta riposare un paio <strong>di</strong> giorni, sirimescola il tutto <strong>con</strong> acqua <strong>di</strong> latte appenaprodotta e si mette la marmitta sul fuoco finchenon comincia a gorgogliare e a bollire. Cosìalcune parti si soli<strong>di</strong>ficano e galleggiano insuperficie. Si raccoglie questo prodotto dettosiero e lo si introduce in uno stampo della formasopradescritta. Qui dentro le parti acquose siisolano dalle altre, come succede nel formaggio, esiccome talvolta non è <strong>di</strong>sponibile abbastanzamateriale per riempire lo stampo, ci voglion due otre giorni per impastare e portare a compimentoun seracco” (ed. 2001. pp. 81-82).Fig. 12 – Forma <strong>di</strong> tomaNel capitolo IX della se<strong>con</strong>da sezione, destinatoai “vari mo<strong>di</strong> per <strong>con</strong>fezionare i formaggi”,Pantaleone scriveva che “altri [formaggi] sonoroton<strong>di</strong> e <strong>di</strong> grande spessore come quelli chevengono <strong>con</strong>fezionati sui monti presso Novara”(ed. 2001, p. 59), ossia nelle valli dell’Ossola edel Sesia.SeraciumNei <strong>con</strong>tratti compaiono anche quantitativi <strong>di</strong>seracium e <strong>di</strong> mascarpa 53 , voci che identificanola ricotta <strong>con</strong>fezionata <strong>con</strong> il siero rimasto dopo lafattura del formaggio <strong>con</strong> aggiunte <strong>di</strong> latte intero(NADA PATRONE, 1981, pp. 351, 364-35).Pantaleone nel 1477 citava per la val d’Aosta i“seracchi” <strong>di</strong>cendo che “sono <strong>di</strong> grosse<strong>di</strong>mensioni, <strong>di</strong> forma esattamente quadrangolare,alti quasi due cubiti 54 , e si <strong>con</strong>servano nelle<strong>con</strong><strong>di</strong>zioni ideali per un anno e alcuni per due”.Pantaleone fornisce anche le modalità <strong>di</strong>produzione dei seracchi: “si estrae il formaggio,si aggiunge nuovamente una certa quantità <strong>di</strong>latte insieme a una determinata porzione <strong>di</strong> acqua53 La voce seracium, <strong>di</strong>ffusa in ambito piemontese,viene sostituita in area lombarda dalla voce <strong>di</strong>alettalemascarpa, mascarpino (NADA PATRONE, 1996, p. 106).Il termine è ancora ampiamente <strong>di</strong>ffuso in Ossola, ovecompare nel Trecento come censo in natura (NADAPATRONE, 1996, nota 51, p. 119). Lo stesso Pantaleonescriveva che la ricotta “presso gli Italici è dettamascarpone” (p. 82). In Valsesia erano presentienrambe le voci.54 Circa 90 cm. Dimensioni simili hanno le formeriprodotte nello stesso periodo negli affreschi decastello <strong>di</strong> Issogne (fig. 11) ed alcuni stampi ancorapresenti in val d’Aosta (fig. 13).Fig. 13 – Forma per la ricotta proveniente dallaval d’Aosta, <strong>con</strong> <strong>di</strong>mensioni equivalenti a quelledei seracia raffigurati negli affreschi del castello<strong>di</strong> Issogne, coincidenti <strong>con</strong> la descrizionesincrona fornita da Pantaleone da Confienza.Pantaleone sottolineava la <strong>di</strong>fferenza <strong>con</strong> laricotta prodotta ”in Italia e nelle zone prealpine”,ove si utilizzava il siero senza l’aggiunta <strong>di</strong> latte,“motivo per cui questi prodotti non sono nealtrettanto gran<strong>di</strong>, ne altrettanto saporiti” (p. 82).Mascarpa e seracium potevano essere <strong>con</strong>sumatifreschi ma anche stagionati, quando avevanoacquistato un gusto simile a quello del formaggio(NADA PATRONE, 1996, pp. 106-107).I me<strong>di</strong>ci tardome<strong>di</strong>evali s<strong>con</strong>sigliavano il<strong>con</strong>sumo abituale <strong>di</strong> ricotta, in quanto “è peggiore<strong>di</strong> ogni sorta <strong>di</strong> latticino” ed è adatta unicamentea “quei che faticano assai che ne potevanomangiare ogni tempo”. Si riteneva che fosse priva<strong>di</strong> elementi nutritivi; in realtà si tratta <strong>di</strong> un errore<strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio tramandato dal Me<strong>di</strong>o Evo sino aigiorni nostri perché la ricotta è invece ricca <strong>di</strong>tutti i proti<strong>di</strong>, eliminati dopo la prima cagliatura,che rimangono nel siero (NADA PATRONE, 1996,p. 107; NASO, 1996, p. 131). Pantaleone scrivevainvece che i seracchi “sono <strong>di</strong> <strong>di</strong>gestione47


abbastanza facile e per questo le donne […] liusano normalmente come cibo per i malati, comefanno anche i me<strong>di</strong>ci (p. 82).Non veniva <strong>di</strong>sdegnato neanche il seraciumputrefactum, il formaggio più <strong>con</strong>sumato inalcune zone montane dai poveri, che potevanoutilizzare anche le forme più alterate, se<strong>con</strong>douna tra<strong>di</strong>zione che in Valsesia si è tramandatasino a tempi recenti 55 . Era un prodotto gustosoche veniva spesso apprezzato anche dairappresentanti <strong>di</strong> famiglie nobili: due seraciaputrefacta furono donati ad Ame<strong>di</strong>o V <strong>di</strong> Savoiain occasione dell’Epifania a fine Duecento(NADA PATRONE 1981, p. 351; 1996, p. 103).Il burroUno dei prodotti più frequentemente presenti nei<strong>con</strong>tratti d’affitto è il burro. Le modalità <strong>di</strong>produzione fornite da Pantaleone non<strong>di</strong>fferis<strong>con</strong>o da quelle ancora usate nelle vallatealpine.L’uso alimentare del burro, <strong>di</strong> scarso <strong>con</strong>sumonell’Italia altome<strong>di</strong>evale (MONTANARI, 1985, p.628), subì un aumento nel corso del Quattrocento(CHERUBINI, 1981, 1984, p. 177; NASO, 1996, p.132).Se<strong>con</strong>do NASO (1999, pp. 70-71) l’uso del burrocome grasso <strong>di</strong> cottura era ancora basso nelDuecento-Quattrocento; la <strong>con</strong>tabilità <strong>di</strong> casaSavoia ne registra acquisti modestissimi e il burrocompare raramente nei ricettari tardome<strong>di</strong>evali,forse per l’immagine popolare che allora lo<strong>con</strong>trad<strong>di</strong>stingueva. Il burro assumerà unamaggior importanza nell’alimentazione dei cetidominanti nel tardo Quattrocento. A cominciaredal Cinquecento i testi <strong>di</strong> cucina prevedonol’impiego <strong>di</strong> burro come fondo <strong>di</strong> cottura(FACCIOLI, 1979, pp. 1003-1004, citato inMONTANARI, 1988, p. 55, nota 31).Se<strong>con</strong>do NADA PATRONE (1981, p. 347) lapreparazione del burro doveva attestarsi solo nellevalli alpine. I <strong>con</strong>tratti valsesiani in<strong>di</strong>cano semprela presenza <strong>di</strong> burro cotto o bollito 56 , che potevaessere <strong>con</strong>servato per lunghi perio<strong>di</strong>,permettendone il commercio e il <strong>con</strong>sumo<strong>di</strong>lazionato nel tempo 57 .55 Il prodotto è noto come salagnun (MOLINO, 1986, p.74).56 La produzione <strong>di</strong> burro cotto era ancora attestata neidecenni centrali del Novecento.57 Gli statuti <strong>di</strong> Ivrea vietavano la commercializzazione<strong>di</strong> quantità superiori ad 1 libbra <strong>di</strong> butirum crudum e <strong>di</strong>6 libbre <strong>di</strong> butirum coctum alla settimana,<strong>di</strong>fferenziando il burro crudo (quin<strong>di</strong> non pastorizzato)da quello preparato <strong>con</strong> latte bollito.La sua presenza sembra effettivamente aumentare<strong>con</strong> i <strong>con</strong>tratti quattrocenteschi e la trasformazionedel canone in latte in quote <strong>di</strong> burro cotto perl’alpe d’Olen sembra <strong>con</strong>fermare la l’incrementodella richiesta suggerito dagli Autori.Gli attrezziL’atrezzatura utilizzata nella caseificazione èscarsamente <strong>con</strong>siderata nelle fontitardome<strong>di</strong>evali 58 .Fig. 14 – Attrezzi impiegati nella caseificazioneNella Summa Pantaleone cita la zangola, usataper la produzione del burro, e un calderium, unacaldaia che veniva appesa alla catena del focolareper portare al punto <strong>di</strong> ebollizione la miscela <strong>di</strong>latte <strong>con</strong> cui si preparavano i formaggi.L’attrezzo è citato in numerosi inventarivalsesiani tra Cinquecento e Settecento. In unelenco <strong>di</strong> beni degli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Antonio Giadolli <strong>di</strong>Fervento del 1591 comparivano una caldonamagna e due caldaroli (sASVa, FNV, b. 8937).La <strong>di</strong>fferenza tra i <strong>di</strong>versi recipienti è esplicitataquantitativamente in altri due inventari: nel 1671,tra i beni <strong>di</strong> Pietro <strong>di</strong> Morca in val Vogna,compare una caldarolo <strong>di</strong> 3 libbre; nel 1674, tra ibeni <strong>di</strong> Antonio Verno, sempre in val Vogna,compare un altro caldarolo che pesa 10 libbre(PAPALE, 1988, p. 14). La <strong>di</strong>stinzione è presenteanche nelle voci <strong>di</strong>alettali caudera (caldaia) ecaudrò (piccola caldaia) (MOLINO, 1985, p. 52).In alcuni inventari sono <strong>di</strong>stinte le caldere58 Per questo periodo risultano più ricche le fontii<strong>con</strong>ografiche, che raffigurano numerosi strumentimolto simili a quelli ancora in uso nelle montagnepiemontesi sino a tempi relativamente recenti (NASO,1996, p. 138).48


presenti negli alpeggi (un caldera nella Muanda,1665, sASVa, FNV, b. 3133).Associati alla calderola compaiono talvolta anchealtri utensili utilizzati nella produzione casearia.In un inventario del 1665 a Rima compare l’asiaper il formaggio e tener il latte (sASVa, FNV, b.3133). La voce <strong>di</strong>alettale in<strong>di</strong>ca in genere tutti gliutensili, ma viene utilizzata soprattutto perin<strong>di</strong>care il secchio per riporre il latte ed altriliqui<strong>di</strong> (TONETTI, 1894, p. 55). Altre voltecompare invece una generica seggia (1674,PAPALE, 1988, p. 14). In un altro inventario vienespecificato che si tratta <strong>di</strong> una seggia da latte; alsuo fianco compare anche una seggia delcengualino <strong>con</strong> dentro un poco <strong>di</strong> cengualino(caglio?) (RAGOZZA, 1983, p. 130).Frequentemente compaiono anche le facciore 62(1548, Briciole…, pp. 227-228; 1591, sASVa,FNV, b. 8937); in un inventario del 1594 èesplicitamente in<strong>di</strong>cata come fachiera deformagio (sASVa, FNV, b. 8937); in un altro del1741 sono citate 3 facchiore per fare il formaggio(RAGOZZA, 1983, p. 130-131).In un inventario del 1674 in val Vogna figuranouna burola, una basla e tre ton<strong>di</strong> <strong>di</strong> bosco(PAPALE, 1988, p. 14). La basla è un piatto <strong>di</strong>gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni, <strong>di</strong> terra o <strong>di</strong> legno, largo epoco profondo (TONETTI, 1894, p. 66), cheveniva utilizzato per salare il formaggio(MOLINO, 1985, p. 52). I ton<strong>di</strong> <strong>di</strong> bosco in<strong>di</strong>canoprobabilmente le fasce per <strong>con</strong>fezionare iformaggi.Oltre agli utensili impiegati nella produzione delformaggio negli inventari sono talvolta citatianche atrezzi per la sua stagionatura. Per lasalatura in un documento del 1713 si fa esplicitoriferimento ad una “troghetta per salare ilformaggio” (RAGOZZA, 1983, p. 132). Per la<strong>con</strong>servazione dei prodotti, in un inventario del1562 della val Vogna, compare un gavietum 63 peril burro cotto (sASVa, FCa, b. 17, c. 25).IL CONSUMOFig. 15 – Caldarola per la cottura del latteIn un inventario del 1748 ad Alagna compaionoanche i <strong>con</strong>tenitori per i sieri: il vaso <strong>di</strong> boscodetto in tedesco sourfos (siero acido) e il gueglioper mettere la scoccia (se<strong>con</strong>do siero 59 )(RAGOZZA, 1983, p. 130).In un inventario <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> Piana Fuseria del 1743compare il garbo per fare la mascarpa(RAGOZZA, 1983). Questa voce <strong>di</strong>alettale in<strong>di</strong>ca iltelaio <strong>di</strong> legno che funge da supporto per la telasu cui si filtra la ricotta (MOLINO, 1985, p. 52),che potrebbe corrispondere allo strumento perscolare il latte detto in tedesco ein folla 60 checompare in un inventario del 1748 ad Alagna(RAGOZZA, 1983, p. 130).Frequenti sono le citazioni dei govegli(govegliolos duos a butiro et goveglios quattuor acolubia 61 , 1548, Briciole, pp. 227-228).59 In TONETTI (1894, p. 275) voce <strong>di</strong>alettale in<strong>di</strong>cante ilsiero del latte.60 Filtro da latte in GIORDANI (1891, p. 137)61 Colubbia, ogni colaticcio e rimasuglio <strong>di</strong> cucina chesi dà per cibo a maiali (TONETTI, 1894, p. 117);La produzione casearia doveva essere in granparte destinata all’auto<strong>con</strong>sumo, ma la centralitàdei formaggi nell’alimentazione tardome<strong>di</strong>evale ela loro celebrazione da parte dei me<strong>di</strong>ci originavauna forte richiesta dei mercati citta<strong>di</strong>ni, a cui erasi<strong>cura</strong>mente <strong>con</strong>ferita una parte della produzione.L’auto<strong>con</strong>sumoI prodotti caseari hanno mantenuto per tutto ilMe<strong>di</strong>o evo la loro centralità nei regimi alimentari,proponendosi come proteina a buon mercato(NASO, 1996, p. 125).La <strong>con</strong>ferma che il formaggio, <strong>con</strong> il pane,costituisse una degli elementi <strong>di</strong> basenell’alimentazione delle comunità inse<strong>di</strong>ate sulversante meri<strong>di</strong>onale del Monte Rosa è costituitadalla presenza <strong>di</strong> questo alimento nel pastotra<strong>di</strong>zionalmente <strong>di</strong>stribuito ai poveri. In undocumento del 2 febbraio 1476 era citata la<strong>di</strong>stribuzione a Macugnaga <strong>di</strong> staria duo sichaliscocti in pane e libras sedecim casei vel seraticulubia, ultimo residuo della lavorazione del latte (darisciacquatura) (MOLINO, 1985, p. 54).62 Grossa ciotola <strong>di</strong> legno usata nella preparazione delformaggio (MOLINO, 1985, p. 52).63 Gaviet, ciotola, vaso da cucina (TONETTI, 1894, p.10); scodella <strong>di</strong> legno per dare la forma al burro(MOLINO, 1985, p. 52).49


