10.07.2015 Views

"I Predoni del Sahara" d Emilio Salgari

"I Predoni del Sahara" d Emilio Salgari

"I Predoni del Sahara" d Emilio Salgari

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

– Fermi!...Uno era un uomo di trent'anni, alto, bruno, con baffi neri,gli occhi vivi e mobilissimi, la taglia elegante; l'altro invece eraun vero gigante, alto quanto un granatiere, con un torso enorme,con braccia grosse come colonne, un uomo insomma da farpaura e da tener testa, da solo, ad un drappello d'avversari. Erabruno come un meticcio, con una selva di capelli più neri <strong>del</strong>lepenne dei corvi, con baffi grossi che gli davano un aspettobrigantesco, coi tratti <strong>del</strong> volto angolosi, il naso diritto e lelabbra rosse come ciliege mature. Vestiva un costume biancocome il compagno, però invece <strong>del</strong>l'elmo di tela portava unaspecie di tocco di panno nero, cinto da un drappo rosso e adornod'un fiocco d'egual colore. Era più vecchio <strong>del</strong>l'altro di cinque osei anni, ma quale vigore doveva possedere quell'ercole di frontea cui i magrissimi marocchini dovevano fare una ben meschinafigura! Vedendo slanciarsi quei due uomini, per la seconda voltai fanatici si erano arrestati. Non si trattava più di scannare uncane d'ebreo. Quei due sconosciuti erano due europei, forse dueinglesi, due francesi od italiani, due uomini insomma chepotevano chiedere l'aiuto <strong>del</strong> governatore, far accorrere <strong>del</strong>lecorazzate dinanzi a Tangeri e disturbare seriamente la quiete<strong>del</strong>l'impero ed i sonni <strong>del</strong>l'imperatore.– Levatevi! – aveva gridato, con tono minaccioso, uno deifanatici. – L'ebreo è nostro!Il giovane bruno invece di rispondere aveva levatorapidamente da una tasca una rivoltella, puntandola contro imarocchini:– Rocco, preparati – disse, volgendosi verso il compagno.– Sono pronto a fare una marmellata di costoro – rispose ilgigante. – I miei pugni basteranno, marchese.La folla, che giungeva coll'impeto d'una fiumana cherompe gli argini, urlava a piena gola:9


– A morte gl'infe<strong>del</strong>i!– Sì, a morte! – vociferano gli allucinati.Si precipitano innanzi agitando le scimitarre, i pugnali ed iloro punteruoli grondanti sangue che hanno levati dalle ferite esi preparano a fare a pezzi l'ebreo e anche i due europei.– Indietro bricconi! – grida ancora, con voce piùminacciosa, il compagno <strong>del</strong> gigante, gettandosi dinanziall'ebreo. – Voi non toccherete quest'uomo.– A morte i cani d'Europa! – urlano invece i fanatici.– Ah! Non volete lasciarci in pace? – riprese l'europeo conira. – Ebbene, prendete!Un colpo di rivoltella echeggia ed un marocchino, il primo<strong>del</strong>la banda, cade col cranio fracassato. Nel medesimo istante ilcolosso piomba in mezzo all'orda e con due pugni formidabilifulmina altri due uomini.– Bravo Rocco! – esclamò il giovane dai baffi neri. – Tuvali meglio <strong>del</strong>la mia rivoltella.– Non ho che cominciato, signor marchese.– Adagio, mio caro. Non bisogna accopparne troppi.Dinanzi a quell'inaspettata resistenza, i fanatici si eranoarrestati, guardando con terrore quel colosso che sapeva così benservirsi dei suoi pugni e che pareva disposto a ricominciarequella terribile manovra. L'ebreo approfittò per accostarsi ai dueeuropei.– Signori, – disse in un italiano fantastico – grazie <strong>del</strong>vostro aiuto, ma se vi preme la vita, fuggite. Lo stupore <strong>del</strong>lafolla non durerà a lungo.– Me ne andrei molto volentieri, – rispose il compagno <strong>del</strong>colosso – se trovassi una casa. Noi non abbiamo una casa, è veroRocco?– No, signor marchese. Non ne ho trovato ancora una.– Venite da me, signore – disse l'ebreo.10


– È lontana la vostra?– Nel ghetto.– Andiamo.– E presto – disse Rocco. – La folla si arma e si prepara afarci passare un brutto quarto d'ora.Il colosso diceva il vero. I marocchini, passato il primoistante di stupore, stavano per scagliarsi nuovamente innanzi.Alcuni uomini avevano invaso le case vicine ed erano uscitiarmati di moschetti, di scimitarre, di yatagan e di coltellacci.– La faccenda diventa seria – disse il marchese. – Inritirata!Preceduti dall'ebreo il quale correva come un cervo, sislanciarono verso la piazza <strong>del</strong> Mercato salutati da alcuni colpidi fucile, le cui palle, per loro fortuna, si perdettero altrove. Ifanatici ed i loro ammiratori si erano gettati sulle loro tracceurlando ed imprecando.– A morte i kafir!– Tagliate le loro teste!– Vendetta! Vendetta!Se i marocchini correvano, anche il marchese ed i suoicompagni mostravano di possedere dei garretti d'acciaio perchénon perdevano un passo. Però la loro posizione diventava dimomento in momento più minacciosa tanto anzi che il marchesecominciava à dubitare di poter sfuggire a quel furiosoinseguimento.La folla erasi rapidamente ingrossata e dalle strette viuzzesbucavano altri abitanti, mori, arabi, negri e non inermi. Lanotizia che degli stranieri avevano assassinati tre fanatici dovevaessersi propagata colla rapidità <strong>del</strong> lampo e l'intera popolazionedi Tafilelt accorreva per fare giustizia sommaria dei kafir cheavevano osato tanto.– Non credevo di scatenare una burrasca così grossa – disse11


il marchese, sempre correndo. – Se non sopraggiungono i soldati<strong>del</strong> governatore, la mia missione finirà qui.Avevano già attraversata la piazza e stavano per imboccareuna via laterale, quando si videro sbarrare il passo da una truppadi mori armati di scimitarre e di qualche moschetto. Quellabanda doveva aver fatto il giro <strong>del</strong> mercato per cercare diprenderli fra due fuochi e come si vede era riuscita nel suointento.– Rocco – disse il marchese, arrestandosi. – Siamo presi.– La via ci è tagliata, signore – disse l'ebreo con angoscia.– Mi rincresce per voi; il vostro generoso intervento vi haperduti.– Non lo siamo ancora – rispose il marchese. – Ho cinquepalle e Rocco ne ha altre sei.– Signor marchese – disse il colosso. – Cerchiamo dibarricarci in qualche luogo.– E dove?– Vedo un caffè laggiù.– Ci assedieranno.– Resisteremo fino all'arrivo <strong>del</strong>le guardie. Il governatoreci penserà tre volte prima di lasciarci scannare. Siamo europei erappresentiamo due nazioni che possono creare serie noieall'imperatore. Orsù, non perdiamo tempo. Si preparano afucilarci.Due spari rimbombarono sulla piazza e una palla attraversòl'alto berretto <strong>del</strong> colosso.– Un po' più basso e la mia testa scoppiava – disse questi,ridendo.All'estremità <strong>del</strong>la piazza sorgeva isolato un piccoloedificio di forma quadrata, sormontato da una terrazza, collepareti bianchissime e prive di finestre. Dinanzi alla porta vierano certe specie di gabbie che servono da sedili ai consumatori12


di caffè. I tre uomini si slanciarono in quella direzione,giungendo dinanzi alla porta nel momento in cui il proprietario,un vecchio arabo, attratto da quelle urla e da quegli spari, stavaper uscire.– Sgombra! – gli gridò il marchese, in lingua araba. – Eprendi!Gli gettò addosso una manata di monete d'oro, lo spinsecontro il muro e si precipitò nell'interno seguìto da Rocco edall'ebreo, mentre la folla maggiormente inferocita, urlavasempre:– A morte i kafir!13


TRE CONTRO MILLEQuel piccolo edificio, che i fuggiaschi avevano occupatosenza nemmeno prendersi la briga di chiedere il permesso al suoproprietario, si componeva di due sole stanze di pochi metriquadrati, ingombre di gabbie che servivano da sedili, di brocche,di cocome di rame e di tazze di metallo o di terra cotta, per lamaggior parte schiacciate o screpolate e di sacchetti di caffè. Imobili consistevano in un banco massiccio ed in una specie diangareb 2 che doveva servire da letto al suo proprietario. Vi eraperò anche un fornello di ferro su cui bolliva un pentoloned'acqua.– Rocco – disse il marchese, dopo d'aver gettato un rapidosguardo all'intorno. – Si può barricare la porta?– Il banco basterà – rispose il colosso. – È pesante e di veranoce e arresterà le palle dei moschettoni. Questi marocchini nonhanno già <strong>del</strong>la polvere inglese a loro disposizione.– Aiutami.Il colosso sradicò il banco che era stato infisso solidamenteal suolo, poi senza alcun sforzo lo trasportò fino alla porta, chefu chiusa fino a metà altezza. L'ebreo vi aveva subitosovrapposto l'angareb mentre il marchese accumulavarapidamente i sacchetti di caffè.– È fatto – disse Rocco.– Ed a tempo – rispose il marchese. – Ecco quei dannatifanatici che arrivano come una banda di lupi affamati.– Alto là, bricconi! Per di qua non si passa!Urla feroci echeggiavano al di fuori. I fanatici ed i loro2 Letto molto primitivo formato d'una pelle tesa su un telaio.14


ammiratori, vedendo la porta barricata, erano montati in furore.– Fuciliamoli! – gridò una voce.– Adagio, mio caro – disse il marchese, il quale non avevaperduto un atomo <strong>del</strong>la sua flemma. – Non siamo già fagiani, nédei fiammanti da lasciarsi tranquillamente fucilare. Abbiamoanche noi <strong>del</strong>le palle e ne faremo buon uso.– E anche <strong>del</strong>l'acqua bollente – aggiunse Rocco. – Bastasalire sulla terrazza e vuotare la pentola.– M'incarico io – disse l'ebreo.– Vi consiglio di non mostrarvi, per ora. Sembra che siatemolto odiato voi.– Perché sono ebreo.– Avete molti nemici in città? – chiese il marchese.– Nessuno, signore perché mi trovo a Tafilelt da soli duegiorni e...La conversazione fu interrotta da un colpo di fucile.Un marocchino si era avvicinato cautamente alla porta,tenendosi nascosto dietro la parete ed aveva scaricato il suomoschetto attraverso una fessura lasciata fra i sacchetti e la pallaera sibilata dinanzi al marchese ed all'ebreo. Un passo solo cheavessero fatto e l'uno o l'altro sarebbe stato di certo colpito.Vedendo il marocchino fuggire, Rocco impugnò rapidamente larivoltella che aveva deposta sul banco e a sua volta fece fuoco.L'uomo mandò un grido, però continuò la corsa mescolandosifra la folla che si era fermata a cinquanta passi dall'edificio, noncessando un solo istante di urlare e di minacciare.– Mancato? – chiese il marchese.– No, toccato, signore – rispose Rocco. – In Sardegna nonsi tira mica male.– E anche in Corsica – rispose il marchese, ridendo.– Ne ho avuto una prova poco fa, quando avete mandatoquel fanatico a trovare Maometto con trenta grammi di piombo15


nella zucca.– Scherzate! – esclamò l'ebreo, stupito per l'inauditosangue freddo dei suoi salvatori.– Che volete? Io e Rocco ci divertiamo – rispose ilmarchese.– Non sperate che i marocchini ci lascino tranquilli,signore.– Bah! Lo si vedrà.– Ci piomberanno addosso e ci massacreranno.– E voi avete paura, è vero?– No, signore, ve lo giuro. Mi rincrescerebbe per voi... eper mia sorella – disse il giovane, con un sospiro.– Ah! Voi avete una sorella? E dove si trova?– Presso un mio correligionario.– Al sicuro?– Lo spero.– Allora non inquietatevi; la rivedrete.– E questa folla furibonda?– Si calmerà.– Ci brucerà vivi, signore.– Lo credete? Io invece no.– Su chi sperate?– Sulle guardie <strong>del</strong> governatore. Eh! Non si lascianoassassinare impunemente due europei.– Si, voi verrete forse salvati, ma non io... Io sono un ebreoed il governatore non esiterà ad abbandonarmi alla folla.– Udiamo un po': siete suddito marocchino?– Sono di Tangeri.– Vi conoscono le autorità di Tafilelt?– No, signore.– Allora noi affermeremo che siete sotto la protezione <strong>del</strong>laFrancia o <strong>del</strong>l'Italia e vedremo se oseranno toccarvi... Ah!16


Ricominciamo? Rocco, bisogna tentare qualche cosa. Sembrache il governatore dorma o che abbia preso un colpo di solenegli orecchi che lo ha fatto diventare sordo. Non si vede agiungere nemmeno uno dei suoi cavalieri. Faccia pure i suoicomodi; noi intanto non risparmieremo i suoi sudditi.– Signor marchese – disse Rocco. – Vi sono quattro ocinque di quei birbaccioni nascosti dietro il banco. Ci farannouna scarica addosso.– Mi pare che la pentola <strong>del</strong> caffè sia piena. Perché nonoffriamo a quei messeri un buon sorso di moka?– Una fontana, signor marchese.– Li peleremo vivi.– Peggio per loro.Mentre il marchese e l'ebreo si ritiravano dietro la pareteper non ricevere una scarica a bruciapelo, il sardo si munì d'unostraccio, levò dal fornello l'enorme pentola che conteneva per lomeno dieci litri di moka più o meno autentico e salì la scalettache metteva sul terrazzo. Si tenne curvo fino al parapetto pernon farsi fucilare dai moschetti che brillavano fra la follatumultuante, poi alzò bruscamente la pentola e la rovesciò,gridando:– Guardatevi le teste! Brucia!Urla terribili, strazianti, s'alzarono dinanzi alla porta.Cinque o sei uomini si scagliarono come pazzi attraverso lapiazza, comprimendosi le teste coi bornus e coi caic, ululandocome belve feroci.– Che innaffiata! – esclamò il gigante. – Doveva essere <strong>del</strong>moka di prima qualità.Venti o trenta colpi di fucile partirono fra la folla. Il sardoperò, che stava attento alle mosse degli assediami, aveva avuto iltempo di abbassarsi, sicché le palle non avevano ottenuto altrosuccesso che quello di scrostare la cima <strong>del</strong> parapetto.17


