Analisi della comunicazione tra pediatra e madre attraverso l ...
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Negli anni successivi si introdusse una nuova disciplina definita «sociologia visuale»78 che fu elaborata da studiosi internazionali come Becker (1975, 1978, 1979), Clarke(1983), Curry (1977, 1983, 1985), e in campo italiano da Ferrarotti (1974) e Cipolla(1987, 1988, 1989). La metodologia presentata consisteva nell’uso del fattore visualerappresentato da tutti gli ausili tecnologici, quali fotografia digitale, videoregistrazione,ripresa con pellicola tradizionale, ecc. Si trattava di ricerche che si collocavanonell’ambito di tre possibili campi d’applicazione della sociologia visuale: la foto – stimolonell’intervista in profondità, la produzione soggettiva di immagini come mezzoper accedere alla «visione del mondo» dell’altro e la videoregistrazione dell’interazioneper l’analisi del rapporto osservatore/osservato in situazione d’intervista. Secondo Clarke(1983) e Curry (1983, 1985) «i dati visuali consentono una comprensione intuitiva dispecifici segmenti della società che non sarebbe possibile far scaturire da una descrizionesolo letteraria. In altri termini, al di là del valore di realtà, le immagini tendono a suscitareun più alto grado di empatia e comprensione delle condizioni sociali di quantonon facciano le tavole statistiche» 79 . Nell’ambito della sociologia visuale ricordiamo,inoltre, uno dei maggiori esponenti della scuola di Palo Alto, Watzlawick (1971) il qualesostenne che la comunicazione analogica non è sempre e necessariamente un complementodi quella numerica (la parola), potendo realizzarsi in alternativa o opposizionea quest’ultima. È facile dichiarare qualcosa verbalmente, ma è difficile sostenere unabugia nel regno dell’analogico.La carenza in questa disciplina constava essenzialmente nella mancanza di uno strumentorigoroso, ripetibile ed utilizzabile da operatori diversi in quanto l’analisi dei datipoteva essere influenzata dal tipo di preparazione dell’operatore. Per ovviare a ciò necessitavauna codifica e uno strumento agile per l’interpretazione di questi movimentinon verbali. Ekman (1978) e Friesen (1978) hanno creato uno strumento che in seguitoè stato elaborato e tuttora in fase di ulteriore miglioramento specialmente conl’applicazione di programmi informatici. Il sistema porta il nome di «Facial Action CodingSystem - FACS». Le tecniche atte alla misurazione del comportamento facciale sononate sostanzialmente per rispondere a svariati quesiti riguardanti i legami esistenti trale espressioni del viso e le caratteristiche di personalità, l’esperienza emotiva, i processi78 Cipolla C., Faccioli P. (a cura di), Introduzione alla sociologia visuale, Franco Angeli, Milano,1993.79 Ibidem, p. 50.124
comunicativi, e così via. Gli studi che si occupano di questi temi si suddividono in studidi misurazione, che utilizzano metodi atti a fornire una descrizione o una misurazionedelle reali modificazioni del volto, e studi di giudizio, che si basano sulle risposte di osservatorial comportamento facciale, e che si concentrano quindi sulla quantità e la qualitàdelle informazioni veicolate dal viso. All’interno degli studi di misurazione (ad e-sempio l’elettromiografia) troviamo sistemi, detti di codifica, che si basanosull’identificazione e la misurazione di unità visibili di comportamento facciale. Essi sidistinguono dai metodi di giudizio in quanto l’attività di codifica, essendo puramentedescrittiva, non ha carattere interpretativo. Questi metodi sono basati sulla riflessioneteorica, in quanto mirano all’identificazione dei pattern di movimento facciale che risultanoassociati a particolari emozioni, quelle considerate «universali». Il «Facial ActionCoding System» di Ekman (1978) Friesen (1978) 80 rientra in questa categoria di metodi.Secondo questi due autori, il volto è in grado di veicolare informazioni attraverso quattroclassi di segnali:1.segnali «statici» e relativamente permanenti, determinati dalla struttura ossea e dallemasse di tessuto che compongono il viso;2. segnali «lenti», determinati da cambiamenti che avvengono con il tempo e apportanodelle mutazioni nell’apparenza della faccia di un individuo, come ad esempio lacomparsa di rughe;3. segnali «artificiali», causati da trattamenti esterni, come l’applicazione di cosmeticio il fatto di indossare degli occhiali;4. segnali «rapidi», che comportano modificazioni dell’attività neuromuscolare eprovocano dei cambiamenti visibili dell’apparenza del viso.