oni et salsi. Nella visita pastorale del 1582veniva annotata la presenza <strong>di</strong> un’elemosinadenominata Spenda, che veniva <strong>con</strong>vertita inpane e formaggio da <strong>di</strong>stribuire ai poveri dellaparrocchia e ammontava a 24 emine <strong>di</strong> segale e10 libbre <strong>di</strong> formaggio (BERTAMINI, 2005, v. 1, p.545; v. 2, pp. 37-38).Il formaggio era un utilissimo integratorealimentare nel regime <strong>di</strong>etetico dei poveri, in cuiil <strong>con</strong>sumo <strong>di</strong> carne “grossa” o “minuta”, anchese talora accompagnato da quello dellaselvaggina, era ridotto. Questi gruppi dovetterolimitarsi ad un regime monotono e povero,costituito da grani <strong>di</strong> semina primaverile, dalegumi, da castagne, da cavoli e rape, <strong>di</strong>eta che iprincipi costitutivi del latte (e del formaggio)arricchivano e completavano (NADA PATRONE,1996, p. 111).L' Albini scriveva <strong>di</strong> aver <strong>con</strong>osciuto quemdamagricolam qui vixit per centum annos aut ampliussuam etatem lac caprinum semper comedendum(CARBONELLI, 1906, p. 129) e Pantaleone daConfienza gli fa eco <strong>di</strong>chiarando che “su parecchimonti vivono uomini e donne <strong>di</strong> qualunque età e<strong>di</strong> <strong>di</strong>versa costituzione i quali quasi maimangiano pane e bevono vino, nutrendosi solo <strong>di</strong>latte, <strong>di</strong> castagne e <strong>di</strong> formaggio, e che tuttaviasono sani e rubi<strong>con</strong><strong>di</strong>” (ed. 2001, p. 99).Anche Giulio Lan<strong>di</strong> scrive che pastori e<strong>con</strong>ta<strong>di</strong>ni... poco altro mangiano che pane eformaggio e non<strong>di</strong>mento sono sani, freschi,gagliar<strong>di</strong> e forti. Onde è nato quel nostroproverbio " La carne fa carne, il formaggio laforza" (CAPATTI, s.d., p. 62).Pure il Bertal<strong>di</strong> rileva che nel Piemonte, nell'Alpi, Savoia e nel paese <strong>di</strong> Valey (Vallese) etHelvetii non v'è companatico il più frequentatoch'esso (il formaggio) e pur gli huomini sonorobusti e gagliar<strong>di</strong>, anche perché la loro<strong>con</strong>suetu<strong>di</strong>ne a <strong>con</strong>sumare quoti<strong>di</strong>anamenteformaggio ne <strong>di</strong>minuisce i danni alla salute 64(NADA PATRONE, 1996, p. 111).Negli inventari valsesiani, tra le poche scortealimentari citate, compaiono abbastanzafrequentemente i prodotti caseari. A Rima, nel1665, tra i beni <strong>di</strong> Anna Maria <strong>Ragozzi</strong>, figurano8 libbre <strong>di</strong> formaggio (sASVa, FNV, b. 3133).Nell’inventario dei beni <strong>di</strong> Pietro Calcia dellaPeccia figurano 8 libbre <strong>di</strong> butiro (PAPALE, 1988,p. 14). In un altro inventario del 1769 figurano 7libbre <strong>di</strong> formaggio fresco, 2 libbre <strong>di</strong> mascarpa e64 Regole della sanità et natura de cibi <strong>di</strong> Ugo Benzosenese arricchite <strong>di</strong> varie annotazioni e <strong>di</strong> copiosi<strong>di</strong>scorsi, naturali e morali, dal sign. Ludovico Bertal<strong>di</strong>me<strong>di</strong>co delle serenissime Alteze <strong>di</strong> savoia …, Torino,1620, p. 196.10 libbre <strong>di</strong> butirro fonduto (RAGOZZA, 1983, p.132).Fig. 15b - La produzione del burro (da VALLINO,1878)Il mercatoI me<strong>di</strong>ci del tardo Me<strong>di</strong>o Evo lodavano il<strong>con</strong>sumo <strong>di</strong> formaggio, ponendolo tra i cibinutriens et impinguantes (NADA PATRONE, 1996,p. 98).Pantaleone sottolineva che in alpeggio “iformaggi ries<strong>con</strong>o migliori” e i casei alpisdovevano essere fortemente richiesti nei mercaticitta<strong>di</strong>ni.Lo stesso me<strong>di</strong>co vercellese osservava che ai suoitempi la maggior parte della produzione caseariaproveniva dalle vallate alpine, specie daglialpeggi. La quantità che eccedeva il fabbisognofamiliare poteva quin<strong>di</strong> essere destinata almercato e il formaggio era probabilmente uno deipochi prodotti che varcava i <strong>con</strong>fini dellaValsesia 65 .I formaggi, <strong>con</strong>siderati alimenti in<strong>di</strong>spensabili alvitto quoti<strong>di</strong>ano, rientravano tra le derrate <strong>di</strong> cui65 Nelle aree dove era più stretto il legame <strong>con</strong> i centri<strong>di</strong> <strong>con</strong>sumo si potevano <strong>con</strong>fezionare pure formaggifreschi e burro. Naturalmente invece nelle alte valli,<strong>di</strong>stanti dalle città, era in<strong>di</strong>spensabile provvedere allastagionatura dei prodotti caseari (NASO, 1996, p. 132).50


si vietava l’esportazione. Negli statuti <strong>di</strong> Novara 66del 1270 i formaggi grassi o semigrassifiguravano nel blocco minuzioso all’esportazione<strong>di</strong> generi <strong>di</strong> prima necessità (NADA PATRONE,1996, p. 112).Fig. 15c – Al mercato (da GALLO, 1892)Nella se<strong>con</strong>da metà del Quattrocento a Novara 67produttori e mercanti provenienti dal <strong>con</strong>tado edalla pianura <strong>di</strong> Biandrate, ma anche dallaValsesia, dalla Val d’Ossola e dalla rivierad’Orta, portavano giornalmente formaggi e ricottenella piazza del broletto municipale (NASO, 1996,pp. 126-127).La produzione nei <strong>di</strong>ntorni della città e nellevallate a nord <strong>di</strong> Novara doveva esserequantitativamente rilevante se gli statuti 68 neregolamentano minuziosamente il commercio,imponendo a produttori e mercanti non solo <strong>di</strong>portare regolarmente i formaggi al mercato delbroletto, ma anche <strong>di</strong> tenerveli esposti per almenoun giorno a <strong>di</strong>sposizione unicamente dei privati.La ven<strong>di</strong>ta al dettaglio, che comunque sieffettuava a forma intera e che doveva quin<strong>di</strong>essere limitata alle famiglie agiate, si protraevafino all’ora nona, cioè alle tre del pomeriggio,quando si aprivano le <strong>con</strong>trattazioni perriven<strong>di</strong>tori e mercanti, mentre una guar<strong>di</strong>avigilava sulla regolarità delle operazioni (NASO,1996, nota 11, p. 142).I prodotti della valle potevano giungere a Novaraesenti da dazi se<strong>con</strong>do i privilegi accordati daiVis<strong>con</strong>ti e dagli Sforza alla Valsesia 69 .L’incremento della produzione casearia vide lacrescita del numero <strong>di</strong> addetti al settore e inalcune località pedemontane la loro incidenzae<strong>con</strong>omico-sociale fu tale da motivarel’istituzione <strong>di</strong> corporazioni <strong>di</strong> settore: nelTrecento ad Ivrea è attestata l’esistenza <strong>di</strong> unparaticum formageriorum che riuniva gliautorizzati alla ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> caxeum, seracium velbutirum (NADA PATRONE, 1981, pp. 347-348,357; NASO, 1996, nota 4, p. 141; CORTONESI,2002, p. 107).La ven<strong>di</strong>ta al dettaglio avveniva anche nellebotteghe che smerciavano anche altri generialimentari (NASO, 1996, p. 125). Un esempio <strong>di</strong>queste botteghe è raffigurato negli affreschi delcastello <strong>di</strong> Issogne (fig. 11).Il commercio doveva essere quantitativamentesignificativo se nei ren<strong>di</strong><strong>con</strong>ti dei pedaggi alpinisono in<strong>di</strong>cate casei che scendevano dagli alpeggiin primavera ed estate, trasportate ad<strong>di</strong>rittura suicarri (NADA PATRONE, 1981, pp. 356-357).66 Statuta comunitatis Novariae, a <strong>cura</strong> <strong>di</strong> A. Ceruti, inHistoriae Patriae Monumenta, Leges municipales, v.XVI, t. II/1, coll. 696-697, art. 270.67Una parte della produzione era probabilmentedestinata al mercato biellese. Il canone dell’alpeCamino del 1337 prevedeva, costituito da 10 libbre <strong>di</strong>formaggio, doveva essere <strong>con</strong>segnato “in Bugella”(Briciole …; RIZZi, 1983, d. 17; RIZZI, 1991, d. 75).68 Statuta civitatis Novariae (PEDRAZZOLI, 1993, p.359).69 Dalla val d’Aosta scendevano verso l’Epore<strong>di</strong>ese e lapianura casei e seracia esplicitamente denunciati comeoggetto da esportazione (NADA PATRONE, 1981, pp.356-357).51


L’OLIO DI NOCIMarta SassoNel vastissimo panorama gastronomico italiano,accanto all’innumerevole varietà <strong>di</strong> oli d’oliva cheregalano un primato <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> olioextravergine <strong>di</strong> altissima qualità a livello europeo,<strong>con</strong> l’olio d’oliva che occupa un ruolo primarionella cosiddetta “<strong>di</strong>eta me<strong>di</strong>terranea”, si puòcollocare, o si poteva collocare almeno fino aqualche decennio fa, anche l’olio <strong>di</strong> noci, oggiquasi del tutto scomparso dalle tavole italiane.L’olio <strong>di</strong> noci ricopriva un posto fondamentalenell’alimentazione, soprattutto per quanto riguardale popolazioni montane e pedemontane, dove lapianta <strong>di</strong> noce, Junglans regia, cresce spontanea ead esemplari isolati, fino a un’altitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> millemetri, pre<strong>di</strong>ligendo terreni ben esposti al sole.Durante una breve vacanza in Toscana,chiacchierando <strong>con</strong> un olivicoltore, mi ha sorpresoscoprire che non aveva mai sentito parlare <strong>di</strong>questa strana usanza “<strong>di</strong> cavar olio dalle noci”come invece si faceva e si fa in ambito valsesiano.LE PIANTEScriveva il NOÈ (1828), parlando della pianta:“Non par vero che in mezzo ai rocchi, e <strong>di</strong>rupidella Valsesia venga così alta e rigogliosa. Sembrache quanto è essa sepolta in mezzo alle montagnealtrettanto cerchi d’alzarsi per mostrare al sole lerobuste sue cime”.L’avvento dell’industria del mobile <strong>di</strong> qualità, cheha regalato un ruolo <strong>di</strong> pregio al legno <strong>di</strong> nocenazionale, ha ridotto <strong>di</strong> molte unità il patrimoniocoltivo del territorio montano, che in Valsesiapoteva stimarsi in migliaia <strong>di</strong> alberi, vistal’attestata produzione d’olio che si rileva in alcunicensimenti dell’Ottocento. Si risale fino al tardoMe<strong>di</strong>o Evo per ritrovare documentate piante <strong>di</strong>noci <strong>di</strong> proprietà che venivano registrate in<strong>con</strong>tratti <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta e acquisto o come benid’inventario, così come negli inventari compaionoi nomi dei recipienti per <strong>con</strong>tenere l’olio o lemisure per quantificarlo: rubbia, tola da olio,mezzo rubbo.Vasta, nella tra<strong>di</strong>zione popolare valsesiana epiemontese la citazione delle noci nei proverbi, siaper quanto riguarda il periodo <strong>di</strong> maturazione eraccolta, sia per quanto riguarda la vita e letra<strong>di</strong>zioni religiose 70 :70 Gli anziani ricordano anche che “la decima” che sipagava alla Chiesa era la decima parte della produzioneTanta fen, pochi nòsLa nusèra ant un autin, a s’nutris d’pan e d’vinPar Santa Cròs, pan e nòsPar Santa Cròs, supatta ‘l nòsBatesà a l’euli d’ nòsPan e nòs, mangè da spòsNòs e pan, mangè da canEssi l’ombra d’la nusèraDui nòs ant un sac e dui fumbri an cà, fan an belfracasMi j’eu la vòs, ma j’autri a l’han la nòsCaviggi ad nòs, par i curiòsL’OLIOPrima della <strong>di</strong>ffusione dell’uso del burro a fianco<strong>di</strong> altri grassi animali come il lardo e la sugna,nell’area pedemontana e montana del Piemontetardome<strong>di</strong>evale l’olio <strong>di</strong> noci era certamente il tipo<strong>di</strong> <strong>con</strong><strong>di</strong>mento più <strong>di</strong>ffuso e più usatonell’alimentazione, anche perché più facilmentereperibile, quando non prodotto in loco e quin<strong>di</strong>meno costoso <strong>di</strong> altri oli vegetali. “L’olio <strong>di</strong> noci,che per le sue caratteristiche organolettiche siavvicina più <strong>di</strong> ogni altro al succo delle olive, eraprodotto dovunque <strong>con</strong> una certa abbondanza eveniva impiegato anche in farmacia, oltre che perl’illuminazione, per le lampade votive e per talunelavorazioni artigianali”. (NASO, 1999).Nel censimento <strong>di</strong> Luigi Noè del 1828 l’unico olioancora prodotto, e <strong>con</strong>sumato, in Valsesia, è quello<strong>di</strong> noci, accanto ad una piccola produzione trattadalla semente della canapa. Anzi, il Noè deduceche la notevole quantità d’olio registrata provienedalla spremitura <strong>di</strong> tutta la produzione <strong>di</strong> nocidell’area valsesiana, produzione insufficiente asod<strong>di</strong>sfare le necessità della popolazione, costrettaquin<strong>di</strong> all’acquisto <strong>di</strong> altro olio fuori dal territorio.La produzione da lui censita in 1345 quintali èavvalorata dalla coeva documentazione d’archivio.Nei documenti presi in <strong>con</strong>siderazione,circoscrivendo la ricerca ai paesi della ValSermenza, si legge: prodotti 12 staia noci<strong>di</strong> olio <strong>di</strong> noci che si era ottenuta, e servivaall’accensione perenne <strong>di</strong> una lucerna per l’altaremaggiore, in particolare per le lampade del SS.Sacramento.