– Anche se non hanno polvere inglese, non tirano micamale – brontolò il sardo. – È meglio scendere e riempire lapentola. In questo paese sono molto amanti <strong>del</strong> caffè, anche se ètroppo bollente.Il colosso scese la scala a precipizio, mentre una secondagrandine di palle cadeva sibilando sulla terrazza.– Pare che ora l'abbiano più con te che con questo signore –disse il marchese. – Mio caro Rocco, bada alla tua pelle.– Sono male armati, marchese – rispose il sardo. – Hannocerti moschettoni, che fanno più fracasso che danno. E qui,come la va?– Sono fuggiti.– Sfido io! Dopo quel caffè!– Nondimeno mi pare che altri tornino alla carica – dissel'ebreo.– E noi saremo pronti a riceverli, signor...– Ben Nartico – rispose l'ebreo.– Si direbbe dal nome che siete mezzo arabo e mezzospagnolo.– Può essere, signor...– Marchese di Sartena.– Un côrso, forse? – chiese l'ebreo.– Sì, signor Nartico. Un isolano al pari <strong>del</strong> mio fe<strong>del</strong>eRocco il quale invece è sardo.– E che cosa siete venuti a fare qui, ai confini <strong>del</strong> deserto,se è lecito chiedervelo.– A più tardi... vi sono dei marocchini che non amano lenostre spiegazioni... Là... Li vedete?... Per Bacco!... Giungono apasso di lupo. Alto là!... Ci siamo noi!Due colpi di rivoltella accompagnano quelle parole, seguìtidai due colpi di pistola <strong>del</strong>l'ebreo.– Tira bene l'israelita – mormorò Rocco, vedendo uno degli18


assalitori girare su se stesso e piombare a terra. – Non credevoche fosse così lesto di mano.A quei due colpi di rivoltella e di pistola rispose però unnutrito fuoco di fucileria che fece balzare indietro i tre assediati.I marocchini hanno cominciata la battaglia sul serio. Le pallefischiano attraverso la porta schiacciandosi contro le pareti estaccando larghi pezzi di calce e si cacciano, con sordo rumore,nel pancone di legno crepandolo. Si avanzano a masse compatte,incoraggiandosi con urla feroci, risoluti questa volta adopprimere i tre kafir che osano sfidare una intera popolazione.– Signor di Sartena, – disse l'ebreo – sta per suonare lanostra ultima ora.– Ho ancora tre palle – rispose freddamente il gentiluomo.– Ed io ho le mie cariche intatte – aggiunse Rocco.– La vita di otto uomini.– E le mie braccia, non le contate marchese? Valgonoqualche cosa.– Così sono sedici.– Ma ve ne sono almeno mille sulla piazza – disse l'ebreo.– Avete un pugnale.– E me ne servirò, signore, non dubitate.– Abbiamo già un bel numero e... Toh! Cos'è questofracasso? Si direbbe che la cavalleria carica sulla piazza.Fra le urla <strong>del</strong>la folla si udivano distintamente dei nitriti dicavallo, un fragor di zampe ferrate che percuotevano le pietre egrida di:– Balak!... Balak!... (Largo!... Largo!...)– Pare che ci giungano dei soccorsi – disse Rocco, il qualeguardava sopra l'angareb. – Vedo la folla che si precipita adestra ed a manca e scorgo dei cavalieri.– Che quel brav'uomo di governatore si sia finalmentedeciso a non lasciarci scannare? – disse il marchese. – Giunge19


un po' in ritardo, però ancora a tempo per salvare la pelle nostrae anche quella dei suoi amministrati. M'immagino la scena checi farà.– Con una buona borsa d'oro si calmerà subito, signore –disse Ben Nartico. – Se mi permettete gliela offrirò a vostronome.– Un favore che non rifiuterò, perché in questo momentonon ho più un luigi in tasca. Più tardi vi rimborseremo.– Oh! Signor marchese! – esclamò Ben Nartico. – Tocca ame a pagare e vi sarò per sempre riconoscente.– Ecco un ebreo che è un po' diverso dagli altri – mormoròRocco. – Deve essere un buon ragazzo.Intanto i cavalieri, dopo d'aver respinta brutalmente la follaadoperando le aste <strong>del</strong>le lance, si erano fermati di fronte al caffè.Erano una trentina, tutti di alta statura e neri come carboni,giacché le migliori truppe vengono reclutate fra i negri<strong>del</strong>l'interno, importati prima come schiavi, uomini coraggiosi efidati che non esitano a dare addosso ai mori, agli arabi ed agliebrei che formano la maggioranza <strong>del</strong>la popolazionemarocchina. Indossavano tutti degli ampi caffettani, azzurri, orossi, cappe bianche e fez a punta ed avevano le gambe nude ed ipiedi chiusi in babbucce di cuoio giallo, armate di speroni a duepunte di ferro, molto lunghe. Montavano cavalli piccoli, cogliocchi ardenti, la fronte un po' schiacciata, la testa bellissima edil ventre stretto, animali impareggiabili che corrono come ilvento, che resistono alle fatiche e alla sete e che volteggiano conuna rapidità ed agilità veramente straordinarie, quantunqueportino una sella altissima e assai pesante. Precedeva ildrappello un uomo d'aspetto maestoso, dalla tinta molto brunaed una barba imponente, con un turbante bianco, cappa azzurraricamata in oro, calzoncini rossi, stivali di cuoio giallo ed uncaic bellissimo, di stoffa trasparente.20


– Il governatore! – esclamò il marchese, il quale avevasubito riconosciuto quel superbo cavaliere. – Ben gentile,l'amico!...– O troppo pauroso? – disse Rocco con voce dal tonoironico. – Scommetterei che ha creduto di vedere le corazzatefrancesi ed italiane navigare sulle sabbie <strong>del</strong> deserto.– Per venire a bombardare la sua città – aggiunse ilmarchese. – Ma avremo burrasca. Rocco, sgombra la porta.Il colosso in tre colpi abbatté la barricata. In quel momentoil governatore era giunto dinanzi alla porta.Vedendo uscire il marchese colla rivoltella ancora in mano,corrugò la fronte e fece indietreggiare vivamente il suo cavallo.– Non temete, Eccellenza – disse il côrso, ridendo. – Nonvoglio già attentare ai vostri giorni.– Quali imprudenze avete commesso per scatenare controdi voi tutta la popolazione? Voi avete dimenticato di essere unostraniero e anche un cristiano – disse il governatore, con accentosevero.– Datene la colpa ai vostri amministrati, Eccellenza –rispose il marchese, fingendosi in collera. – Come? Non si puòpasseggiare per le vie di Tafilelt forse? In Francia ed in Italiaquesta libertà non è negata a nessuno straniero, sia pure ancheun marocchino.– Voi avete ucciso dei sudditi <strong>del</strong> Sultano.– Dovevo lasciar uccidere i miei servi?...– Mi hanno detto che non si trattava d'uno dei vostri servibensì d'un immondo ebreo.– Quello che voi chiamate, con poco rispetto, un immondoebreo era un mio servo, Eccellenza.– Voi avevate un israelita ai vostri servigi? – chiese ilgovernatore stupito. – Perché non me lo avete detto? L'avreifatto rispettare, non amando il Sultano avere fastidi colle21


potenze europee.– Credevo che non fosse necessario dirvelo.– Così vi siete messo in certi impicci che possono avereconseguenze incalcolabili. I miei concittadini sono furibondi ereclamano giustizia. Volete un consiglio? Consegnate a lorol'ebreo e lasciate che lo appicchino.– Io non ho l'abitudine di lasciar trucidare i miei servisenza difenderli e mi vedrei costretto ad impegnare la lottacontro i vostri concittadini.– Uno contro mille!... Vi ucciderebbero subito.– E la Francia più tardi vendicherebbe la mia morte comel'Italia vendicherebbe quella <strong>del</strong> mio compagno.Udendo quelle parole la fronte <strong>del</strong> governatore si eraoscurata.– Ah, no! – disse. – Non voglio complicazioni diplomaticheche potrebbero condurre ad una guerra disastrosa per noi. Senon volete consegnare l'ebreo, almeno affrettate la vostrapartenza da qui; io certamente non posso rispondere sempre<strong>del</strong>la vostra vita.– Fatemi preparare la carovana ed io me ne vado.– Badate, il gran deserto è pericoloso e qualcuno potrebbeseguirvi.– Mi difenderò.– Venite con me, per ora. Questa sera partirete.– Volete condurmi al vostro palazzo?– È l'unico luogo ove potrete essere al sicuro. Mettetevi inmezzo alla mia scorta assieme ai vostri compagni.– Come arrestati?...– Lasciate che dia alla folla questa piccola soddisfazione.Avrete tutto da guadagnare.– Sia pure – disse il marchese. – Rocco, Nartico, andiamo enon lasciate le armi. Non c'è da fidarsi.22


– E mia sorella? – gli chiese l'israelita.– Ah!... Diamine!... Mi dimenticavo che voi avete unasorella. Bah!... Troveremo un mezzo per farla avvertire che voisiete salvo. Per ora accontentatevi di essere ancora vivo.23


IL GOVERNATORE DI TAFILELTMentre il governatore parlava al marchese, la folla si eranuovamente radunata sulla piazza, eccitata dagli allucinati iquali invocavano sui kafir tutte le maledizioni di Allah e diMaometto. Tutte le razze e tutte le sette <strong>del</strong> Marocco vi eranorappresentate. Si vedevano mori in abito di gala, con enormiturbanti di mussole variopinte, con caffettani bianchi, rossi,azzurri o rigati, o con caic di lana candidissima, adorni difiocchi, oppure di seta a righe trasparenti. Vi erano arabi, i qualiformano la seconda classe, rappresentando i primi l'aristocrazia,con bornus di tela e cappucci di lana, armati di lunghi fuciliancora a miccia e col calcio intarsiato in argento e madreperla:abitanti <strong>del</strong> deserto magri come aringhe, tutti nervi, colla pellebruna incartapecorita ed indossanti ampi mantelli d'un candoremolto dubbio; poi negri <strong>del</strong>l'interno, alti e muscolosi, colla pellefuliginosa, i capelli crespi ed i grandi occhi che sembravano diporcellana. Poi incantatori, santoni, dervisci, mendicanti,negrieri, beduini, tutti più o meno armati e tutti pronti amassacrare i kafir che avevano avuto l'audacia d'interrompere lacerimonia religiosa e di far perdere, o almeno ritardare aifanatici, la scalata al meraviglioso paradiso <strong>del</strong> Profeta. Ma erasoprattutto col disgraziato ebreo che se la prendevano, causaprincipale di tutto quel pandemonio. Se si fosse lasciatoscannare, tutto sarebbe stato finito ed i santoni avrebbero potutocontinuare indisturbati la loro corsa e sfracellarsi nei fossati<strong>del</strong>le vecchie mura. In quanto ai morti, bah! Non se neoccupavano. La vita d'un uomo in Africa vale tanto poco! Forsel'unico rincrescimento che sentivano era quello di averli veduti24


ammazzare da degli infe<strong>del</strong>i. Vedendo apparire gli assediati, unurlo immenso rimbombò fra la folla.– Giustizia!... Giustizia!... Uccideteli!... Vogliamo le loroteste!...Il governatore fece passare dinanzi venti cavaliericomandando a loro di mettere le lance in resta e di prepararsi acaricare. Vedendo i cavalli avanzarsi al piccolo trotto, in grupposerrato, la folla si divise precipitosamente per lasciare a loro ilposto.– Signore – disse il governatore, volgendosi verso ilmarchese che gli camminava a fianco con passo rapido. – Viprego di non commettere imprudenze, se volete salvare la vita.– Non temete; rimarremo tranquilli – rispose il signor diSartena. – Anzi vi do il permesso di far gridare che allo spuntare<strong>del</strong> sole le nostre teste si vedranno appese agli uncini <strong>del</strong>bastione dei ribelli. Sarà una brutta <strong>del</strong>usione per quei messeri,nondimeno per ora si accontenteranno <strong>del</strong>la promessa ebenediranno la giustizia dei rappresentanti <strong>del</strong>l'imperatore ecapo dei credenti.– Ah! Signor marchese – disse Rocco, trattenendo a stentouno scoppio di risa, mentre il governatore faceva invece unabrutta smorfia. – Non promettete tanto.– Eh!... Domani saremo nel deserto e nessuno più ciprenderà.Le urla e le minacce <strong>del</strong>la folla erano diventate così acute,da non poter più intendersi. Mori, arabi e negri agitavanofuriosamente gli yatagan e le scimitarre e puntavano i fucili, maquando i cavalieri <strong>del</strong> governatore abbassavano le lance, tutti siaffrettavano a dare indietro e lasciare il passo libero. Nonignoravano che il rappresentante <strong>del</strong>l'imperatore non era uomoda lasciarsi sopraffare, né intimidire e che le loro teste correvanoil pericolo di trovarsi l'indomani appese ai ganci dei bastioni.25


Nel Marocco la giustizia è pronta e si fa presto a perdere latesta, soprattutto quando si ribellano alle autorità governative.I cavalieri, minacciando ad ogni istante di caricare,attraversarono la piazza, respingendo brutalmente la follaurlante, ma impotente, e raggiunsero ben presto una vastaspianata, sulla quale si alzava un superbo caseggiato cinto dagiardini, con terrazzi, con gallerie e con porticati di marmobianco. Attraversato un ponte levatoio, entrarono in un ampiocortile di forma quadrata, circondato da un porticato sostenutoda colonnine di marmo scannellate, con arcate a sesto acuto,graziosamente dentellate ed il pavimento in mosaico.Una vasca, con in mezzo una specie di <strong>del</strong>fino che lanciavain alto un grosso getto d'acqua, manteneva una <strong>del</strong>iziosafrescura, mentre all'intorno si vedevano degli splendidi tappetidi Rabat, dai mille colori. Il marchese s'avvicinò al governatoreil quale era sceso da cavallo e gli fece scivolare in mano unaborsa ben gonfia che gli aveva data l'ebreo.– La dividerete fra i vostri soldati, eccellenza – disse.– Non dubitate – rispose il marocchino, nascondendolaprima che i cavalieri avessero potuto vederla.– E grazie <strong>del</strong> vostro intervento, eccellenza.– Ho fatto nient'altro che il mio dovere, quantunque lavostra condotta possa crearmi dei seri imbarazzi. Il popoloreclama giustizia ed in un modo o nell'altro bisognerà che iogliela accordi.– E come? – chiese il marchese, corrugando la fronte.– Domani farò appendere tre teste ai ganci <strong>del</strong>la portad'oriente.– Le nostre? Ah!...– Oh! No, signore – rispose il governatore. – Ho dei ribelliche devono venire decapitati. Ne sceglierò tre e li consegnerò alcarnefice.26


