320 RA FOTOGR DEF - Il Giornale dell'Arte

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6 FotografiaIL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Analisi di mercatoQualità e rarità le ragioni del successoLE ASTEDopo un triennio deludente, nel 2011 le maggiori case d’astasono tornate a fare notizia sulla stampa internazionale con nuovirecord sia per la fotografia storica sia per quella contemporanea.<strong>Il</strong> settore delle vendite all’asta, infatti, contrariamente aquello delle gallerie che si è trasformato in un «buyer’s market»con sconti e un miglioramento delle condizioni di pagamento peri collezionisti, aveva sofferto l’allontanamento dalla piazza deivenditori, timorosi di fare cattivi affari o di non vedersi riconosciutii prezzi di aggiudicazione attesi per le proprie opere. A fareda rompighiaccio è stato il mercato del contemporaneo, più inclinea mobilitare un pubblico ampio e generalizzato. A maggio ètoccato aCindy Sherman(1954) con il suo «Self portrait» (1981)nei panni di un’adolescente. L’opera è stata venduta da Christie’sa New York per 3,89 milioni di dollari, mentre si diffondeva lanotizia della retrospettiva dell’artista che avrebbe inauguratoal MoMA di New York il 26 febbraio 2012 (fino all’11 giugno).Ma non è solo il segmento dei collezionisti «high end» a essersimobilitato per la Sherman. Daile Kaplan, direttrice del Dipartimentodi fotografia di Swann Galleries conferma «un interesse diffuso,dovuto certamente alla mostra perché 2 o 3 anni fa le sueopere non erano così ricercate». Nonostante ciò, a novembre esempre da Christie’s a New York il primato di fotografia piùcostosa è passato per 4.338.500 dollari a un’opera di quasi quattrometri di lunghezza di Andreas Gursky (1955), l’artista piùquotato della Scuola di Düsseldorf. Anche in questo caso, il ruolodelle istituzioni nell’accensione dell’interesse per l’opera èstato fondamentale: «Rhein II» (1999) è infatti un’edizione di seicopie già presente nelle collezioni della Tate Modern di Londra,della Pinakothek der Moderne di Monaco e dell’onnipresente Mo-MA. Nell’uscita dalla crisi internazionale, dunque, gli attoridel mercato, venditori e compratori, sembrano aver deciso dirinforzare ulteriormente il legame informativo, già assai stretto,con le istituzioni museali, puntando a opere «cutting edge»ma dal sicuro valore economico. Inoltre, questi due record mettonoin luce anche un altro carattere del settore delle aste, già emersonegli ultimi anni, e cioè la demarcazione a livello di prezziAndreas Gursky, «Rhein II», 1999per la fotografia considerata «autoriale» e artistica. Per la produzionefotografica precedente agli anni ’70 la questione non sipone in quanto ai tempi la fotografia era naturalmente relegata aldi fuori del sistema artistico e oggi è valutata per la sua rarità e valenzastorica attraverso il meccanismo del vintage, stampe prodottea pochi anni dallo scatto. Per le fotografie realizzate dopo queglianni diventa invece rilevante dal punto di vista economico il fattoche le gallerie di arte contemporanea iniziano a interessarsi ad alcunifotografi e a chiamarli artisti. Se quindi la maggior partedelle fotografie storiche e contemporanee in asta sono vendutedagli appositi dipartimenti, fanno eccezione alcune, tra cuiquelle della Sherman e di Gursky responsabili dei record, chevengono incluse nelle vendite ben più redditizie e speculativedei dipartimenti di arte contemporanea. Parlando dunque specificamentedegli incanti fotografici, i risultati del 2011 confermanola ripresa e parlano chiaro sulle tendenze del settore. I maggioritassi di invenduto («buy in»), fino al 30%, e record di prezziper i singoli fotografi sono per i lotti del XIX secolo: motivoper cui alcune case d’asta hanno scelto di non trattarli più. SecondoSilvia Berselli, Photography specialist di Bloomsbury, ilproblema è che «i collezionisti sono pochi, agguerriti e sanno esat-Chi sono i collezionisti? Chi fa il mercato? La parola a un galleristaLa Hans P. Kraus Jr Fine Photographs di New York (962 Park Avenueat 82 nd Street) è nata nel 1984 come galleria specializzata in fotografiedel XIX secolo e degli inizi del XX. Fa parte dell’Adaa (Art DealersAssociation of America), del Pada (Private Art Dealers Association),e dell’Aipad (Association of International Photography Art Dealers),e partecipa al Winter Antiques Show, al The Art Show, alla Tefafdi Maastricht, ad Art Basel, a Paris Photo e a Masterpiece di Londra.Abbiamo rivolto qualche domanda al suo direttore Hans P. Kraus Jr.Quando iniziò la sua attività non c’era un interesse diffuso per la fotografia.Come è cambiato lo scenario in questi vent’anni?Nel 1984 il mondo della fotografia era al punto di partenza. Dagli anni’70 si tenevano aste a Londra e a New York, poi dagli anni ’80 anchea Parigi, ma i collezionisti erano pochi. La svolta risale al 1989:era il 150mo anniversario dall’invenzione della fotografia e tutti i maggiorimusei organizzarono un’importante mostra sulla storia del mezzo.Ai tempi la fotografia era trattata dai dipartimenti di disegno earti grafiche, ma da quel momento i musei decisero di istituire dipartimenti,curatori e budget specifici.I collezionisti sono stati influenzati da queste scelte istituzionali?Sono state soprattutto le istituzioni a essere influenzate dai privatiche, in occasione delle mostre retrospettive del mezzo fotografico, sisono resi conto che c’era qualcosa da comprare e si sono attivati.Chi sono oggi i collezionisti di fotografia?Li dividerei in due categorie: coloro che collezionano solo fotografiadel XIX secolo, e coloro invece che sono interessati all’intera storiadella fotografia.Quanti dei clienti della galleria acquistano anche opere contemporanee?Almeno la metà, incluse le istituzioni.Quindi lei riconosce un punto di contatto tra fotografia contemporaneae fotografia storica?Sì ed è la ragione per cui partecipo a fiere di arte contemporanea,dove incontro collezionisti incuriositi da tutti gli aspetti della fotografia.<strong>Il</strong> motivo è che l’arte di oggi ha un’ampia base fotografica emolti vanno a indagare le origini della fotografia per trovare i riferimentie le fonti di ispirazione delle immagini che già possiedono.Qual è la provenienza dei collezionisti?Sono Americani, francesi, alcuni inglesi e anche tedeschi e del MedioOriente. In particolare, in Qatar ci sono varie collezioni di fotografiain fase di assemblaggio e l’interesse è principalmente per lafotografia francese e britannica.Quanti «fanno letteralmente il mercato»?I veri attori sono meno di 20 in tutto il mondo.Quali sono gli autori più apprezzati?I pionieri della fotografia: Daguerre, William Henri Fox Talbot e HyppoliteBayard. Li collezionano anche fotografi contemporanei.Mi faccia un esempioHiroshi Sugimoto ha acquistato alcuni primissimi negativi mai stampatidell’inventore della fotografia William Henri Fox Talbot e li ha utilizzatiper le sue opere.Spesso quando ci si riferisce alla fotografia del XIX secolo si parla diautori più che di artisti. Lei è d’accordo con questo termine?Nel XIX secolo erano pochissimi i fotografi che si consideravano artisti.La maggior parte usò il mezzo come un semplice strumento diregistrazione e un aiuto alla memoria; altri lo utilizzarono professionalmenteper ritrarre individui, documentare l’architettura, o riprodurredipinti e sculture. Tuttavia, penso che il contributo di questifotografi sia stato essenziale per definire l’arte della fotografia e sivada a sommare a quello di artisti riconosciuti, tra i quali ci sono D.O. Hill, Gustave Le Gray, Roger Fenton e il Reverendo Calvert Jones,che usarono la fotografia come un nuovo strumento espressivo edesposero le loro opere a livello internazionale.A quando risale il boom del mercato della fotografia del XIX secolo?<strong>Il</strong> mercato della fotografia in generale è certamente esploso, ma nei settoripiù alla moda, che sono la fotografia contemporanea e quella delXX secolo. Per quanto riguarda le opere del XIX secolo, c’è ancora moltoda esplorare. I prezzi delle due marine di Gustave Le Gray nella venditadel 1999 del mercante di libri André Jammes (507.500 sterline dell’epocal’una e 419.500 l’altra, Ndr) furono un’eccezione grazie a un’astamolto ben organizzata di una collezione conosciutissima. Nell’arcodi un anno i prezzi si ridussero della metà, e oggi la maggior parte dellesue marine si trovano a 15-200mila dollari. Poi, naturalmente, c’èstato un magnifico Le Gray, che lo scorso giugno è stato venduto peruna somma anche superiore («Bateaux quittant le port du Havre (naviresde la flotte de Napoléon III)», circa 1856-57, ha sfiorato un milionedi dollari, Ndr). Quello era un pezzo davvero spettacolare: non vedremomai un’altra copia altrettanto bella. Se qualcuno ne desideravauna, quella era l’unica. I prezzo dunque era giustificabile.Come ha reagito il mercato alla crisi del 2008?Le cose si sono un po’ calmate. Sono stati soprattutto i collezionistidi fotografia contemporanea a ridurre gli acquisti.E le istituzioni?Fino a oggi hanno rappresentato più del 50% dei compratori e sonomeno influenzate dalla crisi perché hanno dei budget stabiliti con anticipoe sono autorizzate a spenderli. <strong>Il</strong> privato agisce in modo piùemotivo.<strong>Il</strong> 2011 è stato un buon anno dal punto di vista commerciale?Sì, i compratori istituzionali sono stati determinanti, con un interessemolto forte per Julia Margaret Cameron.Quali sono oggi le fiere imperdibili per il settore?<strong>Il</strong> Tefaf di Maastricht è una delle più importanti in termini di fiered’arte generali, non solo per la fotografia. È lì che si incontrano clientiistituzionali come il Metropolitan Museum di New York, l’Art Institutedi Boston e lo Sterling and Francine Clark Art Institute (Williamstown,Massachusetts). Per trovare i curatori di musei d’arte contemporaneae di fotografia, invece, noi galleristi partecipiamo all’AipadPhotography Show di New York e a Paris Photo.Qualè il suo «vecchio sogno» da amante e mercante di fotografia?Spero ancora di scoprire un baule intatto di fotografie primitive, etrovare una stampa a sali di porpora perfettamente intatta dellasplendida «Diogene nel salone della Lacock Abbey» di William HenryFox Talbot, datata 29 settembre 1840. Ritrae, all’interno della casadi Talbot e fugacemente illuminata dal sole, la statua dell’anticofilosofo cinico che portava una lanterna durante il giorno alla ricercadi un uomo onesto. <strong>Il</strong> negativo fu uno dei primi calotipi cheTalbot realizzò con il suo nuovissimo processo e risulta che ne siasopravvissuta una sola stampa. Oltre alla bellezza della scultura,l’idea di Talbot di scegliere questo soggetto per uno dei suoi primicalotipi, di raffigurare il filosofo che usa una lampada per scoprirela verità, è straordinaria e stimolante. Sara Dolfi Agostini© CHRISTIE’S IMAGES LIMITED 2011tamente che cosa vogliono; così si vendono solo pezzi estremamenterari e non, ad esempio, la bella albumina degli Alinari,neanche in grande formato». E in effetti, i suddetti record riguardanoesempi eccellenti per la qualità e la conservazionedella stampa, spesso acquistati da intermediari come in un mercatoall’ingrosso. Ad esempio, alla settima edizione della Photographicpromenade of Vendome, tenutasi lo scorso giugno, eranoin vendita alcune marine di Le Gray, ma solo «Bateaux quittantle port du Havre» (1856-57) ha conquistato il prezzo di 917milaeuro. A pochi giorni di distanza, alla Old West Show & Auctiondi Denver il valore dell’opera storica più costosa del XIXsecolo è salito a 2,3 milioni di dollari per una fotografia tre volterara: rara perché è l’unico ritratto del bandito più ricercato delFar West «Billy the Kid», rara perché è un originale esempio diferrotipo, e rara anche perché non è conosciuta al mercato essendostata di proprietà di un’unica famiglia dal 1880 ad oggi. Sulfronte contemporaneo, continuano a crescere i fans di RobertMapplethorpe, (1946-1989), Irving Penn (1919-2009), RichardAvedon (1923-2004) e Peter Beard (1938). E se per il primo sifa sentire il lavoro della Fondazione, che proprio nel 2011 ha donatoe in parte venduto la sua collezione di scritti e fotografie a unacordata formata dal Los Angeles County Museum of Art e dal J.Paul Getty Trust, per Avedon è l’interesse commerciale di ungallerista di arte contemporanea, il tycoon Larry Gagosian, adaver risvegliato il mercato. Al punto che solo tra le aste primaverilie quelle autunnali, sono state vendute ben quattro stampe delsuo scatto più celebre, «Dovima with elephants, evening dress byDior, Cirque d’Hiver, Paris, August» (1955) con una forbice di prezzida 50 a 370mila dollari per edizioni stampate in diversi periodifino a 100 esemplari. Ma, al di là dei singoli trend, il mercato dellafotografia contemporanea cresce soprattutto quando «con il grandeformato unisce il piacere del glamour all’esigenze dell’arredamento»,spiega ancora Silvia Berselli di Bloomsbury. Non è uncaso che a puntare da sempre su questo segmento di collezionismosia la casa d’asta Phillips de Pury, che nelle aste autunnali di fotografiatenutesi a New York ha battuto le due leader di settore, Christie’se Sotheby’s, guadagnando quasi 7 milioni di dollari con untasso di «buy in» di appena il 18%. Un ultimo fatto interessante dalmondo delle case d’asta: WestLicht in Vienna ha messo in venditamacchine fotografiche storiche e guadagnato 4.429.000 euro(«buy in» del 6%). Top lot una rarissima Leica 0-series del 1923,stimata meno di 400mila euro, ha raggiunto 1,32 milioni.LE GALLERIEA sentire Frish Brandt, direttrice di Fraenkel Gallery di San Francisco,«il collezionismo di video oggi assomiglia a quello della fotografiaventi anni fa». I suoi perché sono molti e condivisibili.Fraenkel Gallery è stata tra le prime gallerie d’arte a lavorarecon le immagini ma quando ha inaugurato nel 1979, a parte il Mo-MA di New York e il V&A di Londra, erano pochi a collezionarle.La svolta arriva nel 1984. «<strong>Il</strong> Getty aprì il dipartimento dedicatoalla fotografia e in America artisti come Cindy Sherman, RichardPrince e Sherrie Levine cominciarono a usare la macchina fotograficasenza chiamarsi fotografi» racconta Brandt. Intorno al 2005,invece, Brandt situa lo sdoganamento della video arte. «Oggi ilmercato non distingue più tra artisti che usano diverse tecnicheespressive» afferma, e il riferimento è a Christian Marclay, che dopoaver vinto il Leone d’Oro alla 54. Biennale di Venezia con il video«The Clock», ha presentato in galleria una serie di cianotipi dedicatial tema della musica. Ma si possono estendere queste considerazioniai mercati emergenti? La domanda è legittima, considerandoche nel cuore finanziario del Brasile, San Paolo, fino aqualche anno fa si vendeva solo pittura. Testimone di eccezione èEduardo Brandão, che prima di fondare la galleria Vermelho nel2002 insegnava fotografia all’Accademia ed era frustrato dal fattoche le opere dei suoi studenti non avessero mercato. <strong>Il</strong> successocommerciale della sua galleria, contro ogni aspettativa, arriva subito.«Abbiamo cominciato con giovani artisti, molti fotografi, el’edizione ci ha permesso di immetterci nel mondo del collezionismocon prezzi bassi, da 1 a 3mila dollari» spiega, e poi «nel 2005è arrivata la Biennale di San Paolo e anche i primi curatori e collezionistida Francia, Portogallo, Spagna e Inghilterra». Oggi lagalleria è pronta ad aprirsi a collaborazioni internazionali, comequella con Francisco Tropa che ha rappresentato il Portogallo alla54. Biennale di Venezia e farà la sua prima mostra nel 2013.Anche Goodman Gallery di Città del Capo, più che una galleriaun’istituzione nel panorama sudafricano, sta attraversando unClaudia Andujar, «Rua Direita», 1970COURTESY GALERIA VERMELHO, SAN PAOLO


8 FotografiaIL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 FormazioneA scuola di fotografiaPer studiare fotografia all’estero oggi non c’è che l’imbarazzodella scelta. Accanto a università, accademie e scuole storichesono fiorite in ogni angolo del mondo nuove realtà cheoffrono percorsi formativi altrettanto validi. Partendo dall’Europala panoramica che segue tocca diversi Paesi per segnalare, senzapretese di esaustività, i casi più interessanti. Strutturati generalmentein bachelor of arts di tre o quattro anni e master of finearts biennali, i corsi condividono la tendenza ad affrontare la fotografiain un’ottica multidisciplinare e a inserire studenti e docentiin una rete sempre più fitta di relazioni internazionali.GERMANIALa Germania vanta una forte tradizione nell’insegnamento dellafotografia. La scuola più celebre è la Kunstakademie diDüsseldorf, da quando nel 1976 la cattedra è stata assegnataa Bernd Becher. Fino alla metà degli anni Novanta ha formatole più importanti figure della fotografia tedesca, quali ThomasRuff, Axel Hütte, Thomas Struth, Andreas Gursky. In seguito,il corso ha saputo mantenere un elevato livello qualitativograzie al contributo di Ruff che ha concentrato l’insegnamentosui processi di rielaborazione di materiali d’archivio esulla natura del linguaggio fotografico. Dal suo abbandono,Düsseldorf sembra aver subito una battuta d’arresto lasciandospazio ad altre scuole come la Hochschule für Bildende Künstedi Braunschweig, la Staatliche Hochschule für Gestaltungdi Karlsruhe e la Hochschule für Künste di Brema,dove la classe di fotografia è assegnata a Peter Bialobrzeski(cfr. box). Altro istituto storico è l’Hochschule für Graphikund Buchkunst di Lipsia: fiore all’occhiello nell’area del Pattodi Varsavia, ha saputo tener testa a Düsseldorf anche dopoZürcher Hochschule der Künste, Zurigola riunificazione del Paese, per diventare oggi una tra le miglioriscelte. Fino allo scorso anno è stato preside JoachimBrohm (cfr. box) che ha orientato l’insegnamento verso la fotografiadocumentaria seppur incoraggiando percorsi che guardanoal concettuale, alla rielaborazione di materiale d’archivio,alle possibilità narrative del mezzo. Oltre alla sua cattedra,fotografia e media, altri corsi sono tenuti da artisti di rilievocome Tina Bara, Annette Kisling, Heidi Specker e PeterPiller. Oggi è però la Folkwang Universität der Künste diEssen, già distintasi negli anni Settanta sotto la guida di OttoSteinert, a essere considerata tra le migliori scuole a livello internazionale.