(Fervento, 1821); 1 torchio d’olio (quintali 10 epiù per anno) (Boccioleto, 1828); acquistati barili10 (Carcoforo, 1828); importati olio quintalimetrici 3 (Rima, 1835); prodotti quintali 10 <strong>di</strong>noci, olio q. 4 (Fervento, 1828); olio acquistatobarili 5 (Balmuccia, 1835) (sASVa).Sempre il Noè nel suo rapporto statistico annota lapresenza <strong>di</strong> 51 torchi <strong>di</strong>stribuiti sulla totalità delterritorio valsesiano, torchi “che non girano chedurante il tempo necessario per formar l’oliobisognevole all’uso interno delle materie grasse,che l’interno medesimo somministra. Si calcolache essi premano, presa la me<strong>di</strong>a, libbre 9 metricheall’ora, 98 al giorno, e quintali 29,40 al mese; iltotal d’olio formato d’ogni qualità corrisponde al<strong>con</strong>sumo che calcolasi a 4 libbre metriche perin<strong>di</strong>viduo, e quin<strong>di</strong> sopra la popolazione <strong>di</strong> 33.579a quintali 1.343,16.”La memoria storica più recente rac<strong>con</strong>tadell’oleificazione come <strong>di</strong> un rito presente inalcuni paesi almeno fino a metà del secolo scorso edel funzionamento <strong>di</strong> peste da noci mosse adacqua, ad esempio alla frazione Moline <strong>di</strong>Boccioleto, almeno sino alla fine dell’Ottocento e aNosuggio, frazione <strong>di</strong> Cravagliana, ancora nelNovecento.L’oleificazione delle noci poteva essere eseguita,così come avviene ancora oggi, anche a livellofamigliare <strong>con</strong> meto<strong>di</strong> casalinghi e ru<strong>di</strong>mentali.Le noci raccolte in ottobre, che cadono quasispontaneamente dall’albero, venivano spogliate delmallo e fatte essiccare al sole; una volta liberatedal guscio e dai setti interme<strong>di</strong> venivanoschiacciate <strong>con</strong> rulli appositi o macine in pietra; lapoltiglia oleosa veniva tostata su un fuoco leggeroin paioli <strong>di</strong> rame, prestando attenzione ad evitare labruciatura per non compromettere il risultatofinale; una volta raggiunta la giusta tostatura, iltutto veniva pigiato in un piccolo torchio simile aquello per la pigiatura dell’uva, ma <strong>con</strong> un pesomolto maggiore, fino a rilasciare il prezioso succo.Il rapporto fra il quantitativo <strong>di</strong> noci e laproduzione d’olio poteva variare <strong>di</strong> anno in anno ase<strong>con</strong>da <strong>di</strong> molti fattori: l’essiccazione ben riuscita,un’annata piovosa, una cattiva e poco attentatostatura, ma si aggirava intorno al 40% del pesodelle noci. Dopo una prima spremitura ne avvenivauna se<strong>con</strong>da (arcacià), dalla quale scaturiva unolio meno pregiato e <strong>di</strong> minor quantità (meno dellametà) del primo, il quale veniva usato per lo piùper l’illuminazione come combustibile delle lum,lucerne <strong>di</strong> ferro.Il residuo solido della pesta detto nosuggio nellaparlata locale, derivante <strong>con</strong> ogni probabilità dallatino noxilium, da cui il toponimo della omonimalocalità in Val Mastallone, veniva poi utilizzato perl’alimentazione del bestiame o come combustibile.“Usasi <strong>di</strong> quest’olio tanto per <strong>con</strong><strong>di</strong>re le vivande,che per abbruciare. Siccome è fatto <strong>con</strong> pocaattenzione, e non si separano le noci sane dalleguaste, non riesce <strong>di</strong> buona qualità, anzi bisognaesservi assuefatto per adattarvisi, altrimenti il suoodore ributta. Da taluni però si suole pellarel’anima della noce, giacché vuolsi che la pelle<strong>con</strong>corra a cagionare il gusto, e l’odore cattivo, el’olio che se ne forma così è eccellente” (NOÈ,1828).Il proce<strong>di</strong>mento per ottenere l’olio <strong>di</strong> noci èrimasto invariato nel tempo e ancora oggi lefamiglie che lo produ<strong>con</strong>o sono solite ritrovarsiinsieme per la pulitura, tostatura e torchiatura dellenoci, anche per ottimizzare ed aumentare ilquantitativo finale.Nella parlata locale le noci più adatte allo scoposono dette pik: sono i frutti <strong>di</strong> noci cresciutispontaneamente e sono caratterizzate da ungheriglio “impiccato”, costretto, quasi legato, dasetti lignei resistenti e <strong>con</strong>torti, tanto da rendereimpossibile l’apertura del frutto senza lafrantumazione della polpa. Le noci più gran<strong>di</strong> e piùbelle, sempre cerebriformi, ma più facilmenteapribili, erano <strong>con</strong>sumate probabilmente come cibovero e proprio, insieme al pane, e riservate a tavole<strong>di</strong> un certo prestigio.Anche REMOGNA (1993, 1994), nelle sueinterviste, raccoglie testimonianze a proposito del<strong>con</strong>sumo <strong>di</strong> noci, che, assaporate intere col pane,erano ritenute “una leccornia” anche a Rimella.LA PRODUZIONE ATTUALELa ricerca su questo particolare prodotto tipicodella nostra terra, <strong>con</strong>dotta dagli alunni dellascuola Primaria <strong>di</strong> Rossa nel 2005, ha permesso <strong>di</strong>riscoprire e gustare le <strong>di</strong>fferenze organolettiche frauna noce e un’altra, e apprezzare le qualitàolfattive fra noce e olio <strong>di</strong> noce, e fra olio <strong>di</strong> noce ealtri oli.Nella cucina d’oggi l’olio <strong>di</strong> noce èprevalentemente impiegato per il <strong>con</strong><strong>di</strong>mento dellacicoria selvatica, l’erba dei prati che si raccogliepoco dopo la scomparsa delle ultime nevi e si gustain insalata <strong>con</strong> le uova sode. Ma non manca chi loapprezza quale <strong>con</strong><strong>di</strong>mento della pasta, o comeingre<strong>di</strong>ente particolarmente sfizioso nell’impastodelle miacce, o ancora come olio per la fritturadelle patate.E’ mutato anche l’utilizzo dell’olio della se<strong>con</strong>daspremitura, adatto alla pulitura e lucidatura deimobili.53


Nella produzione <strong>di</strong> oggi, effettuata in ambitofamigliare, ma ancora <strong>di</strong>ffusa soprattutto nei paesidella me<strong>di</strong>a valle, si da origine a un prodotto che sipotrebbe definire “<strong>di</strong> nicchia”: pochi decilitri <strong>di</strong>prodotto dal caratteristico aroma, <strong>di</strong> un giallolimpido ma intenso, <strong>di</strong> leggera densità. Gustato agoccia sul pane casereccio sprigiona tutto il suosapore, dolce e persistente, come se si stesserorealmente gustando i profumati e gustosi frutti delnoce.Nella memoria è rimasto anche il ricordo <strong>di</strong> unaproduzione parallela <strong>di</strong> olio anche dalle nocciole:avveniva nelle annate in cui questo fruttospontaneo cresceva in abbondante quantità.frazionali, o donarlo in cambio <strong>di</strong> altri prodotti opiccoli favori ricevuti dai propri compaesani.Questo sistema <strong>di</strong> “piccolo baratto” è ancora moltoin uso nei paesi della valle, ed è un’usanza cheesalta negli abitanti il proprio senso <strong>di</strong>appartenenza e afferma la propria ra<strong>di</strong>calità nelterritorio 71 .Al <strong>di</strong> là delle <strong>con</strong>siderazioni su queste usanzelocali, è certamente possibile prospettare un futuro<strong>di</strong> evoluzione, ripresa e crescita <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong>questo prodotto, anche alla luce del rinnovatointeresse dei <strong>con</strong>sumatori <strong>di</strong> oggi verso i prodottibiologici e naturali in genere: una rivalutazionedell’olio <strong>di</strong> noci fra le produzioni alimentari tipichedel territorio valsesiano, prospettando per il futurouna piccola ma pregiata produzione del profumatoprodotto della tra<strong>di</strong>zione: “l’olio <strong>di</strong> nocivalsesiane”, una nuova D.O.P. nel panoramagastronomico italiano.Fonti oraliGermano e Franca Gilar<strong>di</strong>, frazione Failungo <strong>di</strong> Pila.Dario Sasso, frazione Rua <strong>di</strong> Scopello.Franca Antonini, frazione Rua <strong>di</strong> Scopello.Sonia Viotti, frazione Casa Pareti <strong>di</strong> Scopello.Fig. 16 – Macina e torchio da noci utilizzati perl’oleificazione dalla famiglia Gilar<strong>di</strong> <strong>di</strong> PilaDa una piccola indagine in Scopello e Pila hopotuto stimare una produzione annua globale <strong>di</strong>non più <strong>di</strong> 10/15 litri d’olio in totale. Le famiglieche lo produ<strong>con</strong>o, oltre che per <strong>con</strong>sumopersonale, usano portarlo come bene per l’incantodelle offerte nelle feste dei piccoli oratori71 C’è chi fa “saltare” le caldarroste una volta l’anno persé e per alcune famiglie del cir<strong>con</strong>dario, chi porta unvasetto <strong>di</strong> miele in cambio <strong>di</strong> un po’ <strong>di</strong> patate ricevutemagari l’autunno precedente, chi offre un cesto <strong>di</strong> trotein cambio <strong>di</strong> uova, chi lascia davanti all’uscio <strong>di</strong> casauna piccola bottiglietta d’olio <strong>di</strong> noci, a ringraziamento<strong>di</strong> un favore ricevuto.54


LE MIACCETESTIMONIANZE DOCUMENTARIE DI UNA SECOLARE TRADIZIONE VALSESIANA<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong>Le miacce sono probabilmente il prodottoalimentare più noto della Valsesia. Grazie alla lorofacilità <strong>di</strong> preparazione e alla gran versatilitàalimentare sono <strong>di</strong>ventate le protagoniste <strong>di</strong> tuttele feste valsesiane 72 .La loro preparazione richiede l’utilizzo d’appositiferri, la cui <strong>di</strong>ffusione è attestata in Valsesia dalCinquecento 73 . Le miacce risultano quin<strong>di</strong> l’unicaproduzione alimentare <strong>di</strong> cui rimane unatestimonianza anteriore alla memoria storicafissata dalla recente tra<strong>di</strong>zione orale (REMOGNA,1993, 1994; MOLINO, 1985, AA. VV., 2001).LE MIACCEGuide turistiche, letteratura locale e rivistespecializzate propongono <strong>di</strong>verse ricette dellemiacce valsesiane 74 . In un recente volumede<strong>di</strong>cato alla cucina valsesiana (AA. VV., 2001, p.8) sono in<strong>di</strong>cati come ingre<strong>di</strong>enti farina bianca,latte intero, uova intere, panna, poca acqua e sale.Una composizione simile è in<strong>di</strong>cata per RivaValdobbia da BELLO LANZAVECCHIA (s.d., p. 29).Ma la ricetta in<strong>di</strong>cata da MOLINO (1985, p. 72;2006b, p. 67; 2006d, p. 36) in un volume de<strong>di</strong>catoal territorio <strong>di</strong> Campertogno prevede anche lapresenza <strong>di</strong> farina gialla ed olio 75 . L’utilizzo <strong>di</strong>72 Questo articolo costituisce un aggiornamento <strong>di</strong> untesto precedentemente pubblicato sul perio<strong>di</strong>co ilVarallino (FANTONI, 2002b) e nel volume Storia <strong>di</strong>Rima (FANTONI, 2006).73 Dal punto <strong>di</strong> vista della cultura materiale sonointeressanti le <strong>di</strong>verse forme e grandezze delle piastre,variabili da zona a zona: prevalentemente rotonde inValsesia, nel Piemonte occidentale sono quadrangolari<strong>con</strong> orecchie agli spigoli per potere meglio essereafferrate <strong>con</strong> un rampino o <strong>con</strong> uno stecco <strong>di</strong> legno(scòt da mijasse): frequenti anche, e localmente<strong>di</strong>versificati, i ricami posti al centro della piastra permarcare <strong>con</strong> un’impronta particolare la miaccia stessa.74 Ad Alagna sono chiamati millentschu (GIORDANI,1891; ed. 1974, p. 153).75 Le miacce erano note anche nella valle del Lys, ovevenivano preparate <strong>con</strong> gli stessi ingre<strong>di</strong>enti e <strong>con</strong> lestesse modalità <strong>di</strong> cottura (NORO DESAYMONET, 2000,p. 114), Le miasse (milljantscha nel <strong>di</strong>aletto tedesco)sono ricordate ad Issime anche da RONCO E MUSSO(1998, pp. 120-121), che in<strong>di</strong>cano come ingre<strong>di</strong>entifarina <strong>di</strong> mais e farina <strong>di</strong> frumento.farina <strong>di</strong> granoturco era in<strong>di</strong>cata anche in unarticolo comparso sull’Almanacco Valsesiano del1873 (ora anche in DI VITTO, 2004, pp. 187-188).Queste <strong>di</strong>fferenze in<strong>di</strong>cano una <strong>di</strong>versificazionedel prodotto nel tempo, che mantenne costante laricetta ma mo<strong>di</strong>ficò gli ingre<strong>di</strong>enti in funzionedella <strong>di</strong>sponibilità locale.I <strong>di</strong>versi ingre<strong>di</strong>enti sono mescolati in un appositorecipiente sino ad ottenere un impasto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a<strong>con</strong>sistenza. La cottura avviene sul fuoco vivome<strong>di</strong>ante due piastre <strong>di</strong> ferro. Un cucchiaiodell’impasto viene versato al centro della piastrainferiore e allargato a tutta la superficie dallapressione esercitata dalla chiusura della piastrasuperiore. Per esporre tutte le parti al fuoco lamiaccia viene ruotata <strong>con</strong> una paletta piatta e iferri vengono perio<strong>di</strong>camente capovolti.LA FARINA DI MIGLIOL’ingre<strong>di</strong>ente essenziale delle miacce èattualmente costituito da farina <strong>di</strong> frumento (o <strong>di</strong>mais). In Valsesia la crescita del frumento eracircoscritta a qualche campo della bassa valle el’utilizzo <strong>di</strong> questa farina era limitato alla quantità<strong>di</strong> frumento introdotta in valle dalla pianuranovarese.L’introduzione della farina <strong>di</strong> granoturco, avvennein epoca si<strong>cura</strong>mente successiva al Seicento,periodo in cui il granoturco iniziò ad esserecoltivato anche in Italia settentrionale.L’ingre<strong>di</strong>ente principale in passato doveva dunqueessere costituito da altri cereali e la vocemigliaccio, <strong>con</strong> cui viene comunementeidentificato il prodotto nei documenti delCinquecento, sembra in<strong>di</strong>care nella farina <strong>di</strong>miglio il costituente principale.Una ricetta <strong>di</strong> miacioi, <strong>con</strong> farina <strong>di</strong> grano tostato, ètramandata per il Cusio da Nazarena S., delle scuole <strong>di</strong>Casale Corte Cerro (www.lagodorta.net/scheda.asp?<strong>con</strong>tID0189). La cottura della pastella avvienesull’anvarola (attrezzo ricordato anche in Valsesia). AQuarna sono noti i mijecc, fatti <strong>con</strong> farina <strong>di</strong> mais ecotti su una pioda o su una piastra <strong>di</strong> ferro, <strong>di</strong> cuirimane memoria storica (MILAN, 2002, p. 69;CECCHETTI, 2002, p. 65); gli Autori ipotizzano che unavolta fossero fatte <strong>con</strong> farina <strong>di</strong> miglio.


Il miglio era ampiamente <strong>di</strong>ffuso in tutta Europadurante il Me<strong>di</strong>o Evo, e fu poi soppiantato dallacomparsa <strong>di</strong> cereali <strong>con</strong> maggior valore produttivoe qualitativo. Era impiegato in chicchi o in farina;nelle minestre era impiegato in semi interi(assieme al panìco e all’orzo) e in semi “pestati”(assieme al panìco). La sua farina, grazie alleottime capacità <strong>di</strong> lievitazione, era or<strong>di</strong>nariamenteimpiegata sino al Seicento nella panificazione enella produzione <strong>di</strong> dolci rustici, che ricordano nelnome (migliaccio, pan de mej) l’ingre<strong>di</strong>enteprincipale. Un dolce prodotto in Lombar<strong>di</strong>a,in<strong>di</strong>cato <strong>di</strong>alettalmente come miascia, era giàdescritto da Martino da Como nel suo Libro deArte Coquinaria redatto a metà Quattrocento.Nonostante le elevate esigenze termiche (cherichiedono un minimo termico <strong>di</strong> 10-12°C per lagerminazione e <strong>di</strong> 17-18°C per la fioritura e lamaturazione) il miglio era coltivato anche in altaValsesia per la brevità del ciclo vegetativo, che sicompie in <strong>con</strong><strong>di</strong>zioni ottimali in un periodo <strong>di</strong> 60-80 giorni. Con farina <strong>di</strong> miglio eranoprobabilmente preparati sino al Settecento anchenumerosi piatti “tra<strong>di</strong>zionali” a base <strong>di</strong> farina <strong>di</strong>granoturco descritti nella letteratura locale 76 .Il suo impiego per la preparazione delle miaccenon è attualmente documentato ma del suo utilizzorimane una vaga memoria storica 77 .In un inventario <strong>di</strong> beni Antonio Verno <strong>di</strong> Vognadel 1674 compaiono 3 stare <strong>di</strong> farina per faremigliazzi (PAPALE, 1988, p. 14); in quello <strong>di</strong>Giuseppe Prato delle Piane, redatto nel 1769, ècitata 1 mina <strong>di</strong> farina per far migliacci(RAGOZZA, 1983, p. 132) 78 . In entrambe i casinon è in<strong>di</strong>cato il cereale d’origine.76 Per Campertogno si rimanda a MOLINO (1985, p. 71;2006; per Rimella a REMOGNA (1993, 1994). Anche lapolenta, attualmente associata quasi esclusivamente allafarina <strong>di</strong> granoturco era in origine preparata <strong>con</strong> farina<strong>di</strong> miglio. Una polenta … <strong>con</strong> farina <strong>di</strong> miglio era citatanel 1569 ad esempio da Agostino Gallo ne Le ventigiornate dell’agricoltura e de piaceri della Villa.77 Anche se<strong>con</strong>do RAGOZZA (1983, p. 134) le miacce siottenevano tra<strong>di</strong>zionalmente utilizzando la farina <strong>di</strong>miglio.78 Nello stesso inventario sono citati anche 1 coppo <strong>di</strong>avena pista, 1 coppo <strong>di</strong> orzo pisto, 1 staro <strong>di</strong> orzo emellio tutto insieme, 6 stara <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> biada. La<strong>di</strong>versa <strong>con</strong>sistenza (e il <strong>di</strong>verso valore) delle riservecerealicole presenti in un nucleo familiare è deducibileda un altro inventario del 1751 in cui compaiono 121staia <strong>di</strong> miglio (che valevano 242 lire) e solo 3 staia <strong>di</strong>farina <strong>di</strong> frumento (che valevano 10 lire e 10 sol<strong>di</strong>)(RAGOZZA, 1983, pp. 132-133). Some, staia e minesono misure <strong>di</strong> capacità per ari<strong>di</strong>; I soma corrisponde a9 staia; 1 staio a 2 mine. Uno staio equivale a 18,28litri, che per granaglie corrisponde circa a 32 kg.FERRUM AD FACENDUM MILIACIALa <strong>di</strong>ffusione delle miacce nell’alimentazionetra<strong>di</strong>zionale valsesiana è <strong>con</strong>fermata da numeroseattestazioni documentarie. I ferri per lapreparazione delle miacce compaiono infatti tra ipochi utensili presenti nelle case valsesiane inquasi tutti gli inventari <strong>di</strong> beni redatti dai notaivalsesiani a partire dalla fine del Me<strong>di</strong>o Evo.RAGOZZA (1983, p. 134) segnala, senza in<strong>di</strong>carnela fonte e il <strong>con</strong>testo, la citazione <strong>di</strong> un ferrum adfacienda miliacia in un inventario della fine delQuattrocento. TONETTI (1894) segnala undocumento del 1544 in cui sono citatibran<strong>di</strong>nalem unum cum ferro uno a migliatio etnevarolam unam ferri. Nel documento i ferri perla cottura delle miacce sono associati ad altri dueutensili da focolare: la varola, che nel <strong>di</strong>alettovalsesiano identifica la paletta da fuoco a margininon ripiegati, e il bran<strong>di</strong>nale, l’alare dove siappoggiava il ferro rovente (TONETTI, 1894, pp.66, 317; MOLINO, 1985, p. 56).A partire dal Cinquecento le citazioni <strong>di</strong>vengonofrequenti. Nell’inventario dei beni degli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong>Giovanni Francesco <strong>di</strong> Vogna, redatto nel 1548,sono citati “brandale unum cum ferris tribus amigliazio” (Briciole…, p. 227). Nell’inventario del1591 riguardante i beni degli ere<strong>di</strong> d’AntonioGiadolli del Solivo <strong>di</strong> Fervento compaiono paria2 ferri a miliazzi e ben nove brandali a miliazzi(sASVa, FNV, b. 8937).Nel Settecento i ferri compaiono in quasi tutti gliinventari dell’alta valle. In questo periodo il valore<strong>di</strong> un servizio completo, costituito da ferri damiliazie <strong>con</strong> varola e bran<strong>di</strong>nale, era in<strong>di</strong>cato in 4lire (RAGOZZA, 1983, pp. 129-130).In bassa val Sermenza un para ferri <strong>di</strong> migliazzocompare nell’inventario del 16 marzo 1717dell’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Marco Avondetti <strong>di</strong> Guaifola(sASVa, FNV, b. 657) e nell’inventariodell’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Giovanni Pietro Lancia dei Ronchi<strong>di</strong> Boccioleto, il 10 marzo 1794 sono elencati liferri da miliazzo <strong>con</strong> suo bran<strong>di</strong>nale e varola(sASva, FNV, b. 12542).In alta val Sermenza, nell’inventario <strong>di</strong> MargheritaLancina <strong>di</strong> San Giuseppe del 10 maggio 1793erano compresi una palletta per levare ilmigliazzo e li ferri da miliazzo <strong>con</strong> bran<strong>di</strong>nale evarola (sASVa, FNV, b. 12540); A Rima i ferridelle miacce compaiono negli inventari <strong>di</strong>Guglielmo appellato Job (metta de ferri delmigliazzo, 1706, sASVa, FNV, b. 8983) e <strong>di</strong> AnnaMaria Bastucchi, vedova Axerio (una cattena da56