– Noi siamo bianchi, eccellenza.– Tingeremo quelle teste.– Che uomo ammirabile! – esclamò Rocco che avevaassistito al dialogo. – Farà carriera... Nel Marocco!...Il governatore, consegnato il suo cavallo ad un servo,condusse il marchese ed i suoi compagni in una vasta sala, nonsenza aver prima lanciato uno sguardo di ripugnanza versol'ebreo. Quell'uomo gli pareva di troppo nel suo palazzo e avevapaura che contaminasse, colla sua presenza, la dimora deigovernatori di Tafilelt. Come tutte le stanze dei ricchimarocchini e dei mori, aveva il pavimento di mosaico copertoda splendidi tappeti, molti specchi, molti vasi di fiori, divani diseta lungo le pareti e dei tavolini ingombri di can<strong>del</strong>abrid'argento o di rame dorato con can<strong>del</strong>e rosse, gialle e verdi.In un angolo, su un profumiere artisticamente cesellato,bruciava <strong>del</strong>la polvere d'aloè la quale spandeva all'intorno un<strong>del</strong>izioso odore. Il governatore fece servire, senza peròassaggiare non essendo ancora cessato il digiuno, <strong>del</strong>le bibite,dei gelati e <strong>del</strong> madjum, pasta dolcissima, molle, di colorvioletto, composta di burro, miele, droghe e di fogliette di kifeche presa in piccole dosi produce una gaia ebbrezza mentrefacendone invece abuso istupidisce e fa molto male.– Voi rimarrete qui fino al momento in cui la vostracarovana sarà pronta – disse al marchese. – Ho già dato ordinedi procurarvi uomini e cammelli.– Non lesinate, eccellenza. Voglio animali robusti e uominifidati.– Quanti ve ne sono necessari?– Una mezza dozzina e due cavalli.– Vi basteranno due uomini?– Sì, purché siano solidi.– Non dubitate; voi sarete pienamente soddisfatto. Anzi27


aggiungerò alla vostra carovana un uomo che vi sarà molto utilee che vi proteggerà contro le tribù <strong>del</strong> deserto più efficacemente<strong>del</strong>le vostre armi.– Chi è quell'uomo?– Un moro che ha la benedizione <strong>del</strong> sangue sulle mani.– Non vi comprendo, eccellenza – disse il marchese,guardandolo con stupore.– Chi la possiede può guarire qualunque malattia e nessunooserebbe toccare un uomo che ha un tale dono.– Accordatogli da chi?...– Da Allah.– Ah!... Ho capito – disse il marchese, trattenendo a stentouno scoppio di risa.– Ed io niente affatto – mormorò Rocco.Il governatore si alzò, dicendo:– Vi farò servire la cena qui o nel cortile e se desiderateriposarvi fino all'ora <strong>del</strong>la partenza, i miei divani sono a vostradisposizione.– Grazie eccellenza – rispose il marchese,accompagnandolo fino alla porta.Poi volgendosi verso Rocco, chiese:– Sono tutti pronti i nostri bagagli?– Sì, signor marchese. Basta caricarli.– Signore – disse in quel momento l'ebreo. – Dove virecate?– Nel deserto; volete accompagnarci?... L'aria di Tafileltpuò diventare pericolosa per voi.– Ho preparato anch'io una piccola carovana per andare neldeserto.– Voi!... Che affare avete fra le sabbie ardenti?– Devo andare a Tombuctu.– Oh!... Voi dunque ignorate che quella città è interdetta28


tanto agli europei quanto agli ebrei?– Lo so signore, ma io devo recarmi nella Regina <strong>del</strong>leSabbie.– Quale motivo vi spinge?– Ve lo dirò più tardi, signore. Non sarebbe prudentefarvelo conoscere qui, dove vi possono essere degli orecchi cheascoltano. Quando saremo al duar <strong>del</strong> mio amico Hassan, nonavremo più da temere che altri odano le nostre confidenze.– Chi è questo Hassan?– Un mio correligionario che ha le sue tende ai confini <strong>del</strong>deserto.– Lontano da qui?– Sole dieci ore di marcia.– Avete percorso altre volte il Sahara?– Sì, signor marchese.– Voi allora potete essermi assai utile – disse il signor diSartena.– Farò il possibile per ricompensarvi d'avermi salvato lavita.– Una cosa semplicissima, come avete veduto e chedovreste dimenticare.– No, signor marchese.Il côrso stette un momento silenzioso, guardando l'ebreo.Pareva che volesse fargli qualche confidenza che gli bruciava lelabbra, poi scrollando le spalle, disse:– A più tardi.– Che cosa? – chiese Ben Nartico.– Non parliamo qui; mi avete insegnato a essere prudente.Toh!... Ecco la cena che si avanza. Viene in buon punto, è veroRocco?– Lo credo – rispose il sardo. – Quei colpi di fucile e quelleurla indiavolate mi hanno messo indosso una fame da lupo.29


Quattro negri, sfarzosamente vestiti, con giacche adarabeschi d'argento e calzoni rossi di seta ed oro, erano entratinella sala portando una tavola riccamente imbandita. Le posateed i tondi erano d'argento ed i bicchieri di cristallo roseo,montati pure in argento.– Il governatore fa gli onori di casa come un principe –disse il marchese messo di buon umore dai profumi chesfuggivano da grosse terrine di porcellana.– Ce la farà pagare cara di certo, aumentando le spese perla carovana, tuttavia non dobbiamo lamentarcene.I cuochi di Sua Eccellenza dovevano aver compiuti dei veriprodigi quel giorno che era l'ultimo <strong>del</strong>la quaresimamussulmana. Ed infatti la cena era, se non luculliana, certoabbondantissima per una mensa marocchina. Il kuskussù che è ilpiatto nazionale, intruglio di fave, di sughi, di carne triturata, dicipolle, di zucchetti, di pimento e di zucchero mandava profumiche facevano arricciare il naso al bravo Rocco, molto diffidenteverso la cucina africana. Vi erano poi enormi pezzi di montonecucinati in varie maniere, polli, pesci, salse untuose e profumate,che bruciavano la lingua, pallottole di farina cucinate al forno,pasticci di datteri, dolci, gelati e frutta secca <strong>del</strong>le oasi <strong>del</strong>deserto. Mancava il vino, essendo questa bevanda proibita daMaometto, ma abbondavano gli sciroppi di ribes e d'arancio.Non valevano certo una bottiglia di vecchio Bordeaux od una diquel buon Campidano che tanto piaceva a Rocco, tuttaviadovettero accontentarsi. Il marchese ed i suoi compagni avevanoappena terminato di cenare e stavano accendendo le pipe recateda un servo, quando furono avvertiti che la carovana era stataformata e che li attendeva ad un chilometro dalla città, pressouna moschea in rovina.– Si direbbe che il governatore ha molta fretta di mandarcinel deserto – disse il marchese. – Che abbia paura <strong>del</strong> suo30


popolo?– Non si sentirà sicuro di proteggerci – disse Ben Nartico.– E per non aver fastidi ci manda a farci impiccare daiTuareg. Dobbiamo essergli egualmente riconoscenti, perchésenza la battaglia di quest'oggi mi avrebbe trattenuto quiparecchie settimane per pelarmi per bene. Signor Nartico, dovetroveremo vostra sorella?– Ho incaricato un servo <strong>del</strong> governatore di scortarla fino alduar <strong>del</strong> mio amico. A quest'ora deve essere già fuori da Tafilelt.– Vedo che non avete perduto il vostro tempo.– E nemmeno io il mio, signor marchese – disse Rocco. –Io ho mandato a prendere i nostri bagagli e devono essere giàstati caricati sui cammelli.– Allora non ci rimane che di partire.Nel cortile li attendevano dodici cavalieri per scortarli finofuori dai bastioni, onde la popolazione non giuocasse loroqualche pessimo tiro. Il governatore aveva lasciato il suoappartamento per salutare il marchese.– Vi auguro buon viaggio, signore – gli disse. – Spero cheinformerete il console francese di Tangeri <strong>del</strong>l'accoglienza cheavete avuto da me.– Non dubitatene, eccellenza – rispose il côrso. – Prima dientrare nel deserto manderò un corriere alla costa e dei regaliper voi, che tengo nelle mie casse.– S'incaricherà la scorta di portarmeli – s'affrettò a dire ilgovernatore.– Il regalo sarà più sicuro – borbottò Rocco. – Avidi,cru<strong>del</strong>i e fanatici: ecco i marocchini.Salirono sui cavalli che il governatore aveva messi a lorodisposizione e lasciarono il palazzo preceduti dalla scorta, laquale aveva messe le lance in resta, pronta a caricare, dubitandoche i parenti <strong>del</strong> santone ucciso e quelli degli altri avessero31


inunciato alle loro vendette. Il governatore fortunatamenteaveva scelto un buon momento per sbarazzarsi dei suoipericolosi ospiti. Il cannone aveva annunciato un quarto d'oraprima la fine <strong>del</strong> digiuno e tutta la popolazione <strong>del</strong>la cittàdoveva trovarsi dinanzi alle tavole copiosamente imbandite perfesteggiare degnamente la chiusa <strong>del</strong> Ramadan.– Non si vedono che dei cani affamati – disse Rocco, ilquale aveva impugnata la rivoltella. – Che abbiano avuto ciecafiducia nelle promesse <strong>del</strong> governatore?– Hum! Ne dubito – rispose il marchese.– Ed anch'io, signore – disse l'ebreo.– Si persuaderanno quando vedranno le nostre teste appeseai ganci <strong>del</strong>la porta d'oriente – disse Rocco, ridendo. – Unamagnifica trovata che non poteva nascere che nel cervello d'unmarocchino.– Forse, perché gli avvoltoi s'affretteranno a renderleirriconoscibili – rispose il marchese. – Quando la popolazione sirecherà alla porta, non troverà che tre teschi.– Compiango quei poveri diavoli destinati a prendere ilnostro posto.– Un po' prima od un po' dopo, erano già ormai destinati adandarsene all'altro mondo. Anzi ci guadagneranno qualche cosa.– E perché, signor marchese?– Perché quei bravi marocchini hanno sovente l'abitudinedi sottoporre i condannati a <strong>del</strong>le torture spaventevoli, è verosignor Nartico?– Sì, signor marchese, <strong>del</strong>le torture atroci. Si cuciscono vivientro un toro sventrato lasciandoli putrefarsi a poco a pocoassieme alla carne <strong>del</strong>l'animale, oppure li gettano nella calce adabbruciarsi lentamente.– Canaglie! – esclamò Rocco. – Non potevano inventare dipeggio.32


Mentre attraversavano le vie, in tutti i cortili interni <strong>del</strong>lecase si udivano grida, risate, canti e suoni e sulle terrazzebrillavano migliaia di lumicini variopinti.Anche udendo il galoppo <strong>del</strong>la scorta, nessuno comparivané alle strette finestre, né ai parapetti, né sulle logge, né alleporte. Tutti erano occupati a divertirsi ed a rimpinzarsi di cibi èdi bevande essendo la fine <strong>del</strong> Ramadan come da noi la Pasqua,giorno destinato a passarsi in famiglia dinanzi ad una buonatavola. In meno di venti minuti la scorta giunse alle mura <strong>del</strong>lacittà, vecchi bastioni merlati, mezzi in rovina e, dopo aver datoalle sentinelle la parola d'ordine, uscì nella campagna. La lunaera appena sorta e splendeva in un cielo purissimo, d'unatrasparenza ammirabile, illuminando l'immensa pianura comefosse giorno. La campagna era pure deserta, non vedendosialcun cavaliere, né pedone in luogo alcuno. Non era però ancorail deserto, perché qua e là si vedevano <strong>del</strong>inearsi graziosamentedei gruppi di aloè dalle foglie rigide; dei cespi di fichi d'India didimensioni gigantesche, <strong>del</strong>le acacie e <strong>del</strong>le palme collebellissime foglie disposte a ventaglio. Anche qualche gruppo ditende, duar, si vedeva nelle bassure e per l'aria tranquilla sispandevano i dolcissimi suoni <strong>del</strong>la tiorba ed il monotono rulliodi qualche tamburello. Anche gli arabi <strong>del</strong> deserto festeggiavanola fine <strong>del</strong> Ramadan. La scorta galoppava da una mezz'ora,attraversando terreni sterili, quasi sabbiosi, interrotti solo diquando in quando da tratti erbosi, quando il capo si volse versoil marchese e indicandogli una piccola moschea, il cui esileminareto spiccava nettamente e candidamente sul cielotrasparente, gli disse:– Signore, la tua carovana è là!– Benissimo – disse il marchese, respirando. – Orapossiamo dire di essere al sicuro.Poi curvandosi verso Rocco:33


– Se il colonnello è nel deserto e ancora vivo, noi loritroveremo, è vero, mio bravo amico?– Sì marchese.– Di quale colonnello parlate, signor di Sartena? – chiesel'ebreo, a cui non erano sfuggite quelle parole.– Del colonnello Flatters – rispose il marchese con un filodi voce. – Noi andiamo a cercarlo.Poi senza attendere risposta spronò vivamente il cavallo,galoppando verso la moschea.34


LA CAROVANAIl marchese Gustavo di Sartena, come la maggior parte deicôrsi, era nato per la vita avventurosa. Di temperamentoirrequieto, di natura ardente, si era accorto presto che la suaisola era troppo piccola per lui e che il mondo era invece vasto eche poteva offrirgli maggiori distrazioni. Robusto, coraggioso,anzi temerario e per di più ricco, si era slanciato giovanissimoancora attraverso l'orbe terraqueo, divorato da un insaziabiledesiderio di avventure più o meno pericolose. A quindici anniaveva già attraversato due volte l'Oceano Atlantico credendo ditrovare ancora gli eroi di Cooper e di Aymard; a diciotto avevagià visitata anche l'India e la Cina, a ventiquattro era tenentedegli spahis e combatteva ai confini <strong>del</strong>l'Algeria contro le tribùdei Cabili. Stava già per dare le sue dimissioni ed andarsene inAustralia in cerca di nuove avventure, non bastandogli piùnemmeno l'Algeria, quando un avvenimento inaspettato gliaveva fatto cambiare pensiero.Una notizia che aveva profondamente commosso il mondoscientifico e soprattutto l'esercito francese, era scoppiata comeun colpo di fulmine. La spedizione <strong>del</strong> colonnello Flatters,organizzata nel 1881 allo scopo di fare gli studi preliminari <strong>del</strong>lagrande ferrovia Transahariana, era stata assalita e distrutta daipredoni <strong>del</strong> deserto. Il colonnello, il capitano Masson,gl'ingegneri, le guide, la scorta, traditi da soldati algerini, eranostati parte imprigionati e parte massacrati dai terribili Tuareg. Leprime notizie erano state recate da alcuni algerini <strong>del</strong>la scorta,raccolti morenti di fame e di sete al confine <strong>del</strong> deserto, doveerano caduti dopo una marcia terribile durata parecchie35


settimane e coi predoni alle calcagna. Dapprima si era credutoche il colonnello fosse caduto nella lotta, ma poi <strong>del</strong>le voci,dapprima vaghe, poi più insistenti, si erano sparse pel deserto ecioè che invece fosse stato risparmiato e condotto dai Tuaregsverso Tombuctu, la Regina <strong>del</strong>le Sabbie. Cosa c'era di vero inquelle voci? Nessuno poteva saperlo. Il dubbio però che ildisgraziato colonnello potesse essere stato risparmiato, avevafatto palpitare molti cuori di speranza, e non ultimo quello <strong>del</strong>marchese di Sartena. Si offriva una bella occasione per andarenel Sahara e spingersi verso l'inaccessibile Regina <strong>del</strong>le Sabbie echiarire la sorte <strong>del</strong> capo <strong>del</strong>la spedizione. Perché non afferrarla?C'era <strong>del</strong>la gloria da guadagnare, ed anche c'erano deipericoli e <strong>del</strong>le emozioni da sfidare. Il deserto, dalla parte<strong>del</strong>l'Algeria, era chiuso agli europei, perché i Tuareg vegliavano,pronti a massacrare la prima carovana di soccorso che avesseosato inoltrarsi nelle sabbie ardenti <strong>del</strong> Sahara, ma era apertaquella <strong>del</strong> Marocco.Il marchese di Sartena aveva quindi preso subito il suopartito.– Andiamo a cercare il colonnello e se è ancora vivo,liberiamolo – si era detto.E senz'altro si era messo all'opera. Dopo d'aver ottenuto dalcolonnello <strong>del</strong> suo reggimento un congedo straordinario diquindici mesi e dal governatore d'Algeri raccomandazioni per leautorità marocchine, si era messo in viaggio. Conoscendo però afondo arabi e mori, tutti accaniti avversari <strong>del</strong> cristiano, si eraben guardato dal far sospettare il vero scopo <strong>del</strong>la suaspedizione, anche per non sollevare obbiezioni da parte deimarocchini tutti più o meno amici dei Tuareg. Il suo viaggiodoveva apparire come una semplice esplorazione nelle oasi <strong>del</strong>gran deserto e nulla di più. Un bel giorno era quindi sbarcato aTangeri, accompagnato solamente da Rocco, il fe<strong>del</strong>e servo che36


considerava come un amico, e che lo aveva seguìto attraversogli oceani ed i continenti, aveva chiesto l'appoggio<strong>del</strong>l'ambasciatore francese e senz'altro era partito per Tafilelt, lacittà più meridionale <strong>del</strong>l'impero.Mercé le sue lettere di raccomandazione, il governatorenon aveva indugiato a riceverlo promettendogli appoggi e aiutiper la formazione <strong>del</strong>la carovana, certo però di fare un buonnegozio e d'ingrossare la sua borsa.Il resto è noto.***La carovana, organizzata dal governatore di Tafilelt, sicomponeva di sette cammelli, sette navi <strong>del</strong> deserto, di duecavalli, d'un asino e di tre uomini.Uno, quello che aveva la benedizione <strong>del</strong> sangue sullemani, era un moro di statura superiore alla media, dalla pellemolto bruna, gli occhi nerissimi, lampeggianti; gli altri dueerano beduini <strong>del</strong> deserto, piccoli, magri, assai più bruni <strong>del</strong>moro, persone d'una fe<strong>del</strong>tà molto dubbia, perché non si fannoscrupolo veruno ad assassinare un uomo che abbia anche divisocon loro il pane ed il sale <strong>del</strong>l'ospitalità, ma che pure nel desertosono ben più preziosi di tutti i marocchini, gli algerini ed itripolitani <strong>del</strong>la costa settentrionale <strong>del</strong>l'Africa. Il moro cheaveva la benedizione <strong>del</strong> sangue sulle mani, dopo d'averscambiato alcune parole col capo <strong>del</strong>la scorta, si avvicinò almarchese, dicendogli:– Salam alikum (La pace sia con te). Io sono El-Haggar.– L'uomo che il governatore ha incaricato diaccompagnarmi, è vero?– Sì.– Conosci il deserto?37