<strong>Il</strong> bachelor in fotografia ha una durata di quattroanni e prevede un percorso iniziale volto all’apprendimentodei fondamenti di base cui, al secondo anno, seguono approfondimentiin diverse aree disciplinari: photo design, documentaryphotography, artistic photography. È in quest’ambitoche si coltivano le più interessanti sperimentazioni che investiganocon taglio critico e interdisciplinare i cambiamentinel modo di intendere l’immagine contemporanea.INGHILTER<strong>RA</strong><strong>Il</strong> Regno Unito ha da sempre attirato studenti provenienti da tuttoil mondo. Molte università del Paese hanno programmi dedicatialla fotografia, di tutti i livelli: la University of Brighton ela University of Wales solo per citarne alcune. È però Londra,centro tra i più dinamici dell’arte contemporanea, a esercitare lamassima capacità attrattiva, grazie all’ampia offerta di istituzioniquali il Royal College of Art, la Goldsmiths University o la retedella University of the Arts London. Quest’ultima raccogliesei diversi college tra i quali emergono, nell’ambito della formazionevideo-fotografica, il Central Saint Martins College of Artsand Design e il London College of Communication. Se il masterin fotografia del Saint Martin rivolge particolare attenzione allenuove tecnologie applicate alla stampa, all’immagine in movimentoe alla comunicazione multimediale, promuovendo contemporaneamenteun dibattito sulle responsabilità etiche e socialidel fotografo, il London College of Communication proponecorsi specifici in fotogiornalismo e fotografia documentaria. Insintonia con l’approccio dei cultural studies, la Goldsmith Universityinserisce invece lo studio della fotografia in percorsi in-<strong>Il</strong> particolare punto di vista di cinque artisti-docenti1. Quali sono stati i principali cambiamentidegli ultimi anni nella fotografia e/o nel video?2. Quale tipo di interazione esiste tra l’attivitàdi artista e l’insegnamento?3. Qual è l’orientamento della tua scuolanei confronti della fotografia e del video?Quali le principali direzioni adottate?4. Quale consiglio daresti a un giovane artistache inizia ora il suo percorso?5. Qual è il libro che ogni studente dovrebbe conoscere?6. Quale è stata nell’ultimo anno la mostrapiù interessante dedicata ai giovani artisti emergenti?PETER BIALOBRZESKIDocente di fotografia alla Hochschule für Künste di Brema1. In assoluto il passaggio dall’analogico al digitale. Sebbene il digitaleesista da quando ho iniziato a insegnare, la migliore qualità dellemacchine fotografiche abbordabili e dei pigmenti di stampa ha significatouna svolta nell’insegnamento. Nei primi anni ci voleva parecchiotempo perché uno studente producesse una stampa digitale accettabile,ora possiamo dare massima enfasi ai contenuti e ottenere ottimirisultati in laboratorio, anche con studenti che non hanno ancora esperienzadi fotografia. Inoltre siamo passati da un corso di diploma a bachelorof arts e master of fine arts, e anche qui il digitale aiuta molto.Questo non significa accantonare del tutto l’analogico, dipende dallastruttura del corso e dal tempo a disposizione.2. Poiché faccio quello che faccio, gli studenti ovviamente mi rispettanocome insegnante con molta esperienza internazionale nelle mostree nella pubblicazione di libri. Inoltre partecipo a ogni discussionee aiuto anche molto con consigli pratici e, cosa più importante: capiscola sofferenza che provano nell’elaborazione dei loro progetti.3. È una domanda difficile perché, insegnando nell’ambito di un programmaintegrato di design, le linee guida di questo corso si distaccanochiaramente da una formazione fotografica per approcciarsi piùgeneralmente al design, qualsiasi cosa significhi. Ma ora stiamo iniziandoun master che guarderà alle immagini in ogni tipo di contestoeditoriale, dai libri artistici alle pubblicazioni aziendali e sarà anche indirizzatoa studenti internazionali di maggiore maturità.4. Continua a sognare, non parlare con nessuno dei tuoi sogni, proponitiobiettivi raggiungibili, trova un gruppo o una classe in cui ti sentia tuo agio, lavora duro, sogna, sii molto autocritico, quando il lavoro èbuono inseriscilo in qualche concorso, continua a sognare, cerca diprodurre un insieme di opere sostenibile prima di parlare con gallerieed editori, spera di ereditare del denaro e abbi fiducia...5. «The Americans» di Robert Frank, «Another way of telling» di John Bergere ho paura che non siano abbastanza, bisogna conoscere la materia,è necessario cercare tutto ciò che attiene al proprio campo di interesse.6. Forse «Gute Aussichten (Giovane fotografia tedesca)» al Museum fürFotografie di Berlino nell’autunno del 2011 (attualmente, dal 25 aprileal 3 giugno, si può visitare alla Haus der Photographie di Amburgo).OLIVER RICHONPreside della School of Fine Art e capo del Dipartimento di fotografia presso il RoyalCollege of Art di Londra1. A parte il digitale che ha cambiato in modo significativo le modalitàdi diffusione e produzione delle immagini dagli inizi di questo secolo,non so se ci sono stati grandi cambiamenti. I generi principali sonosempre gli stessi, e riguardano i fatti, la finzione e la fantasia.2. Insegnamento e ricerca sono strettamente connessi. Nei miei seminari,affronto argomenti che sono rilevanti nella mia attività, come icollegamenti tra fotografia e letteratura, teoria e storia della rappresentazione.Ma nei tutorial e nelle discussioni critiche evito naturalmentequalsiasi riferimento alla mia pratica. Insegnare significa primadi tutto confrontarsi con i lavori degli studenti.3. Le pratiche dell’immagine fissa e in movimento sono ora portateavanti fianco a fianco. Le questioni del significato e della narrativa sonosempre molto presenti: come leggere un’immagine, che cosa intendiamoper ambiguità, qual è la relazione tra immagine e linguaggio.Da un punto di vista tecnico, coesistono anche l’analogico e il digitale.Tra l’altro, alcuni studenti scoprono ora la fotografia analogica e lasperimentano come qualcosa di nuovo.4. Gli suggerirei di concentrarsi nella sua pratica e nella lettura, di dimenticarsiil mondo dell’arte, specialmente quello delle fiere.5. Un solo libro non è sufficiente. Gli studenti devono necessariamenteapprofondire la letteratura, la filosofia, gli studi culturali e la storiadell’arte e per cominciare dovrebbero familiarizzare con Barthes, Benjamine Freud.6. Non sono sicuro che la definizione di «artista emergente» sia necessariamentedeterminante. A Londra, la Whitechapel Gallery ha tenutoun programma di fotografia puntuale e di buon livello.JOACHIM BROHMDocente di fotografia alla Hochschule für Grafik und Buchkunst di Lipsia1. La fotografia è diventata un medium aperto ed eccitante per ognicampo della produzione di immagini. Le sue tradizioni precedenti nongiocano un ruolo molto significativo, anche se le considero ancora illuminantie importanti in tutti i sensi.2. Anche se la mia personale attività artistica si sviluppa in modo indipendentedalla scuola, le sue ispirazioni e le sue fonti attingono dall’insegnamentoe dalle discussioni con gli studenti.3. Pur abbracciando un aperto stile documentario offriamo molte possibilitàdi mettere in relazione il medium fotografico con i concetti diarchivio, narrazione e messa in scena, così come con opere concettualicritiche in corsi tenuti da artisti di buon livello.4. Impegnarsi al 100% e avere molta pazienza: ci può volere molto tempoprima che la tua opera acquisti una visibilità pubblica.5. Sfortunatamente ci sono davvero tanti libri che necessitano di unattento studio, a seconda del tipo di arte in questione. Certamente nonc’è un solo libro per tutti!6. Mi è sempre piaciuta la mostra-concorso «Gute Aussichten» con lesue esposizioni e pubblicazioni estremamente ben organizzate!IOSIF KI<strong>RA</strong>LYResposabile del Dipartimento di fotografia e Video dell’Universitatea Nationala deArte di Bucarest1. Semplificherò:a- Rivoluzione digitale. Sebbene sembri sia già completata, dato che unacosì ampia maggioranza di fotografi utilizzano fotocamere digitali, lacomprensione di questa tecnologia e delle sue possibilità è ancora moltolimitata. Realizzare una stampa su carta di un file digitale è un po’come usare un computer come macchina da scrivere. Ovviamente lo sipuò fare, ma le potenzialità di questo mezzo sono assai più ampie.b- La confusione della linea di demarcazione tra immagini fisse e inmovimento. <strong>Il</strong> video DSLR ha aperto nuove prospettive e ha prodottoun’eccitazione senza precedenti tanto tra i fotografi quanto tra i registicinematografici.c- La perdita di indicalità dell’immagine fotografica. Da questo puntodi vista siamo tornati all’era prefotografica, quando tutti i documentivisivi erano dipinti, incisioni, disegni. Questo va bene per l’arte, manon altrettanto per la fotografia documentaria e assolutamente nonva bene per il fotogiornalismo.d- La crescente pressione del mercato sulla scena dell’arte contemporanea.Tutto è diventato talmente professionalizzato, proprio come nellosport, che è sempre più difficile essere competitivi come artisti indipendenti,senza un supporto istituzionale (come gallerie, agenzie, ecc.).2. Condivido la mia conoscenza teorica e pratica e la mia esperienzaartistica, fornisco il maggior numero di esempi raccontando ciò cheho visto e ciò che ho letto in relazione alla storia dell’arte e all’artecontemporanea, ma cerco di essere il più neutrale possibile riguardoal mio lavoro, evitando di proporre i miei progetti personali come esempi.Considero un fallimento totale per un professore quando gli studentiutilizzano i suoi stessi approcci artistici.3. Corro il rischio di definirlo: fotografia documentaria concettualesoggettiva.4. Gli augurerei «Buona fortuna e continua a sognare», perché il talento,l’intelligenza, una buona formazione, il duro lavoro, la capacitàdi costruire relazioni sono necessari e importanti ma oggi non sonosufficienti per raggiungere il successo nella scena artistica contemporaneainternazionale.5. È difficile fare una selezione così radicale. Suggerisco alcuni titoli:Walter Benjamin, «L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilitàtecnica» e John Berger, «Questione di sguardi» (primo capitolosul saggio di Benjamin); Roland Barthes, «La camera chiara»; SusanSontag, «Sulla fotografia e davanti al dolore degli altri»; Vilém Flusser«Per una filosofia della fotografia». E due libri più recenti ma moltointeressanti: Fred Ritchin, «After Photography»; Errol Morris, «Believingis Seeing. Observation on the Mysteries of Photography».6. Start Point, premio per artisti emergenti nel 2010 presso la WannieckGallery a Brno in Repubblica Ceca.NAYLAND BLAKEDirettore del master of fine arts dell’International Centre of Photography di New York1. Col rapido sviluppo della communication technology, e la sua maggioredecentralizzazione, la fotografia viene sempre più utilizzata comemezzo di comunicazione. Scattare fotografie è sempre meno un’attivitàper speciali occasioni e sempre più un metodo per entrare incontatto coi propri amici online. Ciò significa che la gente si sentesempre più a proprio agio nello scattare fotografie, ma sempre piùconfusa circa il modo di leggere le immagini. Come artista e insegnante,mi sforzo di aiutare la gente a leggere le immagini in profonditàe in modo completo.2. Credo che nel fare arte perpetuiamo i valori che desideriamo vederenel mondo. L’insegnamento è un’estensione e un’articolazione diquello sforzo. Quando lavoro con uno studente, cerchiamo entrambidi costruire un’esperienza di contemplazione e di dialogo, lo stessospirito che spero le mie opere comunichino.3. Cerchiamo di rendere gli studenti consapevoli di tutti i modi in cuila fotografia opera nel mondo, e di tutti i vari sistemi per mezzo deiquali i fotografi sostengono se stessi e la loro attività artistica. Nellascuola li facciamo lavorare in un gran numero di situazioni, chiediamoloro di creare pubblicazioni e partecipare a convegni, in modo chepossano essere agenti attivi nelle loro carriere.4. Non aspettare che le opportunità ti arrivino da altri, non crederenei confini netti tra i vari tipi di fotografia, sforzati di rendere intensoogni incontro artistico. Sii onesto rispetto a ciò che stai facendo e flessibilenel modo in cui lavori.5. «Mente zen, mente di principiante» di Shunryu Suzuki-roshi.6. <strong>Il</strong> più eccitante evento fotografico al quale ho partecipato negli ultimianni è stata l’Artists Book Fair di New York, organizzata da Printed Matter.Ho visto migliaia di libri da tutto il mondo, la maggior parte dei qualiauto-pubblicati. Entriamo in un’era nella quale la maggior parte dei fotografisi potrà incontrare tanto nei libri quanto nei forum online e neiblog, il che apre un’intera serie di interessanti possibilità per i giovani. Francesca Lazzarini e Alice Bergomi


IL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Fotografia 9Royal College of Art, Londraterdisciplinari fortemente improntati ad analisi che integranoscienze sociali, antropologia, urbanistica, studio delle nuove tecnologiee della società post industriale. Sebbene la fotografia siaaccessibile da diversi corsi di studio, due sono i master in cui rivesteuna rilevanza centrale: «Photography & Urban Cultures» e«Photography: The Image and Electronic Arts». <strong>Il</strong> Royal Collegeof Art si conferma ancora oggi tra le migliori opzioni. Fondatonel 1837, propone esclusivamente corsi post laurea. <strong>Il</strong> dipartimentodi fotografia, sotto la guida di Olivier Richon, offre oltre aun master biennale, un programma di ricerca indirizzato a indagarele teorie della rappresentazione, le relazioni tra immagini elinguaggio e quelle tra immagini fisse e in movimento. Promuovendouna pratica fortemente ancorata alla teoria, che includespunti di critica, psicanalisi e letteratura, il Royal College ha saputoformare negli anni artisti quali Hannah Starkey, Runa Islam,Anne Hardy, Ori Gersht, Idris Khan.F<strong>RA</strong>NCIALe università francesi includono da anni la fotografia nei loro pianidi studio, prevalentemente come insegnamento storico e teorico.<strong>Il</strong> master di fotografia e arte contemporanea di Paris 8 è unatra le poche eccezioni che prevedono una formazione pratica. Ottimaalternativa aParigiè l’Ècole Nationale Supérieure des ArtsDécoratifs il cui corso di diploma, di cinque anni, è stato ora equiparatoa master. «Photo/Video» figura tra le dieci aree di studiotra cui gli studenti devono scegliere dopo il primo anno. <strong>Il</strong> corso,che termina con la presentazione di una tesi scritta e di un progetto,si focalizza sia sul video sia sulla fotografia stimolando l’interazionetra i due. Sostenendo il principio della formazione continuala scuola propone anche corsi ridotti su tematiche specifiche.La diversificazione dell’offerta è caratteristica anche dell’ÈcoleNationale Supérieure de la Photographie di Arles, la piùnota tra le scuole francesi e l’unica interamente dedicata alla fotografia.Nel corso di diploma, in via di equiparazione a master,un gruppo fisso di docenti fornisce gli insegnamenti di base e assicurala coerenza tra questi e gli interventi di numerosi visitingprofessor che contano, oltre a fotografi e video artisti, anche conservatori,critici, filosofi (Michael Ackermann, Anne Cartier-Bresson, John Davies, Christian Caujolle tra gli altri). L’Ensp puòinoltre contare su una solida rete di relazioni con istituzioni francesie internazionali che facilita la mobilità di artisti, docenti e studentiin Europa e nel mondo.SVIZZE<strong>RA</strong>La Zürcher Hochschule der Künste (Zurigo) è oggi consideratatra le migliori in Europa. <strong>Il</strong> bachelor in «Media & Arts»ha quattro specializzazioni: Fine Arts, Photography, Theory eMedia Arts. I primi due semestri del corso sono strettamentelegati all’area scelta mentre nel secondo e terzo anno gli studentisono incoraggiati a costruire corsi di studio che tocchinotrasversalmente le quattro aree. «Photography» prevedeuna parte consistente di studio teorico che crea una cornice diriferimento relativa sia al contesto sociale e culturale sia allosviluppo storico del mezzo. Gli studenti sono incoraggiati asviluppare pratiche personali e a esplorare forme diverse e innovativedi esposizione dei lavori. <strong>Il</strong> dipartimento di fotografiaè infatti molto attivo anche nella pubblicazione di riviste elibri, realizzati con la diretta partecipazione degli studenti. Altrascuola d’eccellenza è l’Ecole Cantonale d’Art di Losannache offre un bachelor triennale in «Visual Communication».Tra le specializzazioni quella in fotografia è basata suun solido insegnamento tecnico-teorico che abbraccia gli ambitiprofessionale, editoriale, documentaristico e artistico e incoraggiacollegamenti con altre discipline quali il graphic design,il video e i media interattivi. La scuola offre diversi mastertra cui «European art ensemble», corso biennale che richiedela realizzazione di un progetto espositivo o editorialein un Paese europeo diverso da quello d’origine, che includaoltre al lavoro dello studente, quello dei compagni di corso edi artisti locali.AUSTRIAAlla Kunst Universität di Linz, il dipartimento di graphic designe fotografia propone un bachelor di tre anni nel quale gliinsegnamenti di base teorico-pratici sono affiancati da approfondimentisocio-culturali, politici ed economici. Dal 2009 è attivoun master in comunicazione visuale, inteso come naturaleproseguimento del primo triennio. <strong>Il</strong> corso focalizza l’attenzionesoprattutto sull’interazione tra testo e immagine, nei mediapiù recenti come su quelli tradizionali. A Vienna invece l’Akademieder Bildenden Künste offre una formazione interdisciplinarein Fine Arts che include anche la fotografia mentre l’Universitätfür Angewandte Kunst un diploma quadriennalespecifico in fotografia.OLANDAL’Academie St. Joost di Breda è l’unica in Olanda ad avereun master specifico di fotografia. <strong>Il</strong> concetto di documentarismoè tra i principali oggetti di ricerca del programmache esamina le nuove forme di fotografia in relazione agliambiti del fotolibro, della mostra, del video, del web. <strong>Il</strong> masterha una stretta collaborazione con il Dutch Photo Museumdi Rotterdam, che ospita la mostra di fine corso e lacui collezione è strumento di studio per gli studenti. <strong>Il</strong> corsodi livello inferiore ha una durata quadriennale e, condividendocol master l’interesse per la fotografia documentaria,mira a sviluppare negli studenti capacità riflessive, offrendoloro anche l’opportunità di studiare filosofia pressola Tilburg Universiy.Fotografia editoriale e commerciale sono i due campi di specializzazionedel bachelor di fotografia alla Koninklijke Academievan Beeldende Kunsten a L’Aia. La prima prepara allavoro documentaristico e giornalistico, la seconda è indirizzataalla pubblicità e alla moda. La scuola punta a una formazionetecnica eccellente e prepara ad affrontare l’industriafotografica in modo professionale e flessibile. Può contare sudocenti e visiting professor di rilievo: tra i primi Hans van derMeer e Raimond Wouda; tra i visiting Rob Hornstra, AntonCorbijn, Peter Hugo, David Goldblatt, Bas Vroeger, MartinParr, Erwin Olaf, Dayanita Singh.<strong>Il</strong> bachelor della Gerrit Rietveld Academie di Amsterdamha invece durata triennale e, piuttosto che puntare su una specificadirezione della fotografia, adotta un approccio concettualeche mette in discussione il linguaggio fotografico permigliorarne la comprensione. Corsi come Autonomous artPhotography, Visual research, Workevaluations, Philosophy,Art History, forniscono agli studenti un quadro di riferimentoentro il quale sviluppare liberamente i propri percorsi di ricerca.«Studium generale» è invece un programma teorico interdisciplinareaperto a tutti gli studenti dell’accademia cheogni anno, attraverso lectures di ospiti internazionali, raccoglieuna pluralità di voci su temi rilevanti del mondo contemporaneo.SPAGNAI piani didattici del Ministero per l’istruzione spagnolo non prevedonocorsi specifici di fotografia. L’insegnamento è quindi affrontatosu tutto il territorio nazionale in modo disorganico e ipochi corsi di fotografia sono inseriti all’interno di altri percorsidi studio. Ad esempio all’Universidad Complutense di Madridfotografia è presente nel master in «Investigación en Artey Creación» proposto dalla Facoltà di Belle Arti, ma non è previstauna specializzazione dedicata. L’unica realtà che si proponedi colmare questa lacuna è l’Universidad Politécnica diValencia, con il «Máster en Fotografía, arte y técnica», direttoda Pep Belloch. Con un taglio fortemente indirizzato al campodell’arte il corso prevede insegnamenti volti a fornire competenzetecniche per affrontare anche altri ambiti della fotografiacome il fotogiornalismo, la fotografia industriale e pubblicitariao di architettura. Obiettivo del corso è stimolare l’interesseteorico sugli sviluppi della fotografia contemporanea fornendostrumenti di analisi, critica e teorizzazione che gli artisti possanousare nel processo creativo. Lo scorso anno il master ha coinvoltoartisti come Joan Fontcuberta, Xavier Ribas, e teorici,critici e curatori come Catherine David, Marta Gili, Jean-FrançoisChevrier e Serge Tisseron.ALTRI PAESI EUROPEIAlcune scuole, sebbene decentralizzate rispetto ai tradizionalinodi dell’arte europei, sono oggi capaci di offrirsi quali alternativenel panorama globale, grazie a proposte innovativee alla costruzione di reti internazionali. Attiva dal 1999 la SabanciÜniversitesi di Istanbul è una realtà giovane e dinamica,cui caratteristiche sono la valorizzazione delle proprierisorse umane, il coinvolgimento della comunità, la propensioneall’innovazione e all’internazionalizzazione, elevatistandard etici nell’insegnamento. La facoltà di arte e scienzesociali abbraccia un ampio range di discipline che vanno dallavisual art alla visual communication, fino ai cultural studies.Con un taglio fortemente multimediale la fotografia è inseritanei corsi BA e MFA di «Visual Arts and CommunicationDesign», disponibili interamente in inglese.Anche la University of Arts di Poznan, in Polonia, ha recentementeattivato corsi di studi in lingua inglese, attraendo cosìstudenti da diversi paesi nel mondo. La Facoltà di Media Communicationoffre un ciclo di studi completo in fotografia, denominato«Photography in the field of art of image recording».Nata come fondazione privata la Finnish Academy of FineArts di Helsinki è ora divenuta università acquisendo il primatodi ateneo più piccolo della Finlandia. Più di sessanta accordicon istituzioni straniere permettono scambi di studenti einsegnanti in tutto il mondo. Fotografia è una delle specializzazioniall’interno del master in «Time and Space Arts», unprogramma che include altre arti audiovisive come video, film,performance, arte elettronica e site specific.