fuoco <strong>con</strong> li ferri dal migliazzo, bran<strong>di</strong>nale evarola, 1752, ASPRm, b. 134) 79 .In val Vogna ferri da migliaccio col suobran<strong>di</strong>nale compaiono in un inventario del 1709(RAGOZZA, 1983, p. 129). In data 26 luglio 1778,fra i beni <strong>di</strong> Maria Domenica Cengo <strong>di</strong> Rimella,troviamo un paja <strong>di</strong> ferri per i migliacci (sASVa,FNV, b. 5446).L’attrezzo era presente anche nelle case deiparroci; nel 1737 compare tra i beni <strong>di</strong> donAntonio Ferraris ad Alagna (RAGOZZA, 1983, p.132).I ferri attualmente più utilizzati, prodotti daartigiani locali, sono costituiti da due pesantipiastre circolari incernierate e sostenute da duelunghi manici. Ma gli utensili più antichi, ancorapresenti in molte case valsesiane, erano costituitida due piastre rettangolari, separate, che venivanoappoggiate su un apposito supporto.I ferri da miacce e gli altri utensili citati negliinventari cinquecenteschi erano probabilmenterealizzati nelle fucine documentate in alcunelocalità valsesiane. I ferri censiti a Riva ed Alagnaprovenivano probabilmente dalle officine cheproducevano ribebbe ed attrezzi in ferro a Mollia eRiva. La produzione è documentata a partire dal1524 (sASVa, FCa, b. 15, c. 271), ma la presenza<strong>di</strong> fucine in questo tratto della valle doveva risalirealmeno al secolo precedente, quando è attestato iltoponimo Piana Fuseria (1433, sASVa, FCa, b. 15,c. 67).I ferri documentati nelle valli Egua e Sermenzapotevano invece provenire da una fucinadocumentata a Boccioleto nel 1566 (sASVa, FNV,b. 10439; FANTONI, 2001, p. 80).Nell’Ottocento le miacce erano descritte nellepagine dell’Almanacco Valsesiano, erano citatenelle poesie <strong>di</strong>alettali ed erano ricordate nellacorrispondenza degli emigranti 80 . In una lettera del26 agosto 1927 dalla Francia, Pietro Rimellascrivevava alla sorella Marta ad Alagna che alcunicompaesani gli avevano “dato da mangiaremigliuca fatti coi ferri <strong>di</strong> quegli stessi che tu haiche fanno la forma <strong>di</strong> fiori <strong>con</strong> tanti quadrettini” echiude la frase affermando, sod<strong>di</strong>sfatto, che “è la79 A Rima la millatsch era celebrata anche in una poesia<strong>di</strong> Piaru Axerio (MORNESE, 1995, p. 118).80 I ferri, nella tra<strong>di</strong>zione popolare, avevano anchecapacità <strong>di</strong>vinatorie. Nelle sue note sui pregiu<strong>di</strong>zipopolari in Valsesia l’abate CARESTIA (s.d., p. 17)scriveva che la posizione che assumevano i grani <strong>di</strong><strong>di</strong>versi cereali durante la torrefazione il 1 gennaioin<strong>di</strong>cava le loro variazioni <strong>di</strong> prezzo nel corsodell’anno: se venivano verso il cucinatore sarebbero<strong>di</strong>minuiti, se andavano in <strong>di</strong>rezione opposta sarebberoaumentai.prima volta che mangio migliuca in Francia”(APe).Cinquecento anni dopo la loro prima attestazioneprosegue la produzione <strong>di</strong> questi utensili, chefortunatamente non sono relegati a reperti museali.Ad inizio Novecento erano celebrate dai poeti<strong>di</strong>alettali e costituivano già la principale attrattivagastronomica delle feste valsesiane. Ne è unesempio il ruolo centrale sostenuto ad una festa <strong>di</strong>Carnevale della Famiglia valsesiana <strong>di</strong> Milanonelò 1925 (Corriere Valsesiano, 28 febbraio1925), quando costituirono il piatto unico dellaserata e furono celebrate da alcune sestine<strong>di</strong>alettali lette dall’avvocato Vigna. Alcuni anniprima erano state celebrate da un’altra poesia <strong>di</strong>Cesare Frigiolini (E ciò lu go<strong>di</strong> voiauti matacci,go<strong>di</strong> in gremma, i barguulli, i miacci).Le miacce <strong>con</strong>tinuano ad essere prodotte in tutte lelocalità valsesiane e sono costantemente propostein quasi tutte le feste tra<strong>di</strong>zionali ed il prodotto,proprio per l’antica attestazione documentaria<strong>con</strong>iugata alla recente affermazione commerciale,potrebbe essere assunto ad emblema gastronomicodella valle 81 .RingraziamentiSi ringraziano Alfredo Papale, per la segnalazionedei documenti relativi alla presenza <strong>di</strong> ferri per lapreparazione delle miacce in alcuni inventarisettecenteschi, e Piera Mazzone, per lasegnalazione delle pagine del Corriere Valsesianoin cui compaiono poesie e cronache in cui sonopresenti le miacce.81Nella Deliberazione della Giunta Regionale 15 aprile2002 nr. 46/5823 (“in<strong>di</strong>viduazione elenco aggiornatodei prodotti agroalimentari del Piemonte” ai sensidell’art. 8 del Digs. 30 aprile 1998, n. 1739) tra le“paste fresche e prodotti della panetteria, dellabiscotteria, della pasticceria e della <strong>con</strong>fetteria”,compaiono le “miacce” valsesiane e le “miasse”canavesane. Nella scheda allegata la ricetta delle primeè basata sulla farina bianca e sull’uso degli strumentirecenti; la ricetta delle se<strong>con</strong>de <strong>con</strong> farina <strong>di</strong> granoturcoe strumenti tra<strong>di</strong>zionali.57


DEGUSTAZIONE DI PRODOTTI ALIMENTARI VALSESIANIa <strong>cura</strong> <strong>di</strong> <strong>Johnny</strong> <strong>Ragozzi</strong>ALLEVAMENTO E CERALICOLTURALe produzioni alimentari delle comunità valsesianede<strong>di</strong>te ad allevamento e cerealicoltura eranocostituite essenzialmente dai generi lattiero-casearie dal pane. La trasformazione casearia, già attestatain età tardome<strong>di</strong>evale (FANTONI, questo volume,pp. 44-52), è proseguita sino ai nostri giorni, <strong>con</strong>lavorazione e commercializzazione eseguite dallesingole aziende agricole o da <strong>con</strong>sorzi locali.La panificazione è proseguita sino a tempirelativamente recenti (REGIS E SASSO, questovolume, pp. 26-32) e solo <strong>con</strong> il Novecento èiniziata l’introduzione in valle <strong>di</strong> pane provenienteda lavorazioni industriali. Recentemente sono peròricomparsi produttori artigianali che hannoriscoperto produzioni autoctone e <strong>di</strong>fferenziate,recuperando i cereali originariamente <strong>di</strong>ffusi sulterritorio.L’olio <strong>di</strong> noci costituisce l’unico grasso vegetaleutilizzato nella cucina valsesiana (SASSO, questovolume, pp. 53-54). La sua produzione èattualmente limitata ad un ambito famigliare. Laproduzione <strong>di</strong> miele è invece ancora ampiamente<strong>di</strong>ffusa in valle.Una goccia <strong>di</strong> olio <strong>di</strong> noci ed un cucchiaino <strong>di</strong>miele attribuis<strong>con</strong>o ad una fetta <strong>di</strong> pane o ad unpezzo <strong>di</strong> formaggio un sapore nuovo e delicato. Ivini delle colline vercellesi, area <strong>di</strong> transizione trale valli del Monte Rosa e la Pianura Padana, siaccostano superbamente a questi cibi.I PRODUTTORI DI FORMAGGIOAzienda agricola zootecnica “Brüc” <strong>di</strong> AlessiaCaresana (Carcoforo)L’azienda, attiva fin dai primi anni Cinquanta, hasede in Carcoforo, ove utilizza una superficieagraria <strong>di</strong> circa sessanta ettari <strong>di</strong> terreno. Nel 1997,dopo la ristrutturazione <strong>di</strong> una costruzione dell’alpeBrüc, si trasforma in azienda agrituristica e, nel2001, entra nel regime biologico.Il patrimonio zootecnico dell’azienda è costituito da15 bovini <strong>di</strong> razza pezzata rossa d’Oropa evaldostana, 40 caprini e 10 ovini. L’azienda utilizzai pascoli presso il paese (nel periodo primaverile eautunnale) e quelli dell’alpe Pianelli (1752 m) (nelperiodo estivo).La produzione lattiero-casearia è costituita da toma<strong>di</strong> Carcoforo, tomini <strong>di</strong> capra freschi e stagionati,burro, ricotta fresca e affumicata; se<strong>con</strong>do unatra<strong>di</strong>zione del paese viene inoltre fatto il salagnün,un formaggio fresco mescolato <strong>con</strong> spezie ed erbearomatiche sapientemente dosate stagionato inmastelli <strong>di</strong> legno.Azienda agricola <strong>di</strong> Alessia CaresanaLocalità Casa del Ponte, 113026 Carcoforo (VC) 0163 95600Azienda agricola <strong>di</strong> Agnese <strong>Ragozzi</strong> (Vocca)L’azienda, attiva dal 1986, ha attualmente sede inVocca. Il patrimonio zootecnico dell’azienda ècostituito da 30 bovini <strong>di</strong> razza pezzata rossad’Oropa e bruna alpina, 6 caprini e 80 ovini.L’azienda utilizza il pascolo primaverile delle Piane<strong>di</strong> Rossa mentre in estate frequenta gli alpeggiGiacc, Passone e Busacca del Passone in vald’Egua (Carcoforo).La produzione lattiero-casearia è costituita da toma<strong>di</strong> Carcoforo, burro, ricotta fresca e affumicata, esalagnün, un formaggio fresco mescolato <strong>con</strong>spezie ed erbe aromatiche sapientemente dosatestagionato in mastelli <strong>di</strong> legno.Azienda agricola <strong>di</strong> Agnese <strong>Ragozzi</strong>Località Isola, 1013026 Vocca (VC) 3288121437I PRODUTTORI DI PANEAzienda artigianale <strong>di</strong> panificazione “Vulaiga”(Fobello)L’azienda sperimenta impasti a lievitazionenaturale per pagnotte celebri anche fuori dell’Italia.Eugenio Pol, dopo anni <strong>di</strong> lavoro ai fornelli del suoristorante, ha deciso <strong>di</strong> cambiare vita e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventaremastro panificatore. È un vero artigiano dallospirito ecologista ritiratosi in Valsesia, persperimentare lieviti e farine nel giusto microclima e<strong>con</strong> a <strong>di</strong>sposizione un ingre<strong>di</strong>ente d’eccellenza:l’acqua pura <strong>di</strong> sorgente, povera <strong>di</strong> sali e perfettaper non alterare i processi fermentativi dei cerealimacinati e impastati. Pol lavora a Fobello, quasi amille metri sul livello del mare, ed è così bravo cheè <strong>di</strong>ventato famoso anche all’estero. Le suepagnotte sono <strong>di</strong>stribuite ad<strong>di</strong>rittura in Giapponeperché grazie alla lievitazione naturale <strong>di</strong> cui Pol èmaestro il pane vive a lungo. Basta <strong>con</strong>fezionarlonel cartene, un involucro traspirante che trattiene