– L'ho attraversato più di dieci volte.– Se tu mi sarai fe<strong>del</strong>e io saprò ricompensartigenerosamente; se tu cercherai di tradirmi, non ti risparmierò.– La mia testa risponderà <strong>del</strong>la mia fe<strong>del</strong>tà, signore. L'hogiurato sul Corano dinanzi al governatore.– Conosci i tuoi compagni?– Hanno viaggiato parecchie volte con me e non ho avutomai a dolermi di loro.– Sicché saranno <strong>del</strong> pari fe<strong>del</strong>i.– Sono beduini, signore – rispose il moro.– Vuoi dire che non devo avere soverchia fiducia in loro?L'uomo che aveva la benedizione <strong>del</strong> sangue non rispose.– Li sorveglieremo – disse Ben Nartico, che aveva assistitoal colloquio.– I miei bagagli sono stati caricati tutti? – chiese ilmarchese.– Un ufficiale <strong>del</strong> governatore ha sorvegliato la consegna.– Non ne manca alcuno, marchese – disse Rocco il qualeaveva fatto una rapida ispezione.– Congediamo la scorta.Fece aprire una cassa, levò un grosso astuccio di pelle eduna grossa borsa che mandava tintinnìi metallici e consegnòl'uno e l'altra al capo <strong>del</strong>la scorta, dicendogli:– L'astuccio pel governatore e la borsa per pagare le spese<strong>del</strong>la carovana. Contiene più <strong>del</strong>la somma fissata.Mentre la scorta s'allontanava a galoppo sfrenato, ilmarchese si volse verso l'ebreo, dicendogli:– Andiamo al duar <strong>del</strong> vostro amico. Vostra sorella sarà giàarrivata.– Andiamo, signore; ci riposeremo là prima d'inoltrarci neldeserto e forse avremo qualche buona notizia per voi. Hassantraffica cogli uomini <strong>del</strong> deserto e può sapere molte cose che voi38


ed io ignoriamo.I due beduini con un grido gutturale fecero alzare icammelli e la carovana si mise lentamente in marcia attraversola silenziosa campagna, dirigendosi verso le sconfinate pianure<strong>del</strong> sud. Gli animali che il governatore aveva acquistati perconto <strong>del</strong> marchese, appartenevano a quella specie conosciutacol nome di djemel ossia a due gobbe, meno intelligenti einfinitamente meno rapidi dei mahari che sono cammelli dacorsa e che hanno una gobba sola, ma più resistenti alle fatiche ealla sete e perciò più apprezzati nel deserto. Sono, checché si siascritto su di loro, di una docilità molto dubbia, e testardiall'eccesso.Quando si sdraiano o sono troppo carichi, né carezze, nélegnate valgono a farli rialzare. Che rendano degli immensiservigi questo non si può negare; è però anche vero che mettonoa dura prova la pazienza dei loro conduttori. Se non sisorvegliano, vanno per loro conto, sbandandosi chi a destra chi asinistra o rimangono indietro, finché si è costretti a legare lacoda <strong>del</strong>l'uno al muso di quello che viene dopo. Se trovano unalbero vi urtano contro le casse per sbarazzarsi <strong>del</strong> carico chetollerano, ma che non accettano di buon grado. Oltre a ciòaggiungete i numerosi insetti che pullulano sul loro pelo e lapuzza nauseante che tramandano quando sudano e converreteche molto si è esagerato su queste navi <strong>del</strong> deserto e anche sullaloro pazienza e sulla loro docilità. Sono invece ammirabili per laloro sobrietà, potendo resistere anche <strong>del</strong>le settimane senza unagoccia d'acqua, malgrado il calore terribile che regna nel Sahara,e ciò mercé un serbatoio diviso in quattordici celle trasversali,che permettono loro di immagazzinare una gran quantità diliquido e anche di conservarlo lungamente.Anche come cibo sono parchissimi. Un po' di datteri, unpugno d'orzo, un po' d'erba amara che le capre sdegnerebbero,39


astano per sostenerli. Anzi un'erba buona e fresca, fa lorosovente male correndo il pericolo di soffocarsi.– Cosa dite di questi animali? – chiese il marcheseall'ebreo.– Che sono stati scelti con cura, Signore – rispose BenNartico. – Il governatore non vi ha ingannato.– E dei miei uomini, cosa ne pensate?– Dei mori si può forse fidarsi. Non hanno il fanatismodegli arabi e sono più leali; in quanto ai due beduini... Hum!...Sarà necessario sorvegliarli. Sono uomini che non si fannoscrupoli di assassinare i cristiani anche sulle soglie <strong>del</strong>la lorotenda, dopo averli, con ipocrita cortesia, serviti loro stessi allamensa. Hanno la ferocia nel sangue. Talvolta mutilano uncadavere per sfogare le loro brame sanguinarie o cavano gliocchi ad un povero fanciullo smarrito, o lo privano <strong>del</strong> naso edegli orecchi gridando: Allah kebir!... 3 Non risparmiano néamici, né benefattori e uccidono sempre per sete di stragi esempre in nome di Dio. Feroci, cattivi, e traditori: ecco i beduini<strong>del</strong> Sahara.– Avete altro da aggiungere? – chiese Rocco.– Mi pare d'aver detto abbastanza per mettervi in guardia.– E anche per preparare le mie mani onde strangolarli almomento opportuno – disse il gigante. – Il governatore nonpoteva trovare persone peggiori.– Eppure sono forse le sole persone che conoscano le vie<strong>del</strong> deserto – disse Ben Nartico.– Abbiamo dei buoni fucili a retrocarica e <strong>del</strong>le rivoltelle –disse il marchese.– Se faranno i cattivi regaleremo loro <strong>del</strong> buon piombo, èvero Rocco?– Oh! Li accopperò a colpi di pugno – rispose il sardo.3 Dio è grande.40


Mentre chiacchieravano, la carovana procedeva lentamenteverso il sud. Malgrado le grida dei due beduini, i pigri animalinon allungavano il passo, anzi cercavano di quando in quandod'arrestarsi, non trovando forse troppo piacevole quella marcianotturna. La campagna si isteriliva sempre più; i gruppi d'aloèdiventavano più rari, i cespi di fichi d'India pure. Tuttavia qua elà si vedeva rizzarsi il fusto slanciato e piumato di qualchepalmizio e qualche acacia e anche estendersi qualche campicellocoltivato a miglio od a orzo, cinto da siepi di canne e d'arbusti.Né capanne, né tende se ne scorgevano. Solamente alcune cube,mostravano le loro pareti candidissime, sormontate da unacupoletta.Sono minuscole cappelle dove si seppelliscono i santi iquali per lo più non sono stati altro che dei pazzi, perché unoche abbia smarrito il senno e commetta <strong>del</strong>le stranezze, pelmarocchino è un essere superiore toccato dalla mano divina!...Cominciava a sorgere l'alba, quando in una bassura circondatada gruppi di palme, apparvero alcune tende di colore oscuro,disposte su due ordini.– Il duar <strong>del</strong> mio amico Hassan – disse Ben Nartico,volgendosi verso il marchese. – Venite, signore, precederemo lacarovana.L'urlo prolungato d'un cane ruppe in quel momento ilprofondo silenzio che regnava nella pianura.– Siamo stati segnalati – disse l'ebreo. – Troveremo Hassanall'entrata <strong>del</strong> duar.Spronarono i cavalli e si spinsero rapidamente innanzi,scendendo dinanzi alla prima tenda. Un vecchio dall'aspettopatriarcale, con una lunga barba bianca, ancora robustomalgrado il gran numero d'anni che doveva pesargli sul dorso, eavvolto in un ampio mantello di tela grossolana, si fece loroincontro, pronunciando il sacramentale:41


– Salam alikum (La pace sia con voi).– Mio vecchio Hassan, – disse Ben Nartico, baciandogli lamano – ti conduco dei miei amici.– Siano i benvenuti nel mio duar – rispose il patriarca. – Lemie tende, i miei negri, i miei cammelli ed i miei montoni sonoa loro disposizione.– E mia sorella? – chiese l'ebreo con ansietà.– È giunta da tre ore e sta riposando nella tenda che le hoassegnata.– Grazie, amico.42


IL MASSACRO DELLA SPEDIZIONE FLATTERSI duar marocchini e algerini si incontrano per lo più aiconfini <strong>del</strong> deserto e sono formati esclusivamente da tendegrossolane di fibre di palme nane tessute assieme a pelo di caprae di cammello, e sostenute da pali e da corde. Sono lunghe otto eanche dieci metri, e alte non più di due e divise internamente dapareti di giunchi o di canne, avendo le donne un posto riservato.Il loro mobilio è d'una semplicità sconosciuta a noi. Qualchecassone, due pietre per stritolare l'orzo od il miglio, qualchetappeto e dei vasi di terra cotta. Il fornello si trova all'aperto pernon affumicare le tende. Attorno ai duar si trova quasi semprequalche orticello tenuto con cura e che viene innaffiato conmolte fatiche, non essendovi quasi mai abbondanza d'acqua inquei terreni semiaridi. Gli abitanti <strong>del</strong> duar sono quasi tuttipastori. Allevano cammelli, montoni e capre e non è raro vedere<strong>del</strong>le centinaia di animali pascolare intorno alle tende. Per lo piùsono arabi, discendenti di quei formidabili guerrieri che dopod'aver conquistata tutta l'Africa settentrionale, invasero laSpagna minacciando perfino la Francia, sfuggitamiracolosamente a quel dilagare di barbari mercé il valore diCarlo Martello. Ritornati in Africa, questi arabi vivono oraoziosamente nei loro duar, più lontani che possono daigovernatori marocchini onde sfuggire più facilmente allevessazioni e alle esigenze finanziarie <strong>del</strong>l'imperatore. Sonopastori che possono ridiventare da un momento all'altro terribiliguerrieri e lo sanno i soldati <strong>del</strong>l'imperatore, che devonosostenere di frequente sanguinosi scontri per costringerli alpagamento <strong>del</strong> garalme, ossia <strong>del</strong>l'imposta territoriale. Hassan,43


l'amico di Ben Nartico, non era veramente arabo, ma ne avevaadottati gli usi ed i costumi al pari di tutti gli ebrei che vivono alsud <strong>del</strong> Marocco. Era pastore e anche trafficante, conosciutodalle carovane che attraversano il Sahara, un uomo insomma chepoteva diventare molto prezioso anche pel marchese di Sartena edargli aiuti e consigli per la sua pericolosa impresa. Udendo illatrare dei cani, i servi di Hassan, tutti schiavi sudanesi, si eranoaffrettati a muovere incontro ai cavalieri. Il vecchio diede loroalcuni ordini, poi condusse il marchese ed il suo compagno sottouna spaziosa tenda il cui suolo era coperto di tappeti di Rabat edi cuscini di seta a ricami d'oro, offrendo a loro <strong>del</strong> latte di capraappena munto.– Quanta pace regna qui – disse il marchese, che si eracomodamente sdraiato sui cuscini e sui tappeti. – Ecco unaesistenza invidiabile.– Non sempre, signore – rispose il vecchio. – Qui siamo aiconfini <strong>del</strong> deserto e questa calma può venire da un momentoall'altro rotta da urla di guerra e di morte.– Forse che i Tuareg si spingono qualche volta qui?– Se non sono i Tuareg sono i Scellok, i nostri nemicidichiarati e non sono migliori dei primi, ve lo assicuro.– Conoscete dei Tuareg voi?– Ho avuto molti rapporti anche con essi. Quando hannosaccheggiata qualche ricca carovana, non è raro che si spinganofino qui per vendere i frutti <strong>del</strong>le loro rapine contro polvere dasparo, armi e vesti.– Ah! – esclamò il marchese, guardando Rocco che eraallora entrato.– Che cosa volete dire con questa esclamazione, signore?– Avete udito a parlare mai <strong>del</strong> colonnello Flatters?– Quello che comandava una spedizione di francesi?– Sì.44


– Stato massacrato dai Tuareg?– Precisamente.– È una istoria che tutti conoscono nel deserto.– Ne sapete dunque qualche cosa?– Certo più di quanto se n'è saputo in Europa. Voglio anzimostrarvi alcuni oggetti che ho comperati dai Tuareg, e la cuiprovenienza è assai sospetta. Forse hanno molta stretta relazionecoll'eccidio di quella spedizione.– È impossibile! – esclamò il marchese, scattando in piedi.– E perché, signore?– La carovana <strong>del</strong> colonnello è stata distrutta assai lontanada qui, nel deserto algerino.– E che cosa volete concludere? Credete voi che la distanzasia un ostacolo perché un oggetto trovato nel deserto algerinopossa essere giunto fino qui? Pei Tuareg le distanze nonesistono. E poi, forse che noi non mandiamo le nostre merci finoa Tombuctu, e più lungi ancora?Il marchese stava per rispondere, quando sulla soglia <strong>del</strong>latenda comparve una donna, che indossava il graziosissimocostume <strong>del</strong>le donne ebree. Era una giovane di sedici odiciott'anni, d'una bellezza straordinaria, alta e slanciata senzache si potesse dire magra, dal taglio <strong>del</strong> volto perfetto, cogliocchi neri e pieni di splendore ed i capelli corvini che facevanorisaltare doppiamente la candidezza alabastrina <strong>del</strong>la pelle.Indossava un abito ricco ed elegante che s'adattava in modomeraviglioso alle sue forme e che faceva spiccarestupendamente la sua bellezza. La sua gonnella di stoffa rossa,aperta in basso, aveva larghi risvolti di broccato in oro e le sirovesciava un po' sotto il ginocchio; il suo corpetto di stoffaazzurra, pure trapunto in oro, allacciato al petto, era privo dimaniche e coperto in parte da un corto panciotto verde, ricamatoin argento. Le braccia bellissime e ben tornite non erano coperte45


che fino a metà dalle maniche <strong>del</strong>la camicia, larghe, candide eadorne di trine antiche. I piedi nudi e piccolissimi sinascondevano entro babbucce di pelle rossa. I suoi capelli eranoraccolti in trecce sopra un ricchissimo sfifa, specie di diademache le ragazze ebree usano portare e che è composto di perle e dismeraldi. Il marchese, vedendo quella giovane, non avevapotuto trattenere un grido di meraviglia. Conosceva la beltà<strong>del</strong>le donne ebree <strong>del</strong>l'Africa settentrionale, beltà che contrastastranamente colla bruttezza quasi ripugnante degli uomini,perché esse hanno conservato meravigliosamente i tratti <strong>del</strong>laloro razza in tutta la sua purezza. È lo splendore orientale fusocolla finezza europea; si può dire che esse formano il punto incui i due tipi s'incontrano e si confondono in ciò che vi ha di piùbello. La <strong>del</strong>icatezza dei loro lineamenti è soprattutto notevole,quantunque il taglio <strong>del</strong> loro volto non sia precisamente négreco, né romano. È meno puro <strong>del</strong> primo, ma più grazioso <strong>del</strong>secondo.– Mia sorella Esther – disse Ben Nartico, presentandola almarchese, il quale pareva che fosse rimasto affascinato dalfulgore di quegli occhi che si erano fissati subito su di lui.– Ecco la più bella fanciulla che io abbia veduto in Algeriae nel Marocco – disse il côrso, salutando la giovane estringendole vivamente la mano che le porgeva.– Ecco la colazione – disse in quel momento Hassan. – Vioffro ciò che produce il deserto e che si mangia nel deserto.Quattro schiave avevano steso sui tappeti una bellissimastuoia variopinta, formata di fibre di palme nane e portatiparecchi recipienti di porcellana.– Signor marchese, – disse il vecchio, mentre tutti sisedevano intorno, appoggiandosi sui cuscini – la cucina non saràdi vostro gusto, pure dovete abituarvi perché nel Sahara nontroverete di certo ciò che si mangia in Francia.46