<strong>Il</strong> dipartimento di fotografia e video diretto da Iosif Kiraly all’UnivestitateaNationala de Arte di Bucarest propone siaun Ba in «Photographic art and Technique», che include unbuon approfondimento nel campo del video, sia un Mfa il cuipercorso culmina con la presentazione di una tesi e la realizzazionedi un progetto. L’Univestitatea Nationala de Arte diBucarest dispone di una casa editrice e di una galleria che, sebbeneabbia una programmazione indipendente, interagiscecreativamente con il contesto universitario accogliendo mostree progetti di studenti e insegnanti.La Tbilisi State Academy of Art, in Georgia, è la principalee più antica accademia d’arte del Caucaso. Fotografia è unaspecializzazione di «Media Arts»: nel BA di quattro anni i primidue sono dedicati alla formazione tecnica e all’acquisizionedi competenze generali, mentre i due anni successivi vengonoimpiegati per sviluppare le propensioni individuali e prepararelavori che possano essere presentati in ambito internazionale.Nonostante fotografia sia una specializzazione recente,gli studenti hanno avuto successo sia in Georgia che all’estero.<strong>Il</strong> programma prevede workshop internazionali e gli studentisono incoraggiati a stabilire contatti con istituti formatividi altri Paesi per lavorare in joint project.USAPer quanto riguarda gli Usa, le grandi università costituisconouna scelta d’eccellenza anche per gli studi artistici. La più esclusivaè Yale al cui corso biennale di fotografia sono ammessi solonove studenti ogni anno che vengono seguiti settimanalmenteda un critique panel composto da membri dell’università, artistie critici. Scorrere alcuni nomi dalla lista dei docenti è sufficienteper avere un’idea della qualità del programma: GregoryCrewdson, Philip-Lorca diCorcia, Paul Graham, Shirin Neshat,Richard Prince, Collier Schorr. <strong>Il</strong> Mfa alla Columbia è un percorsodi studi biennale in cui fotografia è inserita in un programmache include anche digital media, disegno, pittura, stampa, scultura,installazioni, performance e video arte. Anche qui il masterè basato sul confronto continuo: gli studenti sono invitati a discutereil proprio lavoro sia con membri di facoltà che con visitingprofessor. Gli alunni del secondo anno organizzano un programmadi lectures a partire dai suggerimenti di tutti gli studentiche ha visto la partecipazione di artisti e curatori come MarinaAbramovic, Paul Graham, Okwui Enwezor, Sharon Lockhart,Taryn Simon, Wolfgang Tillmans.Al di fuori delle università, si distingue come modello esemplarel’International Centre of Photography di New York.Grazie all’ampia offerta formativa costituita da workshop e corsidi ogni livello e durata, conta ogni anno più di 5mila studenti.L’attività della scuola si svolge in stretta relazione con quelladel museo, il cui team di curatori, storici ed editori è coinvoltonella docenza accanto a numerosi visiting. <strong>Il</strong> master biennale,realizzato in collaborazione con il Bard College, prevede unpercorso fortemente improntato su studi teorici e critici, mentrela parte pratica è affidata a esperienze di tirocini presso studidi artisti e professionisti, musei, redazioni, agenzie.International Centre of Photography, New YorkALTRI PAESI EXT<strong>RA</strong>EUROPEIA completare la panoramica internazionale, uno sguardo ad altrerealtà nel mondo.<strong>Il</strong> Market Photo Workshop di Johannesburg, è stato fondatoda David Goldblatt alla fine degli anni Ottanta. <strong>Il</strong> taglio fortementesociale, dovuto all’uso strategico che della fotografiasi è fatto durante l’apartheid, si è ampliato in anni recenti accogliendole sfide poste dalla democrazia all’arte sudafricana.I corsi sono divisi in tre livelli (base di 8 settimane, intermediodi 13 settimane e avanzato di un anno) ed è inoltre attivoun corso annuale in fotogiornalismo e fotografia documentaria.Unica scuola del genere nel continente è prevalentementedestinata a studenti africani, sebbene aperta a stranieri che dimostrinoun particolare interesse verso l’Africa. Tra gli exalunni, Jodie Bieber, più volte vincitrice del World Press Photo,e le fotografe Nontsikelelo Veleko e Zanele Muholi i cuilavori sono stati di recente esposti in sedi internazionali comeArt Basel o l’ICP di New York.<strong>Il</strong> Centro de la Imagen di Lima ha un’offerta formativa diversificatache spazia da corsi tematici di breve durata a unprogramma annuale di tecnica fotografica, fino a un corsotriennale nel quale le lezioni di carattere tecnico sono affiancateda un percorso teorico che tocca temi di storia, semioticae critica dell’immagine. <strong>Il</strong> Centro organizza attività indipendentidai percorsi di studio ma che contribuiscono alla formazionedegli studenti promuovendo un’ampia riflessionesulla fotografia. All’interno di uno spazio espositivo, El OjoAjeno, la cui programmazione include mostre di ex alunni edi fotografi affermati, sono organizzati una Fiera e un Festivalche coinvolgono gallerie e istituzioni internazionali. Lacreazione di una rete di collaborazioni estere è alla base anchedel programma di residenze d’artista. Questo dispone diuno spazio, El borde, che i residenti possono usare come laboratorio,spazio espositivo, luogo di confronto con altri studentie col pubblico.La Tokyo Geijutsu Daigaku University of the Arts è tra lemaggiori università del Giappone. <strong>Il</strong> dipartimento di «IntermediaArt» è stato attivato nel 1999 con l’obiettivo di svilupparenuovi media e nuove forme di interazione tra arte e società. Perquesto il Ba è articolato in un percorso che, prendendo in considerazioneun ampio range di linguaggi, quello del corpo, la fotografia,il disegno, film e video, musica e design, vede i quattroanni strutturati in step successivi: Knowing yourself, Learningabout others, Building relationships, Bringing it all togheter.Stimolare l’innovazione e portare gli studenti ainventarenuove modalità espressive è obiettivo anche del Mfa, riservatoa 24 iscritti all’anno. Francesca Lazzarini e Alice Bergomi


10 FotografiaIL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Artist in residencePer l’artista tutto il mondo è residenzaSe come sosteneva William Burroughs «la cosa più pericolosada fare è rimanere immobili» gli artisti oggi non sembranocorrere questo rischio data la loro propensione a muoversicostantemente incoraggiati dalle tante invitanti opportunitàdi residenze in ogni parte del mondo. Si parla in sostanza dellapossibilità per loro di trascorrere periodi variabili di tempo,più o meno lunghi, all’estero usufruendo di spazi di lavoro attrezzatie di un supporto critico e teorico in un confronto direttocon realtà artistiche, sociali e culturali prima estranee.Quella degli Artist in residence (A.I.R.) è una pratica ormai ampiamentediffusa nel cammino formativo degli artisti e una tendenzanella scena dell’arte contemporanea che vanta programmisempre più strutturati e un interesse in forte crescita. A sottolinearlosono pubblicazioni a tema e meeting internazionali organizzatiper investigare le dinamiche e gli effetti che queste nuoveforme di nomadismo generano, in un dibattito aperto a professionistie addetti del settore coinvolti a più livelli da critici ascrittori, da artisti a curatori. L’esplosione nella visibilità e nellarichiesta di programmi A.I.R. avvenuta a partire dagli anni Novanta,si deve certamente alla nascita di database online comeTransartists, Res Artists, Alliance of Artists Communities (aiquali si possono aggiungere quelli relativi nello specifico alle offertedi ogni singola nazione: Artinstay per la Francia, Artinresidencein Italia, AIR-J per il Giappone) che hanno raccoltocome vere guide in rete tutte le informazioni relative alle propostedi residenze internazionali assolvendo al fondamentale compitodi accelerare il processo di incontro tra domanda ed offerta.Dal virtuale al reale. Dal web all’esperienza vissuta. Datirecenti attestano come tra il 2009 e il 2010 si sia verificato unaumento del 360% nell’interesse e nella richiesta di residenzeall’estero in particolare nel campo delle arti visive.Molto spesso questi programmi sono solo uno dei tanti modellia sostegno dei giovani talenti inseriti nei piani didattici di centriculturali, scuole e accademie che si aprono a una fitta retedi scambi internazionali di studenti in un prolifico sistema dicooperazione. I musei aprono le porte non solo alle opere maanche ai loro work in progress, le gallerie con sempre maggiorfrequenza invitano artisti in residenza e commissionanoloro lavori site specific come nuovo modello di produzione artistica.E mentre prestigiose istituzioni come la Rijksakademie di Amsterdam,la Daad di Berlino, Gasworks e Delfina Foundationin Inghilterra in molti casi sostenute da fondi governativi soffronol’attuale crisi economica, nascono oggi un numero impres-John Hitchock (Usa), video installazione realizzata nelProgetto Ace, residenza per artisti di Buenos Airessionante di piccoli centri indipendenti. Si tratta perlopiù di organizzazionino profit, fondate e gestite da artisti, che nelle lorostesse abitazioni e nei loro atelier fanno spazio a colleghi di altrenazionalità autofinanziandosi. Luoghi alternativi per l’arte,vitali, che si affiancano al circuito ufficiale a volte volutamentelo aggirano in un clima di libertà e straordinaria creatività. Lamultidisciplinarietà è il tratto evidente che lega tutte le varieopportunità internazionali di residenza nelle quali musica,arti performative, grafica, disegno, scultura, fotografia,pittura o cinema sono affiancate a confermare, se ancorace ne fosse bisogno, uno degli aspetti più evidenti del linguaggiodell’arte contemporanea fatto di continue contaminazioni tramedia e tecniche artistiche differenti. Non esistono modelli unicia cui riferirsi, al contrario è la diversità di ogni singolo progettoad affascinare a partire dalle locations: dall’isola Fogoalle Cicladi, dalla Groenlandia al Marocco, dall’Islanda alla Tazmania,Oriente ed Occidente come Sud e Nord del mondo.È possibile per un artista oggi scegliere tra residenze rurali, ri-tiri eremitici sperduti nella natura più selvaggia o residenze urbaneconcentrate nelle più affollate e glamour metropoli mondiali.Gli spazi dedicati al soggiorno sono disparati e spessoinconsueti: ex caserme di vigili del fuoco , ex agenzie di pompefunebri, tram, loft o castelli seicenteschi, tende o casette hightechsulle sponde dell’oceano, aree dismesse e poi riabilitate,interi complessi ospedalieri per malattie endemiche in disuso(Konstepidemin/Edpidemic of Art, Göteborg) riconvertiti almotto di «infettare la vita con l’arte».Variano anche le condizioni di selezione, le durate delle permanenze(da poche settimane a mesi in alcuni casi anche anni)e le offerte (residenze per curatori, per studenti, per professionisti).Molteplici sono anche le possibilità di sostegno economicoper la permanenza con premi, borse di studio, coperturaparziale delle spese da parte degli istituti ospitanti, fondi europeicome l’Unesco-Aschberg-Bursaries for Artists che promuovela mobilità di artisti tra i 25 e i 35 anni.E la fotografia? Sempre presente in quei programmi che vengonogenericamente rivolti alle arti visive si ricava un ruoloda protagonista in tante opportunità internazionali, daresidenze sulla fotografia digitale (Shanghai Digital Photography)a quelle per lo studio e la sperimentazione di antichetecniche di stampa (Goa Center for Alternative Photography-ALTlabin India).Fondato nel 2007 dai due artisti e curatori RongRong e Inri,Three Shadows Photography Art Centre nella zona nord estdi Pechino si propone come il primo spazio nazionale per l’artecontemporanea esclusivamente dedicato alla fotografia eai video e prevede di divenire la piattaforma più comprensivanella promozione della fotografia contemporanea cinese. In uncomplesso di 4.600 metri quadrati progettato da Ai Weiweiche figura anche tra i membri dell’advisory board del centro insieme,tra gli altri, a Christopher Phillips dell’Icp di New Yorke Yoshiharu Fukuhara direttore del Metropolitan Museum ofPhotography di Tokyo, lo spazio ospita al suo interno una galleriaper esposizoni temporanee, un dipartimento educativo, unabiblioteca con oltre 3mila volumi consultabili di fotografia contemporanea.Titolare di un’importante collezione fotografica,ogni anno l’istituzione riconosce un premio a supporto di giovanitalenti il Three Shadow Photography Art CenterAward.Con il programma di residenze, al momento in fase di ridefinizionee rinnovamento, il centro mira a incoraggiare il dialogotra la Cina e la scena fotografica contemporanea internazionale.Rong Rong è convinto, in base alla sua personale espe-


IL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Fotografia 11La location dell’Artist in residence di Bucarestferma: «In generale non ci sono tante differenze, ma una nota distintiva:la serietà dell’istituzione, che si trovi in Europa, in Asiao negli Stati Uniti: può esserci un’istituzione molto seria in Cina,e una meno seria negli Usa, o viceversa. Io ritengo che abbiaa che fare più con la gente che con il Paese . Bucharest Aircerca di essere molto seria nel coordinare gli artisti e mantenereun elevato livello qualitativo, così come di ricerca e produzione.Naturalmente, questo dipende anche dai budget. In Romaniai finanziamenti in materia artistica sono molto modestiper cui il maggior investimento non è il denaro, ma il lavoro ela determinazione».Alla domanda su quale possa essere il punto di forza di una residenzaBratu risponde «credo sia l’affidabilità e il rimanere inlimiti precisi: artisti, curatori e scrittori che partecipano a unprogramma di residenza, vogliono fare ricerca o produrre opere.L’affidabilità è il fattore chiave nel soddisfare al meglio leesigenze degli ospiti, come nel mantenere buone relazioni di lavoro.Anche l’essere innovativi, flessibili e produttivi attiene aciò che vedo come un buon programma di residenza: dare il viaa mostre, workshop, presentazioni, progetti, ma anche invitareartisti giovani ed emergenti, non solo la generazione di artistipiù vecchi e consolidati, è un importante fattore di successo.Inoltre è davvero necessaria una capacità di comprendere l’artee l’artista come fenomeni, così come l’interesse nella cultura,un interesse genuino, non esclusivamente basato sul poterecommerciale. Per i giovani artisti, ma in genere per tutti i giovani,credo sia molto importante viaggiare e vivere periodi dellavita in luoghi diversi. Aiuta a sviluppare capacità e a comprendernei valori veri. Per comprendere l’arte, si deve primacapire l’arte come parte della vita, forse una delle parti più importanti.Molto spesso, i giovani artisti percepiscono l’arte comecommercio, a causa di esempi come le fiere o l’attività di artistidi grande successo, ma al contrario è soprattutto un mezzointellettuale e sensitivo per comprendere il mondo e il ruolodell’artista, i suoi doveri e i suoi obiettivi in questo mondo. L’arteè anche un modo per cambiare le situazioni sociali, per reagirepositivamente a situazioni non positive, per protestare control’ingiustizia, l’isolamento sociale, la povertà, l’ignoranza el’emarginazione sociale».In Germania dal 2009 esiste il programma Picture Berlin ibridotra residenza e accademia d’arte dedicato ad artisti emergentiche usano il medium fotografico. Strutturato in summer sessione spring session, Picture Berlin incoraggia i partecipanti a prendereparte attiva al discorso su questioni riguardanti l’arte e lafotografia contemporanea con il supporto di curatori freelancee una programmazione dinamica che alterna rigorose pratichein studio a passeggiate, conferenze, proiezioni di film, lezionidi tedesco nonché opportunità di entrare direttamente in contattocon la vivace scena culturale di Berlino.Stills Gallery - Scotland Center for Photography nasce nel1977 a Edimburgo con lo scopo di sostenere lo sviluppo dellafotografia in Scozia. È un centro attivo che coordina attraversomostre, eventi, screenings e workshop un’importante attivitàformativa in ambito tecnico e teorico con una forte propensionealla riflessione critica sul ruolo e sugli sviluppi della fotografiacontemporanea.Altri centri dedicati allo sviluppo dell’immagina fotografica VUPhoto a Quebec in Canada e Flaggfabbrikken Center for Photographyand Contemporary Art a Bergen in Norvegia hannoattivato residenze internazionali.Con più di 30 anni di esperienza alle spalle, Light Work a Syracuse,nello Stato di New York, vanta il passaggio in residenzadi nomi importanti nel panorama fotografico internazionale,quali Cindy Sherman, James Casebere e Brian Ulrich. Oggirienza, che una residenza può avere un enorme impatto su un artista.Ricorda: «Da giovane, circa 10 anni fa, ho partecipato aun Artists in residence in Europa. È stato un’esperienza completamentediversa da tutte quelle che avevo vissuto prima.Quando ti sottoponi a un completo cambiamento di tempo e spazio,il nuovo ambiente alimenta una vivace ispirazione per il tuoprocesso creativo. Specialmente oggi, nell’era tecnologica incui le informazioni e la digitalizzazione saturano ogni cosa, unaresidenza può darti l’opportunità di avere una connessione direttae personale con un luogo. Vieni via che hai preso coscienzadella realtà e dell’esistenza». <strong>Il</strong> proposito di attivare un programmadi residenze al Three Shadow ha a che vedere per RongRong con le «poche proposte di questo tipo che la Cina ha rispettoall’Europa , agli Stati Uniti e al Giappone. Questi Paesihanno già programmi costituiti di scambi culturali e interazioniche sono in funzione da tanto tempo».A Singapore Objectifs Centre for Photography and Filmakingdal 2003 si offre come opportunità di studio e approfondimentoper studenti del linguaggio delle immagini proponendocorsi, film screening, workshop e mostre. <strong>Il</strong> programma diresidenze è aperto agli artisti di qualsiasi nazionalità che utilizzanofotografia e film, con la speranza di farli interagire con lacomunità artistica locale.L’Est Europa ribadisce la sua vivacità artistica con un’ampiagamma di proposte di residenza molto spesso attente alle tecnologiee ai nuovi media. A Budapest il Photographer HostingBudapest (PH Budapest) è il primo centro ungherese a proporreun programma di Artist in residence specificatamente fotograficorivolgendosi agli artisti emergenti europei sotto i 40anni d’età in collaborazione con Hungarian house of Photographye Moholy-Nagy University of Art and Design.La fondazione Izolyatsia che ha sede in quello che fu una grandeindustria di materiali isolanti durante il periodo dell’UnioneSovietica a Donetsk in Ukraina ha di recente lanciato un programmaannuale di residenze. «<strong>Il</strong> paesaggio della regione è ancorafortemente segnato da quel periodo sia geograficamenteche socialmente» spiega il noto fotografo ucraino Boris Mikhailovche nell’estate del 2011 è stato curatore dell’IzolyatsiaPartly Cloudly Residency, un’oppurtunità per fotografi internazionaliselezionati su open calls e invitati a trascorrere un mesea Donetsk per sviluppare un progetto. «Su 250 candidature, prosegueMikhailov, sono stati selezionati 8 finalisti e i loro progettisaranno presentati in una mostra nel giugno 2012».L’obiettivo del programma è quello di voler contribuire allosviluppo di una vivace scena artistica della regione. «Donetskè un posto unico e al contempo molto ordinario. Non è una cittàche i turisti andrebbero a visitare, ma qui si nasconde un’energiache è molto forte e le persone creative lo percepisconoacutamente. La comunità artistica locale ha veramente beneficiatodi quegli artisti che sono venuti nella loro città questa estate;è stata un’iniezione di vitalità nella scena locale, i cui fruttiè difficile giudicare oggi, ma li raccoglieremo negli anni a venire.Stavamo cercando fotografi desiderosi di fare esperienze diretteanziché seguire gli stereotipi sugli spazi postsovietici. Erainoltre importante che volessero studiare il mezzo fotograficonon solo come mezzo di documentazione sociale, ma come formadi espressione artistica sperimentale». Che cosa un giovanefotografo possa ricavare da un’ esperienza di questo tipo? Alladomanda Mikhailov risponde: «È un’occasione per spingere ilproprio lavoro a un nuovo livello. Naturalmente, dipende dall’artista,ma per molti è una scoperta di un nuovo terreno e l’esteticaè una potente fonte di ispirazione oltre che la riconsiderazionedel proprio ruolo di artista».Bucharest Air è un centro per l’arte contemporanea nato nel2009 grazie all’attivissimo artista e curatore Tudor Bratu incollaborazione con Alexandra Croitoru e Alina Serba. Dopola sua personale esperienza di artista in residenza presso la Rijksakademie,Bratu ha messo a disposizione la casa con giardinoereditata dal nonno per ospitare e far interagire con la scena artisticalocale rumena artisti operanti soprattutto nell’ambito fotograficoe di videoinstallazioni. «A Bucharest Air, spiega Bratu,invitiamo a soggiornare gratuitamente e a lavorare artisti diottima qualità, ma che non godono di finanziamenti o che hannopoca esperienza. Agli artisti che godono di finanziamentichiediamo di provvedere per i loro colleghi che non ne hannoaffatto. In questo modo, questo sistema sociale per l’arte puòfornire a tutti un’opportunità di lavorare, fare ricerca e progressi.