l’umi<strong>di</strong>tà. E infatti è proprio questo il plus dellaproduzione dell´eremita Eugenio: adopera solopasta madre, ovvero farina e acqua lasciatifermentare, per far gonfiare le sue pagnotte da duechili. Come si faceva un tempo e come oggi nonaccade quasi più. Inoltre, ban<strong>di</strong>ti i lieviti <strong>di</strong> birra etutti gli ad<strong>di</strong>tivi chimici, nel forno <strong>di</strong> Eugenioentrano solo ingre<strong>di</strong>enti biologici. Di questalavorazione, antica come l’uomo, vanno fieri iclienti fedelissimi <strong>di</strong> Eugenio: negozi biologici eristoratori eccellenti del calibro <strong>di</strong> Aimo e Na<strong>di</strong>a oMassimiliano Alajmo che per accompagnare i loromanicaretti hanno scelto il pane <strong>di</strong> Fobello. Così ilprode mastro panettiere ogni settimana carica la suagrande auto tutta infarinata e scende a valle per<strong>con</strong>segnare la merce tra Domodossola e Milano."Per il lungo raggio mi affido ai corrieri così miresta più tempo per sperimentare nel mio piccololaboratorio, il Vulaiga che nel <strong>di</strong>aletto localesignifica: neve a fiocchi ra<strong>di</strong>. E da me, <strong>con</strong> tutta lafarina che volteggia nell’aria, sembra proprio chenevichi sempre, adagio". La tecnica <strong>di</strong>panificazione naturale richiede molta<strong>con</strong>centrazione. Ogni volta, infatti, il risultatocambia perché la pasta madre è viva e sensibileall’umi<strong>di</strong>tà dell’aria, alla temperatura dell’acqua eanche a quella delle mani. Ma il risultato per ilpalato è insuperabile. Non solo, questa è unalavorazione "etica" perché a sostegno dellabio<strong>di</strong>versità. Infatti <strong>con</strong>sente a lieviti e batterispecifici, cui si deve l’originalità <strong>di</strong> ciascun pane, <strong>di</strong>sopravvivere. Sono milioni, <strong>di</strong>versi da luogo aluogo e a quanto pare quelli <strong>di</strong> Fobello sonodavvero insuperabili.Azienda artigianale <strong>di</strong> panificazione “Vulaiga”Via Pizzetti, 22Fobello (VC) 0163 55901I PRODUTTORI DI MIELEApicoltura Strena – Apiario, regione Mongo(Quarona)L’azienda apistica, <strong>di</strong> livello poco più chehobbistico, è ubicata al centro della verde Valsesia,dove le nostre laboriose api, bottinano una floraancora immune dall’inquinamento. Con lospostamento <strong>di</strong> pochi chilometri degli alveari, sia avalle che a monte, vengono prodotte <strong>di</strong>verse qualità<strong>di</strong> miele: in pianura acacia, nella bassa valle(Quarona) castagno, in alta valle tiglio e, nelleannate favorevoli, rododendro.Apicoltura Sterna <strong>di</strong> Alfredo Sterna ed Enrico ZoiaAlfredo SternaVia B. Garibal<strong>di</strong>, 43/c13019 Varallo Sesia (VC) 0163 52712Enrico ZoiaVia Mazzini, 2813017 Quarona (VC) 0163 431112Associazione Apicoltori della Provincia <strong>di</strong> Vercelli(già Associazione Comprensoriale Apicoltori dellaValsesia-Valsessera fondata nel 1980)Viale Varallo, 3513011 Borgosesia (VC)I PRODUTTORI DI OLIO DI NOCILe famiglie <strong>di</strong> Scopello e PilaLa produzione <strong>di</strong> olio <strong>di</strong> noci in Valsesia èattualmente limita ad alcune famiglie <strong>di</strong> Scopello e<strong>di</strong> Pila, che ne produ<strong>con</strong>o circa 10-15 litri perauto<strong>con</strong>sumo e piccoli barattiI PRODUTTORI DI VINOAzienda vitivinicola Nervi (Gattinara)L’azienda vitivinicola, fondata nei primi anni delNovecento da Luigi Nervi e rilevata nel 1991 dallafamiglia Bocciolone <strong>di</strong> Valduggia, è attualmenteuna delle più importanti realtà operanti nel campoproduttivo e commerciale del vino <strong>di</strong> Gattinara.Il 30%, dell’intera zona collinare a<strong>di</strong>bita a vignetoper il Gattinara DOCG (circa 33 ettari) è <strong>di</strong>proprietà azienda; all’interno della proprietà sitrova fra l’altro l’intera zona dei rinomati vigneti“Molsino”.Le antiche cantine e gli stabili ottocenteschidell’azienda sono situati alle porte della citta<strong>di</strong>navercellese e rappresentano il cuore del processoproduttivo e selettivo dei vini, il punto <strong>di</strong> arrivo <strong>di</strong>una lunga e sapiente opera <strong>con</strong>dotta a regola d’arte,nel pieno rispetto della tra<strong>di</strong>zione secolare. Qui leuve nebbiolo vengono immagazzinate, pigiate, fattefermentare in appositi tini <strong>di</strong> rovere ed infine fatteriposare per almeno tre anni nelle botti <strong>di</strong> rovere <strong>di</strong>Slavonia a<strong>di</strong>bite all’invecchiamento. I risultatiproduttivi e commerciali sono ben delineati: ilrispetto e la <strong>cura</strong> per la terra e le vigne all’insegna<strong>di</strong> una qualità unica, prima <strong>di</strong> tutto le uve,unitamente ad una gamma <strong>di</strong> prodotti altamenteselezionati <strong>con</strong>sentono una costante ricerca delgiusto equilibrio tra rinnovamento e tra<strong>di</strong>zione.Azienda Vitivinicola Nervic.so Vercelli, 11713045 Gattinara (VC) 0163 83322859


GUIDA AD UN’ESCURSIONE DA CARCOFOROAGLI ALPEGGI DELLA VAL D’EGUA


GUIDA AD UN’ESCURSIONE DA CARCOFORO AGLI ALPEGGI DELLA VAL D’EGUA<strong>Roberto</strong> <strong>Fantoni</strong>, <strong>Johnny</strong> <strong>Ragozzi</strong> e Marino Sesone<strong>con</strong> la collaborazione della sezione CAI <strong>di</strong> BoffaloraCARCOFOROL’ingresso in paese (1305 m) è costituitodall’Arco della Buona Accoglienza, una portadell’abitato estremamente insolita in un centromontano, forse eretta in emulazione della portacostruita pochi anni prima all’ingresso <strong>di</strong> Varallo.L’opera fu costruita nel 1743, data riportata alcentro dell’arco, nell’ornato aggiunto incorrispondenza del restauro che i carcoforinieseguirono nel Novecento, ponendovi a ricordouna targa datata 18 agosto 1929.Gli e<strong>di</strong>fici rurali tardome<strong>di</strong>evaliNella parte inferiore dell’inse<strong>di</strong>amento (in fondoalla Villa) è presente un e<strong>di</strong>ficio in legno chepresenta il colmo parallelo alla linea <strong>di</strong> massimapendenza e il fronte esposto a sud (FANTONI,2001a, p. 49) 82 . La base in pietra e il pianosuperiore in grossi tronchi non squadrati sonoseparati da un’intercape<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> circa 60 cm,realizzata tramite una serie <strong>di</strong> pilastrini, chesostengono la travatura del pavimento del pianosuperiore, allineati sui due lati del block-bau. Ipilastrini sono costituiti dalla base <strong>di</strong> grossitronchi lavorati ad accetta a dare elementi svasativerso il basso, <strong>con</strong> pianta <strong>di</strong> 35 x 20 cm.L’accesso al piano basale avviene attualmente dallato E, <strong>con</strong>tiguo ad una delle vie principali delpaese, verso cui è stata anche prolungata unatettoia in lamiera ad estendere il portico, attraversouna porta <strong>di</strong> recente apertura.Il loggiato avvolge i quattro lati dell’e<strong>di</strong>ficio; inposizione frontale è articolato in quattro moduli(1+2+1). Attualmente piedritti e pertichepresentano un estremo <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, frutto <strong>di</strong>sistemazioni occasionali. L’accesso avviene sullato a monte (N) me<strong>di</strong>ante una breve scala a tregra<strong>di</strong>ni. Sul lato ovest due larghe porte nel blockbau<strong>con</strong>sentono l’accesso al locale destinato a82Nella stessa parte dell’inse<strong>di</strong>amento, incorrispondenza dell’e<strong>di</strong>ficio attualmente presente a SEdell’abside della chiesa parrocchiale, esisteva sino allase<strong>con</strong>da guerra una costruzione <strong>con</strong> il piano superiorein cui era <strong>con</strong>servato sul lato ONO la struttura lignea.La casa era nota come ca d’Tossu (casa del tessitore).fienile. La struttura del tetto è costituita da 5 travisimmetriche rispetto al colmo.L’e<strong>di</strong>ficio è attualmente utilizzato unicamente <strong>con</strong>funzione rurale, <strong>con</strong> stalle e gabbie per piccolianimali al piano inferiore e fienile al pianosuperiore.In questo tipo <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici la presenza <strong>di</strong>un’intercape<strong>di</strong>ne preservava dall’umi<strong>di</strong>tà delterreno i locali destinati all’essicazione e alla<strong>con</strong>servazione delle risorse agricoleL’intercape<strong>di</strong>ne è invece assente negli e<strong>di</strong>ficipolifunzionali, per <strong>con</strong>sentire al primo pianoligneo, destinato alle camere, <strong>di</strong> sfruttare il caloreproveniente dal fuoco e dagli animali presenti alpiano inferiore 83 .Il giar<strong>di</strong>no del parrocoA destra, lungo la via principale che risalel’abitato, è presente l’oratorio <strong>di</strong> Santa Maria delleGrazie e la vecchia casa parrocchiale. L’e<strong>di</strong>ficio eil suo giar<strong>di</strong>no furono ristrutturati nel Settecentodal parroco Pietro Maria Allegra 84 (fig. 17). Al83E<strong>di</strong>fici rurali caratterizzati dalla presenza <strong>di</strong>un’intercape<strong>di</strong>ne tra il piano inferiore in pietra e quellosuperiore in legno sono presenti a Tetto (val Cavaione),Ca Ravotti (alta val Sermenza), Dorca (val d’Egua),Oro, Riva, Vogna sotto e Selletto (val Vogna), Goreto,Merletti e Ronco superiore (Alagna). Per ulterioridettagli si rimanda a FANTONI (2001a, pp. 22-24; <strong>con</strong> la<strong>di</strong>scussione sulla separazione delle funzioni neglie<strong>di</strong>fici più antichi alle pp. 68-69).In tutti gli e<strong>di</strong>fici valsesiani l’intercape<strong>di</strong>ne è creata <strong>con</strong>semplici piedritti, senza la lastra <strong>di</strong> pietra sovrastanteche caratterizza invece la maggior parte degli e<strong>di</strong>ficipresenti nella valli a<strong>di</strong>acenti a quelle del Sesia.84 La singolarità del giar<strong>di</strong>no della casa parrocchiale,trasformato dall’Allegra, venne <strong>con</strong>servata dai parrocisuoi successori. Un secolo dopo la sua ristrutturazioneil giar<strong>di</strong>no riscuoteva ancora l’ammirazione <strong>di</strong> unviaggiatore inglese, il rev. King, che visitandoCarcoforo nel 1855 scriveva: ero stato colpito dal suogiar<strong>di</strong>no quando entrammo a Carcoforo, ed egli fugiustamente orgoglioso <strong>di</strong> mostrarcelo. Sebbene fossemolto piccolo, esso era magnificamente tenuto, e<strong>di</strong>mostrava una notevole perseveranza <strong>con</strong>tro lasfavorevole combinazione <strong>di</strong> clima e posizione. …L’intero luogo era tenuto nel più lindo or<strong>di</strong>ne, e <strong>cura</strong>toda lui stesso; e ogni parte <strong>di</strong> esso mostrava abilitàpratica e inventiva, <strong>con</strong> una attenzione per la como<strong>di</strong>tàdomestica più inglese <strong>di</strong> quanto avevamo in<strong>con</strong>trato63


termine della ristrutturazione fece <strong>di</strong>pingere soprala porta <strong>di</strong> accesso al giar<strong>di</strong>no della casaparrocchiale la scena arca<strong>di</strong>ca <strong>con</strong> un motto tuttorapresente, facendo riportare il suo nome e l’anno <strong>di</strong>immissione in possesso della <strong>cura</strong> della parrocchia(1734 A… 16 R.P.P Allegra).Fig. 17 – L’orto del parroco in un’incisione <strong>di</strong>Eugenio Rappa <strong>di</strong> fine OttocentoLa ricezione alberghiera ottocentescaRisalendo lungo la via centrale si supera, a destra,la chiesa parrocchiale de<strong>di</strong>cata a Santa Croce, e sigiunge ad una piazza su cui si affacciava uno deglialberghi attivi a Carcoforo nell’Ottocento.Il paese era inserito negli itinerari seguitinell’Ottocento dai viaggiatori inglesi impegnati inlunghi viaggi attorno al Monte Rosa (CERRI eCREVAROLI, 1998).Il reverendo protestante Samulel K. King (1821-1868) 85 visitò Carcoforo nel 1855, lasciandone ladescrizione nella sua opera pubblicata a Londradall’e<strong>di</strong>tore Murray nel 1858: Italian valley of thePennine Alps: a tour trough all the romantic andless frequented “Vals” of Northern Piedmont fromthe Tarentaise to the Gries. Giunse a Carcofororisalendo la valle da Rimasco e proseguì perFobello attraverso il Colle d’Egua: entrammo nelvillaggio attraverso un rozzo ponte, per uningresso ad arco quasi pretenzioso; il pulito,fiorente aspetto dell’angusta e irregolare stada cialtrove (KING, 1858, in CERRI e OSELLA CREVAROLI,1998, pp. 133-135). Parroco era Martino Ceruti, cheresse la parrocchia dal 1849 al 1856 (ASPCa, b. 123).85 Su King e il suo viaggio attorno al M. Rosa cfr.CERRI e OSELLA CREVAROLI (1998, pp. 99-178).sorpese. … L’intero luogo era tenuto nel più lindoor<strong>di</strong>ne …Per Carcoforo passò, durante il suo se<strong>con</strong>doviaggio nelle Alpi, Jane Freshfield, che seguìl’itinerario <strong>di</strong> King (CERRI e OSELLA CREVAROLI,1998, p. 267). Il 18 giugno 1861 raggiunseCarcoforo Francis Fox Tuckett. Per il paesetransitò nel 1871 anche l’abate Amé Gorret, chedescrisse il passaggio nel suo Viaggio daChattillon a Domodossola (GORRET, 1871, p.256). Tra i visitatori italiani si segnala AchilleRatti, futuro papa Pio XI, che visitò il centro dellaval d’Egua nell’estate 1896 86 .Il passaggio per Carcoforo fu inserito nelleprestigiose guide pubblicate dall’e<strong>di</strong>tore lon<strong>di</strong>neseMurray: Handbook for travellers in Switzereaalndand the Alps of Savoy and Piedmont, pubblicata in19 e<strong>di</strong>zioni dal 1838 al 1914 87 . La guida segnalavala presenza <strong>di</strong> un albergo; nell’e<strong>di</strong>zione del 1858si <strong>di</strong>ceva che benchè rustico era abbastanza buonoper dormirvi; in quella del 1861 veniva invecedefinito un povero albergo, ma non troppomalvagio. In un’altra guida John Ball nel 1863scriveva che l’albergo era migliore <strong>di</strong> quello <strong>di</strong>Rimasco e che sarebbe stato ulteriormentemigliorato (traduzione in CERRI e CREVAROLI,1998, p. 68). Nel <strong>di</strong>ario della sua visita del 18giugno 1861 Francis Fox Tuckett descriveva una“graziosa piccola locanda, un gioiellod’albergatore, abbondanza <strong>di</strong> latte fresco edeccellente vino d’Asti”. La moglie Elisabeth,scriveva invece <strong>di</strong> aver trovato <strong>con</strong> sorpresa “unpiccolo cabaret molto accogliente, tenuto da uncerto Pietro Bertolini. Si possono ottenere buonvino, latte, formaggio, miele, pane e due letti e,cosa <strong>di</strong> gran lunga migliore, grande educazione evera pulizia” (traduzione in CERRI e CREVAROLI,1998, pp. 251-252).Il passaggio per Carcoforo era <strong>con</strong>sigliato anchenelle guide italiane; VALLINO (1878, p. 8)scriveva: chi fa il giro del Monte Rosa, invece deltragitto Alagna-Macugnaga, scelga il tragittoAlagna-Rima-Carcoforo-Macugnaga.MONTANARO, nella sua Guida per viaggi alpininella Valsesia (1867, p. 81), citava una albergo <strong>di</strong>proprietà <strong>di</strong> Pietro Bertolini. Pochi anni dopo èdocumentata l’Osteria del Monte Moro, riprodottain un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Vallino raccolto nell’Album <strong>di</strong> unAlpinista pubblicato nel 1878 (fig. 18) e citatadall’abate GORRET (1871, p. 256) e da BOBBA eVACCARONE, nella loro Guida delle Alpi86 La data è riportata nella targa datata 18 agosto 1929collocata sull’arco della Buona Accoglienza.87 Il passaggio per Carcoforo è descritto nell’itinerario123 (traduzione in CERRI e CREVAROLI, 1998, p. 44-47).64