– Sono abituato a tutto – rispose il signor di Sartena. –Nella campagna <strong>del</strong>la Cabilia ho mangiato le cose piùinverosimili e col miglior appetito.Un negro era intanto entrato portando, appeso ad unbastone, un agnello arrostito intero, la cui pelle brunastra elucida prometteva di essere <strong>del</strong>iziosa. Lo depose su una speciedi sporta piatta e Hassan lo fece lestamente a pezzi, in lunghestrisce, offrendone a tutti e dicendo:– Allam-dillah (Il Signore sia lodato).Poi quando tutti si furono serviti fece mandare il rimanenteai carovanieri <strong>del</strong> marchese, che erano già giunti al duar. A quelprimo piatto ne seguì un secondo. Era una grossa pentola ripienad'una salsa giallognola, d'aspetto poco rassicurante. Sicomponeva di datteri secchi pestati e di albicocche, orribilmentepepate e di pallottoline di farina non più grosse di un pallino dacaccia, piatto assai apprezzato dagli abitanti <strong>del</strong> deserto, ma cheil marchese e Rocco mangiarono non senza fare molte smorfie.Fortunatamente per loro, Hassan lo fece subito surrogarecoll'hamis, vivanda composta di pezzettini di montone e di pollocucinati col burro e con brodo, di cipolle, di datteri, dialbicocche secche e di focacce d'orzo mescolato. Terminati isolidi, il patriarca fece portare un otre di pelle di capra ripienod'acqua mescolata con latte di cammello che aveva un pessimosapore di muschio e pel primo ne bevette un sorso, dicendo:– Saa! ... (Salute).– Allah y selmeck (Dio ti salvi) – rispose Ben Nartico.– Ripetetelo anche voi, marchese – disse il vecchio,sorridendo. – Ne prenderete l'abitudine e ciò vi sarà utile.– Perché? – chiese il signor di Sartena, un po' stupito.– Sapete perché vi ho offerto questa colazione puramentebeduina?– No, davvero.47


– Per abituarvi.– Non comprendo ancora.– Se voi volete spingervi nel deserto senza incontraretroppi pericoli, sarà necessario farvi credere un arabo. È unconsiglio che vi do e dovete metterlo in esecuzione se nonvorrete fare la fine <strong>del</strong> colonnello.– Sicché...– Dovrete vestirvi da arabo, pregare come un arabo emangiare come un arabo. L'europeo non può andare moltolontano nel deserto.– A questo non vi avevo davvero pensato – rispose ilmarchese. – Apprezzo però il vostro consiglio e lo metterò inesecuzione. Ma... Io non ho vestiti arabi.– Non datevi pensiero per questo; le mie casse sono benprovviste. Prendiamo il caffè, poi vi mostrerò ciò che vi avevopromesso.Nel deserto il caffè si beve forse anche più squisito che aCostantinopoli od al Cairo, quantunque lo si prepari in modoaffatto primitivo. Invece di macinarlo lo si pesta fra due pietre evi si aggiunge nell'acqua calda un po' d'ambra grigia. Ciò inveceche è buffo presso gli arabi <strong>del</strong> deserto, è il servizio il qualeconsiste ordinariamente in un vecchio vassoio di ferro ed inpoche tazze che contano secoli, in tutte le forme, di tutte legrandezze e di tutte le specie, alcune d'argilla, altre di porcellanae altre ancora di stagno, coi margini rotti e poco puliti. Hassanperò servì il caffè in chicchere di porcellana, giunte nel desertochissà per quali strane combinazioni. Quando gli ospiti ebberosorseggiata la <strong>del</strong>iziosa bevanda, il vecchio si alzò, aprì uncassettone antico, variopinto ed arabescato e tolse un chepì cheil marchese riconobbe subito.– Un berretto da cacciatore d'Africa! – esclamò.– Che porta sulla fodera un nome che forse voi conoscerete48


– disse Hassan. – Guardate: leggete.– Masson! – gridò il marchese, impallidendo. – Masson! Ilnome <strong>del</strong> compagno <strong>del</strong> colonnello Flatters!...– Era un capitano, è vero?– Sì.– Che fece parte di quella spedizione massacrata cosìferocemente dai Tuareg.– Sì!... Sì! – ripeté il marchese che era in preda ad unavivissima emozione. – Ditemi, ve ne prego, come si trova nellevostre mani?... E come questo berretto, perduto nel Saharacentrale è venuto a finire qui, nella vostra cassa?...– Ve lo dissi già che nel deserto le distanze non esistono peiTuareg. Dei predoni che hanno saccheggiata una carovananell'Ahaggar, supponiamo, non è raro trovarli, quindici o ventigiorni dopo, ai confini <strong>del</strong> Marocco. Sono mobili come le sabbieche il simun spinge, mercé la straordinaria rapidità dei lorocammelli corridori. Ora vi spiegherò come questo berretto èpervenuto nelle mie mani. Sono trascorsi appena quindici giorni,quando venne da me un algerino chiamato Subbi accompagnatoda quattro Tuareg, ad offrirmi parecchi oggetti che diceva d'avertrovati nel deserto. Erano armi di fabbrica francese, vesti, balledi mercanzia di diverse specie, otri ecc. Nella mia qualità ditrafficante acquistai tutto a buon mercato, quantunque fossiconvinto che quegli oggetti fossero stati rubati a qualchecarovana. Al berretto non avevo fatto alcuna attenzione. Fusolamente qualche giorno dopo che m'accorsi <strong>del</strong> nomestampato sulla fodera, quando già avevo venduto le armi e levesti ad una carovana che si dirigeva verso Mogador. Quel nomefu per me una rivelazione, perché la notizia <strong>del</strong>la strage <strong>del</strong>laspedizione di Flatters, era già giunta da qualche mese anche alMarocco.– E quell'uomo che era accompagnato dai Tuareg era49


veramente un algerino?– Di questo ne sono certo, signor marchese – risposeHassan.– Probabilmente uno dei soldati indigeni che tradironovigliaccamente il disgraziato colonnello.– Non ne dubito.– Bisogna allora che io trovi assolutamente quell'uomo! –esclamò il marchese.– Ditemi signore – disse Hassan, guardando fisso il côrso.– Voi volete inoltrarvi nel deserto per accertarvi se il colonnelloè vivo o morto, è vero?Il marchese esitò a rispondere. Ben Nartico, disse:– Potete parlare liberamente, signore. Hassan è un uomoche non tradirà mai il vostro segreto.– Ebbene, sì – disse il marchese. – Non si ha la certezzache sia stato ucciso, anzi si ha il sospetto che i Tuareg lo abbianorisparmiato per venderlo al Sultano di Tombuctu.– Anch'io ho udito a narrare ciò – disse Hassan. – Finoranessuna prova si è avuta <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong> colonnello, quindi aveteragione di sperare. Voi mi dite che v'occorre quell'algerino: io vido la possibilità di raggiungerlo.– Voi sapete dove si trova! – esclamò il marchese.– Sì, ho saputo che fa parte d'una carovana che ora staapprovvigionandosi a Beramet e che deve attraversare il desertofino a Kabra, sul Niger. Me lo ha riferito un cammelliere duegiorni or sono.– Una carovana molto numerosa? – chiese Ben Nartico.– Non conta meno di trecento cammelli.– Che si trovi ancora a Beramet? – chiese il marchese, convivacità.– Non doveva muoversi che ieri sera, quindi con una rapidamarcia voi potreste raggiungerla fra qualche settimana.50


– Quell'uomo sarà mio!... Rocco, Ben Nartico, partiamo!...– Un momento, signore – disse Hassan. – Voi ed il vostrocompagno parlate bene l'arabo?– Perfettamente.– Conoscete le preghiere dei maomettani?– Come un mollah (sacerdote istruttore <strong>del</strong> Corano).– Gettate le vostre vesti e indossate quelle degli arabi. Ve lodissi già, un europeo non andrebbe lontano nel Sahara,soprattutto ora. I Tuareg vegliano e vi massacrerebberosospettando in voi una spia dei francesi.– Diverremo arabi – disse il marchese, risolutamente. –Amici, facciamo i nostri preparativi.– Io sono pronta, signor marchese – disse Esther, con vocearmoniosa e tranquilla.– E non avrete paura ad affrontare i pericoli <strong>del</strong> deserto? –chiese il côrso.– No, signore – rispose la giovane, sorridendo.– Ecco una fanciulla che ha <strong>del</strong> coraggio da vendere –mormorò Rocco. – Bella e coraggiosa! Che faccia breccia nelcuore <strong>del</strong> padroncino?51


VERSO IL DESERTOUn'ora dopo, la carovana <strong>del</strong> marchese e quella di BenNartico lasciava il duar per inoltrarsi nel deserto, le cui sabbie,trasportate da soffi furiosi <strong>del</strong> simun, cominciavano ad apparireanche su quelle pianure non <strong>del</strong> tutto incolte. Si componeva diundici cammelli, carichi di viveri, di oggetti di scambio, di otrigonfi d'acqua, di due asini e di quattro cavalli di razza araba,bellissimi animali, solidi, veloci e focosi. Il marchese, Rocco eBen Nartico, vestiti da arabi, con bianchi caic ed i caffettanivariopinti ed infioccati, precedevano la carovana assieme almoro che aveva la benedizione <strong>del</strong> sangue sulle mani. Eranotutti armati di fucili a retrocarica e di rivoltelle che tenevanonascoste nelle fonde <strong>del</strong>le selle. Dietro, guidato da uno dei duebeduini, s'avanzava un gigantesco cammello il quale reggevasulle sue gobbe una specie di baldacchino chiuso tutto intornoda tende leggere e sormontato da un immenso pennacchio. Era ilcammello di Esther ed in quel grazioso nido, comodamenteseduta su un soffice cuscino di seta rossa, regalatole da Hassan,non doveva trovarsi male, in quantoché era al riparo deicocentissimi raggi solari. Aveva però fatto rialzare le tende suldinanzi, onde poter scambiare qualche parola coi suoi compagnidi viaggio e per osservare il paese. Dopo il suo cammellovenivano gli altri, su una lunga fila, legati l'uno all'altro,sorvegliati dal secondo beduino, il quale cavalcava uno degliasinelli. La pianura diventava sempre più arida e deserta.Solamente a molta distanza si scorgeva di quando in quandoqualche misero duar circondato da bande di montoni e dicammelli pascolanti le semiarse erbe che crescevano nelle52


assure. Non era però ancora il deserto, anzi verso il sud, sualcune alture si vedevano giganteggiare folte macchie dipalmizi.Solamente dietro a quelle ultime elevazioni, inumidite dalleacque <strong>del</strong>l'Igiden, dovevano cominciare le sconfinate distese disabbie. Mentre la carovana procedeva con passo piuttosto lesto,mercé le urla incessanti dei due beduini e le bastonate chegrandinavano sui cammelli, Ben Nartico ed il marchese avevanocominciata una interessante conversazione.– Mio caro amico, – aveva detto il gentiluomo all'ebreo –voi non mi avete ancora detto lo scopo <strong>del</strong> vostro viaggio. Perrecarvi a Tombuctu assieme a vostra sorella, vi deve essere unmotivo ben grave, perché se il deserto è pericoloso per me, nondeve esserlo meno per voi.– Mi reco alla Regina <strong>del</strong>le Sabbie per raccogliere unagrossa eredità – rispose Ben Nartico. – Prima non ve l'ho dettoperché certe cose non si possono dire quando vi sono <strong>del</strong>lepersone di troppo e soprattutto quando ci si trova ai confini <strong>del</strong>deserto.– Una eredità da raccogliere a Tombuctu! – esclamò ilmarchese, con stupore.– Sì, marchese. Mio padre è morto laggiù, dopo d'averraccolto una fortuna considerevole.– Io so che quella città è inviolabile agli stranieri e ancheagli ebrei.– È vero, signore, ma mio padre vi si era recato fingendosiun fe<strong>del</strong>e seguace <strong>del</strong> Profeta e sembra che tutti fossero convintidi ciò perché poté rimanere indisturbato sette anni in quella cittàdi fanatici. Due mesi or sono un servo fidato ha attraversato ildeserto per venire ad avvertirmi <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong> povero vecchioed invitarmi ad andare a raccogliere l'eredità. Si tratta diparecchie centinaia di migliaia di lire in oro, che sono state53


nascoste in un pozzo <strong>del</strong>la casa di mio padre, onde sottrarle allarapacità di quel Sultano e dei suoi kissuri.– E dov'è ora quel servo?– Mi ha preceduto nel deserto e noi lo ritroveremo nell'oasidi Eglif.– Allora noi potremo forse avere <strong>del</strong>le preziose notizieanche da quel servo, circa la sorte toccata al colonnello Flatters.– Lo spero, signore, anzi ve lo auguro. Tasili dovevatrovarsi ancora a Tombuctu all'epoca <strong>del</strong> massacro <strong>del</strong>laspedizione francese. E poi forse potremo avere prima altrenotizie.– E da chi?– Dai miei correligionari <strong>del</strong> deserto.– Come! Forse che nel Sahara troveremo degli ebrei?– E più di quanti lo supponevate – rispose Ben Nartico. –Essi vengono chiamati dai Tuareg, Dagtuma e vivono in molteoasi disseminate nel grande deserto. Sembra che siano fuggitidal Marocco durante l'invasione araba per non abbracciare ilCorano.– E che cosa fanno nel deserto?– I trafficanti.– Ed i Tuareg non li inquietano?– No, però li trattano come una razza inferiore ed imatrimoni colle loro figlie sono severamente proibiti. Hanno poila precauzione, questi miei disgraziati correligionari, discegliersi fra i Tuareg un protettore a cui pagano una sommaannuale.– Non sono molto coraggiosi a quanto sembra.– Non sono nati per la guerra, quantunque i loro protettorisovente li costringano non solo ad impugnare le armi, ma anchea mettersi all'avanguardia per ricevere le prime scariche.– Quei predoni sono vere canaglie! – disse Rocco.54