È anche molto bello ragionare in questo modo, la gentelo rispetta e capisce la necessità di un sistema sociale perl’arte in contrapposizione con il mercato commerciale o il mondoartistico di alto profilo» .Riguardo alle differenze tra i programmi nel mondo, Bratu afconuna collezione di oltre 3.500 opere ha un programma A.I.Rche ospita dai 12 ai 15 artisti in residenza all’anno e offre lorocamera oscura e laboratori digitali privati, alloggio e stipendio.L’autorevole Camera Club di New York (Ccny), che ha vistotra i suoi membri fondatori Alfred Stieglitz, con le sue Darkroomresidency offre a fotografi che abitano a New York la possibilitàdi residenze mirate esclusivamente al lavoro di stampain camera oscura.Altro programma statunitense che gode di un’ottima reputazioneed è ritenuto uno dei migliori nuovi programmi offerti ad artistiemergenti, è Woodstock A.I.R - Center for Photographyat Woodstock rivolto a residenti americani che ha tra i suoi intentiquello di essere «a sanctuary for creativity». Offre alloggioe spazi di lavoro attrezzati con camere oscure, postazioni perla rielaborazione digitale delle immagini, biblioteca specializzatae supporto critico e tecnico.Ancora negli Stati Uniti vanno segnalati il NewSpace- Centerfor photography di Portland e, anche se non circoscitto all’ambitofotografico ma allargato a quello delle arti visive, l’InternationalStudio & Curatorial Program (Iscp), che gode diuna notevole storia e di un’ottima considerazione. L’istituzioneno profit fondata nel 1994 ha già ospitato più di 1300 artisti dapiù di 55 Paesi del mondo mettendo a disposizione nella zonadi East Williamsburg a Brooklyn circa 35 studi per artisti e curatorimiddle career, più uno spazio espositivo e una lista di visitingcurator assolutamente di riguardo.In Sud America si può scegliere tra il Centro de la Imagen aCittà del Messico, ospitato in un ex edificio coloniale per la lavorazionedel tabacco, e quello omonimo a Lima: entrambi stannoavviando programmi di scambi internazionali di residenza.<strong>Il</strong> fermento artistico dell’area latinoamericana è confermato daAlicia Candian, artista e curatrice del Projecto Ace a BuenosAires: «Ci sono un considerevole numero di programmi di residenzain America Latina, la maggior parte dei quali sono fondatida artisti e condotti su basi indipendenti. Ce ne sono anchealcuni finanziati da istituzioni. Residencias en Red (iberoamerica)è una piattaforma di spazi che opera nella ricerca, produzioneed esposizione di arte e cultura contemporanea, particolarmenteconnessa con i programmi di residenza. Fotografiae video sono due pratiche artistiche largamente sviluppate neiPaesi latinoamericani. In Argentina Encuentros Abiertos, cheappartiene all’International Light Festival, è una Biennale Fotograficamolto nota, la cui prossima edizione si terrà dal primoagosto al 30 settembre». Projecto Ace è un programma internazionaleindipendente e senza fine di lucro «unico nel suogenere nell’America del Sud, che si propone di riunire artisti ditutto il mondo e di accorciare le distanze tra vecchie e nuovetecnologie e tra generi artistici». La sua peculiarità è che la strutturapone particolare attenzione a quei progetti che riguardanola riproducibilità dell’oggetto d’arte tramite tecniche di stampa,fotografia e nuovi media, e che esplorano le loro reciproche interferenzee ibridazioni. Dal 2005, l’Artist in Residence InternationalProgram (Arip) è il principale programma di Ace.«Essere residenti di Ace significa: lavorare in modo collaborativo,ricevere assistenza tecnica e artistica ed essere immersi inuna vibrante vita culturale cittadina. Durante la residenza, gliartisti beneficiano di un periodo intensamente produttivo amplificatodallo scambio di idee e di esperienze con i colleghi».Per la Candian non c’è una regola che stabilisca che cosa fa diuna residenza una buona residenza, ma sono da valutare tantifattori: «In alcuni casi è l’area geografica in cui è collocata, avolte è il tipo di attrezzatura che una specifica sede di residenzaoffre, in altri casi sono gli artisti che l’hanno fondata o i curatoriche vi sono coinvolti, o ancora i progetti che vi si sviluppano.Non possiamo parlare di un solo tipo di punto forza. <strong>Il</strong>luogo di residenza è strettamente legato a ciò che l’artista stacercando. Se si vuole interagire con un ambiente urbano non sicercherà una residenza in campagna e così via. Essendo anch’ioun’artista, sono stata in molte residenze internazionali negli StatiUniti, in Canada, in Europa, in Cina e in America Latina. Inbase alla mia esperienza, posso dire che ci sono tante formuledi residenza quante sono le effettive residenze. Fondamentalmente,una residenza attiene al tempo e allo spazio riservati allacreazione artistica. Se c’è un elemento in comune tra l’AmericaLatina, l’Europa e il Nord America è una certa carenza difinanziamenti governativi per questo tipo di progetti».Per concludere ancora un’affermazione di Tudor Bratu: «Viaggiare,significa spesso confrontarsi con situazioni inaspettate,ma anche scoprire nuove energie e pensieri per il futuro. Io credoche, senza residenze, il mondo dell’arte sarebbe più povero elo sarebbe anche la gente». Mara Luisa Mariani


12 FotografiaIL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 ConservazioneUna disciplina giovane pronta alle sfideLe tecniche e le metodologie utilizzate per il restauro e la conservazionedella fotografia soffrono da sempre di una certaarretratezza, se messe a confronto con quelle all’avanguardiaapplicate alle opere d’arte più antiche come pittura e scultura.Come testimonia Dusan Stulik, senior scientist presso il GettyConservation Institute: «<strong>Il</strong> problema principale è che il restauroe la conservazione della fotografia sono discipline relativamentenuove, così come la fotografia è una disciplina nuova inconfronto alla pittura o al disegno o ad altre forme d’arte. Lasua conservazione ha iniziato a essere un argomento serio solonel 1970, perciò utilizza molte metodologie applicate in altri campidi restauro. <strong>Il</strong> problema è che la struttura interna e la composizionechimica delle fotografie è molto diversa da qualsiasialtro oggetto d’arte per cui quelle tecniche e metodologie devonoessere riviste in funzione del nuovo mezzo per essere utilizzatein fotografia».LA CONOSCENZA DEI MATERIALIAlla base di una buona e corretta pratica di conservazionee restauro della fotografia sta la conoscenza dell’oggetto fotograficoe quindi il riconoscimento delle diverse tecniche presentiin una collezione, al fine di poterle correttamente trattareed archiviare. Chi si è cimentato almeno una volta, per lavoroo per passione, nel riconoscimento di antichi procedimenti sabene quali e quante siano le variabili e quanto sia a volte ingannevolel’aspetto di una fotografia. Racconta Anne Cartier-Bresson, direttrice dell’Atelier de Restauration et Conservationde la Ville de Paris (Arcp), uno dei centri europei più avanzatiper il restauro e la conservazione della fotografia: «La fotografiadegli inizi era il prodotto di inventori e studiosi, chesperimentavano numerose ricette prima di mettere a punto i loroprocedimenti. Così, accanto ai procedimenti faro della storiadella fotografia, si trovano numerose varianti o adattamenti,che presentano aspetti differenti e i cui processi di invecchiamentonon sono identici. Nell’era del totalmente digitale,l’interesse per l’immagine fotochimica aumenta nella misurain cui l’offerta in materia di supporti e di apparecchiature fotografichetradizionali si impoverisce. È dunque importante fareil punto sulle nostre attuali conoscenze, al fine di proporreal grande pubblico, ai ricercatori e ai professionisti le chiaviper comprendere e conservare l’insieme di questi oggetti appartenential patrimonio culturale». Per far ciò l’Arcp ha elaboratouna serie di progetti; tre i più importanti che Anne Cartier-Bressonporta ad esempio: «<strong>Il</strong> primo è un volume edito nel2008, Le Vocabulaire Technique de la Photographie che rispondeal bisogno di fare il punto sulla descrizione delle collezionifotografiche che dobbiamo studiare, conservare e diffonderenelle istituzioni. La versione inglese di questo libro di quasi500 pagine sarà pubblicata dalle edizioni Steidl nel 2013. Glialtri due progetti che mi preme segnalare sono due mostre:“L’oggetto fotografico, un’invenzione permanente” e “Nellostudio del fotografo, la fotografia messa in scena”. Questi treprogetti, anche se molto diversi, tendono allo stesso obiettivo:sviluppare una particolare attenzione nei confronti dell’oggettofisico della fotografia e proporre strategie globali di conservazionedei fondi fotografici in un’epoca in cui la conoscenzaISO: gli standard internazionaliL’International Organization for Standardization (ISO) ha elaborato epubblicato un numero considerevole di documenti che riguardano la fotografia(che rientra nel capitolo “imaging materials”).Le normative pubblicate hanno lo scopo di fornire linee guida per laproduzione di materiale, per la corretta manipolazione ed archiviazionee per la conduzione di test. Si fornisce qui un elenco completo dellenormative oggi pubblicate e scaricabili (a pagamento) dal sitohttp://www.iso.org.I documenti contrassegnati con ** possono essere ritenuti quelli di maggiorinteresse per chi si occupa di conservazione, fornendo indicazioniper la corretta manipolazione e archiviazione. I commenti sono a curadi Douglas Nishimura, Image Permanence Institute. ISO18901: 2010 Imaging materials - Processed silver-gelatin-typeblack-and-white films - Specifications for stability **ISO 18902: 2007 Imaging materials—Processed imaging materials- Albums, framing and storage materials ISO 18903: 2002 Imagingmaterials - Films and paper - Determinationof dimensional changes ISO 18904: 2000 Imaging materials - Processed films - Method fordetermining lubrication ISO 18905: 2002 Imaging materials - Ammonia-processed diazophotographicfilm - Specifications for stability. ISO 18906: 2000 Imaging materials - Photographic films - Specificationsfor safety film ISO 18907: 2000 Imaging materials - Photographic films and papers- Wedge test for brittleness ISO 18908: 2000 Imaging materials - Photographic film - Determinationof folding endurance ISO 18909: 2006 Photography - Processed photographic color filmsand paper prints - Methods for measuring image stability ISO 19010: 2000 Imaging materials - Photographic film and paper- Determination of curl **ISO 18911: 2010 Imaging materials - Processed safety photographicfilms - Storage practicesLo standard fornisce raccomandazioni su Temperatura e Umidità Relativaper l’archiviazione e indicazioni sugli ambienti d’archivio (luce, qualitàdell’aria), scaffalature e contenitori per pellicole.Dusan Stulik effettua un’analisi di un platinotipo di GertrudeKasebier del 1930 con strumento per fluoresecenza a raggi Xdei materiali può scomparire a vantaggio di una semplice analisidell’immagine».L’Image Permanence Institute, un importante laboratorio indipendenteamericano che si occupa di ricerca sulla conservazionedella fotografia, ha creato e messo liberamente a disposizionein rete un utile strumento per il riconoscimento, il GraphicsAtlas (www.graphicsatlas.org/), che permette di analizzaree comparare tecniche diverse (dall’800 al digitale).Dal 2000 il Getty Conservation Institute utilizza per il riconoscimentodelle tecniche una metodologia d’indagine basata sustrumentazioni già applicate nei campi medico e scientifico egià sperimentate nel restauro di dipinti e sculture. Dusan Stulik,uno tra i principali autori di questo progetto, lo descrive così:«<strong>Il</strong> nostro obiettivo è utilizzare una metodologia scientificamentefondata per identificare i processi fotografici e per farequesto ci stiamo concentrando sull’utilizzo di due tipi di tecnicheanalitiche e strumentali. Una di esse analizza le componentiinorganiche presenti nelle fotografie (per esempio i metalli,con i cui sali spesso le carte sono rese sensibili alla luce) utilizzandola fluorescenza a raggi X (o XRF). La seconda tecnica, laspettrometria a infrarossi (o FTIR), ci serve per analizzare il materialeorganico (per esempio la gelatina utilizzata per le stampea sviluppo a gelatina o l’albume usato come legante nell’albumina)».Attraverso questa combinazione di metodologied’indagine, entrambe non distruttive, che non necessitanoquindi il prelievo di un campione per l’analisi, si può arrivarea una descrizione certa della composizione chimica di unoggetto fotografico. Un risultato davvero importante che hapermesso di classificare fino a 150 antichi procedimenti fotografici,di rimettere ordine in alcune importanti collezionifotografiche e, in certi casi, di riscrivere alcuni capitoli dellastoria della fotografia.Per poter analizzare le fotografie all’interno di musei e istituzioni,senza quindi rendere necessari per le immagini viaggi potenzialmentetraumatici, Stulik ed i suoi colleghi hanno costruito un ISO 18912: 2002 Imaging materials - Processed vesicular photographfilm - Specifications for stability **ISO 18913: 2003 Imaging materials - Permanence - Vocabulary ISO 18914: 2002 Imaging materials - Photographic film and papers- Method for determining the resistance of photographic emulsionsto wet abrasion ISO 18915: 2000 Imaging materials - Methods for the evaluation ofthe effectiveness of chemical conversion of silver images againstoxidation ISO 18916: 2007 Imaging materials - Processed imaging materials- Photographic activity test for enclosure materialsÈ il test richiesto espressamente dalla ISO 18902 **ISO 18918: 2000 Imaging materials - Processed photographicplates - Storage practices.È lo standard per l’archiviazione di lastre fotografiche, incluse albuminasu vetro, ambrotipi o positivi al collodio umido su vetro, autocromie,diapositive per lanterna e ferrotipi. ISO 18919: 1999 Imaging materials - Thermally processed silvermicrofilm - Specifications for stability **ISO 18920: 2011 Imaging materials - Processed photographic reflectionprints - Storage practicesLo standard è stato appena revisionato e fornisce indicazioni sia per lestampe fotografiche analogiche che digitali. ISO18921: 2008 Imaging materials - Compact discs (CD-ROM) - Methodfor estimating the life expectancy based on the effects of temperatureand relative humidity ISO 18922: 2003 Imaging materials - Processed photograph films- Methods for determining scratch resistance **ISO 18923: 2000 Imaging materials - Polyester-base magnetic tape- Storage practices ISO 18924: 2000 Imaging materials - Test method for Arrheniustypepredictions **ISO 18925: 2008 Imaging materials - Optical disc media - Storagepractices ISO 18926: 2006 Imaging materials - Information stored on magneto-optical(MO) discs - Method for estimating the life expectancybased on the effects of temperature and relative humiditylaboratorio portatile e oggi tutti gli strumenti di cui hanno bisognostanno in una sola valigia. «<strong>Il</strong> problema che abbiamo riscontratonel corso del nostro progetto è che anche professionistiqualificati, come restauratori e storici dell’arte della fotografia,non sanno come identificare i dettagli dei processi fotografici.Nel XIX secolo sono stati elaborati 150 procedimenti, alcunimolto simili tra loro, quindi senza usare una metodologiascientifica non si possono identificare con precisione assoluta.Per esempio, in Inghilterra abbiamo avuto la possibilità di analizzareuna fotografia di Frederick Evans, presente all’internodella collezione della Royal Photographic Society of England,conservata presso il National Media Museum di Bradford. La fotografiaaveva un’etichetta sul retro che diceva trattarsi di unafotografia al platino. Quando abbiamo fatto l’analisi non abbiamotrovato platino o palladio e guardando al microscopio abbiamotrovato la struttura di un’immagine fotomeccanica. In unaltro caso ci hanno sottoposto un’immagine che portava scrittosul retro “Questo è il primo platinotipo fatto da William Willis”.Quando abbiamo fatto l’analisi non abbiamo trovato platino eabbiamo scoperto che l’immagine era costituita da una piccolaquantità di cromo; all’aspetto aveva un colore purpureo scuro.Cercando nella letteratura è emerso che esisteva un altro WilliamWillis, padre dell’inventore del platinotipo, anche lui fotografoche inventò nel 1868 la tecnica chiamata processo all’anilina.Un altro esempio interessante viene dal National MediaMuseum dove si trova un’immagine proveniente dalla collezioneTalbot del 1854. Questa fotografia contiene collodio (che nonera usato su carta a quell’epoca) e sotto il collodio si trova unostrato solfato di bario. Quindi se è vero che quella fotografia furealizzata da Talbot a quell’epoca, sarebbero da attribuire a luidue innovazioni. Dunque Talbot sarebbe stato l’inventore dellafotografia al collodio su carta e anche il primo a utilizzare il legantea ossido di bario nei processi fotografici. Sarebbe qualcosadi completamente nuovo nella storia della fotografia, mala nostra scoperta deve essere provata da ricerche d’archivio estorico artistiche prima che possiamo fare un grande annuncio».LA MATURITÀ DELLA FOTOG<strong>RA</strong>FIA ANALOGICAL’«era» della maturità della fotografia analogica (1888 circa -oggi) presenta problemi di identificazione molto inferiori rispettoall’epoca delle origini. I materiali iniziano a definirsi tecnologicamentee a standardizzarsi. La fotografia esce dalla sferadell’artigianato e diventa terreno industriale. Le più famoseditte produttrici si attestano nella commercializzazione di positivie negativi su carta emulsionata alla gelatina ai sali d’argento,anche se notevoli e continue sono state le ricerche e le sperimentazionial fine di ottenere carte e pellicole per negativi consensibilità e caratteristiche differenti. La grande sfida del Novecentoè stata la conquista del colore. Tuttavia da un punto di vistaconservativo, la fotografia a colori può considerarsi unascommessa mancata perché, anche se archiviate in condizioniconservative ottimali e al buio, le fotografie a colori, negativee positive, hanno grossi problemi di stabilità. Ogni prodottoe ogni marca ha saputo maturare diversi livelli di prestazione,ma l’attuale indicazione per la conservazione di questomateriale è generalmente l’archiviazione sotto zero. Pra- ISO 18927: 2008 Imaging materials - Recordable compact discsystems - Methods for estimating the life expectancy based on theeffects of temperature and relative humidity **ISO 18928: 2002 Imaging materials - Unprocessed photographicfilms and papers - storage practices **ISO 18929: 2003 Imaging materials - wet-processed silver-gelatintype black-and-white photographic reflection prints - specificationsfor storageLo standard si riferisce solo alle stampe destinate ad archiviazione eChe non verranno esposte. ISO 18930: 2011 Imaging materials — Pictorial colour reflectionprints — Methods for evaluating image stability under outdoor conditions ISO 18932: 2009 Imaging materials - Adhesive mounting systems- specifications **ISO 18933: 2006 Imaging materials -Magnetic tape - Care andhandling practices for extended useSi tratta di un aggiornamento del documento 18923 con lievi aggiornamentieditoriali. **ISO 18934: 2011 Imaging materials - Multiple media archives -Storage environmentsLo standard non intende sostituire le raccomandazioni fatte negli appositistandard per materiali specifici, come ISO 18911. Dove possibilele raccomandazioni d’archiviazione fornite per i materiali specificidovrebbero essere seguite. Tuttavia è stato riconosciuto che molte istituzioninon hanno altra scelta che immagazzinare una varietà di materialimisti in spazi comuni e questo standard assiste nell’ottenimentodel miglior compromesso possibile per questi materiali. ISO 18935: 2005 Imaging materials - Colour images on paper prints- Determination of indoor water resistance of printed colour images **ISO 18938: 2008 Imaging materials - Optical discs - Care andhandling for extended storage ISO 18941: 2011 Imaging materials - Colour reflection prints - Testmethod ozone gas fading stability ISO 18946: 2011 Imaging materials – Reflection colour photographicprints – Method for testing humidity fastness Roberta Russo