Occidentali (1896, v. II p. II, sez. 3, p. 465).TONETTI (1895, p. 342) lo descrive come un<strong>di</strong>screto albergo 88 .Le case in legno nella parte superioredell’abitatoNella parte centrale dell’inse<strong>di</strong>amento (in mezzo laVilla) è presente un altro e<strong>di</strong>ficio in legno(DEMATTEIS, 1984, f. 18, p. 18; f. 196, p. 102;FANTONI, 2001a, p.49). La parte a montedell’e<strong>di</strong>ficio è visibile in un <strong>di</strong>segno della se<strong>con</strong>dametà dell’Ottocento (VALLINO, 1878; fig. 18).L’e<strong>di</strong>ficio presenta un fronte a schema classico(1+2+1) esposto a sud. Dimensioni e strutturasono simili a quelle dell’e<strong>di</strong>ficio presente nellaparte inferiore dell’abitato ma la costruzione sisviluppa su tre livelli ed è priva <strong>di</strong> intercape<strong>di</strong>ne.Sul lato sud presenta una appen<strong>di</strong>ce al pianobasale, <strong>con</strong> una tettoia che si estende sino alla casaa sud. Presenta due piani inferiori in pietra e pianosuperiore in legno, cir<strong>con</strong>dato da loggiato su 4 lati.L’accesso al loggiato avviene sul lato a monte (N),me<strong>di</strong>ante una breve scala in posizione centrale a 3gra<strong>di</strong>ni. Un’altra scala accede al loggiato sullostesso lato in corrispondenza della galleria lateraledel loggiato. L’accesso al locale superiore avvienedallo stesso lato attraverso un’apertura del blockbauattualmente priva <strong>di</strong> porte; a sinistradell’accesso è presente una piccola finestra. Ipiedritti ai bor<strong>di</strong> del loggiato presentano unaleggera inclinazione verso l’esterno. L’or<strong>di</strong>tura delloggiato è attualmente irregolare e costituitaprevalentemente da pertiche inchiodateinternamente ai piedritti.Nel 1995 il comune <strong>di</strong> Carcoforo ha rifatto il tettoin piode e posto sulla costruzione il vincolo <strong>di</strong>interesse storico ed artistico come casa walser.88 L’esercizio, ancora attivo nel Novecento, è poi citatoin RAVELLI (1924, v. 2, p. 118). Nella Guida pratica ailuoghi <strong>di</strong> soggiorno e <strong>cura</strong> d’Italia de<strong>di</strong>cata alleStazioni del Piemonte e della Val d’Aosta del 1934 siparla <strong>di</strong> Carcoforo come <strong>di</strong> un villaggio frequentato pervilleggiatura; vi compare ancora l’albergo del MonteMoro, aperto tutto l’anno <strong>con</strong> 8 camere e 13 letti. Siregistra inoltre per la prima volta la presenza <strong>di</strong>appartamenti da affittare. BERTARELLI (1940), nelvolume della Guida d’Italia de<strong>di</strong>cata al Piemonte, lo<strong>di</strong>ceva dotato <strong>di</strong> 10 camere. Nell’imme<strong>di</strong>atodopoguerra un altro esercizio si affianca a quelloottocentesco. BURLA e LOVA (1950, p. 160) in<strong>di</strong>canoinfatti la presenza a Carcoforo <strong>di</strong> due alberghi: MonteMoro e Cacciatori.Le guide turistiche degli anni Sessanta registrano lascomparsa del vecchio albergo del Monte Moro. Al suoposto compare un nuovo esercizio, l’albergo VillaRosa, citato nella Guida pratica dei luoghi <strong>di</strong>soggiorno del Touring Club Italiano (1966). L’albergo<strong>di</strong>sponeva <strong>di</strong> 20 camere e 2 bagni. Nello stesso periodoPERETTI e BOSSI (1969, p. 26) fornis<strong>con</strong>o per il nuovoesercizio, <strong>di</strong> IV categoria, in<strong>di</strong>cazioni simili (27camere, 40 letti, 2 bagni. L’albergo fu realizzato neglianni Cinquanta al posto <strong>di</strong> un’antica casa <strong>di</strong> legno(FANTONI, 2001a, p. 48); ricevette nel marzo 1958dall’ente provinciale per il turismo <strong>di</strong> Vercelli unassegnò <strong>di</strong> 1.8 milioni <strong>di</strong> lire nel VII <strong>con</strong>corsoalberghiero (VIETTI, 1958) e, negli anni Ottanta, furistrutturato ed utilizzato come <strong>con</strong>dominio.Nel 1982 erano attivi a Carcoforo due punti <strong>di</strong> ristoro:l’Albergo Ristoro Valsesia, nel centro del paese, e AlLampone, un nuovo bar-ristorante costruito in localitàTetto Minocco.Fig. 18 – La casa in legno e l’osteria del MonteMoro in un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> VALLINO (1878)I segni dell’incen<strong>di</strong>o del 1867La parte superiore dell’abitato (In cima la Villa) fuinteressata dall'incen<strong>di</strong>o del 28 <strong>di</strong>cembre 1863 89 .Tutte le case <strong>di</strong>strutte furono ricostruitecompletamente in pietra e due e<strong>di</strong>fici risparmiatidal fuoco furono ammantati da un rivestimentolitico, al cui interno è ancora osservabile lastruttura in legno.Un e<strong>di</strong>ficio presenta il piano superiore in grossitronchi (analoghi a quelli degli altri e<strong>di</strong>fici)rivestito esternamente in pietra. La costruzione haorientamento, <strong>di</strong>mensioni e struttura uguale aquella dei due e<strong>di</strong>fici descritti in precedenza.89 L’incen<strong>di</strong>o fu appiccato da Pietro Giovanni Josti,appena rientrato in paese dopo aver s<strong>con</strong>tato una pena<strong>di</strong> sei mesi nel carcere <strong>di</strong> Varallo. L’incen<strong>di</strong>o bruciòcompletamente una ventina <strong>di</strong> costruzioni. (Il MonteRosa, 1 e 8 gennaio 1864; DIONISOTTI, 1871, p. 33;MANNI, 1980, f. IV, p. 238; DEMATTEIS, 1984, p. 18;G.M., 1989; FONTANA, 1994, p. 133).65


Internamente è ancora presente il legno del blockbausul lato ovest, mentre sul lato est è statorecentemente rimosso; il loggiato oginariamentepresente sul fronte (S) è attualmente chiuso <strong>con</strong>tamponature a graticcio e presenta nuovibal<strong>con</strong>cini esterni. L’accesso al piano superiore,a<strong>di</strong>bito a fienile, avviene ancora attualmente dadue porte sul lato nord. Il piano inferiore eraa<strong>di</strong>bito a cucina, stalla e cantina. Davanti alla casaè ancora ben <strong>con</strong>servata la curte.L’altro e<strong>di</strong>ficio presenta, ancora osservabile, illato N e parte del lato E del piano superiore inlegno in grossi tronchi analoghi a quelli delle altrecostruzioni. Sul lato E è stata aggiunta unaappen<strong>di</strong>ce muraria in corrispondenza della galleriadel loggiato; internamente sono ancora presenti lepareti in legno anche su questi due lati (FANTONI,2001, p. 50).Orti e campiNella parte centrale del paese sono ancoraosservabili gli orti ricavati in alcuni spazi tra lecase, talvolta nei se<strong>di</strong>mi <strong>di</strong> vecchi e<strong>di</strong>fici crollati,se<strong>con</strong>do una tra<strong>di</strong>zione già testimoniata daidocumenti del Cinquecento (FANTONI, 2001).Il versante imme<strong>di</strong>atamente a monte del paesepresenta ancora estesi terrazzamenti chepermettevano l’impianto <strong>di</strong> campi, ancoraosservabile nelle fotografie dell’inizio delNovecento (fig. 19). Lo spazio circostante eradestinato a prato.Fig. 19 - Campi e prati a Carcoforo ad inizioNovecentoI campi sono stati abbandonati ed i prati sonoutilizzati solo parzialmente. Durante l’estate ilcolore evidenzia gli appezzamenti in cui è statoappena praticato lo sfalcio, quelli ancora in attesadel taglio e quelli in cui è tornato l’incolto.La mulattiera a segnavia 122 sale a torrnanti sulversante alle spalle dell’abitato, supera un bottinodell’acquedotto e raggiunge la cappella delletorbe.Nella sottostante gola del torrente Egua era attivauna cava <strong>di</strong> pietra ollare; il materiale era destinatoalla produzione <strong>di</strong> lavecc 90 e alla fabbricazionedelle stufe (localmente note come fornetti)presenti in numerose case <strong>di</strong> Carcoforo (FANTONI,2001, pp. 83-84).LA VAL D‘EGUA 91Superato un ultimo tornante la mulattiera inizia adaddentrarsi nel vallone d’Egua, che da questopunto si presenta in quasi tutta la sua estensione.La mulattiera prosegue poi in leggera salita almargine <strong>di</strong> una selva <strong>di</strong> larici 92 . A destra si separa90 La <strong>di</strong>ffusione dei lavecc è documentata a Carcoforoanche negli atti notarili. In un inventario <strong>di</strong> beni dellafamiglia Peracino del 1568 compaiono lavezialapi<strong>di</strong>bus (sASVa, FNV, b. 8931).91 Numerose guide escursionistiche riportano itinerariparzialmente simili a quello proposto in questa sede(BUSCAINI, 1991; CARLESI, 1979; CARNISIO et al.1990; RAVELLI, 1924; SAGLIO e BOFFA, 1960). Sonode<strong>di</strong>cate esclusivamente a questo settore della Valsesianumerose guide <strong>di</strong> recente realizzazione:- CAI Sezione <strong>di</strong> Varallo (1992), Guida degli itinerariescursionistici della Valsesia vol. 3° Comuni <strong>di</strong> RossaBoccioleto Rimasco Rima S. Giuseppe Carcoforo,Comunità Montana “Valsesia”, pp. 96.- Comunità Montana Valsesia (1982), Parco NaturaleAlta Valsesia. Regione Piemonte, pp. 63.- Parco Naturale Alta Valsesia (1999), Parco NaturaleAlta Valsesia. Itinerari e notizie utili, Novara, pp. 207.La base topografica dell’area è costituita dai fogli 30IV N.O. (Macugnaga), 30 IV N.E. (Bannio), 30 IV S.O.(Rima S. Giuseppe) e 30 IV S.E. (Fobello) della Cartad'Italia alla scala 1:25.000 dell'Istituto GeograficoMilitare. In scala 1:50.000 sono le carte Kompass(foglio 88, Monte Rosa) e IGC (foglio 10, Monte RosaAlagna e Macugnaga). Una base cartograficaaggiornata e dettagliata è costituita dalla Carta Tecnicadella Regione Piemonte (sezioni alla scala 1:10.000,foglio 72050).Un’in<strong>di</strong>cazione aggiornata della rete sentieristica e deirelativi segnavia compare in alcune cartografie recenti.La carta allegata alla “Guida degli itinerariescursionistici della Valsesia”, realizzata dalla sezione<strong>di</strong> Varallo del CAI nel 1992 è riprodotta in scala1:25.000 senza curve <strong>di</strong> livello. Un’altra carta,realizzata nello stesso periodo (“Parco Naturale AltaValsesia Itinerari fauna vegetazione”), utilizza la stessascala e lo stesso tipo <strong>di</strong> rappresentazione.La carta escursionistica allegata alla guida del Parcorealizzata nel 1999 riporta, alla scala 25.000, anche lecurve <strong>di</strong> livello.92 Il bosco era già censito, <strong>con</strong> i numeri d’or<strong>di</strong>ne 170 e171 nella Carta della Valsesia del 1759 ed eracostituito da “piante <strong>di</strong> larice <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro on. 6” (PECO,1989).66


il sentiero che sale nel bosco in <strong>di</strong>rezione dell’alpePassone.Le pasquateSotto la mulattiera si può osservare l’Alpe Brüc(1453 m), che da alcuni anni ospita un’aziendaagrituristica. 93 Questa pasquata compariva in undocumento del 1584 tra i beni <strong>di</strong> Antonio <strong>Ragozzi</strong>(pasquerio del bruch; sASVa, FNV, b. 8937).Poco oltre il sentiero supera il rio Passone, le cuiacque precipitano in cascata in un piccololaghetto, e prosegue entro prati solcati da rigagnoliche talora si allargano ad invadere il pen<strong>di</strong>o. Nelprato sotto il sentiero son presenti le costruzionidell’Alpe Giacc (1523 m) 94 . Sull’altro lato delvallone è possibile osservare, lungo il sentiero chesale dalla località Rivetto, un’altra serie <strong>di</strong>costruzioni rurali (le Piane 1559, m).Brüc, Giacc e Piane sono pasquate, inse<strong>di</strong>amentitemporanei generalmente noti come maggenghi, incui si praticava la fienagione e il pascolo nelperiodo antecedente l’inalpamento.Poco a monte il sentiero si raggiunge l’alpe Caserabianca (1558 m); un’iscrizione nella calce in<strong>di</strong>ca ilprobabile anno <strong>di</strong> ristrutturazione: V1911R.L’alpe EguaA monte delle alpi Giac e Casera bianca inizia ilvasto comprensorio dell’alpe Egua.L’alpe Eygua è citato per la prima volta tra i<strong>con</strong>fini dell’alpe Olocchia in Valle Anzasca in undocumento stipulato a Vogogna il 25 marzo 1372(AZa) (fig. 20).Una serie <strong>di</strong> documenti dei primi decenni delQuatrocento stabilisce l’appartenenza dell’alpealla mensa vescovile <strong>di</strong> Novara (FANTONI eFANTONI, 1995, dd. 9-11). I suoi <strong>con</strong>fini, se<strong>con</strong>doquanto in<strong>di</strong>cato nel processo informativo del 30luglio 1420, erano costituiti ab una parteMacugnagha ab alia alpis Carcofori. L’alpe siestendeva dunque a tutto il vallone d’Egua amonte <strong>di</strong> Carcoforo 95 .93 L’azienda, che ha sede in Carcoforo, sfrutta i pascoli<strong>di</strong> fondovalle nel periodo primaverile ed autunnale edutilizza l’alpe Pianelli nel periodo estivo. Il patrimoniozootecnico è costituito da 15 bovini <strong>di</strong> razza pezzatarossa d’Oropa e valdostana, 40 caprini e 10 ovini.94 Il toponimo, estremamente <strong>di</strong>ffuso in Valsesia, sianell’accezione valsesiana che in quella walser (jatz)deriva dalla voce giac, che ricorre moltofrequentemente nei <strong>con</strong>tratti <strong>di</strong> locazione o <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>alpeggi sin dall’epoca tardome<strong>di</strong>evale, dove compare afianco <strong>di</strong> casere e casoni, <strong>con</strong> rogge e andamenti.95 La restante parte del territorio <strong>di</strong> Carcoforo eracostituita da altri alpeggi appartenenti al Vescovo <strong>di</strong>Novara o a famiglie legate alla mensa vescovile (fig.Fig. 20 – La pergamena del 1372 <strong>con</strong>tenente laprima citazione dell’alpe EguaIl processo del 1420, che coincise <strong>con</strong> la fase <strong>di</strong>trasformazione delle stazioni inferiori d’alpeggioin inse<strong>di</strong>amenti permanenti, ribadì l’incrementodel canone annuo d’affitto del 50%. Gli alpeggidella mensa vescovile <strong>di</strong> Novara in alta Valsesia,erano sfruttati da un <strong>con</strong>sorzio <strong>di</strong> cinque<strong>con</strong>cessionari (Martinolo della Rocca, Giorgio <strong>di</strong>Podogno, Giovanni Manetta, Giacomo Petarelli <strong>di</strong><strong>Ragozzi</strong> e Durio <strong>di</strong> Rima; FANTONI e FANTONI,1995, d. 9). Nel 1425 i <strong>con</strong>cessionari sciolserol’impegno <strong>di</strong> <strong>con</strong>duzione solidale e ripartirono traloro gli alpeggi; l’alpe Egua fu <strong>di</strong>visa in quattroparti assegnate a Giorgio <strong>di</strong> Podogno, Giacomo<strong>Ragozzi</strong>, Durio <strong>di</strong> Rima e Giovanni Manetta (d.20). Due <strong>di</strong> questi <strong>con</strong>cessionari (Giacomo<strong>Ragozzi</strong> e Giovanni Manetta) si stabilirono neinuovi inse<strong>di</strong>amenti fondati in val d’Egua; <strong>di</strong>Giorgio <strong>di</strong> Podogno si persero successivamente letracce; Durio <strong>di</strong> Rima è <strong>di</strong>fficilmente identificabilenegli altri documenti del periodo. Martinolio fuGiovanni Zenda della Rocca, <strong>con</strong>cessionario del21). L'alpe Trasinera, alla destra idrografica delletestata <strong>di</strong> valle, fu <strong>con</strong>cessa nel 1416 a MilanoScarognini (FANTONI e FANTONI, 1995, d. 7). L’alpe <strong>di</strong>Carcoforo, probabilmente corrispondente ai valloni delMassero e della Giovanchera, apparteneva alla famigliaScarognini (d. 7); nel 1462 fu affittata a MilanoPeracino <strong>di</strong> Carcoforo (d. 33). Per una sintesirelativamente aggiornata sulle attestazioni in etàme<strong>di</strong>evale degli alpeggi valsesiani si rimanda aFANTONI e FANTONI, 1995, pp. 22-27, <strong>con</strong> bibliografia).67