– Astuti, cattivi, traditori e ladri – disse Ben Nartico. – Nonmancheranno le occasioni per studiarli da vicino. Verranno adinquietarci, siatene certi.– E noi li riceveremo come si meritano – rispose ilmarchese. – I fucili e le munizioni non ci fanno difetto.Verso il mezzodì la carovana faceva la sua prima fermatapresso un gruppo di superbe palme, onde concedere ai cammelliun po' di riposo e anche per non esporsi ai colpi di sole. Quellamacchia formata da una trentina di piante, era composta displendide camerope a ventaglio, dal fusto cilindrico e sottile,nudo verso la base e più sopra coperto da grosse squameregolari, formate da avanzi di picciuoli di foglie cadute. Le cimeerano coronate da un immenso ciuffo di trenta o quaranta foglieadorne di grappoli di fiori disposti a pannocchie, che dovevanopiù tardi produrre <strong>del</strong>le frutta assai zuccherine, somiglianti pergusto ai datteri, sebbene di qualità inferiore. Sono alberi chenascono anche nei terreni quasi aridi e sono molto utili, perchéoltre le frutta, anche le giovani foglie sono mangiabili e la fecolacontenuta nel tronco può surrogare la farina dei sagù malesi. Ilmarchese aiutò Esther a scendere, poi ordinò che si stendesserodei tappeti sotto l'ombra <strong>del</strong>le piante dovendo quella fermataprolungarsi fino alle cinque <strong>del</strong> pomeriggio. Un silenzioprofondo regnava su quella pianura arsa dagli implacabili raggi<strong>del</strong> sole, i cui morsi cru<strong>del</strong>i avevano già fatto appassire le punte<strong>del</strong>le foglie e inaridire i cespugli. Non si udiva nemmeno uninsetto a ronzare, né una cicala a gridare. Solamente degliscorpioni, che sono numerosissimi anche nel deserto, fuggivanoa battaglioni, nascondendosi fra le sabbie. Due ore prima <strong>del</strong>tramonto, dopo la cena, consistente in kuskussù, un pezzo diagnello freddo ed in alcuni fichi secchi, la carovana riprendevala marcia per raggiungere i poggi boscosi, dove il moro sapevatrovarsi una fonte.55


La traversata di quell'ultimo tratto di pianura fu compiutafelicemente, non ostante il calore eccessivo che pareva sfuggisseattraverso le mille fessure di quel suolo calcinato e verso leundici, il marchese ed i suoi compagni si accampavano sotto laforesta formata da immense palme, da querce, da acacie e dafichi giganteschi già carichi di frutta dolcissime.– È l'ultima tappa – disse El-Haggar, la guida mora. –Domani scenderemo nel deserto.– E procederemo più rapidamente che ci sarà possibile –disse il marchese. – Abbiamo molta fretta di giungere a Berametper unirci ad una grossa carovana che deve attraversare ildeserto al pari di noi. In molti viaggeremo con maggiorsicurezza.– Non vi potremo giungere prima di posdomani, signore –disse il moro. – Le marce fra le sabbie sono faticose assai anchepei cammelli.– Forzeremo gli animali, non sono già molto carichi.– Ci proveremo, signore.– Dov'è la sorgente che mi dicevi trovarsi in questidintorni? Sarà prudente provvederci abbondantemente d'acqua.– Vi andremo domani mattina, signore.– E perché no ora?– Di notte è frequentata da animali feroci. I leoni, le iene ele pantere abbondano in questa boscaglia.– Bah! Non mi fanno paura. Ho già fatto la conoscenza deileoni nell'Algeria e poi non credo che qui ve ne siano molti.Come se le fiere volessero dargli una pronta smentita, inquell'istesso momento echeggiò in lontananza un formidabileruggito, il quale si propagò lungamente sotto le cupe vôlte diverzura.– Ah! Diavolo! – esclamò il marchese. – Il signore <strong>del</strong>laforesta si annuncia di già! Le tue parole hanno avuto una56


fulminante conferma, mio caro El-Haggar.– Ve lo avevo detto – rispose il moro, sorridendo.– Non verrà ad importunarci questo pericoloso vicino?– Accenderemo dei fuochi attorno all'accampamento eraduneremo i cammelli.Fu preparata la cena, poi mentre i due beduini ed il moroaccendevano quattro falò attorno al campo, il marchese ed i suoicompagni accesero le pipe.Esther, stanchissima, s'era già ritirata sotto la tenda che suofratello aveva fatto innalzare in mezzo all'accampamento. Nelpiù folto <strong>del</strong>la foresta, il leone di quando in quando lanciava lesue note cavernose e possenti, tenendosi però a molta distanza.Aveva di certo fiutata la presenza degli uomini e degli animali,tuttavia non osava accostarsi. Forse aspettava le ore più tardeper avvicinarsi e tentare qualche buon colpo. Ogni volta che ilsuo ruggito rintronava sotto le piante, i cammelli si stringevanoimpauriti gli uni addosso agli altri ed i cavalli e gli asinialzavano gli orecchi e scalpitavano.– Quel signore comincia a diventare noioso – disse ilmarchese, vuotando la pipa. – Si degnasse almeno d'accostarsi atiro di fucile. Lo saluterei volentieri.– Non osa – disse Rocco. – Si sarà accorto che noi nonsiamo uomini da tremare.– O che abbiamo fra noi l'uomo che ha la benedizione <strong>del</strong>sangue sulle mani – disse Ben Nartico.– Ah! È vero! – esclamò il marchese.– Lo vedremo anzi qualche volta alla prova – disse Rocco.– Io ho guardato attentamente le due mani credendo di trovarviqualche cosa di straordinario, <strong>del</strong>le macchie rosse od altro.– Ed invece? – chiese il marchese.– Non ho veduto che <strong>del</strong>le manacce callose come quelle diun facchino.57


In quel momento il ruggito <strong>del</strong> leone si fece udire piùvicino e così potente, da far sussultare anche il marchese.– Signore – disse Rocco. – Quell'animale esige la sua cena.– Pare anche a me – rispose il marchese. – Comincia adiventare minaccioso.El-Haggar che vegliava sui fuochi assieme ai due beduini,s'accostò tenendo in pugno il suo lunghissimo moschetto dalcalcio ricurvo e abbellito da piastrine d'argento e di madreperla.– Signore, – disse – il leone minaccia il nostro campo.Deve essere un vecchio che ha già assaggiata la carne umana.– Un animale pericoloso dunque?– Sì, signor marchese – disse il moro, il quale pareva moltoinquieto. – Quando i leoni hanno cominciato a divorare qualcheuomo, sfidano qualunque pericolo per procurarsene altri.– Come le tigri <strong>del</strong>le jungle indiane. Si è mostrato?– Non ancora, ma sta avvicinandosi.– Vieni, Rocco – disse il marchese, alzandosi e prendendouna carabina Martini. – Se quel signore diventa impaziente localmeremo con un po' di piombo. Gli farà bene, ne sono certo.– Cosa volete fare, signore? – chiese il moro, spaventato.– Vado ad incontrarlo – rispose il marchese, con vocetranquilla.– Non scostatevi dai fuochi. Il leone vi assalirà.– E noi assaliremo lui, è vero Rocco?– Lo uccideremo.– Vengo anch'io con voi – disse Ben Nartico. – Non sonoun cattivo tiratore.– E perché dovrò io rimanere qui inattiva? – chiese unavoce armoniosa dietro di loro.Esther era uscita dalla tenda e stava ritta dietro di loro,appoggiata ad una piccola carabina americana, in atteggiamentofiero.58


– Voi, signorina! – esclamò il marchese, guardandola conammirazione. – Voi affrontare il leone!– E perché no? – chiese la giovane, con voce tranquilla. –So maneggiare il fucile quanto mio fratello, è vero Ben?– Tu anzi tiri meglio di me – rispose Nartico.– È un animale pericoloso, signorina – disse il côrso.– In quattro lo affronteremo meglio, marchese.– È una caccia terribile che fa impressione anche ai vecchicacciatori.– Non nuova per me. Ti ricordi Ben di quel leone che ciaveva assaliti nelle gole <strong>del</strong>l'Atlante?– Sì e che tu hai fulminato a bruciapelo, mentre invece io lofallivo – rispose Nartico. – Giacché vuoi venire anche tu,andiamo.– Un coraggio ammirabile! – esclamò il marchese, stupito.– Le nostre donne d'Europa non ne hanno la centesima parte.– Marchese, il leone si impazientisce – disse la giovane. –Udite come rugge?– Ebbene, signorina andiamo a offrirgli la cena a base dipiombo.– E di polvere – aggiunse Rocco.59


UNA CACCIA AL RE DELLE FORESTEDopo d'aver raccomandato al moro ed ai due beduini difare buona guardia attorno agli animali, il marchese ed i suoicompagni lasciavano l'accampamento gettandosi in una foltamacchia formata da querce assai basse, in mezzo alla qualepotevano facilmente nascondersi. Il leone doveva essersifermato a non più di tre o quattrocento passi dal campo. Ora nonruggiva più e forse s'accostava strisciando, per non farsiscorgere e piombare sull'accampamento di sorpresa. Percorsicinquanta passi, il marchese si era arrestato sul margine <strong>del</strong>lamacchia, di fronte ad uno spazio scoperto.– Il leone passerà certamente da qui – disse, volgendosiverso i compagni. – È la via più breve che conduce al nostrocampo.– Non facciamoci però scorgere – disse Ben Nartico. – Seci fiuta girerà al largo e piomberà sui nostri animali dall'altraparte.– Siamo sottovento, – osservò Rocco – quindi non cisentirà.– Non facciamo fuoco tutti insieme – disse il marchese. –Talvolta una sola scarica non basta ad atterrare quegli animali.Lasceremo l'onore <strong>del</strong> primo fuoco alla signorina Esther, ed avoi Ben.– Grazie, marchese – rispose la giovane ebrea. – Cercheròdi non mancare la belva.– Silenzio – disse Nartico. – Mi pare che il leone abbiaripresa la sua marcia.– Avete udito qualche rumore?60


– Un ramo spezzarsi, marchese.– Non può essere stato che il leone, giacché uomini non vene devono essere in queste selve, specialmente a quest'ora.– Allora prendiamo posizione – disse Esther,inginocchiandosi presso il tronco d'una quercia.– Io ammiro la vostra tranquillità – disse il marchese. –Una donna che non trema dinanzi al re <strong>del</strong>le foreste!Esther si volse verso di lui, guardandolo coi suoi occhineri, dal lampo vivissimo e sorrise silenziosamente.– Badate – disse in quel momento Rocco.Una forma nera, non ben definita stante l'oscurità cheregnava sotto le piante, s'avanzava cautamente attraverso lospazio scoperto, arrestandosi ogni tre o quattro passi.– Che sia il leone? – chiese Esther.– È impossibile saperlo – rispose il marchese che le stavadietro, pronto a coprirla nel caso d'un improvviso assalto. – Conquesta oscurità non si distingue nulla. Aspettiamo che siavvicini.– Intanto lo prendo di mira – disse la giovane.– Ed io faccio altrettanto, sorella – aggiunse Ben Nartico.L'animale si trovava allora ad un centinaio di passi e parevache non avesse molta fretta ad avvicinarsi. Forse aveva fiutato ilpericolo e diventava prudentissimo, specialmente ora checamminava su quello spazio sgombro d'alberi e di cespugli.– Dal suo modo di procedere non mi pare che sia un leone– disse Ben, dopo qualche istante di silenzio. – Ha troppeesitazioni.– Sarà una belva prudente – rispose il marchese.– Si è fermato – disse Rocco.L'animale, avendo trovato sulla sua via un gruppetto dicespugli quasi privi di foglie, vi si era nascosto dietro.– Il briccone! – esclamò il marchese. – Non osa avanzarsi.61


– Ma è a buon tiro – disse Esther. – Lo scorgo benissimo eposso abbatterlo.– Volete far fuoco?– Sì, marchese.– Rocco, teniamoci pronti.– Lo miro anch'io – rispose il sardo.La giovane ebrea aveva alzata la carabina americana,appoggiando la canna al tronco d'una acacia per mirare conmaggior sicurezza. Era tranquillissima come se si trovassedinanzi ad un bersaglio anziché ad una <strong>del</strong>le più pericolosebelve <strong>del</strong>l'Africa. Le sue belle braccia non avevano il minimotremito, cosa veramente straordinaria in una donna.– Bella e coraggiosa – mormorò il marchese conammirazione – se...L'acuta detonazione <strong>del</strong>la carabina gli ruppe la frase. Labelva, che stava nascosta dietro al cespuglio, s'alzò di colposulle zampe deretane, girando su se stessa, poi cadde senzamandare un grido.– Bel colpo! – esclamò il marchese. – Signorina Esther, imiei complimenti!– Una cosa assai facile, come ben vedete – rispose lagiovane.– Ma che cosa abbiamo ucciso? – chiese Ben Nartico. – Illeone o qualche altro animale?– Ora lo sapremo – disse il marchese.Stava per slanciarsi fuori <strong>del</strong>la macchia, quando versol'accampamento echeggiarono <strong>del</strong>le urla di terrore, seguìte da tredetonazioni.– Chi assale i nostri uomini? – gridò il signor di Sartena,arrestandosi.Un ruggito formidabile rintronò nella foresta come uncolpo di tuono, uno di quei ruggiti così possenti che non si62


dimenticano più una volta uditi.– Mille Cabili! – gridò il marchese. – Il leone!– Al campo, signore! – disse Ben Nartico.Si slanciarono di corsa attraverso la macchia. Avevanopercorsi cinquanta passi quando videro un'ombra balzare fuorida un cespuglio, e passare sopra le loro teste colla rapidità d'unafreccia e scomparire subito in mezzo agli alberi.Il marchese e Rocco avevano subito alzati i fucili.– Troppo tardi – disse il signor di Sartena.– Era il leone, è vero? – chiese Rocco, gettandosi dinanzi aEsther.– Sì – rispose Ben Nartico, con voce alterata. – Un leone distatura gigantesca e che per poco non mi ha atterrato.– Attenzione! Forse sta per riprendere lo slancio.Tutti avevano puntati i fucili verso gli alberi fra i quali eracaduta la belva, credendo di vederla ricomparire.– Che si sia già allontanato? – chiese il marchese, dopoqualche istante d'angosciosa attesa. – Non si ode più nulla.– Ripieghiamo sull'accampamento – disse Ben Nartico. –Qui non siamo sicuri.Ripresero la marcia tenendo le armi puntate a destra ed amanca, pronti a fare una scarica e giunsero in pochi minutipresso i fuochi. Il moro ed i due beduini erano ancora in predaad una viva emozione e scagliavano da tutte le parti tizzoniaccesi.– Signore – disse El-Haggar, con voce alterata – il leone haapprofittato <strong>del</strong>la vostra assenza per assalirci. È piombato su unodei nostri asini, spezzandogli la spina dorsale con un terribilecolpo d'artiglio.– E se lo ha portato via!– No, signore, perché gli abbiamo sparato addosso.– E lo avete mancato.63