IL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Fotografia 13tica non così semplicemente attuabile per musei e istituzioni,principalmente per i costi energetici che l’operazione comporta,essendo necessario, mentre si congela, mantenere sempre un’umiditàrelativa intorno al 30% (ed è risaputo che quanto più latemperatura si abbassa tanto più l’umidità relativa cresce). Ciònon toglie che in America e in Canada diverse istituzioni abbianomesso in atto già da diversi anni questa modalità conservativaper le loro collezioni più preziose.L’«era» della fotografia analogica può oggi dirsi fondamentalmenteconclusa sul piano della produzione industriale, che si stagradualmente convertendo al digitale. La morte commercialedella fotografia analogica decreta contemporaneamente lanecessità di una sua storicizzazione perché non si perda memoriadelle tecnologie fin qui sperimentate. Con questo propositoil Getty Conservation Institute nel 2006 ha lanciato unenorme progetto per la costituzione di un archivio di materialifotografici che raccolga tutti i negativi e i positivi fotograficipredigitali prodotti e diffusi nel mondo dalla nascitadella fotografia ad oggi. Le case produttrici infatti non hannoconservato nel tempo un campione dei materiali prodotti e ogginon esiste al mondo un catalogo di questo genere. Chiunque puòcontribuire alla costituzione di questo archivio, spedendo a unindirizzo apposito i materiali fotografici, solo se datati e con indicazionedella ditta produttrice (www.getty.edu/conservation/our_projects/science/photocon/photocon_wanted.html).L’E<strong>RA</strong> DIGITALEDal 1990 la fotografia, con le prime esperienze in digitale, entranuovamente in un’era fortemente sperimentale e ad oggisono state prodotte una grande quantità di carte per stampa fotografica,stampanti che utilizzano diverse tecnologie e inchiostricon caratteristiche molto diverse. <strong>Il</strong> negativo ha fisicamente smessodi esistere e la sorgente è diventata un file. Siamo tuttora nelpieno di una grossa rivoluzione e l’industria produce continue scopertee aggiornamenti. La sperimentazione delle case produttricisi è cimentata fortemente in due campi, la resa, che fosse il piùpossibile vicina a quella della stampa tradizionale, e la durata.Ancora oggi molti fruitori, professionali e non, si chiedono seuna stampa digitale abbia la stessa persistenza di una stampa tradizionaleo analogica. La risposta non è univoca perché dipende,a parità di modalità di conservazione, dalla combinazione ditre fattori, tutti ugualmente importanti: il supporto, cioè la carta,gli inchiostri e la stampante utilizzati. La fotografia digitaleè troppo giovane perché possiamo sapere come invecchierà inmodo naturale nell’arco di 50 o 100 anni, quindi la valutazionedella durata di una stampa può essere fatta solo attraverso test diinvecchiamento accelerato. Negli Stati Uniti esiste un laboratorioindipendente, il Wilhelm Imaging Research, che testa ladurata di fotografie prodotte con diverse carte, stampanti e inchiostri.La combinazione di questi tre fattori porta alla duratacomplessiva delle fotografie. I risultati possono cambiare a secondadi come vengono condotti i test: è sufficiente una minimavariazione per dare risultati diversi. Quel che Wilhelm ImagingResearch garantisce è di condurre tutti i test secondo un’unicamodalità, in modo che siano veramente comparabili tra di loro.I risultati dei test sono liberamente consultabili sul sito www.wilhelm-research.com/.Sempre negli Stati Uniti, l’Image Permanence Institute, col sostegnodella Mellon Foundation, sta oggi conducendo un importantissimoprogetto che sta ponendo le basi per la definizionedi standard conservativi anche per la fotografia digitale.Per fare ciò i ricercatori coinvolti stanno conducendo dei testper verificare la resistenza a vari tipi di stress delle stampe digitali:diversi livelli di temperatura e umidità relativa, immersionein acqua, diverse tipologie di sollecitazioni della superficie al finedi determinare, per ogni qualità di carta, inchiostro e tecnologia,le fragilità e le più corrette modalità di conservazione. <strong>Il</strong> progettoprende il nome di DP3 (Digital Print Preservation Portal)e i risultati sono liberamente accessibili dal sito www.dp3project.org/.Come testimonia Douglas Nishimura, che ha partecipatoalla redazione di precedenti Standard ISO relativi alla fotografiaanalogica ed è oggi coinvolto direttamente nel progetto DP3,la ricerca è estremamente complessa e conclusioni soddisfacentie univoche non sono ancora a portata di mano. «Abbiamomoltissimi risultati, ma la conservazione della stampa digitale siè rivelata molto più complicata di quanto ci aspettassimo e, naturalmente,la stampa a getto d’inchiostro è quella che dà maggioriproblemi. A un estremo dello spettro si trova la carta fotograficacromogenica (agli alogenuri d’argento) esposta digitalmente.Questa tecnica, poiché il supporto e la materia dell’immaginesono integrati in una stessa unità, è quella che è soggettaal minor numero di possibili combinazioni. A seguire abbiamola tecnica “dye diffusion thermal transfer” (correttamente chiamataanche “D2T2”). In questo caso il produttore ha accoppiatoun nastro stampante alla carta. Poi abbiamo materiali non accoppiati,ma moderatamente omogenei (nel comportamento) comel’elettrofotografia e la litografia offset. All’estremo peggioresi trova la tecnica a getto d’inchiostro. Al fine di tenere il più possibilesotto controllo le variabili abbiamo considerato che i managerdelle collezioni dovrebbero essere in grado di identificarele stampe fino al punto di saper riconoscere gli inchiostri a colorantida quelli a pigmento (non così facili da distinguere) e il tipodi carta (di cui esiste un numero notevole di variazioni.). Potremmoavere una carta semplice, non patinata, con una varietàAtelier de Restauration et de Conservation des Photographiesde la Ville de Paris, veduta della «zona secca»dei soliti agenti interni e a cui potrebbe essere aggiunto un “rivestimento”finale di amido o meno. Ci sono carte semplici, rifinitecon speciali caratteristiche, che sono progettate per produrreuna stampa più bella di una normale carta da ufficio. Esistonole carte “cast-coated” (metodo usato per creare un rivestimentoliscio, di solito colorato di bianco, sulla superficie di unabase di carta. Normalmente la superficie è lucida, ma non sempre).Infine ci sono le carte con rivestimento polimerico e le cartecon rivestimento (macro, micro, nano) poroso. A complicareulteriormente le cose, si potrebbe trovare un rivestimento porososu una superficie RC (Resin-Coated o politenata) o su una superficiedi carta comune e questo può fare la differenza. I consumatoricasalinghi sono abituati alla sensazione di lucentezza cheprovano davanti a una stampa a colori su base politenata, quindisaranno propensi a stampare su una delle carte politenate conrivestimento. Uno stampatore d’arte vorrebbe più probabilmentela sensazione di vera carta, quindi molte carte ‘fine art’ sonorealizzate in carta non RC, ma comunque possono avere un rivestimento.Una volta ristretto il campo sulla combinazione cartainchiostro,anche la stampante (e il set di inchiostri) giocherannoun ruolo. La diluizione degli inchiostri su una vasta area comportauna stabilità diversa rispetto alla concentrazione di unamaggior quantità di inchiostro su una frazione della superficie.L’inchiostro proveniente da una cartuccia di inchiostro verde avràprobabilmente una stabilità diversa da un composito verde (cianopiù giallo). Inoltre, molti set di inchiostri a coloranti includonoil pigmento nero (a forza piena), ma usano il nero compositoper i più leggeri toni di grigio e una miscela di nero composito(ciano, magenta e giallo) e pigmento nero per i toni grigi a mediadensità. Così vediamo anche che la stabilità delle scale di grigiocon i set di inchiostri nominalmente a coloranti possono variarein stabilità al variare della densità». A chi si chiede se esistaoggi una tecnica per la stampa delle fotografie digitali miglioredelle altre, Douglas Nishimura risponde: «Abbiamo im-Archivio Corbis: sotto zero nel sottosuoloNel 1995 Bill Gates lascia la Microsoft e scommette sull’immagine dandovita a Corbis, una sorta di agenzia fotografica su web. <strong>Il</strong> primo acquistofu la collezione Bettmann, una raccolta di immagini di cui fannoparte alcuni degli scatti più famosi nella storia della fotografia, in granparte su pellicole in bianco e nero e a colori in acetato di cellulosa. Giàal momento dell’acquisto la collezione, conservata impropriamente nellestanze di un grattacielo di Manhattan, versava in pessime condizioni.Gli ambienti in cui le fotografie erano conservate puzzavano tremendamentedi aceto e le pellicole si stavano letteralmente sciogliendo. BillGates chiese consiglio al ricercatore americano Henry Wilhelm che, perbloccare il degrado, gli suggerì la conservazione sotto zero. Nel 2002tutta la collezione Bettmann è stata così trasferita in una caverna inPennysilvania, la Iron Mountain, un’ex miniera di ferro trasformata primain rifugio atomico e poi in un vasto archivio con spazi a noleggio.Ann C. Hartman, manager dell’archivio Corbis presso la Iron Mountain,ha risposto ad alcune nostre domande sulla gestione dell’archivio oggi.Qual è la temperatura a cui sono oggi conservate le fotografie?La temperatura del sotterraneo è attualmente mantenuta a 7°C (45°F)per permetterci di lavorare alle collezioni. L’umidità relativa è del 35%.A lavori ultimati la temperatura del sotterraneo sarà abbassata a - 20°C(- 4°F) per bloccare il deterioramento. Saranno preservate anche le bustedei negativi, le custodie delle pellicole e le didascalie.Gli esperti in conservazione sanno che quanto più bassa la temperaturaviene mantenuta tanto più a lungo si può assicurare lunga vita a unacollezione di fotografie. Ma spesso chi opera nelle istituzioni pubblichee private deve scendere a compromessi perché il costo per ottenere unarefrigerazione stabile e costante è molto alto e comporta molti rischi eimprevisti. È difficile, per esempio, essere in grado di mantenere, a temperaturemolto basse, livelli accettabili di umidità relativa.Dal momento che il sito nell’Iron Mountain è collocato nel sottosuolo diun’area rurale, il costo dello spazio è minore. Inoltre, la temperature sotterraneaè relativamente costante a 17 °C (62 °F) e quindi abbassare latemperature richiede energia e costi inferiori. Corbis ha cercato e trovatouna soluzione in questa localizzazione sotterranea che metterà al sicurole collezioni e le proteggerà, risparmiando al contempo in costi energetici.Sotto la guida di Henry Wilhelm, Corbis ha installato apparecchiatureper aggiungere refrigerazione e controllare l’umidità relativa.Quali sono i costi per l’energia?La Corbis Film Preservation Facility (Corbis FPF) è uno spazio di mille© MAIRIE DE PARIS/ARCP/CL. JEAN-PHILIPPE BOITEUXparato che nulla è perfetto e quindi è necessario definire il “meglio”.La stampa a getto d’inchiostro ai pigmenti resiste bene agliinquinanti atmosferici e alla luce, ma è il materiale più sensibilealle abrasioni della superficie. <strong>Il</strong> bianco e nero elettrofotograficosi comporta bene nei confronti di luce e inquinanti (e il legantepolimerico lo rende più resistente alle abrasioni rispetto al gettod’inchiostro ai pigmenti), ma la qualità dell’immagine risultapiuttosto brutta. Una stampa con inchiostro a coloranti (dye ink)su carta a rivestimento polimerico è esteticamente bella e si difendeabbastanza bene dalle abrasioni e moderatamente bene dagliinquinanti, ma non è molto resistente alla luce ed è catastroficamentedanneggiata da umidità elevata ed esposizione all’acqua.Quindi che cos’è “migliore” dipende dai punti di vista. Nonesiste un materiale ideale». Come se non bastasse, la fotografiad’arte contemporanea pone un altro ordine di problemi legatialla presentazione e al montaggio delle immagini, con cuientrano in gioco altre componenti oltre a quelle proprie dell’oggettofotografico. Non è raro che le stampe, in particolare se digrandi dimensioni, vengano montate e incollate su supportidi vario genere, che vanno dall’alluminio, al Forex, al Dibond.In alcuni casi un foglio di materiale plastico (Plexiglas o simili)viene incollato sul fronte della fotografia, donandole un aspettoparticolarmente lucente. La durata dell’immagine fotografica, inquesti casi, dipende da variabili ulteriori, legate all’interazionechimica tra l’oggetto fotografico e le sostanze di cui sono compostele colle e i supporti. Chi si occupa di ricerca nel campo dellaconservazione sta oggi ancora indagando su questi aspetti. Invirtù della complessità e delle moltissime variabili che la fotografiacontemporanea può presentare è oggi considerato unaspetto primario, ai fini della conservazione e del restauro,una conoscenza approfondita della struttura chimico-fisicadegli artefatti. Una pratica fortemente consigliata alle istituzioniche collezionano fotografia contemporanea è la redazione diun questionario da compilare con l’aiuto dell’artista stesso (ilgrosso vantaggio del contemporaneo è che l’artista può indicaredirettamente i materiali utilizzati). Tale conoscenza andrà a vantaggiodi eventuali future necessità conservative o di restauro.Esemplare in questo senso è l’attività dell’Arcp che propone isuoi servizi a tutte le collezioni fotografiche della Città di Parigi;spiega la direttrice Anne Cartier-Bresson: «Quotidianamente,proponiamo ai responsabili delle collezioni numerosi strumentiche permettano loro di conoscere e di comprendere megliogli oggetti che compongono le loro raccolte, come ad esempioi questionari agli artisti prima dell’acquisizione di fotografiecontemporanee (disponibili sul nostro sito: www.arcp.paris.fr)».Un modello simile, in lingua italiana, è scaricabile dalsito www.fototeca.it, traduzione della scheda messa a punto daThe American Institute for Conservation e dal suo PhotographicMaterials Group (l’originale in inglese è scaricabiledal sito www.conservation us.org/index.cfm?fuseaction=page.viewpage&pageid=949). Roberta RussoInterno dell’archivio sotterraneo di Corbis presso l’Iron Mountainmetri quadrati. C’è una galleria lunga come un campo da football! Graziealla collocazione sotterranea, il costo è di soli 1.500 dollari al mese.Qual è la procedura per scongelare gli originali e riportarli a temperatureambiente?Una volta che la collezione è congelata, ogni oggetto richiesto verrà riacclimatatoprima della consegna. L’acclimatazione verrà eseguita rimuovendol’oggetto dalla galleria e permettendogli di ritornare naturalmentee gradualmente a temperatura ambiente. In genere permettiamoall’oggetto di riacclimatarsi tra le 4 e le 6 ore prima della consegna.A dieci anni dalla sua nascita, come come giudica questa iniziativa?Quello di Corbis è stato uno sforzo di successo! Sono stati raggiunti dueimportanti obiettivi fissati fin dall’inizio. Primo, la conservazione dellecollezioni è stata raggiunta im un ambiente sicuro e dal clima controllato.Secondo e altrettanto importante, è stata mantenuta l’accessibilitàdelle collezioni grazie a una gestione a tempo pieno del centro.Si sentirebbe di suggerire questa soluzione conservativa ad altre istituzionipubbliche o private?Raccomanderei questa soluzione a tutte le istituzioni pubbliche o privateche dispongano di contenuti fotografici di valore da preservare comenel caso della collezione Bettmann. I benefici offerti dalla sede sotterraneone fanno una soluzione ottimale. Roberta Russo


14 FotografiaIL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Autori vs artistiLa fotografia storica è un’arte?Pensare, realizzare, comunicare mostre di fotografia storicanon è un’impresa semplice. Non lo è per un museo,ancor meno per una galleria. E infatti sono pochi che sioccupano anche solo in un qualche momento della loro programmazionedi allestire esposizioni o di dare alle stampelibri i cui unici protagonisti siano i fotografi del XIX secolo.Nella maggior parte dei casi la fotografia dell’Ottocento èpresentata come il punto di partenza per raccontare unastoria altra rispetto alla storia della fotografia pura. Ne sonoun esempio in Italia il gran numero di mostre realizzate l’annoscorso per celebrare i 150 anni dell’Unità nazionale. Nonc’era manifestazione che non presentasse le cartes de visite all’albuminacon i ritratti di Cavour, Garibaldi e Vittorio EmanueleII. I vari musei del Risorgimento hanno aperto i loro archivie finalmente si sono mostrate le immagini dell’Italia immediatamenteprima e dopo l’unificazione, ma con l’unico interessealla loro valenza di documento storico.Si è persa l’occasione di una riflessione più ampia sulla fo-Maria Francesca BonettiFederico Peliti, «<strong>Il</strong> Gange a Calcutta», albumina, Roma, Istituto Nazionale per la GraficaMaria Francesca Bonetti è curatore capo del Dipartimento di fotografiadell’Istituto Nazionale per la Grafica, RomaQuale significato ha oggi occuparsi di fotografia storica?La fotografia non è soltanto una delle tante tecniche in uso per larappresentazione, la documentazione o la costruzione di immagini.Fin dalle origini, a partire dal 1839-1840, il suo complesso statutodi immagine caratterizzata dalla triplice natura di «indice», «icona»e «simbolo», ne ha segnato in modo speciale il percorso, l’evoluzione,il rapporto stesso con gli altri linguaggi visivi, determinandone lediverse e molteplici vocazioni mediatiche, incluse quelle destinate aincidere profondamente sulle trasformazioni delle pratiche artistiche.Soltanto ripercorrendo dagli inizi questo percorso, attraverso lesue diverse fasi anlizzate in tutti i loro aspetti, tecnico-formali, socio-antropologici,estetico-linguistici, ecc, possiamo ancora oggi utilizzarecorrettamente questo mezzo per le sue valenze storico-documentarie,da una parte, così come possiamo dall’altra apprezzarne,in certi casi, le finalità e i risultati artistici raggiunti. Ma soprattutto,possiamo relazionarci più consapevolmente con le diverse funzionie modalità d’uso della fotografia nella nostra contemporaneità,rendendoci complici delle sue numerose implicazioni estetiche,concettuali, esistenziali.<strong>Il</strong> grande interesse che i musei d’arte hanno per la fotografia contemporaneariesce a risvegliare l’attenzione per la fotografia storica?Penso proprio di sì, anche perché gli stessi artisti contemporanei stannooperando una riflessione, a volte una rivisitazione, delle tecnichestoriche, come delle pratiche e degli usi sociali più consolidati dellafotografia, per non parlare delle citazioni di immagini famose che nellastoria della fotografia hanno assunto lo status di vere icone. Ovviamente,questo fenomeno è più evidente all’estero che in Italia.Artisti vs autori: spesso rapportandosi alla fotografia dell’Ottocentosi trattano autori più che artisti. È d’accordo con questa affermazione?Io stessa mi riferisco spesso ai fotografi, e non solo dell’Ottocento,qualificandoli come autori. Come dicevo prima, la fotografia non èsoltanto una tecnica artistica, è un medium molto complesso, chepervade tutti i campi dell’espressione e della comunicazione visiva.Oggi è difficile operare dei distinguo tra «artisti» e «fotografi», tra«artisti che usano la fotografia» e «fotografi-artisti». Nell’ambito dellascrittura, ad esempio, sono tutti autori: poeti, scrittori, giornalisti,saggisti. Mi sembra che questo termine sia più adeguato, ora chesi sono superate anche le discriminazioni e le gerarchie tra i generi,ad ampliare la categoria delle personalità che hanno lasciato o lascerannocomunque un segno praticando la fotografia professionalmenteo utilizzandola in altre accezioni e per altri fini, al di là delleloro stesse ambizioni e aspirazioni.Qual è il suo sogno nel cassetto come studiosa e curatrice di progettilegati alla fotografia?Un vasto repertorio, pensato già qualche anno fa avevamo pensatocon alcuni colleghi) degli Autori fotografi italiani, comprensivo di tuttequelle personalità che fin dalle origini della fotografia hanno lasciatoappunto un segno, anche per le cronache e le microstorie locali:uno strumento da cui partire per comprendere meglio la storiasociale-artistica-culturale della fotografia italiana, attualmente nota(e soltanto tra gli addetti ai lavori), per grandi linee, nei suoi aspettipiù manifesti e limitatamente ai nomi celebri. Chiara Dall’Oliotografia delle origini che è stata molto di più che una meratestimone di avvenimenti storici.Un esempio emblematico di questa occasione mancata è la mostradedicata a Stefano Lecchi tenutasi dal 16 novembre 2011 al15 gennaio 2012 al Museo di Roma «Fotografare la storia. StefanoLecchi e la Repubblica romana del 1849», in cui le bellissimee delicatissime fotografie (carte salate tratte da negativi dicarta) che raccontano l’assedio di Roma del 1849, sono stateesposte insieme a immagini di autori contemporanei che riprendevanogli stessi luoghi dalle stesse prospettive. Come se ilvalore evocativo delle immagini di Lecchi non fosse sufficiente,si è sentita la necessità di aggiungere immagini contemporaneea sottolineare l’aspetto didascalico dell’operazione a scapitodi quello autoriale. Le fotografie di Lecchi sono servite perraccontare la storia di un evento, ci si è concentrati sul soggettodelle foto più che sull’oggetto fotografico-artistico.Restando nella capitale e nell’ambito delle rassegne in onoredel centocinquantenario dell’Unità nazionale, una menzioneparticolare va alla mostra «Arte in Italia dopo la fotografia1850-2000» organizzata da Galleria Nazionale d’Arte Modernadi Roma in collaborazione con Istituto Nazionale per la Grafica(Gnam 21 dicembre 2011 - 4 marzo 2012). La riflessioneproposta su come l’arte degli ultimi 150 anni si sia modificatacon l’avvento della fotografia è rappresentata da un allestimentoche pone a confronto le diverse arti, avendo sempre comeriferimento cronologico le periodizzazioni abitualmenteutilizzate nello studio della fotografia: gli esordi, il Pittorialismo,il Foto dinamismo futurista, il Modernismo delle avanguardie,la contemporaneità. Originale che, almeno per unavolta, sia la fotografia a segnare il cammino e l’arte «altra» nesegua il tracciato.