È proprio quest’ultimo tipo di segnali (modificazioni muscolari rapide e visibili) chepuò essere individuato e categorizzato attraverso il FACS, in cui ogni movimento faccialesingolarmente riproducibile e individuabile visivamente è stato indicato come AU(action unit). Esistono in tutto 44 AU relative ai movimenti del volto, e 14 AU che rendonoconto dei cambiamenti nella direzione dello sguardo e nell’orientamento della testa.Tali unità d’azione costituiscono la base del sistema di codifica e misurazione. Ac-80 Ekman, P, & Friesen, W., The Facial action coding System: A technique for the measurement offacial movement, Palo Alto, CA: Consulting Psychologists Press, 1978.125
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Negli anni successivi si introdusse una nuova disciplina definita «sociologia visuale»78 che fu elaborata da studiosi internazionali come Becker (1975, 1978, 1979), Clarke(1983), Curry (1977, 1983, 1985), e in campo italiano da Ferrarotti (1974) e Cipolla(1987, 1988, 1989). La metodologia presentata consisteva nell’uso del fattore visualerappresentato da tutti gli ausili tecnologici, quali fotografia digitale, videoregis<strong>tra</strong>zione,ripresa con pellicola <strong>tra</strong>dizionale, ecc. Si <strong>tra</strong>ttava di ricerche che si collocavanonell’ambito di tre possibili campi d’applicazione <strong>della</strong> sociologia visuale: la foto – stimolonell’intervista in profondità, la produzione soggettiva di immagini come mezzoper accedere alla «visione del mondo» dell’altro e la videoregis<strong>tra</strong>zione dell’interazioneper l’analisi del rapporto osservatore/osservato in situazione d’intervista. Secondo Clarke(1983) e Curry (1983, 1985) «i dati visuali consentono una comprensione intuitiva dispecifici segmenti <strong>della</strong> società che non sarebbe possibile far scaturire da una descrizionesolo letteraria. In altri termini, al di là del valore di realtà, le immagini tendono a suscitareun più alto grado di empatia e comprensione delle condizioni sociali di quantonon facciano le tavole statistiche» 79 . Nell’ambito <strong>della</strong> sociologia visuale ricordiamo,inoltre, uno dei maggiori esponenti <strong>della</strong> scuola di Palo Alto, Watzlawick (1971) il qualesostenne che la <strong>comunicazione</strong> analogica non è sempre e necessariamente un complementodi quella numerica (la parola), potendo realizzarsi in alternativa o opposizionea quest’ultima. È facile dichiarare qualcosa verbalmente, ma è difficile sostenere unabugia nel regno dell’analogico.La carenza in questa disciplina constava essenzialmente nella mancanza di uno strumentorigoroso, ripetibile ed utilizzabile da operatori diversi in quanto l’analisi dei datipoteva essere influenzata dal tipo di preparazione dell’operatore. Per ovviare a ciò necessitavauna codifica e uno strumento agile per l’interpretazione di questi movimentinon verbali. Ekman (1978) e Friesen (1978) hanno creato uno strumento che in seguitoè stato elaborato e tuttora in fase di ulteriore miglioramento specialmente conl’applicazione di programmi informatici. Il sistema porta il nome di «Facial Action CodingSystem - FACS». Le tecniche atte alla misurazione del comportamento facciale sononate sostanzialmente per rispondere a svariati quesiti riguardanti i legami esistenti <strong>tra</strong>le espressioni del viso e le caratteristiche di personalità, l’esperienza emotiva, i processi78 Cipolla C., Faccioli P. (a cura di), Introduzione alla sociologia visuale, Franco Angeli, Milano,1993.79 Ibidem, p. 50.124