– L'assalto è stato così improvviso che non abbiamo avutoil tempo di mirarlo.– Da quale parte è fuggito? – chiese Ben.– In mezzo a quel gruppo d'alberi.– Dinanzi a voi! – esclamò il marchese. – Allora i leonisono due invece d'uno.– Certo – disse Rocco. – Quello che ci è passato sopradoveva essere un altro.– Diavolo! – esclamò il marchese. – La faccenda si fa seria.– E la bestia che è caduta presso il cespuglio? – chieseEsther. – Che fosse anche quello un leone?– Me lo domandavo in questo momento – rispose il côrso.– Che cosa fare? – chiese Rocco.– Dare una buona lezione all'assassino <strong>del</strong> nostro asino –disse il marchese, senza esitare.– Sono in due, signore – disse Ben Nartico.– Un'idea! – esclamò Rocco.– Gettala fuori.– Voi sapete che i leoni hanno l'abitudine di ritornare làdove hanno abbattuta una preda.– Sì, per divorarsela, quando le iene e gli sciacalli lalasciano.– Trasciniamo l'asino fuori dal campo e aspettiamo ilritorno <strong>del</strong>l'assassino. Oh! Non tarderà a mostrarsi, ve loassicuro.– Mettiamo in esecuzione la tua idea – disse il marchese.Chiamò i beduini ed il moro e diede l'ordine di trascinarel'asino a centocinquanta metri dall'accampamento, presso ungruppetto di cespugli. Mentre obbedivano, aiutato da Rocco e daBen, accumulò parecchi grossi rami verso uno dei fuochi, inmodo da formare una specie di barricata alta un buon metro esolidissima.64


– Ci nasconderemo qui dietro – disse. – I leoni nonvedendoci ci crederanno addormentati e non tarderanno a venireper portarsi via la preda. Signorina Esther, potete prendere unpo' di riposo. Quando si mostreranno, vi sveglieremo.Fece sdraiare i due beduini ed il moro presso i cammelli,poi si nascose, dietro la barricata assieme a Ben Nartico ed aRocco. La foresta era tornata silenziosa. Pareva che i due leoni,scoraggiati dalla mala riuscita <strong>del</strong> loro primo assalto, si fosseroallontanati, perché non si udivano più i loro formidabili ruggiti.Nondimeno né il marchese, né i suoi compagni ne eranoconvinti.– È un'astuzia vecchia – aveva detto il signor di Sartena. –Sono invece certo che ci spiano.Il marchese era convinto di non ingannarsi. Aveva già fattoconoscenza coi leoni <strong>del</strong>l'Algeria e sapeva ormai che cosapensare di quelle fiere. Checché sia stato detto e scritto, il leone<strong>del</strong>l'Africa settentrionale, molto più grosso e più forte di quello<strong>del</strong>l'Africa meridionale, non rinuncia mai alla sua preda, anchequando sa di essere insidiato. Possiede un'audacia incredibile enon teme l'uomo, sia arabo od europeo, e soprattutto quando hacominciato ad assaggiare la carne umana. In ciò rassomiglia alletigri <strong>del</strong>l'India. Anche queste, dopo che hanno divorata la primavittima umana, diventano eccessivamente sanguinarie eaffrontano risolutamente qualsiasi pericolo pur di provvedersenealtre.Generalmente il leone, che vive di animali sorpresi nelleforeste, sfugge quasi sempre il cacciatore. Se per caso ne atterrauno e prova ad assaggiarlo, allora diventa estremamentepericoloso. Osa entrare di notte nei duar per rapire i beduini ogli arabi addormentati e non lo trattengono né i fuochi accesiattorno ai campi, né le siepi spinose e nemmeno le palizzate chevarca con facilità, possedendo uno slancio incredibile.65


A Tsavo, nell'Uganda inglese, si stava costruendo un troncoferroviario.Per citare un caso <strong>del</strong>la loro audacia, basterà narrare questoaneddoto.Una notte due operai cinesi scomparvero. Erano statiportati via da un leone il quale aveva avuto l'audacia di andarli arubare in mezzo ad un accampamento difeso da trincee, da siepie da fuochi e abitato da centinaia di persone.Poche sere dopo quell'animale, che aveva preso moltogusto alla carne umana, ritornava in quel medesimoaccampamento e si portava via un indiano.Del disgraziato non aveva lasciata intatta che la sola testala quale aveva gli occhi ancora spalancati, con una taleespressione di terrore da mettere ribrezzo.Il signor Patterson, uno dei direttori <strong>del</strong> tronco incostruzione, spaventato dal crescente numero <strong>del</strong>le vittime,prepara un'imboscata, ma il leone gli sfugge con un'abilitàincredibile, entra nell'accampamento dalla parte opposta erapisce un altro lavorante.Si raddoppiano le siepi, i fuochi e le sentinelle e tutto èvano.Il formidabile mangiatore d'uomini due sere dopo salta lacinta, sventra la tenda che serviva da ospedale, feriscemortalmente due malati, atterra un infermiere e se ne porta viaun altro che va a divorarsi tranquillamente nella foresta.Il signor Patterson prepara un nuovo agguato pressol'ospedale, ed al mattino s'accorge che il leone ha ucciso uno deiportatori d'acqua, non lasciando che un pezzo di cranio ed unamano per attestare la potenza <strong>del</strong> suo ventricolo.Non fu che dopo parecchi agguati che fu finalmente uccisoinsieme ad un compagno, quando aveva già divorato, in pochesettimane, una cinquantina d'operai fra negri, indiani e coolies66


cinesi.Il marchese di Sartena poteva quindi essere certo <strong>del</strong>ritorno dei due leoni per riprendersi la preda o fare qualchenuova vittima.Ed infatti non era ancora trascorsa un'ora, quando Roccos'accorse che un'ombra scivolava cautamente dietro i cespugli,cercando d'avvicinarsi all'accampamento.– Marchese, vengono – disse.– Me lo immaginavo – rispose il côrso. – Ci sono tutti due?– Non ne ho veduto che uno.– Dove sarà l'altro? Stiamo in guardia onde non ci piombiaddosso da qualche altra parte. Lasciate che faccia fuocosolamente io per ora; voi serbate i vostri colpi per l'altro.– Eccolo, marchese, guardatelo! – esclamò Ben Nartico.– Che animale superbo – disse il côrso. – Non ne ho vedutidi così grossi nemmeno nella Cabilia.Il leone era uscito dai cespugli e si era piantato dinanzi alprimo fuoco, percuotendosi i fianchi colla lunga coda. Era unanimale veramente splendido, uno dei più grossi e dei piùmaestosi <strong>del</strong>la famiglia leonina. Doveva misurare non meno didue metri ed aveva una criniera abbondantissima, molto oscura,che gli dava un aspetto imponente. I suoi occhi, che mandavanocupe fiamme, s'erano fissati sull'ammasso formato dai rami,come già avesse indovinato che colà si nascondevano i suoiavversari. Nondimeno si teneva ritto, colla testa alta, il corporaccolto, come se si preparasse a slanciarsi e ad impegnarerisolutamente la lotta. Il marchese passò silenziosamente lacanna <strong>del</strong> suo Martini fra la fessura lasciata fra due rami e miròattentamente quel terribile nemico.Già stava per far partire il colpo, quando un ruggitoterribile, assordante, seguìto dalle urla dei beduini e <strong>del</strong> moro edai nitriti dei cavalli, risuonò dietro di lui.67


– Il leone!... Il leone!... – urlavano i carovanieri.Il marchese ritirò prontamente l'arma e si volse. Il secondoleone era piombato improvvisamente in mezzoall'accampamento, varcando i fuochi con un salto immenso.Spaventato forse dalle grida dei beduini e <strong>del</strong> moro, era rimastoun momento immobile, probabilmente anche sorpreso <strong>del</strong>lapropria audacia.– Occupatevi <strong>del</strong>l'altro, marchese! – gridò Rocco, facendofuoco contemporaneamente a Ben Nartico.Ai due spari aveva fatto eco un nuovo ruggito, piùformidabile <strong>del</strong> primo. La belva era caduta, ma poi si era subitorisollevata. Con un salto abbatté la tenda di Esther, poi varcandonuovamente i fuochi si slanciò fuori <strong>del</strong>l'accampamento. Quasinel medesimo istante le barricate rovinavano addosso almarchese, atterrate da un urto irresistibile, ed il secondo leonepiombava a sua volta nel campo. Vedendosi vicino uncammello, gli balzò sulle gobbe ruggendo spaventosamente,mentre Ben Nartico e Rocco si gettavano dinanzi alla tenda, frale cui pieghe si dibatteva Esther, cercando di uscire. Il marchesenon aveva però perduto il suo sangue freddo. Quantunqueintontito dal rovinìo <strong>del</strong>le casse, si era prontamente rialzato colfucile in mano.– A me! – gridò.Il leone non era che a dieci passi e si sforzava di tenere alsuolo il cammello, che faceva sforzi disperati per sbarazzarsi diquello strano cavaliere.– Badate! – gridò Ben, che ricaricava precipitosamente ilfucile, mentre Rocco aiutava Esther a liberarsi dalla tenda che lasoffocava.Il marchese muoveva intrepidamente contro la fiera, dallacui gola spalancata uscivano sordi ruggiti che aumentavanorapidamente d'intensità. Aveva puntato il fucile, mirando la68


elva in pieno petto, onde colpire il cuore. Anche Ben Narticoaveva alzato il fucile e Rocco ed Esther stavano per imitarlo. Ibeduini ed il moro invece si erano rifugiati dietro un falò. Ad untratto il leone, dopo d'aver dilaniate le gobbe al poverocammello, si raccolse su se stesso abbassando la testa edigrignando i denti. Il marchese si trovava allora a sei soli passi.– Sta per slanciarsi! – gridò Rocco. – Fuoco, padrone!Un colpo di fucile rimbombò. Il leone stramazzò in mezzoai cammelli, ma subito si rialzò ruggendo spaventosamente.Stava per scagliarsi sul marchese il quale ricaricava l'arma,quando Esther, Ben Nartico e Rocco fecero una scarica. Il leoneera ricaduto e questa volta per non più rialzarsi. Si dibatté perqualche istante, cercando ancora di lacerare i fianchi al poverocammello, poi si irrigidì.– Per Bacco!... Che pelle dura! – esclamò il marchese, convoce tranquilla. – Eppure l'avevo colpito al cuore!69


LE PRIME SABBIEIl rimanente <strong>del</strong>la notte trascorse senza allarmi, quantunqueil secondo leone avesse fatto udire più volte i suoi ruggiti cheparevano più di dolore che di collera. Certamente le pallericevute non dovevano averlo messo in buonumore e quei pezzidi piombo dovevano cagionargli non poco fastidio. Verso le sei<strong>del</strong> mattino, la carovana, diminuita d'un asino e d'un cammello,lasciava il campo per scendere verso il deserto. Il marcheseaveva fatto scuoiare il leone, regalando la superba pelliccia allacoraggiosa ebrea, che l'aveva gradita moltissimo.– Ne avremo però un'altra da raccogliere – disse BenNartico, nel momento in cui la carovana si metteva in marcia.– È vero – rispose il marchese. – Quella <strong>del</strong>la bestia uccisadalla signorina Esther.– E che noi andremo a scuoiare – aggiunse Rocco. – Illeone deve essersi recato all'ospedale, quindi non ciimportunerà.– Finché la carovana marcerà verso il deserto, cispingeremo verso la macchia – disse il marchese.Salirono sui loro cavalli e mentre Esther, adagiata sul suocammello, seguiva i beduini ed il moro attraverso le ultimecolline, si diressero verso il luogo ove durante la notte si eranoimboscati. Non riuscì difficile a loro ritrovare i cespugli dietro iquali la bestia, colpita dalla piccola carabina <strong>del</strong>la giovaneebrea, era caduta. L'animale si trovava ancora al medesimoposto e come avevano previsto, non si trattava d'un leone. Erainvece una iena striata, animale comunissimo nel Marocco enelle vicinanze <strong>del</strong> grande deserto, dal pelame ruvido e ispido,70


iancastro e giallognolo, striato di nero, con una specie dicriniera di colore oscuro, la testa grossa, il muso sottile ed ilcorpo allungato. Sono bestie d'una vigliaccheria incredibile,quantunque fornite di denti acuti e di unghie robustissime. Nonosano assalire gli uomini e vivono quasi esclusivamente dicarogne.– Ben colpita – disse il marchese, che l'aveva osservataattentamente. – La palla <strong>del</strong>la piccola carabina le ha attraversatoil cervello.– Spogliamola <strong>del</strong>la sua pelliccia e raggiungiamo lacarovana – disse Rocco, impugnando il coltello da caccia.– Non ne vale la pena, mio bravo Rocco – rispose ilmarchese. – È una pellaccia priva di valore, che puzza dicarogna.– Andiamo, signori – disse Ben Nartico. – Non è prudenterimanere troppo staccati dalla carovana.– Pare che vi fidiate poco dei nostri uomini – osservò ilmarchese.– Non hanno dato troppe prove di coraggio ieri sera.– Nemmeno l'uomo che ha la benedizione <strong>del</strong> sangue sullemani – aggiunse Rocco, con accento beffardo.– Oh! I leoni producono sempre un certo effetto anchesugli uomini di un provato coraggio – disse il marchese. –Aspettiamo quindi, prima di giudicare il nostro moro.Ripartirono di corsa e raggiunsero la carovana a metàsalita. I cammelli avanzavano con molta fatica, non essendo iloro piedi abituati ai terreni solidi, e trovandosi sempre a disagioin mezzo alle piante. Sono figli dei terreni aridi e <strong>del</strong>le sabbie edegli sterpi secchi e fra una rigogliosa vegetazione pare cheprovino una specie di malessere. Sentivano pero le ardenti edinfuocate emanazioni <strong>del</strong> grande deserto e, quantunque la viafosse pessima, facevano sforzi prodigiosi per raggiungere71


l'oceano di sabbia. Alle dieci <strong>del</strong> mattino la carovana faceva unabreve fermata presso un microscopico duar, formato da un paiodi tende lacere e da una piccola cinta di rami contenente due otre dozzine di montoni neri. Doveva essere l'ultimo; più oltrequegli animali non avrebbero certo trovato di che cibarsi. Il suoproprietario, un vecchio arabo, dalla lunga barba bianca, checontrastava vivamente col lungo caic di lana oscura cheavvolgeva il magro corpo di quell'abitante <strong>del</strong> deserto, ricevettecortesemente gli stranieri, ripetendo a più riprese:– Salam alikum!... (La pace sia con voi).Poi da un ragazzetto fece portare una ghirba ripiena di latteappena munto e la offrì ad El-Haggar, dicendogli:– Tu sei l'uomo che ha la benedizione <strong>del</strong> sangue sullemani, quindi bevi pel primo perché ho bisogno <strong>del</strong>l'opera tua.– Mi hai riconosciuto? – chiese il moro.– Sì – rispose il vecchio.– Che cosa posso fare per te?– Ho un figlio ammalato.– Te lo guarirò – rispose il moro, imperturbabilmente.– Oh! – esclamò Rocco. – Ecco il nostro uomo tramutato inmedico!– Ha la benedizione – disse Ben Nartico.– Ci credete voi? – chiese il marchese.– Guardate prima.Il vecchio era rientrato nella tenda per uscire subito dopoportando fra le braccia un ragazzo di cinque o sei anni, la cuitesta, priva di capelli, era coperta di piaghe ributtanti.– Mio figlio è molto malato, – disse – ma tu lo guarirai eAllah ti benedirà.– E mi darai un montone – aggiunse El-Haggar che nonvendeva per nulla le sue benedizioni.Fece sedere il fanciullo dinanzi a sé, levò gravemente da72


una borsa che teneva alla cintura un pezzo di pietra focaia ed unacciarino e fece cadere sulla testa piagata parecchie scintille,recitando l'Elfatscià, ossia il primo capitolo <strong>del</strong> Corano eripetendo di tratto in tratto:– Bismillah! (In nome di Dio).Quando lo ebbe abbondantemente asperso di scintille, levòil bambino da terra, dicendo:– Va', tu guarirai presto; portami il montone.– Quest'uomo è un abile ciurmadore – disse il marchese aBen Nartico.– No, signore, è in buona fede – rispose l'ebreo.– Ed in che consiste questa benedizione <strong>del</strong> sangue sullemani? – chiese Rocco. – Perché quest'uomo la possiede?– È un dono naturale che posseggono solamente coloro ilcui braccio ha tagliato molte teste.– E questo El-Haggar? – chiese Rocco, frenando amalapena le risa.– Deve averne tagliate parecchie.– E ci credete alla efficacia <strong>del</strong>la sua benedizione?– Ho veduto guarire altri bambini affetti da quelle piaghe;che ciò dipenda dalle scintille o da altre cause lo ignoro, io soche il fatto è stato provato.– Può guarire solamente quelle malattie <strong>del</strong>la testa? –chiese il marchese.– Le sole, signore.– Peccato! – esclamò Rocco. – Sarebbe stato un uomoprezioso nel deserto.– Vedo che voi dubitate <strong>del</strong>la potenza <strong>del</strong>la sua benedizione– disse Nartico. – Eppure io ho veduto degli arabi ottenere <strong>del</strong>leguarigioni miracolose colla semplice imposizione <strong>del</strong>le mani e,cosa davvero strana, guarire perfino <strong>del</strong>le piante che siostinavano a non dare frutta.73