È proprio il discorso artistico che fatica ad emergere quandoci si riferisce agli autori dell’Ottocento ed è per questotutte le volte che si parla dei fotografi di quell’epoca si cadenella facile tentazione di vederli solo come «testimonidel loro tempo» anziché indagarne più approfonditamentele personalità. Artisti o autori? Vero è che non tutti gli autorisono stati anche artisti. Artisti sono stati senza ombra didubbio Julia Margaret Cameron, il reverendo Calvert Jones,a cui la galleria newyorkese Hans P. Kraus Jr. ha dedicatodelle retrospettive corredate di catalogo in occasione dellepiù importanti fiere del settore (Paris Photo 2011, Tefaf Maastricht2012 e Aipad New York 2012). Sempre restando nell’ambitodelle gallerie e delle fiere Serge Plantureux ha presentatoa Parigi una serie di calotipi (negativi su carta) italianie Daniel Blau propone in concomitanza con Aipad una mostrasu Gustave Le Gray. Piccole e preziosissime selezionidegne di un’istituzione museale di prim’ordine, organizzatedai più grandi mercanti di fotografia storica. Forse anchenell’ambito storico, abitualmente relegato nei musei, le cosestanno cambiando, e per vedere i gioielli più preziosi bisognarecarsi in gallerie private. Ci sarebbe da augurarsi che leistituzioni ne fossero i primi clienti, ma non è così, almeno nelpanorama italiano, complice la crisi, ma forse ancor di più,una certa miopia dei responsabili delle acquisizioni, tutticoncentrati sul contemporaneo. L’esemplare storico è for-Ulrich PohlmannUlrich Pohlmann, direttore del Fotomuseum, Münchner Stadtmuseum,Monaco di Baviera<strong>Il</strong> grande interesse che i musei d’arte contemporanea riservano alla fotografiacontemporanea può far crescere l’attenzione nei confronti dellafotografia storica?La riscoperta durante gli anni Settanta dell’importanza del ruolo dellafotografia storica era direttamente collegata al fatto che artisti contemporaneicome John Baldessari, Bernd e Hilla Becher, Jochen Gerz,Ed Ruscha ecc. iniziarono a utilizzare la fotografia per i loro scopi artistici.Solo per fare un esempio, Documenta 6 a Kassel nel 1977 proposeuna mostra di fotografi storici come Atget, Renger-Patzsch, WalkerEvans, insieme alla produzione contemporanea dell’epoca.L’invasione della fotografia contemporanea nei musei d’arte ha creatouna certa attenzione per il mezzo. E c’è anche un forte interesse dei visitatoriper le origini e la storia della pratica fotografica. Non è però facilestabilire quale sia la consapevolezza del pubblico e delle amministrazionistatali sul fatto che le collezioni di fotografia storica dovrebberoessere conservate e consultabili. Tutte queste attività sono moltocostose. Ciò riguarda anche lo sviluppo di corsi universitari in storiadella fotografia. La formazione dei giovani studenti è un obiettivo fondamentalee importante per la nostra cultura visuale storica e contemporanea.Dobbiamo tenere viva la storia per comprendere il presentee sviluppare il futuro. Fortunatamente i musei d’arte tradizionalicomprenderanno in fretta che collezionare fotografia storica è uncompito importante perché, ad esempio, lo sviluppo delle arti grafichee della pittura del XIX secolo non possono essere esaminati e compresisenza la fotografia. Alcune istituzioni come il Metropolitan Museumof Art, il MoMA di New York o il Victoria & Albert Museum di Londrahanno riconosciuto questo aspetto da decenni. In Europa esiste ancheun ricco patrimonio di collezioni fotografiche nei musei, ma c’è anchespesso una netta separazione e gerarchia tra le cosiddette posizioni artistichee la fotografia nei suoi diversi aspetti.Quando ci si riferisce alla fotografia del XIX secolo si ha spesso a chefare con autori piuttosto che con artisti...La fotografia nel XIX secolo non può essere ricondotta a pura arte. Nonè stata sviluppata e perfezionata solo da artisti, ma anche da scienziati,chimici, professionisti, e divenne un’importante industria. Scriverela storia della fotografia come pura storia dell’arte è un grosso errore.Reverendo Calvert Richard Jones (1802-1877), «Santa Lucia»,Napoli, 1846, carta salata da negativo calotipicose meno sfavillante, certamente non è di moda, ma molto spesso,è unico. Morto l’autore, persi i negativi, non è possibile ricavarnetirature successive, eppure le istituzioni investonopoco per arricchire le collezioni di fotografia storica che, ilpiù delle volte, si sono trovate «in casa» per eredità istituzionalio per lasciti. Fortunatamente le cose cambiano fuori dagliitalici confini, come ci confermano i galleristi. Le istituzioniamericane, francesi e inglesi rappresentano la metà degliacquirenti afferma Hans Kraus nella sua intervista (riportataintegralmente a p. 6): «Fino a oggi, le istituzioni hannorappresentato più del 50% del mercato. La crisi ha inciso menosulle istituzioni perché hanno dei budget stabiliti in anticipoe l’autorizzazione a spenderli. Invece i compratori privatisono più emotivi e sensibili alle variazioni dei mercati».Fra le istituzioni che da più tempo si distinguono nella valorizzazionedella fotografia storica è il Getty Museum nelledue sedi di Los Angeles e Malibu (ma anche in questo casoLa fotografia necessita di un approccio sfaccettato e interdisciplinare.Qual è, secondo lei, la mostra di fotografia storica che dovrebbe essererealizzata, ma che non lo è ancora stata, e perché?Un’esposizione dedicata ai fotografi del XIX secolo: questo periodo èpiuttosto poco studiato rispetto agli anni ’20 e ’30, i cui principali artistie fotografi della New Vision come Laszlo Moholy-Nagy, André Kertesz,Germaine Krull, Umbo ecc. sono già stati oggetto di studio e dimostre. In generale riscontriamo una forte enfasi sui fotografi dei Paesianglosassoni, della Francia o della Germania mentre, ad esempio,molti importanti fotografi italiani, spagnoli o scandinavi sono molto menonoti a livello internazionale. Specialmente in Francia, Gran Bretagnae Stati Uniti, i fotografi più importanti del XIX secolo, come Le Gray,Baldus, Marville, Bisson, Atget, Talbot, Cameron o Fenton, godono diuna forte presenza e fama nel mondo dell’arte, grazie a mostre in istituzionimuseali. In Germania invece le opere di fotografi come Alois Löcherer,Hermann Krone, Joseph Albert o Franz Hanfstaengl destano pocointeresse perché si tratta di nomi largamente sconosciuti al grandepubblico sebbene siano stati molto influenti ai loro tempi.Non sono ancora mai state fatte monografiche su eminenti figure comeRobert MacPherson, Franz Hanfstaengl, Adolphe Braun e GiacomoCaneva, solo per menzionarne alcuni. Molto rare sono anche le mostretematiche e dovrebbero essere invece più sviluppate.Qual è il suo sogno nel cassetto come studioso e curatore di progettilegati alla fotografia?Un sogno è avere più tempo libero per fare ricerca e scrivere di fotografia,senza essere distratti dai troppi doveri amministrativi. Mi piacerebbeanche avere un budget molto maggiore per comprare fotografiadi tutti i periodi e generi. Penso sia ancora possibile assemblare dazero grandi collezioni di fotografia. Naturalmente ci sono svariati progettiche vorrei realizzare in futuro. Un progetto tematico si occuperebbedel cambiamento della percezione attraverso il medium fotograficonel XIX secolo, non solo in campo artistico, ma anche nella societàin generale. Un altro vecchio sogno è una mostra sulla storia delleesposizioni universali del XIX secolo, che si tennero a partire da Londranel 1851 fino a Parigi nel 1900. Questo non è solo un progetto sullafotografia ma sul tentativo di riunire le principali invenzioni (e i lorosuccessivi sviluppi) in architettura, arte, economia, filosofia, ecc. Chiara Dall’Olio© HANS P. K<strong>RA</strong>US JR FINE PHOTOG<strong>RA</strong>PHS


IL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Fotografia 15Serge PlantureuxSerge Plantureux è direttore della Galerie LibrairieSerge Plantureux e della BibliothèqueClementine di ParigiChi compra fotografia storica oggi? E, secondola sua esperienza, con quali finalità:collezionismo, investimento, speculazione,interesse storico?Oggi abbiamo toccato il fondo più basso nelmercato storico anche a causa di gente pocoseria che falsifica stampe vendendole comeautentiche a incauti acquirenti. Mi riferiscoall’episodio accaduto in Francia, a Deuvillenella primavera dell’anno scorso, doveoltre 200 stampe sono state vendute all’astacome opere di un ancora sconosciuto autoredella metà dell’Ottocento, ma si trattava distampe realizzate almeno cento anni dopo daabili falsari. Per scoprirlo si è dovuto ricorrerea tecniche scientifiche di analisi dei materiali.Certo la fotografia storica è un campodifficile, è come una foresta ostile. Perquesto è necessario rivolgersi a esperti, consultareanche le istituzioni e, soprattutto,creare scuole qualificate che formino personaleesperto nel settore che possa essere unpunto di riferimento anche per galleristi e acquirenti. Io prevedo chenell’immediato futuro, passato questo momento di crisi, avremo simultaneamentetre mercati per tre gruppi di acquirenti:A. I musei, sia quelli privati dei grandi magnati, sia quelli pubblici cheacquisiranno per conservare le foto più importanti per la storia dellafotografia e per la storia dei territori-comunità di riferimento. Questomercato darà vita alla costituzione di Patrimoni nazionali che avrannoanche la funzione di Archivi nazionali dell’immagine fotografica.B. Gli investitori, i grandi collezionisti, che si concentreranno sugli acquistidi opere di grandi nomi. Questo darà vita al mercato speculativo(che dovrebbe essere regolato).L’interno della Bibliothèque Clémentine a Pariginon si tratta di un’istituzione pubblica, bensì di una fondazioneprivata). <strong>Il</strong> programma dedicato alla fotografia storica è certamenteil più ricco che sia stato presentato per il biennio 2011-12: non solo mostre, ma anche laboratori, conferenze, eventi.Sono partiti nel 2010 con «Felice Beato: A Photographer onthe Eastern Road» (7 dicembre 2010 – 24 aprile 2011), a cuiha fatto seguito «Brush and Shutter: Early Photography in China»(8 febbraio - 1 maggio 2011), «In Search of Biblical Lands:From Jerusalem to Jordan in Nineteenth Century Photography»(2 Marzo - 12 Settembre 2011), «Lyonel Feininger: Photographs,1928–1939» (25 ottobre 2011 – 11 marzo 2012), e«Portraits of Renown: Photography and the Cult of Celebrity»(3 aprile – 26 agosto 2012). Ovvero tre grandi mostre storiche,C. <strong>Il</strong> grande pubblico che raccoglierà i milionidi scatti storici esistenti. E questo potràessere definito collezionismo democratico,perché così come è già successo inpassato con la filatelia, consentirà a unpubblico di semplici appassionati di costruirsila propria collezione.Lei ha ideato un interessante metodo per unacatalogazione veloce delle fotografie che applicaalla Bibliothèque Clementine di Parigi.Come mai un’idea così è venuta da un galleristae non da un’istituzione? E perché è importantela catalogazione?In effetti dovrebbero essere le istituzioni aoccuparsi di argomenti come questo, l’iniziativanon dovrebbe venire da me o dalmondo delle gallerie, ma dal mondo istituzionale.Ma, anche se oggi tutti si interessanodi fotografia, il problema della catalogazioneo dell’ordinamento fa paura o sipensa sia materia per pochi esperti. Credoinvece che non ci si debba lasciar spaventare,basta avere pochi punti di riferimentochiari per potersi orientare nel mondodella fotografia. La catalogazione deve rappresentareuna stella polare che ci guida nella foresta ostile dellafotografia. Per questo è così importante e me ne occupo. La miaidea di una catalogazione semplice per aree geografiche e perioditemporali deriva dall’antico sistema di catalogazione delle stampee può essere uno strumento di orientamento utile per un primo approccioa collezioni, archivi e foto singole. Io uso questo sistema echiunque voglia sperimentarlo può farlo alla Bibliothèque Clementine.Credo davvero che per avvicinarsi e creare curiosità nel pubblicoverso la fotografia storica sia necessario dargli delle chiavid’accesso con cui rapportarsi a essa. Chiara Dall’Oliouna moderna e una collettiva che indaga il tema del ritratto dellecelebrità dalle origini della fotografia (Pantheon Nadar) aigiorni nostri. La mostra di Feininger, uno dei maestri della Bauhaustedesca, è aperta in questi giorni a Berlino, al Kupferstichkabinett,Staatliche Museen, poi farà tappa a Monaco,Staatliche Graphische Sammlung, Pinakothek der Moderne,prima di arrivare negli Usa, dove terminerà il suo tour all’-Harvard Art Museums.Una pratica, quella della coproduzione e della circolazione dellemostre, che sembra essere, anche in Italia, il modo per usciredall’immobilità a cui la mancanza di fondi rischia di costringereil mondo dei musei pubblici. Chiara Dall’OlioShinji KohmotoShinji Kohmoto è curatore capo del National Museum Of Modern Art,KyotoA proposito della fotografia del XIX secolo si parla di autori piuttostoche di artisti. È d’accordo?Sì. La fotografia antecedente il Pittorialismo deve essere consideratacome il prodotto di un fotografo anonimo, anche se era realizzatada fotografi ben noti. Mi spiego: il fotografo, che in questa accezionepoteva essere definito un tecnico, registrava uno stato di luce difronte alla fotocamera e una fotografia così realizzata non è che unarappresentazione di dati grezzi e non di informazioni. Secondo me,un’informazione è un insieme di dati organizzati da qualcuno. Questefotografie, al pari dei dati grezzi possono essere organizzate fino aun certo livello di informazione dall’osservatore. Credo che la nozionedi artista diffusasi a partire dalla metà del XIX secolo derivi dalRomanticismo che ha enfatizzato l’importanza dell’io e in questo sensoil Modernismo potrebbe essere considerato come un’evoluzionedel Romanticismo. Che cosa facevano allora gli artisti-fotografi peressere diversi dai semplici tecnici? L’artista-fotografo organizzava dasé i dati a livello di informazione soggettiva attraverso la fotografia.Così, la fotografia diventava un’affermazione dell’artista-fotografo.Ciò consisteva in una riduzione dei dati e lasciava all’osservatoreun’informazione limitata, una sorta di «finzione», o di «storia». Pensoche questo sia uno degli aspetti della «moderna fotografia». Inutiledirlo, ciò ha importanti riflessi sul modo moderno di pensare e divedere (se ne trova traccia ad esempio nel Darwinismo e nel Marxismo).Peter Galassi in «Before Photography» afferma che la fotografiacome «finzione», o «storia» raggiungeva la popolarità nellostesso modo in cui «la tecnica della pittura la raggiunse nel XIX secolo,attraverso una strada autonoma. I dipinti avevano preparato unmodo di vedere la fotografia. Quindi, la fotografia poteva essere considerataun’espansione della pittura e poteva essere direttamentemessa in connessione con la storia della pittura e la storia dell’arte».Personalmente non concordo con questa lettura. Penso che, come«mezzo», la fotografia sia totalmente differente dalla pittura. La fotografianon è un’espansione del corpo fisico e non agisce come espansionedel corpo, ma come espansione del sistema nervoso. La fotografiaè un mezzo di comunicazione rivoluzionario indipendente dalleimmagini disegnate e dal testo scritto. Ho imparato molto in questosenso da Vilem Flusser, «Fur eine Philosophie der fotografie», ilmio punto di vista è molto vicino al suo. Trovo molto suggestiva la suadefinizione di «Techniches Bild».Che cosa significa oggi occuparsi di fotografia storica?A mio parere l’importanza della fotografia storica (prima del Pittorialismo)è il suo enorme potenziale di decifrazione. Ovvero, quelle fotografiepossono essere lette e contestualizzate in modi diversi dagli osservatoria seconda della loro posizione sociale e della loro cultura. Iocredo che questo potenziale debba essere usato, in senso critico, neiconfronti del modo di pensare e vedere la modernità. Per questo la maturitàdel pubblico quale decifratore-lettore è molto importante. Chiara Dall’Olio


16 FotografiaIL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Fotografia contemporaneaLe mostre 2011-2012TATE MODERN / LOND<strong>RA</strong>Taryn Simon - A Living Man Declared Dead and Other Chaptersmaggio – settembre 2011Territorio, potere e religione. Ma anche caso, predeterminazione e nozioni di renditaperpetua: dalle faide brasiliane alle vittime del genocidio in Bosnia, Taryn Simonindaga per quattro anni il ventre molle dei legami di sangue. In mostra, a curadi Simon Baker, l’intero corpo in 18 capitoli, impaginati con una combinazionepotente tra visivo e testuale. Un doppio codice narrativo per nuove riflessioni sulrapporto tra fotogiornalismo e pratiche della fotografia d’arte. Toccante, intimo, politicamentecomplesso.BOZAR / BRUXELLESJeff Wall. The Crooked Pathmaggio - settembre 2011Being Jeff Wall... Da Eugène Atget a Marcel Duchamp. <strong>Il</strong> grande fotografo canadese,sotto la guida di Joël Benzakin, si spinge sulla soglia del processo creativocon 25 immagini tratte da lavori recenti e passati, da «The Destroyed Room»,omaggio dichiarato al «Sardanapale» di Eugène Delacroix, a «Boy Falling fromTree» del 2010. Ad affiancarle, un centinaio di opere di artisti che hanno contribuitoa formare il suo sguardo, riferimenti alt(r)i di un immaginario privato, per laprima volta, a portata di pubblico. L’esito è un (auto)biografia della visione dall’allestimentoimpeccabile.NEDERLANDS FOTOMUSEUM / ROTTERDAMANGRY - Young and radicalsettembre - dicembre 2011<strong>Il</strong> focus è l’adolescenza, ostinata e arrabbiata, raccontata attraverso uno storytellingche integra giovani, media e fotografia. <strong>Il</strong> risultato è una ricognizione a 360 gradi sulconcetto fragile di «radicalità». L’obiettivo è affidato a Rineke Dijkstra, Willie Dohertye l’Allan Sekula di «Fish Story» e altre scottanti esplorazioni sul tema delle trasformazioniglobali. A completare la mostra, un’intelligente estensione in modalità 2.0:www.angry.nl, motore per approfondimenti e working in progress.FOUNDATION HENRI CARTIER-BRESSON /PARIGIMitch Epstein: American Powermaggio – luglio 2011Prix Pictet 2011, Mitch Epstein da avvio ad «American Power» nel 2003, quandoBertien van Manen - Let’s Sit Down Before We GoTutto il lavoro di Bertienvan Manen ha a che farecon la memoria, con l’usodella fotografia cometraccia per assicurarsi ilricordo di quello che si lasciaindietro. Forse ancheper questo parla dei suoilibri chiamandoli album,come fossero archivi distorie e di individui, di facce,di giorni e dei sentimentipersonali di chi licompone collezionando ilproprio tempo. A maggiorragione questo vale per lasua ultima serie, che nascecome rielaborazionedi un materiale accumulatoin precedenza e poi re-Bertien van Manen, «Baikal Siberia»cuperato dandogli un nuovo assetto. Centinaia di ve piacere la gente che riprendo». Una dichiarazioned’amore per tutti quelli che si ritrovano neicontact sheet che l’artista olandese aveva raccoltodopo le sue permanenze in Asia e in Europa dell’Est,tra 1991 e 2009, tornano alla luce dopo un quello che è per lei la fotografia, una profonda con-suoi ritratti, e allo stesso tempo la definizione diperiodo di pausa che la porta a guardare indietro. nessione con gli altri, al di fuori della quale non èNe fa visionare alcune scansioni al fotografo ingleseStephen Gill che, dopo aver chiesto di vedestanotra esterni e interni, tra figure singole e fo-possibile alcuna memoria. Le sue immagini si sporetutti i provini, ne fa una selezione disegnando to di gruppo, tra quotidianità privata e pubblica,una sequenza che si trova ora in «Let’s Sit Down sempre tenendosi a una distanza che protegge ilBefore We Go», volume da poco pubblicato da legame tra chi guarda e chi è guardato. Non c’èMack Books, e che è anche esposta alla Foam di nessuna imposizione, nessun giudizio, solo unaAmsterdam fino al 24 giugno. <strong>Il</strong> titolo riprende sorta di affettuosa accettazione che è chiaramentereciproca. Pjotr con la moglie e i figli, tutti inun’antica tradizione russa secondo la quale chi staper partire per un lungo viaggio dovrebbe sedersi pigiama a piedi nudi nella neve, rispondono sorridendoa chi li inquadra, come fosse per loro unaper un attimo a riflettere su dove sta andando eperché. Negli anni in cui realizza