<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sfruttamento <strong>di</strong> numerosi alpeggivalsesiani appartenenti a <strong>di</strong>verse signorie laiche edecclesiastiche, non ricevette nel 1425 alcuna quotadell’alpe Egua, ma probabilmente acquisìsuccessivamente le quote <strong>di</strong> Giorgio <strong>di</strong> Podogno o<strong>di</strong> Durio <strong>di</strong> Rima.Questa <strong>di</strong>visione in lotti stabilì una ripartizione in“quartieri” che rimase a lungo nei documentisuccessivi, quando i <strong>con</strong>cessionari affittaronol’alpe a uomini e gruppi <strong>con</strong>sortili <strong>di</strong> Carcoforo.L’assegnazione del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sfruttamento a<strong>con</strong>sorterie <strong>di</strong> valligiani determinò ilfrazionamento territoriale dell’alpe e la <strong>di</strong>visionedegli alpeggi in quote (<strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> erbatici per capi <strong>di</strong>bestiame), <strong>con</strong>sentendo la ripartizione dellacapacità <strong>di</strong> carico del bene tra i rappresentanti <strong>di</strong><strong>di</strong>verse comunità e <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi gruppi <strong>con</strong>sortili.I quattro “quartieri” che insistevano entro i <strong>con</strong>finitradome<strong>di</strong>evali dell’alpe, articolati in <strong>di</strong>versestazioni d’alpeggio, furono utilizzati in modo<strong>di</strong>fferenziato. I <strong>di</strong>scendenti della famiglia <strong>Ragozzi</strong>sfruttavano <strong>di</strong>rettamente il loro lotto; in una<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> beni del 1576 tra i fratelli Silvestro,Cristoforo, Giacomo e Domenico, figli del fuGiovanni Silvestro, compare il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> erbatico<strong>di</strong> 34 vacche e la proprietà <strong>di</strong> casere nelle alpisuper giacio inferiori Eigue, Egua e super selletus(sASVa, FNV, b. 8937). Altrettanto fecero i<strong>di</strong>scendenti della famiglia Manetta, il cui“quartiere” era costituito dall’alpe intus ciletus,che viene citato in un documento del 1524 <strong>con</strong> isuoi <strong>con</strong>fini (l’alpis quarteri de me<strong>di</strong>o Eigue dauna parte e l’alpis Paxoni dall’altra; sASVa, FNV,b. 10368) 96 . I <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> Martinolio dellaRocca, <strong>con</strong>cessionari del quartiere “de me<strong>di</strong>o alpeegua”, affittavano invece il loro lotto ad allevatori<strong>di</strong> Fervento e <strong>di</strong> Carcoforo (1521, 1534, FANTONIe FANTONI, 1995, dd. 57, 69).La <strong>con</strong>cessione del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sfruttamento,permetteva ai coloni la cessione delle loro quote <strong>di</strong>alpeggio (FANTONI e FANTONI, 1995, d. 34); <strong>con</strong>la cessione non scompariva però l'obbligo <strong>di</strong>pagamento del fitto annuo ai <strong>con</strong>cessionari, che<strong>con</strong>tinuarono a riscuotere l’affitto (d. 69).Ad inizio del Seicento anche l’alpe Egua, comealtri fon<strong>di</strong> valsesiani, iniziò ad essere frequentatadai pastori orobici (FANTONI, questo volume, pp.15-20). Nel 1623 un rappresentante della famigliaPreti investì Joannes de Nanis Vallis Brembane96I <strong>con</strong>fini sono ulteriormente dettagliati in undocumento del 1563: ab una parte Alpis de Piovale abalia Alpis de Giaceto et del Corno illorum deJacometo, in summitate culma Vallanzasche, in fundopasqueriu illorum de Regucis (FANTONI e FANTONI,1995, d. 85).territoris Civitatis Bergami delle alpi d'Egua,Piane d'Egua e Staffa (sASVa, FNV, b. 9642).Carcoforo1416, 1417, 1420CarcoforoTrasinera (Zuxinera)1416, 1420 Gatterio1416, 1421Eigua1372, 1413, 1419, 1420Casiverio1416, 1420, 1421FerrateRimascoCapaldosive Castello1413, 1420Ragotis1413, 1419, 1420Dorcatia1420Fig. 21 – Gli alpeggi documentati in etàme<strong>di</strong>evale in val d’EguaNel Seicento il dominio <strong>di</strong>retto era passato allafamiglia Preti <strong>di</strong> Boccioleto 97 , che nel 1687 locedette ai <strong>con</strong>ti Silvestro e Lorenzo Olivieri <strong>di</strong>Torino. Nell’atto <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta erano citati anche gliobblighi del censo perpetuo <strong>di</strong> 28 lire alla mensavescovile d Novara e <strong>di</strong> 3 lire e 8 sol<strong>di</strong> a GerolamoMaria d’Adda, successore dei <strong>di</strong>ritti della famigliaScarognini <strong>di</strong> Varallo. Nel documento siaffermava che l’anno precedente il fondo,comprendente gli “alpi d’Egua, del Ciletto, Pianadell’Orso 98 , Giacci e del Piovale”, <strong>con</strong>tava i <strong>di</strong>ritti97 Sulla famiglia Preti e sul suo rappresentante più noto,il Giacomaccio, cfr. FANTONI e FANTONI (1995, pp. 59-61).98 A Carcoforo il toponimo Piana dell’orso è legato adun'antica tra<strong>di</strong>zione se<strong>con</strong>do cui un'alpigiana si <strong>di</strong>feseda un orso, che riuscì a sfondare l'uscio <strong>di</strong> casa,accecandolo <strong>con</strong> un tizzone ardente; l'animale andò amorire nel pascolo nella valle del Pissone che da alloraricorda in un toponimo l’episo<strong>di</strong>o. In realtà nelterritorio <strong>di</strong> Carcoforo la toponomastica legata allapresenza dell’orso è antica e persistente nel tempo. Laprima attestazione compare in una nota inserita in uninventario <strong>di</strong> beni del 1570, in cui era citato un pra etcampo donta se <strong>di</strong>s a campo da lorso (ASVa, FNV, b.8937). In un documento del 1576 relativo all’alped’Egua compare il toponimo ad brusà d’orso nel luogode Planis (ASVa, FNV, b. 8937). Il toponimo Pianadell'Orso è poi presente in un atto del 20 febbraio 168768


d’erbatico <strong>di</strong> ben 125 capi bovini ed era statoaffittato a <strong>di</strong>versi <strong>con</strong>duttori <strong>di</strong> Carcoforo per uncanone complessivo <strong>di</strong> 642 lire (RIZZI, 1994, p.43).carità , che operava unitamente all’Ospedale <strong>di</strong>san Carlo.Nei secoli successivi l’alpe d’Egua <strong>con</strong>tinuò adessere frequentato dagli alpigiani locali e daipastori <strong>di</strong> pecore provenienti dal BielleseMacero1562Fornetto1562Zovenchera1562Tersinera1562Giacet1576Passone1576Ciletto1563Giac1576CarcoforoPiovale1563Egua1563Selletto1576Le stazioni inferiori d’alpeggioIl sentiero a segnavia 122 supera il rio Ciletto eraggiunge l’alpe Piovale (1637 m), costituito dauna mezza dozzina <strong>di</strong> costruzioni <strong>di</strong>stribute suidue lati della mulattiera. L’alpe costituiva, ecostituisce tuttora, la stazione inferiore delcomprensorio Piovale-Egua e ogni titolare <strong>di</strong><strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> erbatico vi possedeva una casera.Sull’architrave <strong>di</strong> una <strong>di</strong> queste è visibilel’iscrizione a colore Festa Francesco.Fig. 22 - La frammentazione cinquecentesca deigran<strong>di</strong> alpeggi me<strong>di</strong>evali <strong>di</strong> Carcoforo (Trasinera,Carcoforo ed Egua).Negli anni successivi l’alpe fu oggetto <strong>di</strong> nuovipassaggi <strong>di</strong> proprietà. Con atto del 16 gennaio1750 fu infatti venduta dal <strong>con</strong>te Gaetano e daisuoi cugini Antonio e Giovanni Castellani <strong>di</strong>Borgosesia al teologo Giovanni Battista Gianoli 99<strong>di</strong> Campertogno per 21,250 lire imperiali. Le alpifurono poi lasciate dal Gianoli alla Congregazione<strong>di</strong> Carità <strong>di</strong> Campertogno, se<strong>con</strong>do le <strong>di</strong>sposizioni<strong>con</strong>tenute nel testamento del 21 giugno 1749rogato dal notaio Lambertengo <strong>di</strong> Milano(TONETTI, 1891, s. IV, p. 133) 100 . Dopo la suamorte, avvenuta nel 1750, l’ere<strong>di</strong>tà fu oggetto <strong>di</strong>un <strong>con</strong>tenzioso legale che si risolse solo nel 1789(MOLINO, 2006, p. 108, 123) ed il lascito venneaccolto solo nel 1804 (PECO, 1993, p. 201). L’alpefu successivamente gestita dalla Congregazione <strong>di</strong><strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta dell'alpe Egua. Nella Carta topografica inmisura della valle <strong>di</strong> Sesia del 1759 (PECO, 1989)compaiono lungo il crinale che separa il vallone dellaGiovanchera da quello del Pissone i toponimi Cimadell'Orso e Piana dell'Orso. Sulla presenza dell’orso inValsesia cfr. FANTONI (2002a).99Il teologo apparteneva ad una delle principalifamiglie <strong>di</strong> Campertogno, de<strong>di</strong>te all’attività mercantilein valle ed a Milano (TONETTI, 1891, s. IV, pp. 132-134; SITZIA e SITZIA, 2001).100 DE VECCHI (2002, p. 10) riporta che il Gianoliacquistò beni per 27.000 lire e lasciò un quarto delpatrimonio alla manutenzione della chiesa parrocchiale,un quarto all’Ospedale <strong>di</strong> S. Carlo, un quarto ai poverie un quarto per la fondazione <strong>di</strong> una cappellania nellafrazione Piana per il bene spirituale dei frazionisti e perl’insegnamento scolastico dei ragazzi poveri.Il rifugio della sezione CAI <strong>di</strong> BoffaloraAlcune centinaia <strong>di</strong> metri sopra l’alpe è presente ilrifugio “G.Paolo Majerna” della sezione CAI <strong>di</strong>Boffalora (1685 m).L’e<strong>di</strong>ficio fu costruito dal comune <strong>di</strong>Campertogno, proprietario dell’alpe negli anniCinquanta del Novecento; l’e<strong>di</strong>ficio non fu maiutilizzato dai pastori, che preferirono <strong>con</strong>tinuaread utilizzare le vecchie casere dell’alpe Piovale.Nel 1981 la sezione CAI <strong>di</strong> Boffalora stipulò un<strong>con</strong>tratto decennale <strong>con</strong> il comune <strong>di</strong>Campertogno e il 15 marzo <strong>di</strong> quell’annoiniziarono i lavori <strong>di</strong> ristrutturazione; il rifugio fuinaugurato il 19 luglio dello stesso anno ed ilgiorno seguente fu aperto al pubblico. Il <strong>con</strong>trattofu successivamente rinnovato <strong>con</strong> cadenzadecennale.La struttura centrale è composta da un salone,a<strong>di</strong>bito a sala da pranzo ed un locale a<strong>di</strong>bito acucina; al piano superiore sono presenti duecamere <strong>con</strong> 30 cuccette ed un bagno. A<strong>di</strong>acentealla cucina, <strong>con</strong> un ingresso in<strong>di</strong>pendente, èpresente il locale invernale (<strong>con</strong> 5 posti letto, unastufa e una dotazione <strong>di</strong> base <strong>di</strong> stoviglie). Sulretro della struttura principale si trova l’e<strong>di</strong>ficiooriginariamente destinato alle stalle, composto dadue vani; uno è a<strong>di</strong>bito a deposito e <strong>di</strong>spensa;l’altro a sala giochi per i ragazzi. Sul fondo dellestalle sono state ricavate altri due servizi <strong>con</strong>doccia. Il fienile sovrastante è stato a<strong>di</strong>bito adormitorio.Il rifugio <strong>di</strong>spone complessivamente <strong>di</strong> 49 postiletto in cuccette in camerate ubicate nella strutturacentrale e nel caseggiato a<strong>di</strong>acente; i servizi sonodotati <strong>di</strong> doccia <strong>con</strong> acqua calda. L’energiaelettrica è fornita da pannelli solari e da ungeneratore a gasolio.Il rifugio rimane aperto nei fine settimana tral’inizio <strong>di</strong> giugno a la metà <strong>di</strong> settembre e tutto il69


mese <strong>di</strong> agosto. Gli escursionisti impegnati inpercorsi lunghi, soprattutto stranieri e soprattutto<strong>di</strong> lingua tedesca, utilizzano il rifugioprevalentemente come punto <strong>di</strong> ristoro. Ipernottamenti sono pochi e sono più frequenti tragli escursionisti che provengono da Carcoforo esono <strong>di</strong>retti a Fobello o in valle Anzasca. Quelliche compiono il giro in senso oppostopreferis<strong>con</strong>o scendere al punto tappa GTA aCarcoforo. Il rifugio è frequentato soprattutto dasoci della sezione <strong>di</strong> Boffalora e da altri gruppiprovenienti prevalentemente da altre sezionidell’ovest milanese (per fine settimana o perperio<strong>di</strong> plurigiornalieri ad agosto). La struttura èutilizzata anche da alcune sezioni CAI persettimane de<strong>di</strong>cate all’alpinismo giovanile.La sezione <strong>di</strong> Boffalora offre, oltre all’ospitalità,la collaborazione all’organizzazione <strong>di</strong> attivitàescursionistiche e culturali.Le stazioni superiori d’alpeggio: l’alpe EguaSuperate le casere dell’alpe Piovale il sentieropercorre un piano poco inclinato e si porta poi inquota, supera il rio <strong>di</strong> Pian delle Ruse ed entranell’ampio ripiano dell’alpe Egua.La bellezza delle alpi d’Egua è stata enfatizzatadalla letteratura ottocentesca. A metà OttocentoMONTANARO (1867, p. 32) ricordava la vastità ela ricchezza dei pascoli. Alcuni anni dopo BOBBAe VACCARONE (1896, p. 463-466) riba<strong>di</strong>vano chequesti pascoli erano tra i più belli ed estesi dellaValesia. TONETTI, nella sua guida del 1871,scriveva che questo ricco e vasto tenimentoalpestre ci presentò una scena d’effettoinvantevole. Onda fresca, erba verde, ed aurasoave godono le eccelese e fortunate cime.Foltissimi boschi accerchiano in parte gli ubertosipascoli, e il torrente scorre rumoreggiando inmezzo a loro. I numerosi gruppi <strong>di</strong> capanne sparsiqua e là, imprimono un aspetto grazioso edattraente a quei luoghi, dove appare nel suo verola gio<strong>con</strong><strong>di</strong>tà della vita pastorale.Alla sommità del prato, sulla soglia <strong>di</strong> una <strong>con</strong>camarginale a ridosso dell’emiciclo roccioso dellaCima Pianone, si trovano le casere dell’alpe (1799m) 101 . Lo sfruttamento dei pascoli negli alpeggi,ove non era praticata la fienagione, richiedevasolo lo sviluppo <strong>di</strong> costruzioni per il ricovero deglianimali (cassine, giacis), per la trasformazione deiprodotti caseari (casere) e per il soggiorno deipastori (casoni), ampiamente citati negli attinotarili. Nei documenti cinquecenteschi era talora101 Le costruzioni sono state rovinate da una valangascesa nella primavera 1986; una casera era già stataabbattuta da un’altra valanga nel 1972.<strong>di</strong>stinta anche la costruzione <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioniche ospitava la stalla per le capre; in undocumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> beni della famiglia<strong>Ragozzi</strong> nel 1576 relativa al comprensorio d’Eguaerano citate cassine cum cassinella una a caprissul Selletto, cassinelli caprarum ai Giacc inferiori,una cassina a capris alla Piana (b. 8937). In alcunidocumenti era citato anche il locale per la<strong>con</strong>servazione dei formaggi: il canevello 102 citatoin un documento del 1576 ai Giacce e alla Piana(sASVa, FNV, b. 8937). Questo locale è ancora<strong>con</strong>servato sia all’alpe Egua e che al Piovale.Fig. 23 – La famiglia Festa Rovera all’alpe Eguaad inizio NovecentoSulla pietra <strong>di</strong> una costruzione è incisa la data1816. Un’altra reca, sull’architarve all’ingressodella stalla, l’iscrizione Festa Giovanni 1866. Ilcognome era presente anche in un’iscrizione suuna casera all’alpe Piovale. Questo comprensorioera infatti utilizzato dalla famiglia Festa,proveniente dalla frazione Barbato <strong>di</strong> Trivero. Lapresenza <strong>di</strong> pastori biellesi era già citatanell’Ottocento da GORRET (1871) e BOBBA eVACCARONE (1896, p. 463-466). Sino agli anniOttanta del Novecento la famiglia raggiungeva lavalle <strong>con</strong> un lungo spostamento senza mezzimotorizzati; nel periodo invernale la mandriaveniva trasferita, <strong>con</strong> un percorso <strong>di</strong> otto giorni,nei pressi <strong>di</strong> Valenza (DEMATTEIS, 1984, p. 63).102 La voce, corrispondente a quella più <strong>di</strong>ffusa <strong>di</strong>truna, identifica la cantina, il locale per la<strong>con</strong>servazione dei formaggi ed altri generi alimentaripresente nelle residenze permanenti e nelle costruzionid’alpeggio.70