queste immagini,la van Manen viaggia regolarmente nei Paesi dalle acque del lago Baikal, sembra buttarsi in-presenza naturale. La ragazza che esce correndodell’ex Unione Sovietica e si ferma in Moldavia, contro all’obiettivo; mentre Lena, nella stanza diRussia, Ukraina, Georgia, Uzbekistan, Kazakhstan. una casa qualunque di Odessa, concede all’occhioQui impara la lingua degli abitanti, ne diventa amica,condividendo la loro cultura e la loro vita. Per to distacco da tutto quello che la circonda, com-della van Manen un attimo di solitudine, di assor-questo la sua è una fotografia intima, che ha liberoaccesso alle zone di solito proibite agli estra-sente persino con Ljalja, la donna in costume dapreso il bimbo di spalle dietro a lei. Lo scambio sinei, perché entra nell’esistenza di chi riprende non bagno rosso, distesa sull’erba a prendere il soleda intrusa, ma come fosse sempre stata di casa, con gli occhi chiusi, in un’intesa che attraversacon una 35 mm non professionale che la fa sembrareuna turista in cerca di souvenirs. La prossipito,antiteatrale. Persino certe imprecisioni for-tutto lo spettacolo di una quotidianità senza stremitàdel suo obiettivo alle cose, e la spontaneità mali, la luce che filtra per sbaglio, il fuori fuoco,dello scatto, sono la direzione verso cui punta il certi tagli dati quasi per caso, il flash troppo fortesulle facce, sono tutti sintomi di un’immedia-suo sguardo fin da quando, alla fine degli anni Settanta,si allontana dalla fotografia di moda praticatadagli esordi. «Sono Robert Frank e Nan Golrispondenza,e della scoperta di un’affinità di fontezzache è urgenza di entrare in contatto, di cordinche mi hanno ispirata, soprattutto per la loro do che rende universale un catalogo umano provvisorioe parziale. Chiara immediatezza e la vicinanza ai soggetti. A me de-Coronelliscopre che a Cheshire (Ohio) i vecchi edifici in legno sono stati rasi al suolo perospitare una centrale nucleare. <strong>Il</strong> progetto, che lo vedrà impegnato per cinque anni,è una radiografia documentale di un’America sfiatata: 25 Stati, piattaforme petrolifere,impianti eolici, centrali elettriche nei cortili di casa. <strong>Il</strong> senso della visioneè alto; la sensibilità politica non è da meno: «Dopo quel viaggio non sono piùstato lo stesso» ha confidato Epstein.FOAM / AMSTERDAMJoel Sternfeld - Color Photographs since 1970dicembre 2011 – marzo 2012Prima grande retrospettiva, in Olanda, dedicata a Joel Sternfeld: dal leggendario«American Prospects»(1987) a «Oxbow Archive» (2005-2007). Lo sguardosi apre alla grande America del banale quotidiano. Punto di forza, la completezzad’indagine. Documentano il percorso, dieci serie in oltre cento immagini. Anticipa,una raccolta di inediti dei primi anni ’70: «First Pictures» (Steidl), fotocamera35 mm, pellicole Kodachrome, il paesaggio come esplorazione sociale.Definitivo.MUSÉE DE L’ELYSÉE / LOSANNA[CONTRE]CULTURE / CHdicembre 2011 – gennaio 2012Raffinatissima mostra di rilettura della fotografia della porta accanto attraverso 25interpreti della stagione della controcultura. <strong>Il</strong> bacino di indagine non supera i confinielvetici, concentrando l’attenzione su microracconti di alta intensità poetica.Tra i lavori più interessanti, «Hell’s Angels»: ricognizione in immagini dell’utopiapolitica anni Sessanta di Luc Chessex. Nota storica: con questo progetto KarlheinzWeinberger aveva già conquistato il genio visionario di Harald Szeemann (Biennaledi Venezia 2001).FOTOMUSEUM / WINTERTHU<strong>RA</strong>i Weiwei - Interlacingmaggio - agosto 2011Solo fotografia e video per Ai Weiwei, immarcescibile «moltiplicatore» di un’ideadi arte che s’intreccia con la vita e viceversa. Tema di fondo è l’interconnettività.A raccolta, i primi scatti di New York, la cronaca fotografica di una Pechinoin trasformazione, i progetti d’arte, il blog ma anche il diario in immagini viaTwitter. La Cina filtra ancora immaginario e immaginazione. Ai Weiwei dimostra,ancora una volta, di essere un sorprendente sismografo, in grado di fare networkintorno al potere mediatico dell’immagine.© BERTIEN VAN MANENMOMA / NEW YORKBoris Mikhailov – Case Historysettembre- dicembre 2011«Ho battezzato questo ciclo “Case History” ma potrei chiamarlo anche cartellaclinica di una malattia». Boris Mikhailov è la Russia della grande narrativa d’affresco.In prima per gli States, il MoMa dedica una mostra approfondita a «CaseHistory» (1997-1998), uno dei punti più forti della ricerca del fotografo ucraino,oltre 400 immagini per un ritratto senza lieto fine dei postumi del crollo dell’UnioneSovietica. La Storia fa nuovamente ingresso al MoMa; la documentazionesfiora (ancora una volta) l’arte.HAMBURGER BAHNHOF / BERLINOSecret Universe – Horst Ademeitmaggio – settembre 2011Prima mostra formato museale per Horst Ademeit, ex imbianchino, ex allievo di JosephBeuys, che per più di 20 anni si è dedicato alla documentazione di ciò che chiamava«raggi freddi»: contatori elettrici, spioncini, cantieri edili, raccolte di rifiuti ingombranti,biciclette. Interessante, la sezione Polaroid: 6006 «daily photos», numeratee istoriate a mano sul margine bianco della pellicola, riportando sensazioni,odori, riflessioni sui dati registrati da bussole, orologi termometri... Ademeit è scomparsonel 2010; il percorso in mostra è un viaggio febbricitante in un’idea di fotografiacome diario analitico di un’ossessione. Riflessiva.APERTURE FOUNDATION / NEW YORKPRINTING SHOW - TKY - Daido Moriyamanovembre – dicembre 2011Daido Moriyama inscena Daido Moriyama, replicando per Aperture una famosa performancedel 1974. Niente immagini alle pareti, ma una fotocopiatrice pronta a duplicarestampe fotografiche. <strong>Il</strong> pubblico guarda, partecipa, diventa collaboratore attivo.Materiale grezzo, una selezione d’immagini realizzate a Tokyo nel corso degliultimi 15 anni raccolte in un menù di 54 fogli fotocopiati fronte-retro. Titolo del photobook:«TKY». Sul piatto: un confronto con limiti e sfide del postdigitale. Sono trascorsi40 anni ma non sembra.ICP / NEW YORKWang Qingsong: When Worlds Collidegennaio – maggio 2011A raccolta, per la prima maximostra statunitense, 12 fotografie, in maxiformato,accompagnate da una serie di video che documentano il work in progress dell’ar-Cindy Sherman - Una trasformista al MoMACindy Sherman, «Untitled #465», 2008Difficile trovare nella fotografia contemporanea uncorpus più lucido e organico di quello realizzato daCindy Sherman nei suoi trentacinque anni di lavoro.Dalla prima serie che l’ha resa nota, gli «UntitledFilm Stills» composti tra 1977 e 1980, ai recentissimi«Murals», l’artista americana ha costruitola sua opera senza sbagliare un passaggio,mantenendosi dentro un pecorso unitario, e ognivolta capace di rinnovarsi, di spostare in avanti il limite.Troppo intelligente per farsi digerire dal sistema,e troppo abile per restarne fuori, oggi laSherman viene celebrata dal MoMA di New York conuna mostra (fino all’11 giugno) e una monografia,fatta stampare in Italia da Trifolio, che attraversanotutta la sua camaleontica produzione. Centratasulla «costruzione dell’identità, la natura della rappresentazionee l’artificio della fotografia», la suaricerca nasce nel clima sollecitato dalle problematichedella comunicazione di massa, ma si generaaddosso a lei e alle centinaia di personaggi cui dàvita prestando loro quello che probabilmente è ilvolto più visto di tutto il mondo dell’arte, anche seimpossibile da distinguere davvero, imprendibile emutante. Appassionata fin da bambina di travestimenti,impara a entrare e uscire dalla pelle di quelliche inventa, utilizzando il proprio corpo e tutti iparaphernalia del trasformismo. Anche per questosi parla di lei come di una performer, perché ognisua immagine è la registrazione di un processo checomincia ben prima del momento finale dello scattoe che ha a fare con il cinema, la scultura, la pittura,il teatro, la moda, la make-up art. Le azioni,allestite solo per il suo obiettivo, si chiudono dopoche i personaggi sono stati affidati al mondo parallelodell’inquadratura. È qui che bellezza e orrore,cliché e paure, sesso e morte si incontrano per ricomporsiin tableaux che mettono in scena l’ambiguitàdell’apparenza, il polimorfismo e la labilità dell’identitàpersonale. La retrospettiva, intitolata«Cindy Sherman», mentre sottolinea i nuclei tematiciricorrenti, squaderna i lavori in ordine cronologico.Si passa dalla sequenza completa degli «UntitledFilm Stills» con la rivisitazione dello stereotipofemminile nei noir e nei B movies degli anni Cinquantae Sessanta; ai «Centerfolds» commissionatida Artforum e poi rifiutati per il presagio di violenzae umiliazione nei confronti di una donna chesembra offrirsi come preda passiva. Dagli «HistoryPortraits», in cui ricalca il ritratto della pittura classicamescolandone convenzioni e periodi, ai lavoriper la moda e ai capitoli conosciuti come «fairy tales»,«disasters» e «sex pictures», unici questi neiquali rinuncia ad apparire come attrice, sostituitadalla visione di manichini, avanzi organici, bambolee ibridi osceni. Si conclude tornando a lei nei recenti«Head Shots» di aspiranti attori in posa in studio,nei fastidiosi «Clowns» fluorescenti e nei terribili«Society Portraits» in cui impersona signore chesotto strati di cerone, vestiti eleganti e gioielli, nonriescono a nacondere l’inevitabile declino, la lottagià persa rincorrendo i canoni di una bellezza impossibile,mentre il tempo apre le sue crepe anchenel fondotinta. Fino ai «Murals», stampati sulle paretiesterne, ultima delle sue serie e primo interventosite specific. Un’ennesima Cindy in gigantografia,questa volta senza trucco, solo manipolatada interventi digitali che le allungano il naso, le rimpicciolisconogli occhi, le assottigliano le labbra,mentre in abiti strampalati si moltiplica davanti allosfondo in bianco e nero di un bosco irreale, diuna natura che tra favola e incubo accompagna l’ennesimocarnevale quotidiano, l’ennesimo spettacolodella sua proiezione in altri sé. Non c’è personaggiodi cui non si sia presa gioco, e non c’è mezzo,parrucca, costume, oggetto, smorfia che non abbiausato per mettere in guardia dal pericolo di diventarevittime consenzienti della volontà altrui, dellosguardo massificante del comune consenso. Chiara Coronelli© THE ARTIST AND METRO PICTURES, NEW YORK


IL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012 Fotografia 17tista, tra visione e monumentalità. Ibrido contemporaneo tra i codici antichi dellapittura cinese e lo «splendore superficiale» della nuova Tigre asiatica, WhenWorlds Collide è espressione massima del potere della messinscena. WangQingsong è alla regia. <strong>Il</strong> dettaglio è inghiottito dall’insieme. <strong>Il</strong> dietro le quinte,con la sua spettacolare dimensione cinematografica, contribuisce alla grandezzafinale. Ipnotico.LA VIRREINA CENTRE DE LA IMAGE /BARCELLONA1979. Un monumento a istanti radicalimarzo 2011Tutto in un (solo) anno: il 1979. Strutturata intorno a un romanzo, L’estetica dellaresistenza di Peter Weiss, la mostra apre uno squarcio su un arco temporale ristretto,documentato attraverso icone massime e paesaggi minori di una stagionenevralgica. Ci sono i grandi scioperi, c’è un’implacabile Thatcher immortalata daHans Haacke, il video «Delirius New York» di Rem Koolhaas, il corpo come campodi battaglia secondo Cindy Sherman. E, ancora, la suburbia gentrificata di HumbertoRivas. <strong>Il</strong> Postmodernismo è alle porte. L’amarcord è intonato con completezzanarrativa, grazie a un mitch & match vincente tra cultura alta e cultura bassa,arte e vita.HASSELBLAD FOUNDATION /STOCCOLMAWalid Raadnovembre 2011 – gennaio 2012Hasselblad Award 2011, Chbanieh, Libano, 1967, Walid Raad ha sovvertito le regoledel rapporto tra pratica documentaria, scrittura storica e rappresentazione visivadella violenza. Con un’opera nell’opera ai margini del situazionismo, «TheAtlas Group», dal 1975 al 1990 Raad s’immerge tra le pieghe della guerra in Libano,utilizzando video, fotografie, documenti stilati da personaggi immaginaricon un’inversione di marcia rispetto al Facts Follow Fiction. In un’immagine: motoridi autobombe rincorsi da paparazzi in cerca di uno scoop. Raad pratica tuttii registri della memoria. La Rinascimento del Golfo ruggisce sulla carta. Walidnon dimentica.CAME<strong>RA</strong> WORK / BERLINONadav Kander - Yangze, The Long Rivergennaio 2011Israele, 1961, Nadav Kander, primo ritrattista ufficiale di Barack Obama alla CasaBianca, collabora con Sunday Times Magazine, Rolling Stone, Another Mane Dazed & Confused. Con «Yangze, The Long River» (Prix Pictet 2009) la distanzatra obiettivo e visione conquista un respiro lungo. <strong>Il</strong> tempo imposto daimedia si dilata in quello concesso dal viaggio. Protagonisti sono 6.500 chilometridi acqua (e paesaggio) in movimento, dalla provincia di Qinghai a Shanghai.<strong>Il</strong> paesaggio naturale è appiattito da un paesaggio antropico che divora l’esistente.<strong>Il</strong> passo del racconto diventa vedutismo, in bilico tra estetica del sublimee idiosincrasie del presente.MARIAN GOODMAN / NEW YORKEija-Liisa Ahtila – The Annunciationottobre – dicembre 2011Fotografia come immagine in movimento: Eija-Liisa Ahtila presenta The Annunciation,remake di uno dei motivi principali dell’iconografia cristiana. <strong>Il</strong> film - girato durantel’inverno nella riserva di Aulanko, nel sud della Finlandia – riproduce l’atelierdi un artista. Se il tema narrativo è dichiarato, resta più sotterranea la sfida: «Ciò cheè noto può rispondere ai criteri necessari per la descrizione di un miracolo? E, ancora,cos’altro possiamo vederci?». Ahtila risponde con tre split-screen su pannellimultipli, lasciando, ancora una volta, allo spettatore il compito di decidere che cosa“guardare”, oltre il mistero.SPRÜTH MAGERS / LOND<strong>RA</strong>Philip-Lorca diCorcia – Riodmaggio – giugno 2011100 Polaroid inedite allestite a binario lungo le pareti della galleria per i 30 annidi carriera di uno dei fotografi più influenti della sua generazione. Alcune sonoscatti di prova dove non è difficile ritrovare alcune delle ricerche più note di di-Corcia, da «Hustlers» a «East of Eden». Altre conquistano la dimensione dellapausa, intervallata da momenti d’intimità con famiglia, amici, amanti e scene di vitaquotidiana, il mondo dal finestrino di un aereo, un dente di leone, una tazza dicaffè su una semplice tovaglia. L’installazione si fa miniatura, l’uso della Polaroiddiventa tentativo consapevole di mettere in discussione l’eterno tema della riproduzionefotografica.YOSSI MILO GALLERY / NEW YORKSze Tsung Leong – Horizonsfebbraio – aprile 2011Horizons è una sfida alla percezione convenzionale della distanza. Le geografie di riferimentoappartengono al mondo: da Città del Messico a <strong>Il</strong> Cairo, da Benares allaMongolia, alternando landscape naturali, monumenti, zone industriali, lessico urbano.A collegare le immagini è l’orizzonte continuo di un paesaggio artificiale compostoda un accumulo di continenti, città, situazioni, texture e colori, organizzabilein sequenze visive sempre diverse. Parola chiave: l’incertezza. «Le distanze che separanovicino da lontano non sono mai costanti», afferma Sze Tsung Leong,WHITECHAPEL / LOND<strong>RA</strong>Zarina Bhimjigennaio – marzo 2012Luoghi da esplorare in cerca dei sedimenti di un’archeologia dell’esistenza. LaWhitechapel dedica a Zarina Bhimji la prima grande retrospettiva: 25 anni di ricerche,tra l’India e l’Africa Orientale. Si apre con l’anteprima dell’ultimo film,«Patch Yellow» (2011), sulle tracce della migrazione attraverso l’Oceano Indiano.E si prosegue a ritroso tra i palazzi abbandonati e gli uffici coloniali a Mumbai.C’è l’Uganda di «Out of Blue» (2002), sul sottofondo intenso del rumore delfuoco, uccelli e voci umane. Ma anche l’intera sequenza di «Love» (1996-2006):terra che esce dai cardini, la tenerezza come metrica di sguardo, paesaggi mediatida un vagabondare solitario, «il tradimento su larga scala, il dolore, l’amorela violenza…». Toccante.SAAATCHI GALLERY / LOND<strong>RA</strong>Out of Focus: Photographyaprile – luglio 2012A distanza di circa 11 anni da «I am a Camera», la Saatchi Gallery torna alla fotografiacon «Out of Focus: Photography». L’ambizione è una ricognizione su scalaglobale delle nuove tendenze internazionali nel campo del contemporaneo. Convocatoa Londra è un plotone di 38 artisti già ben curriculati: da Michele Abeles,avvistato di recente al MoMa Ps1, alla turca Pinar Yolaçan, celebre per le sue fotodi modelle vestite di interiora. Tra loro, Olaf Breuning, che all’interrogativo curatoriale«Chi è oggi un fotografo?» risponde: «Un fuoristrada a quattro ruote motricipronto a ogni suo».Mark Morrisroe - A Winterthur la prima monografica completaMark Morrisroe, «Blow Both of Us. Gail Thacker and Me. Summer 1978»La scomparsa precoce di Mark Morrisroe e le coincidenze sfortunateche hanno poi ostacolato la diffusione della sua opera, potrebberosembrare un complotto contro la memoria. Anche per questola retrospettiva curata da Beatrix Ruf e Thomas Seelig, realizzatalo scorso anno dal Fotomuseum di Winterthur e dall’EstateMark Morrisroe (Ringier Collection), ha il grande merito di aver restituitol’artista americano al pubblico, riscoprendo il profilo di unaproduzione straordinaria per dimensioni varietà e coerenza, perquanto chiusa in un solo decennio di attività, quello che precedela sua morte per Aids nel 1989. Nato a Boston trent’anni prima,per tutta la vita la sua figura resta volutamente confusa nella leggenda,a partire da quella che lo vorrebbe figlio illegittimo di AlbertdeSalvo, lo strangolatore, solo perché la madre tossicomaneabitava in un appartamento che era stato di proprietà del pluriomicida.Esce di casa molto presto, per sopravvivere comincia a prostituirsie l’essersi aggiudicato un posto alla School of the Museumof Fine Arts non gli impedisce di seguire un’esistenza di eccessi.L’uso di droghe, il travestitismo nei panni della drag queen SweetRaspberry, le esibizioni nei club di Provincetown con l’amico StephenTashjian alias Tabbboo!, la pubblicazione della fanzine «Dirt»fondata con Lynelle White: tutto questo rivela Morrisroe come unadelle menti di quella cultura punk che ha alimentato la cosiddettaBoston School, oltre che leader ufficioso di un gruppo che avrà influenzedecisive sulla fotografia tracciando sentieri che continuanoa segnare le nuove generazioni. Tra loro ci sono Nan Goldin, DavidArmstrong, Gail Thacker, Tabboo! e Jack Pierson, suo primogrande amore. Sono loro a precederlo a New York, dove lui li raggiungea metà degli anni Ottanta, anche se è prima, nella città incui è cresciuto, che si forma la sua visione sostenuta da un talentoduttile e curioso, affascinato dalle infinite possibilità che la tecnicafotografica può offrire.Anche Morrisroe, come i suoi più noti compagni, sa togliere di mezzoogni filtro, ogni mediazione tra la vita cruda e la sua riproduzionein pellicola. I suoi amici, gli amanti, Jack, gli still-life, New York,i nudi, il proprio corpo ripreso in centinaia di Polaroid e poi colpitodalla malattia mentre si avvicina alla fine, è tutto raccolto comein un diario, corredato da annotazioni scritte a margine delle immagini,dove Morrisroe sa passare incauto tra bellezza e dolore.E la sopravvivenza di quegli istanti è affidata alle oltre 2mila immaginiche ci ha lasciato, tra stampe alla gelatina d’argento e allagomma, foto a colori, film in Super 8, Polaroid, le cosiddette «sandwiched-prints»,le sgranature, il verso al Pittorialismo e altre sperimentazioniin camera oscura fatte anche a partire dalle sue radiografietoraciche, dove ancora si vede il proiettile che un clientegli aveva sparato nella schiena mentre era ancora adolescente.È tutto riportato nelle pagine di «Mark Morrisroe», il libro pubblicatoda JPR-Ringier in occasione della mostra, prima monografiacompleta mai dedicata alla sua opera, frutto del lavoro di ricercae catalogazione svolto dal Fotomuseum di Winterthur sull’Estate acquistatonel 2004 dalla Ringier Collection, dopo essere passato perdiverse mani, e ora custodito negli archivi dello stesso museo svizzero.«Se Mark non avesse avuto talento, sarebbe diventato un serialkiller». È Pia Howard a dirlo, e la frase era stampata sul muroall’entrata della mostra. L’impressione è quella di un sovraccaricodi energia che ha trovato nell’arte la sua naturale via d’uscita e cheha trasformato in opera la sua stessa vita: ogni giorno è stato filtratodalla capacità di renderlo memorabile. Tra gioco e sofferenza,tra innata tendenza istrionica e una disperazione di fondo cheperò non arriva mai alla resa, tra talento attoriale e intimismo, Morrisroecompone il resoconto strabiliante di un milieu che ha avutonel suo genio un punto di riferimento che la sua scomparsa non haallentato. Chiara CoronelliTaryn Simon - A Living Man Declared Dead and Other ChaptersTaryn Simon, particolare del capitolo XVII di «A Living Man Declared Dead and OtherChapters», 2011Sarebbe improprio descrivere semplicemente come libro fotograficole 773 pagine di «A Living Man Declared Dead and Orther Chapters»,che raccolgono nell’edizione di Mack Books l’ultimo lavorodell’americana Taryn Simon. <strong>Il</strong> rischio è di mancare la monumentalitàdi un progetto che attraversa molti ambiti, quello politico, antropologico,estetico, storico, filosofico, tutti tenuti insieme dallafotografia, dalla sua funzione di traccia, che trova nel ritratto il suocompito più arduo, oltre che ambiguo. Si tratta di una catalogazioneorganizzata in diciotto capitoli, ognuno dei quali dedicato a un«caso» inteso come la storia di un individuo che si riflette decenniodopo decennio nell’albero genealogico della sua famiglia e nelleesistenze dei suoi discendenti, prolungandosi fino a oggi. In ognicapitolo si scontrano «le forze esterne del territorio, dei Governi,della religione, con le forze interne di un’eredità psicologica e fisica».<strong>Il</strong> tentativo è quello di mappare, come spiega l’artista, le interconnessionitra casualità, patrimonio genetico e predeterminazione,cercando di individuare una sorta di filigrana in cui leggerel’esistenza di un codice impresso nel destino di ognuno. <strong>Il</strong> lavoro,costato quattro anni di ricerche in giro per il mondo, è stato in mostrafino a gennaio alla Tate Gallery di Londra e alla Neue Nationalegaleriedi Berlino, per avere la sua prima statunitense al MoMA diNew York, dal 2 maggio al 3 settembre. Ogni capitolo viene espostoin tre segmenti. <strong>Il</strong> primo è il pannello che incasella i ritratti di quantiappartengono allo stesso albero genealogico, ripresi sempre nellastessa posizione, seduti davanti allo stesso fondale neutro, colorcrema, che li proietta in un luogo da cui è stato eroso ogni elementodi appartenenza, che non sia la linea del tempo disegnata dalle lorodate di nascita. All’altra estremità del trittico ci sono immaginipiù narrative, ambienti, dove le figure sono inserite in un contesto,documenti, oggetti in qualche modo legati a quella determinata storia,quasi delle note a margine che danno sostanza al ritmo astrattoe quasi ipnotico della prima sezione. Al centro i testi: le informazionisui soggetti che precedono e quelle che scavano profonditàintorno al breve reportage che chiude.La prima vicenda, che dà il titolo all’opera, è una disputa sul possessodella terra nella regione indiana dell’Uttar Pradesh, dove trefratelli sono stati dichiarati morti da altri membri della famiglia eregistrati nelle liste degli estinti per essere esclusi dall’asse ereditario.I trentadue conigli australiani che vediamo in posa sono tuttimorti, vittime di esperimenti da parte del Governo che li ha fattiammalare con un virus letale per contenerne il boom riproduttivo.Le conseguenze tragiche dell’assunzione della Talidomide daparte di Dorothy Gallagher durante le gravidanze sono evidenti nellasua discendenza. I due clan brasiliani dei Ferrazs e dei Noraessi fronteggiano da nemici nelle stesse pagine. Qui, come in altreparti, compaiono dei ritratti vuoti dove chi manca è richiamato solodalla didascalia che spiega il motivo dell’assenza. Quando questaè dovuta alla morte, come nel caso delle vittime del massacrodi Srebrenica, a rievocare la persona vengono fotografati i suoi resti,ossa, denti o vestiti.In questo atlante popolato da un’umanità precaria e vulnerabile,ogni resoconto si dà in un identico formato che potrebbe ripetersiall’infinito, scandito da un ritmo costante nella cui calma apparentesi compiono abomini sempre diversi. L’evidenza che quest’orizzontedi ingiustizia, miseria e violenza avrebbe potuto essere dettoda altrettante equivalenti storie, sembra provare che l’oppressioneha infinite facce e infiniti luoghi, e che organizzare in modo coerentee quasi scientifico questo materiale umano, questi detriti, non bastaa salvarci. L’omologazione tradotta nell’impianto scarnificatodei ritratti e nella fissità degli schemi, ha come effetto che ognunadelle persone inquadrate si confonde con le altre, che le vittime simescolano ai carnefici, che le storie si perdono una dentro l’altra,e neppure i morti riescono a provare d’essere vivi. La Simon pretendetempo e pazienza, perché è solo nella durata che si può entrarenel suo libro. È solo fermandosi davanti alle loro facce e ai loronomi, agli stralci delle loro storie, che si può attribuire spessorealle oltre ottocento persone che hanno posato per lei e che isolatedalla messa in scena disposta dalla cronaca, resterebbero evanescenzapura. <strong>Il</strong> progetto sa dare conto delle due facce della fotografia,della sua natura di documento e di enigma, del suo esseresegno di realtà, ma anche intuizione del mistero chiamato in causaogni volta che lo sguardo è tirato verso l’esterno dell’immagine,tentato da quello che la cornice tiene fuori, oltre l’inquadratura eoltre il tempo dello scatto, nel prima e nel dopo.In ultima analisi, «A Living Man Declared Dead and Other Chapters»insinua un’ombra in quello che svela, come se la fotografia fosseresa inefficace da una realtà che si nega alla nostra comprensione,come se fosse la sua stessa funzione a essere messa in dubbio. Emolto del valore dell’opera sta forse in questa domanda che restaaperta, che sconsiglia conclusioni affrettate e a tutti i costi. Mentrele tessere vuote, i ritratti delle assenze, sono come buchi in unospecchio, sono la cecità dell’obiettivo che si dichiara insufficienteproprio nel momento della sua massima capacità di definizione,quella della prova di esistenza. Chiara CoronelliCOURTESY THE ARTIST. © TARYN SIMON


18 FotografiaIL GIORNALE DELL’ARTE, N. <strong>320</strong>, MAGGIO 2012SFMOMA / SAN F<strong>RA</strong>NCISCORineke Dijkstra – A RetrospectiveFino al 28 maggio 2012Settanta fotografie, cinque opere video per la prima retrospettiva americana dedicatataa Rineke Dijkstra in collaborazione con la Solomon R. Guggenheim Foundation.Vent’anni di ricerca sul sentimento del tempo, identità, transizione. L’incipitè affidato a «Beaches» (1992-1996), ritratti di adolescenti sulle coste del Maredel Nord, Olanda, indagine in soggettiva di un universo senza scenografie quotidianedi appoggio. L’incanto è Almerisa, ex rifugiata bosniaca, ritratta in otto fotografienell’arco di 11 anni; dall’infanzia all’età adulta, sull’asse Est/Ovest, da unazona di guerra alla pace.ICP / NEW YORKPerspectives 2012: Anna Shteynshleyger, Greg Girard, Chien-Chi ChangFino al 6 maggio 2012L’Icp dà lezioni di scouting con una finestra riservata ad artisti emergenti che lavoranotra fotografia e video, giovani talenti che non hanno ancora cavalcato lascena newyorchese. Per quest’edizione, Christopher Phillips ha scelto Chien-Chi Chang, Greg Girard e Anna Shteynshleyger (1977), cattedra alla School ofthe Art Institute di Chicago, che, per quattro anni ha vissuto all’interno di unacomunità ebrea ortodossa in un sobborgo dell’<strong>Il</strong>linois. Risultato: un ciclo di immaginiche riaggiornano la migliore tradizione del classico reportage socioetnografico.THE PHOTOG<strong>RA</strong>PHERS’ GALLERY / LOND<strong>RA</strong>Raqs Media CollectiveDal 19 maggio 2012The Photographers’ Gallery inaugura il nuovo building londinese con Raqs MediaCollective, tre artisti di base a Delhi, Jeebesh Bagchi, Monica Narula e ShuddhabrataSengupta, le cui pratiche includono fotografia, new media, film, teoriadei media e della ricerca, critica e conservazione. Per l’occasione verrà presentatoun nuovo progetto: «Un pomeriggio non registrato sulla scala Richter»(2011), proiezione in loop di una fotografia d’archivio, sottilmente alterata dagliartisti. L’originale, scattato da James Waterhouse, raffigura una stanza piena diispettori nella Calcutta coloniale del 1911. La promessa: un’idea di fotografiacome pratica di crossover.GALLERY KOYNAGI /TOKYOHellen van Meene – Dogs and Girlsfebbraio – marzo 2012La mostra include diversi nuovi ritratti di ragazze adolescenti, caratterizzati dall’usostraordinario della luce. Ad accompagnarli è una nuova serie di ritratti di caniin cui colore, proporzioni e dettagli raccolgono l’eco della grande pittura seicentescadi area nordica. Per scattarli, l’artista olandese ha creato uno studio all’apertocon un semplice sfondo blu o rosso completato da un tappeto antico persiano. <strong>Il</strong>cane guarda in macchina. Dietro l’obiettivo, uno sguardo pronto a cogliere lo stessopotenziale psicologico dei ritratti umani. Susanna LegrenziRineke Dijkstra - A RetrospectiveCi ha pensato il MoMA di San Francisco,insieme al Solomon R. Guggenheim di NewYork, a organizzare la più completa retrospettivamai dedicata a Rineke Dijkstra (alSFMoMA fino al 28 maggio e dal 29 giugnoal Guggenheim Museum, catalogo SolomonR. Guggenheim e D.A.P.). Attesa datempo, «Rineke Dijkstra: A Retrospective»,celebra l’artista olandese alla qualeva il merito di una ridefinizione del ritrattoin chiave contemporanea, oggi difficileda immaginare privo del suo apporto. Formatasulla pittura di Rembrandt e Vermeer,e dalla fotografia di Sander, Avedon,Arbus e degli allievi dei Becher, la sua attenzionesi concentra da subito su un’umanitàcomune, persone incontrate percaso e che scruta fin sotto la pelle, individuiche nelle sue mani diventano modelliuniversali. Risale al giugno 1991 un autoritrattoin cui la si vede in piedi in costumee cuffia da bagno, gli occhi fissi all’obiettivo,come tutti nelle sue opere, appenauscita dalla piscina dove segue un severopercorso di riabilitazione. Lo sfinimentole impedisce di contenere l’abbandonodopo lo sforzo, come se si consegnasseRineke Dijkstra, «Long Island, NY»essere, e su quello che vuole apparire. Ancheperché mettere in posa uno sconosciuto,osservarlo apertamente per fermarloin un’immagine che non può controllare,crea già la frizione necessaria aprodurre il vuoto in cui la Dijkstra interviene,quando la volontà è sospesa e laguardia allentata fa affiorare l’interioritàpiù profonda, dove si annida la precarietàche è di ogni transizione. È questo cambiamentoche va a cercare in Almerisa, larifugiata bosniaca che ritrae bambina, sedutasu una sedia in un asilo di Leiden, eche ogni due anni torna a fotografare finoa riprenderla con il proprio figlio inbraccio. Lo stesso che ritrova nelle madri,in piedi e nude contro un muro chiaro, constretti a sé i piccoli che hanno partoritoda poche ore; nei toreri dopo la lotta nell’arena;nei giovani militari israeliani inabiti civili e poi in uniforme, o dopo le esercitazioni;nei ragazzi dei video «BuzzClub/Mysteryworld» e «Krazyhouse», dovela musica e la danza che inscenano davantia una parete bianca, li rapisce finoa farli dimenticare di sé; negli scolari delrecente «I See a Woman Crying (Weepingsenza condizioni alla visione che riporterà di sé. È qui che l’os-sessione di guardare gli altri, coltivata fin da bambina, comincia aprofilarsi come intenzione artistica: «Mi interessava fotografare lagente nel momento in cui aveva rinunciato a ogni pretesa di posa».Nasce ora la sua prima serie, quella dei «Beach Portraits» che contengonogià tutta la chiarezza del suo sguardo. Sono adolescenti fermatisulle spiagge di Europa, Stati Uniti e Africa, che lei mette in posaal centro dell’inquadratura, in piedi in costume da bagno, controun paesaggio di cielo mare e sabbia. Li offre allo spettatore fino alminimo dettaglio, con i difetti, la tensione, l’imbarazzo inflitto da unobiettivo diretto e per niente dissimulato, che li restituisce nel grandeformato. Quasi sempre soli, si staccano da un fondale che anchein tutti i successivi lavori resta muto, perché i dettagli distrarrebberodallo spettacolo dell’emergenza scultorea dei soggetti. La sceltadegli adolescenti spiega già il centro della sua arte: le interessa il momentodi passaggio, il percorso da uno stato a un altro, quando l’individuoè vulnerabile e viene meno il controllo su quello che pensa diWoman)», concentrati a dire che cosa vedono nell’opera di Picasso,nella faticosa scoperta delle proprie idee. Si sente, al di là di un impiantoche resta classico, una lucidità di visione che riesce a fare diogni individuo il simbolo di una condizione universale e condivisibile,proprio mentre si confronta con la nascita, con la morte, con la formazionedi sé. Come anche nella serie dei «Portraits Park», dove peròi giovani protagonisti sembrano aver fatto tregua con l’inquietudine.In piccoli gruppi, finalmente seduti o sdraiati a riposare, consumanoi rituali del tempo libero all’ombra di una natura più dettagliatae avvolgente, in composizioni meno austere, ma non per questomeno calibrate. Fermare l’obiettivo davanti alle oscillazioni dell’identità,significa accogliere l’indefinitezza, saper sostenere un’instabilitàche è massima apertura al possibile. Tutto ciò che è in potenzaè prezioso per la Dijkstra, come se la transizione fosse misuradell’essere in vita. Questa l’energia inesauribile dei suoi ritratti, lapromessa di qualcosa che deve ancora accadere. Chiara CoronelliMargaret M. De Lange - Surrounded by no oneMargaret M. de Lange, «Surrounded By No One»Ci sono fotografie che assolvonodalle domande,davanti alle quali non hagrande importanza saperedove o quando sono statescattate, né perché. Chi leguarda non può che passarcidentro, attraversarlerivendicando il puro dirittoalla visione, senza doversiinserire in griglie giàpredisposte. «Per chiunquemi lasci entrare» è l’unicaindicazione che MargaretM. de Lange ci riservaprima delle pagine di«Surrounded By No One»,suo secondo lavoro dopo«Daughters», pubblicatoda Trolley Books, oltre cheesposto fino allo scorso marzo al Fotografiska Museetdi Stoccolma. Non è dato conoscere molto dipiù, se non che l’artista norvegese ha seguito pertre anni familiari, amici, ma anche conoscenti occasionali.Sono loro che la lasciano entrare, che leoffrono in tanti casi una visione di sé dura e pocodigeribile, mostrandosi senza alcuna cura per l’obiettivo.Sono loro, e i loro corpi, le vittime di unasolitudine registrata in presa diretta da uno sguardoduttile e vicinissimo, che arriva dentro le case,nelle camere, nei salotti; entra in bagno e si infilaquasi nei letti, per fissare quello che accade nell’apparenteinsignificanza del quotidiano. La distanzache resta è quella costruita da una presenzaavvertita di quello che il proprio occhio inquadra,per quanto velocemente si sposti in quella cheArno Rafael Minnkinen, nel testo introduttivo, chiama«urgenza filmica». C’è molto di cinematograficoin questo «Surrounded By No One», gli scattisembrano arrivare dopo una carrellata a cercarequalcosa che ha attirato di colpo l’attenzione ed èquesto movimento che spesso sgrana il bianco enero, che rende quasi crudi i tagli, come se il temponon bastasse e ci fosse il rischio di non riuscirea vedere. Ma l’obiettivo è agile, si spinge in quellevite e sa aderire senza sforzo al fuori campo cheè di ogni esistenza, al terreno delicato dell’intimitàcon il proprio corpo e con quello degli altri, allasofferenza quando non deve più essere dissimulataperché finalmente la porta chiude lontano ilmondo. L’artista ci fa entrare con lei: è suo il lasciapassareper essere ammessi a quei rituali privati,a quei gesti segreti offerti con la naturalezzadi una confidenza che sembra la sola consolazionealla solitudine. Un senso di vulnerabilità pervadequeste immagini, la stessa che l’artista riconoscedentro di sé e che poi va a cercare negli altri«È quando vedo me stessa che scatto le mie fotografie.Queste persone diventano il mio specchio».La spontaneità disarmante con cui si svelano forsederiva dall’accogliere il proprio lato fragile,oscuro, che cresce nell’isolamento che le ripresetraducono. Eppure lo sguardo non è interno, Margaretde Lange non si confonde con i suoi soggetti,li riconosce come suoi simili, come suoi parzialiriflessi, ma le loro reciproche posizioni non potrebberoinvertirsi. La sottigliezza di questo lavoroè anche nell’equilibrio precario, giocato sulla tensionetra il bisogno di esserci e la voglia di sparire,tra cercare di vedere e non voler guardare. Losforzo è quello di stare a occhi aperti davanti a unospettacolo al quale non si è stati invitati, e che agganciaanche noi a un passo a due esclusivo e scabroso.Chi sono queste persone, che vite conducono,perché le vediamo piangere, sorridere, sanguinare,fare sesso, abbassare i pantaloni fino alle caviglie,accovacciarsi per fare pipì al bordo di unastrada, scoprirsi, abbracciarsi teneramente, offrirela loro nudità offesa dal tempo, le loro cicatrici,la loro disperazione? Le risposte non sono importanti,quello che conta è il pulsare di un obiettivonon compiacente, né caricato di indulgenza complice,ma che sa sospendere ogni giudizio mentremacina visioni nel suo viaggio sotterraneo.Per avere in cambio il permesso di forzare la sogliadell’esistenza degli altri e violare i confini delleloro solitudini. Chiara CoronelliGregory Crewdson - In a Lonely PlaceGregory Crewdson, «Beneath The Roses (The Father)»La definizione che ricorrepiù spesso davanti alle operedi Gregory Crewdson, èquella di inquietante. La ragione,spiega l’artista americano,è nell’ambivalenzadi questa parola che contienel’idea di quiete priopriomentre ne rivolta il senso,e che può essere attribuita,prosegue, anche agliautori che hanno formato lasua stessa visione. Da Hoppera Hitchcock, da Egglestona Spielberg, da LarrySultan a Philip-Lorca diCorcia,dal Lynch di Blue Velvetall’American Prospect diJoel Sternfeld: anche le loroopere trasmettono unacalma congelata, mentre sotto la superficie si agitanopensieri disturbanti, sospetti di psicosi.Quello che gli interessa sono le polarità, gli oppostiche si incrociano nell’istante perfetto dell’inquadratura:il reale e il fantastico, il documentoe la mistificazione, il quotidiano e la teatralità,il sogno americano e il suo rovescio oscuro.I suoi tableaux iperrealisti, invischiati nel cinemaquanto nella psicoanalisi, raccolgono l’ereditàdi quella staged-photography che ha i suoimaggiori esponenti in Jeff Wall e Cindy Sherman,e montano con precisione millimetrica una realtàtanto finta da sembrare vera. <strong>Il</strong> suo ultimo libro,«In a Lonely Place», mette insieme «Beneath theRoses», «Sanctuary» e «Fireflies», le tre serieesposte lo scorso anno al Kulturhuset Stockholme da C/O Berlin. L’omaggio del titolo al noir di NicholasRay del 1950, con Humphrey Bogart, sispiega con l’isolamento in cui si muove il protagonista,e che si ritrova sempre nello sguardo diCrewdson. Pubblicare insieme tre lavori tanto diversi,realizzati lungo un arco di tempo compresotra 1996 e 2009, dimostra una volta di più la coerenzadi una produzione generata da un unicocentro, dove si intersecano «l’idea di bellezza, tristezza,alienazione e desiderio». Per quanto lontanedalla sua consueta provincia americana, ibianchi e neri di «Sanctuary», realizzati a Cinecittànel 2009, approfondiscono la ricerca intornoalla tensione tra realtà e fiction, qui esasperatadall’evidenza scoperta dalla macchina dell’intrattenimento,con le ricostruzioni dei monumentidel passato. Anche qui lo studio dell’illuminazioneindica la strada, trascina in quel vuotosurreale e disabitato che promette l’avventura,e intanto spinge a una fuga indietro per tornarenel mondo lasciato alle spalle. In «Fireflies»,che risale all’estate del 1996, riprende il volo dellelucciole quando al crepuscolo comincia il ritualedell’accoppiamento e le femmine richiamanoi maschi illuminando la notte con il loro desiderio.Qui l’obiettivo si apposta nel buio, lontanoda tutto, nella solitudine di una meditazione menodrammatica di quella cui ci ha abituato, mache torna a sottolineare l’idea di separazione.Germe che si diffonde in modo capillare in «Beneaththe Roses», dove nell’immobilità dei suburbiasi consuma l’incubo americano. Negli internisoffocanti delle case, lungo strade che si perdononel nulla, ai semafori, davanti a verande sinistre,in una natura poco raccomandabile, si muovonoi rari abitanti, con i loro sguardi ciechi e chiusidentro, automi che come riflessi di un’umanitàdistorta inquinano i loro villaggi di plastica, dovegià si scoprono i segni della rovina. Tutto è contagiatodall’infelicità di un destino che si ripetesempre uguale, esiliato dal tempo perché privatodi un prima e di un dopo, e dove l’alienazione piùamara è quella da se stessi, è l’incapacità di riconoscerela propria collocazione e riappropriarsidell’esistenza. Intanto la luce riempie la profonditàdella scena immergendo le figure in unatrasparenza quasi solida che sembra interromperela comunicazione tra esseri viventi. E allo stessotempo diffonde il presentimento di una catastrofeche urge sotto l’equilibrio apparente, rimandataall’infinito. Chiara Coronelli

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