La famiglia frequentò l’alpe sino agli anniNovanta ed attualmente utilizza i pascoli dell’alpeGiovanchera, ubicati in un altro vallone delcomune <strong>di</strong> Carcoforo.L’alpe è attualmente affittata da un’aziendaagricola del Vercellese, che utilizza i pascoli <strong>di</strong> unvasto comprensorio esteso alle alpi Piovale, Egua,Selletti e Pian delle Ruse. Nel 2006 erano statimonticati 52 capi bovini (40 pezzate rossed’Oropa, 9 pezzate rosse e 3 meticce), 6 equini, 16caprini e 840 ovini.La Madonna dei pastoriLa tra<strong>di</strong>zione vuol che presso l’alpe, accanto ad unruscello (o in una cavità nella roccia), sotto laprima neve autunnale, sia stata trovata dai pastorid’Egua una statua della Madonna. Lasciatol’alpeggio coperto dalla neve i pastori scesero avalle <strong>con</strong> tutti i loro animali, portando <strong>con</strong> sèanche la statua della Madonna; superato Carcoforosi fermarono nel gabbio a valle dell'abitato, maquando decisero <strong>di</strong> ripartire non riuscirono adalzare il sacco <strong>con</strong>tenente la statua, che fu lasciataper tutto l’inverno nella chiesa parrocchiale <strong>di</strong> S.Croce. L’anno seguente decisero però <strong>di</strong> costruire,<strong>con</strong> il <strong>con</strong>corso dei carcoforini, una cappella nelluogo oltre il quale non riuscirono a proseguire<strong>con</strong> la statua. L’evento, anche nella memoriastorica, non ha una precisa collocazionetemporale, anche se la presenza nel rac<strong>con</strong>to <strong>di</strong>pastori transumanti che scendono a valle <strong>di</strong>Carcoforo sembrerebbe collocarlo dopo la fine delCinquecento. In realtà una capella nel Gabbiogrande a valle <strong>di</strong> Carcoforo era già attestata ametà Cinquecento (FANTONI, 2000, d. 1) 103 .In passato il trasporto del trono alla chiesaparrocchiale dall’interno della chiesa al sagratoera affidato ai pastori d’Egua mentre il trasportodal sagrato della parrocchiale al suo interno eraaffidato ai carcoforini. La tra<strong>di</strong>zione rimarca, oltreall’ovvio legame dei carcoforini <strong>con</strong> laparrocchiale, anche l’antica associazionedell’oratorio al <strong>con</strong>sorzio pastorale esterno.Il legame <strong>con</strong> i pastori d’Egua è <strong>con</strong>fermato daattestazioni documentarie. Nel Libro dei <strong>con</strong>tidell’oratorio, soprattutto negli anniimme<strong>di</strong>atamente seguenti la nuova erezione del1744, sono spesso citati ricavi per la ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>prodotti dell’attività pastorizia offerti in occasionedella festa del titolo o nel periodo <strong>di</strong> scarico deglialpeggi a metà settembre: lana (venduta il 3103 Sulla cappella cinquecentesca de<strong>di</strong>cata a S. Maria esul successivo oratorio settecentesco de<strong>di</strong>cato allaMadonna della neve cfr. FONTANA (1994) e FANTONI(2000).gennaio 1745), libbre 3 mascarpa (5 agosto 1746),un agnellotto messo all’incanto (20 settembre1747), un castrato (5 agosto 1748), un agnello (11e 16 settembre 1749). Alcune voci rivelano unodei benefattori <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> donazioni, ilpastore Andrea Bigoni, detto Borretto, che il 3novembre 1758 aggiunse a questi <strong>con</strong>tributi innatura una cospicua offerta <strong>di</strong> oltre 103 lire,destinata alle opere <strong>di</strong> ricostruzionedell’oratorio 104 . La tra<strong>di</strong>zione del regalodell’agnello si interruppe nel 1925, quando JacuFesta Rovera, pastore d’Egua 105 , portò per l’ultimavolta l’omaggio in occasione del restauro dellafacciata 106 (FANTONI, 2000, pp. 260-262).Una splen<strong>di</strong>da vista sul Monte RosaDall’alpe Egua il sentiero a segnavia 122 saleall’alpe Selletti 107 (1915 m) e raggiunge il colled’Egua (2239 m) 108 , che comunica <strong>con</strong> la testatadella val Mastallone e, attraverso il colle <strong>di</strong>Baranca, <strong>con</strong> la val Olocchia (valle laterale dellavalle Anzasca) 109 .Tutti i viaggiatori che sono transitati per il collehanno esaltato la visione del Monte Rosa checompare progressivamente a chi sale a montedell’alpe Selletti. Il primo a celebrarne la vedutafu il De Saussure, che transitò per il colle il 5104 Il pastore Bigoni apparteneva ad una famiglia <strong>di</strong>pastori bergamaschi documentati a Carcoforodall’inizio del Settecento (cfr. FANTONI, questo volume,pp. 15-20).105 per decenni maggiordomo <strong>di</strong> questa casa dellaMadonna (MANNI, 1980, f. IV, p. 251)106Sull’anta laterale dell’organo sono presentinumerosi iscrizioni a matita <strong>di</strong> rappresentanti dellafamiglia Festa e <strong>di</strong> altri pastori, compresi i pastoridell’alpe Gate, <strong>con</strong> date dei primi giorni <strong>di</strong> agostocorrispondenti alla festa tra fine Ottocento e inizioNovecento.107 Un tempo una canaletta permetteva il <strong>con</strong>voglio dellatte da Selletti ad Egua. Il fatto suscitò una grandeimpressione sugli abitanti della valle, che ancora adessola citano come vanto delle “tecnologia” dei pastorid’Egua.108 In un documento del 1521 tra i <strong>con</strong>fini dell’alpecompare in summitate Culma (FANTONI E FANTONI,1995, d. 57), ulteriormente specificata come Culmavallazasche in un altro documento del 1563 (d. 85). Neidocumenti del Quattrocento e Cinquecento la quasicompleta assenza <strong>di</strong> toponimi relativi a cime è evidentenella descrizione dei <strong>con</strong>fini delle alpi poste alla testatadella valli principali del Sesia, ove il limite costituitodalle creste dei monti non è espresso da nomi propri madalla comunità o dall’alpe ubicata oltre lo spartiacque.Sui nomi delle montagne valsesiane prima dell’avvento<strong>di</strong> naturalisti e alpinisti cfr. FANTONI (2002).109 Il sentiero è inserito nella variante walser dellaGrande Traversata delle Alpi (Gta).71


agosto 1789, scrivendo che “la vista che si godesulla catena in cui domina il Monte Rosa èstupenda”. La guida <strong>di</strong> John Ball del 1863segnalava una “vista magnifica” sul Monte Rosa(CERRI e CREVAROLI, 1998, p. 68). Il King, chepercorse questo itinerario nel settembre 1855, sirammaricò invece <strong>di</strong> non essere riuscito a vedere ilpanorama tanto decantato nelle guide a causa delmaltempo (CERRI e CREVAROLI, 1998, p. 137).Francis Fox Tuckett nel 1861 scriveva che la salitaera bella e che la vista dal colle era “estremamentegran<strong>di</strong>osa e incantevole” (CERRI e CREVAROLI,1998, pp. 251-252).Gli alpeggi nei valloni lateraliIl nostro percorso abbandona il sentiero a segnavia122 ed imbocca, a valle dell’alpe Selletti, ilsentiero a segnavia 122a, che volge a NO su unversante coperto <strong>di</strong> pietraie colonizzate davegetazione arbustiva, riattraversa il rio <strong>di</strong> Piandelle Ruse in corrispondenza <strong>di</strong> smottamenti nellacopertura morenica 110 e raggiunge l’alpe Piandelle Ruse (2025 m). Sono attualmente presentisolo due casere affiancate, che presentano ugualetipologia costruttiva, <strong>con</strong> il piano basale occupatodalle stalle. Gli e<strong>di</strong>fici furono costruiti a fineOttocento dai pastori d’Egua, in sostituzione <strong>di</strong>altre casere <strong>di</strong>roccate.Da Pian delle Ruse si può scendere, lungo tracce<strong>di</strong> sentiero sul ripido versante erboso, nelsottostante vallone del Ciletto e raggiungere l’alpeomonima (1845 m). Il fondo è sfruttato, <strong>con</strong> lastazioni superiori dei Giacett e delle Pisse belle, dadue aziende agricole che nel 2006 hanno <strong>con</strong>dotto<strong>con</strong>giuntamente in alpeggio 30 capi bovini (2brune alpine, 19 pezzate rosse d’Oropa, 3 pezzaterosse e 6 meticce) destinati alla produzione <strong>di</strong> latte<strong>con</strong> caseificazione in alpeggio.Dall’alpe Ciletto un sentiero scende verso vallesino a raggiungere la mulattiera principale infronte al rifugio Boffalora (1667 m).passa presso alcune piccole costruzioni costituentipiccoli ricoveri per animali. Il sentiero prosegue,perimetrando la testata del vallone, e giungeall’alpe Giacett (2128 m), un’ampia costruzioneben sistemata affiancata da alcuni caseggiatiminori. Un buon sentiero, privo <strong>di</strong> segnavia,collega le alpi Giacett e Ciletto, sfruttate daglistessi <strong>con</strong>duttori. Un sentiero traversa in quota latestata del vallone e raggiunge le Pisse Belle(2093).Il nostro itinerario scende invece, lungo il sentieroa segnavia 121, alla Busacca del Passone (1988 m)e raggiunge le alpi Passone (1748 m), ubicata alcentro della piana, e l’alpe Pianelli (1752 m),ubicata sulla sua soglia. A fianco del sentiero, allabase del versante idrografico destro, è ancora<strong>con</strong>servata una roggia alimentata dal torrente che<strong>con</strong>sente l’irrigamento del pascolo e, attualmentetermina in un piccolo laghetto. La presenza <strong>di</strong>rogge nei prati ed anche nei pascoli alpini ricorrefrequentemente nei documenti del Cinquecento.L’alpe Passone è utilizzata, <strong>con</strong> la stazioneinferiore dei Giacc e quella superiore dellaBusacca del Passone, da un’azienda agricola <strong>di</strong>Vocca, che nel 2006 ha <strong>con</strong>dotto in alpeggio 21capi bovini (2 brune alpine, 11 pezzate rossed’Oropa, 7 pezzate rosse e 1 meticcia), 2 equini, 4caprini e 71 ovini. Il latte è utilizzato nellatrasformazione casearia in alpeggio.Anche il limitrofo alpe Pianelli è tuttorafrequentato. Sfrutta i pascoli l’azienda agricola <strong>di</strong>Carcoforo che gestisce anche l’agriturismodell’alpe Brüc. Nel 2006 l’alpeggio è statocaricato da 15 bovini (<strong>di</strong> razza pezzata rossa), 31caprini e 10 ovini. Anche quest’azienda utilizza illatte per la trasformazione casearia in alpeggio.Dall’alpe Pianelli un sentiero scende a tornantientro un lariceto sino alla mulattiera principale.Alle spalle delle casere <strong>di</strong> Pian delle Ruse ilsentiero a segnavia 122a guadagna invece quota e110 La voce rusa nel <strong>di</strong>aletto valsesiano identifica lefrane in terra (TONETTI, 1894, p. 262). Pian delle Rusesono chiamati due alpeggi in val d'Egua e in val Nonai.Le intense piogge che originarono l’alluvione del 1755furono probabilmente anche la causa <strong>di</strong> due grossefrane non ancora rimarginate presenti in alta Vald’Egua: la frana del Mazzuc<strong>con</strong>e, descritta nellememorie <strong>di</strong> Giovanni Battista <strong>Ragozzi</strong> (FONTANA,1994, p. 91) e ricordata da CASACCIA (1898, p. 253), ela frana della valle del Lampone, già censita nella cartadel 1759 (PECO, 1989) <strong>con</strong> il toponimo la Rusa.72


GtA122T. EguaA. Pisse belleA. Giacett122aRio PassoneRio Ciletto122aPiana Butrin121A. CilettoA. PassoneGtA 122121A. PianelliA. GiovancheraA. Bruci Giaccle Piane122le CosteGtACappella delle torbeCarcoforoRivettoTerragnoTetto MinoccoT. TrasineraRima(val Sermenza)Madonna della neveT. Egua0 1 kmFig. 24 – Guida ad un’escursione agli alpeggi d’Eguachiese ed oratoripasquatealpeggipunti <strong>di</strong> ristoro e pernottamentosentieri e segnavia119121aA. Pian delle RuseA. Busacca del PassoneBusacca del Ba<strong>di</strong>leRifugio BoffaloraA. PiovaleCasera biancaSulla SelvaAlagna (Valsesia)Macugnaga (valle Anzasca)Selva BrunaAi SaléeA. SellettoA. EguaFobello (val Mastallone)Bannio (valle Anzasca)Colle d’Egua


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RingraziamentiSi ringraziano:- il comune <strong>di</strong> Carcoforo, per il sostegno morale efinanziario dell'evento- il comune <strong>di</strong> Balmuccia, per l’autorizzazione allariproduzione in fig. 2 del dettaglio della Mappacatastale <strong>di</strong> Balmuccia (carta acquarellata a mano,100 x 45 cm, recante il titolo OTRA MAPPAPRIMA e l’iscrizione 1775 in Agosto; Archivio delComune <strong>di</strong> Balmuccia);- Silvano De Marchi per l’autorizzazione ariprodurre la fotografia in fig. 9 (fotografia MarcoGiannina, fine Ottocento, collezione Silvano DeMarchi, pubblicata in Album <strong>di</strong> Ricor<strong>di</strong>, 2006,Novara);- Massimo Martini, per l’autorizzazione ariprodurre le fotografie nelle figg. 13-15, pubblicatenel sitowww.inalto.org/temi/sapori/formaggi/caseomuseo/viista.shtml;- Alessandro Zanni, per la segnalazione e latrascrizione della pergamena del 1372 e perl’autorizzazione alla sua riproduzione (fig. 19);- la sezione CAI <strong>di</strong> Boffalora, per le informazionisul rifugio all’alpe Piovale;- Maurilio Dellavedova, per le informazioni suCarcoforo e le alpi d’Egua;- Piera Mazzone, per il coor<strong>di</strong>namento del<strong>con</strong>vegno e la successiva segnalazione <strong>di</strong> materialeine<strong>di</strong>to, parzialmente accolto nella se<strong>con</strong>dae<strong>di</strong>zione degli atti;- Edoardo Dellarole e Riccardo Cerri per larevisione del testo della se<strong>con</strong>da e<strong>di</strong>zione;La stampa degli atti del <strong>con</strong>vegno è stata sostenutadalla Comunità Montana Valsesia.


Stampato nell’ottobre 2007 da Grafiche Gamberoni (Gemonio, VA)Gruppo <strong>Walser</strong> CarcoforoComune <strong>di</strong> Carcoforowww.comunecarcoforo.itVia Centro - 13026 Carcoforo (VC)tel. 0163 95614fax 0163 95125info@comunecarcoforo.itcarcoforo@walser.it

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