– Questa mi sembra grossa – disse il marchese.– Una volta ne ho fatto la prova a mie spese – rispose BenNartico, seriamente.– Ed in quale modo?– Nel mio giardino possedevo parecchi albicocchi che nondavano più frutta ed anche degli olivi che rimanevano sterili. Fuiconsigliato di rivolgermi ad uno di quegli uomini che hanno ilpotere di guarirle. Siccome io dubitavo <strong>del</strong>l'efficacia di queirimedi, mi fu proposta una prova. Sei albicocchi furono nutriti...– Con che cosa? – chiese il marchese, stupito.– Col fumo prodotto da tre teste di montone abbruciate allabase di ciascun albero. Uno invece fu lasciato a digiuno.Ebbene, lo credereste? I sei primi diedero splendide frutta,l'ultimo, che era stato trascurato, nemmeno una. 4– È incredibile!– Eppure signore, all'epoca <strong>del</strong>la fioritura, tutti i coltivatoritrattano così le loro piante e non hanno a dolersene.– E per gli ulivi, che cosa fanno? – chiese Rocco. – Ve nesono molti nella mia isola che rimangono improduttivi.– Si forano introducendovi un mezzo mitcal d'oro, che ha ilvalore di otto lire, essendo composto di metallo puro,riducendolo però prima sottile come una verghetta e chiudendoposcia le due aperture con gusci d'uovo e creta. È unesperimento che potete fare e che qui è da tutti conosciuto eanche provato. 5– Ne parlerò ai miei compatrioti – disse Rocco, con accentoperò poco convinto.Essendosi sufficientemente riposati, il marchese diede ilsegnale <strong>del</strong>la partenza, desiderando la sera istessa di accamparsi4 Storico.5 Questo strano modo di guarire gli ulivi è molto usato in tutta l'Africasettentrionale.74


nel deserto. Le piante ricominciavano a diradarsi e nelle vallette<strong>del</strong>le colline si vedevano già strati di sabbia, portati colà daiventi infuocati <strong>del</strong> Sahara. I cammelli avevano affrettato ilpasso, ansiosi di calpestare quelle immense pianure sterili, chemeglio si confacevano alle loro zampe. Il terreno scendevasempre più rapido e le piante portavano già le prime tracce<strong>del</strong>l'arsura <strong>del</strong> deserto. Apparivano tisiche, colle foglie gialliccee abbassate, coi rami deboli ed i tronchi esili. Ad un tratto, allosvolto d'una gola, il marchese ed i suoi compagni viderodistendersi una pianura ondulata, coperta di sabbie e di magricespugli, che si perdeva fra un orizzonte color <strong>del</strong> fuoco a striscefiammeggianti.– Il deserto! – esclamò Ben Nartico.– Col suo simun – disse Rocco. – Guardate quella nuvolaimmensa che s'avanza al di sopra <strong>del</strong>le sabbie.– T'inganni – disse il marchese. – Se il simun soffiasse sivedrebbero tutte queste colline sabbiose in movimento.– Cos'è dunque quella nuvola? Che nel deserto piova?Eppure mi hanno detto che non cade mai una goccia d'acqua.– Altro errore, mio bravo Rocco.– Come! L'ho letto sui libri.– Ebbene quei libri hanno mentito perché anche nel Saharapiove, è vero Ben?– Sì, marchese, fra il luglio e l'ottobre qualche acquazzonecade, solamente però in certe località <strong>del</strong> deserto. In altrepassano talvolta dieci e anche quindici anni senza che unagoccia scenda ad inumidire le sabbie.– Eppure quella è una nube e anche molto oscura –insistette il sardo. – La vedrebbe anche un cieco.– Dubito che siano vapori acquei – disse Ben Nartico ilquale la osservava attentamente.– C'è da compiangere quel povero vecchio che abbiamo75


lasciato or ora – disse in quell'istante El-Haggar, accostandosi.– E perché? – chiese il marchese.– Fra due o tre ore non gli rimarrà un filo d'erba per nutrirei suoi montoni e anche la foresta perderà le sue foglie. È bensìvero che si compenserà facendo <strong>del</strong>le abbondanti scorpacciate dicavallette.– Di cavallette, hai detto? – chiese Nartico.– Sì, perché quella nube che s'avanza verso di noi è formatada milioni e milioni di quei piccoli animaletti. Le uova sepoltefra le sabbie si sono schiuse e le locuste, affamate, si getterannosul Marocco portando dovunque la desolazione.– E non sono capaci d'arrestarne l'invasione i vostricompatrioti? – chiese Rocco.– In quale modo?– Accendendo dei fuochi e mandando incontro allecavallette reggimenti di contadini.– Non servirebbero a nulla – disse il marchese. – Tu nonpuoi farti un'idea <strong>del</strong>la quantità enorme di locuste che piombanosulle campagne. Vedrai come queste piante verranno spogliate inpochi minuti. Non rimarrà più né una foglia, né un filo d'erba.Un uragano, una tromba, un ciclone sono niente in paragone aidanni che commettono le emigrazioni di questi animaletti.– Anche da noi se ne vedono, ma si arrestano, signore.– Non sempre, mio caro Rocco. Anche in Europa abbiamoavuto invasioni gigantesche che hanno distrutto i raccolti diprovince intere. Talune poi sono rimaste storiche. Nel 1690 peresempio, la Lituania e la Polonia furono invase da tali bande dilocuste che i rami degli alberi si piegavano fino a terra, mentre icampi erano coperti da strati alti non meno di un metro.– Che gioia per quei contadini!– Perdettero tutto, perfino le radici <strong>del</strong>le piante e le lorocase furono invase da tali enormi quantità, da costringerli a76


fuggire. Quando ritornarono, anche le dispense erano vuote.– Un vero disastro! – disse Ben.– Anche la Francia nel 1613 si vide rovinare addosso unsimile flagello che distrusse i raccolti di parecchie province eche costò somme rilevanti per sbarazzarsi da quei minuscoliinvasori. La sola Marsiglia spese non meno di trentamila lire perassoldare gente onde li cacciasse in mare. Nel 1750 invececomparvero nella Transilvania e così numerose che si dovettemandare un corpo di millecinquecento soldati per distruggerle.– Suppongo che non avranno adoperato i fucili – disseRocco, ridendo.– Ecco l'avanguardia che arriva – disse Ben Nartico. –Prima che ci piombino addosso inoltriamoci nel deserto. Dovenon vedono verzura non calano.I cammelli, per un istante arrestati, scesero gli ultimiburroni, inoltrandosi con sufficiente rapidità fra le sabbie.Le prime colonne di locuste giungevano già, tenendosi acinquanta o sessanta metri dal suolo. Erano battaglioni, stretti inmodo da intercettare perfino la luce <strong>del</strong> sole e altri li seguivanoformando, collo sbattere <strong>del</strong>le loro alette, un rumore strano chesi avrebbe potuto paragonare al rombo che produce un saltod'acqua.– Quante sono? – si chiese Rocco, il quale guardava, constupore, quelle immense bande volteggianti sopra la carovana. –E non poterle distruggere! Pare impossibile!– E anche uccidendole crederesti tu che sarebbe evitatoogni pericolo? – disse il marchese. – Si salverebbero lecampagne, ma quante vite umane si spegnerebbero! Lascia chequelle enormi masse si corrompano sotto questo ardente calore esi svilupperebbe presto il cholera o la peste.– È vero, marchese – disse Ben Nartico.– Molti secoli or sono, appunto sulle coste <strong>del</strong>l'Africa77


settentrionale, un numero sterminato di cavallette veniva spinto,da un vento furioso, nel Mediterraneo.Le onde però poco dopo rigettarono alla spiaggia quellelegioni e l'aria si infettò talmente da sviluppare una tremendapestilenza. Si dice che morissero ben ottocentomila abitanticompresi trentamila soldati di guarnigione nella Numidia.– È meglio che divorino le campagne – disse Rocco.– E che noi ce ne andiamo, o la carovana di Beramet andràtanto innanzi da non poterla più raggiungere. Signori, salutiamoil deserto!Pochi minuti dopo uomini e cammelli calpestavano leardenti sabbie <strong>del</strong> Sahara mentre i battaglioni di locustecontinuavano a volare in ranghi sempre più fitti, producendo unaforte corrente d'aria ed un rombo incessante.78


IL DESERTO DI SAHARACome già si sa, il Sahara è il più vasto deserto <strong>del</strong> globo, lapiù grande distesa di sabbia che esista e anche la più infuocataperché la temperatura che regna fra quelle pianure sconfinatenon si riscontra in nessun altro luogo.Esso si estende dal 16° al 30° di latitudine Nord fra il 27°di longitudine Est ed il 19° 22' di longitudine Ovest, con unalunghezza di 4500 chilometri ed una larghezza approssimativadi 1000.La sua superficie si può calcolare a 4.400.000 chilometriquadrati, ma che sia esattamente la vera si può dubitarne.Contrariamente a quanto finora è stato detto ed è statocreduto, il Sahara non è quell'immensa pianura, coperta tutta disabbie e senza una goccia d'acqua, una specie di mare di fuocoestremamente pericoloso da attraversare, come si è dato adintendere.E così pure non è un gigantesco bacino, che assomigli adun mare asciutto, o meglio ad un piccolo oceano, data la suavastità.Esso ha pianure, ha bassure, ma ha pure altipiani, rocce eperfino catene di montagne imponenti, sulle quali l'acqua – cosaincredibile per molti forse – durante la notte giunge perfino agelare, perché quelle giogaie, specialmente quelle <strong>del</strong>l'Haggar,raggiungono l'altezza di duemila e cinquecento metri.Che più? Il Sahara ha perfino dei fiumi, corsi d'acqua chenon sono perenni, questo è vero, e che tuttavia in certe epoche<strong>del</strong>l'anno scorrono furiosamente per non poche settimane.Tali sono gli ouadi che si perdono poi nelle sabbie e che79


sboccano in luoghi che rimangono asciutti per la maggior parte<strong>del</strong>l'anno.Dobbiamo però dire che vi sono certi luoghi ove la pioggianon cade che a lunghissimi intervalli, una volta forse ogniquindici o vent'anni, e dove il calore raggiunge e anche sorpassai 50°. Nelle oasi invece, durante la stagione invernale, non è raroavere la temperatura a 7° e così pure sugli altipiani<strong>del</strong>l'Jmoschag, di Tasili, di Egele, di Muydir e sui monti<strong>del</strong>l'Adrar, <strong>del</strong> Moghtar, <strong>del</strong> Waran e <strong>del</strong>l'oasi di Air ove siinnalza il monte Tinge che raggiunge i 1330 metri sul livello <strong>del</strong>mare.Le dune di sabbia quindi non si estendono su tutto ildeserto, come si è creduto fin ora. Occupano solamente laregione bassa che si estende al sud ed al sud-est <strong>del</strong> Marocco eal sud-est <strong>del</strong>la Tripolitania spingendosi fino quasi sulla rivasinistra <strong>del</strong> Nilo.Quello è il vero deserto, caldissimo, senz'acqua, senzavegetazione, non crescendovi che poche erbe chiamate agul epochi arbusti di piante gommifere.È là che soffia quel terribile vento caldo chiamato simunche dissecca ed assorbe gli umori <strong>del</strong>le piante e che fa evaporarerapidamente l'acqua contenuta negli orti e che sconvolge lesabbie elevandole a prodigiose altezze e che non di radoseppelliscono <strong>del</strong>le intere carovane.Nondimeno anche in quella pericolosa regione l'acqua nonmanca e scavando la si trova quasi dappertutto. Anzi in questiultimi anni degli europei hanno aperto, con felice successo, nelleoasi boreali, non pochi pozzi artesiani che danno acqua cosìabbondante da servire all'irrigazione dei terreni circostanti.I pericoli maggiori, più che dalle sabbie e dai venti,provengono invece dai suoi abitanti, dai Tibbù e dai Tuareg,popoli d'origine araba, che vivono esclusivamente di rapina,80


taglieggiando e saccheggiando le carovane che attraversano ildeserto, gente intrepida e feroce, fanatica e selvaggia, che si faun vanto <strong>del</strong>l'uccisione d'un cristiano.Come si vede molte leggende sono state sfatate suitremendi pericoli <strong>del</strong> grande deserto e forse Soleillet, il famosoesploratore francese, non ha avuto il torto a dichiarare,quantunque sembri un paradosso, che la via migliore per andaredall'Algeria al Niger è quella <strong>del</strong> deserto e se il Sahara è tale lo èunicamente perché nessuno lo ha coltivato!***La carovana <strong>del</strong> marchese di Sartena, si era inoltratacoraggiosamente nel deserto, procedendo su una lunga fila. Ilmoro a cavallo <strong>del</strong>l'asino, teneva la testa, nella sua qualità diguida, orientandosi senza bisogno di bussola, perché agliabitanti <strong>del</strong> Sahara bastano il sole e la stella polare; dietroveniva il cammello di Esther, circondato dal marchese, da Roccoe da Ben, poi tutti gli altri animali trattenuti da corde onde non sisbandassero. Il deserto si estendeva a perdita d'occhio,confondendosi col fiammeggiante orizzonte, ma non era unapianura liscia, era invece un continuo succedersi di gibbositàsabbiose, disposte in mille forme, più o meno alte, cosparse quae là da magre erbe e da hedysarum albagi, piante che hannovaste radici, alte un mezzo piede, con foglie corte, oscure ed apunte spinose e <strong>del</strong>le quali i cammelli sono molto ghiotti. Inlontananza si scorgeva ancora qualche gruppo di datteri, colleloro lunghe foglie piumate che spiccavano vivamente sul fondoluminoso <strong>del</strong> cielo, ma già tisici ed ingialliti dai soffi ardenti <strong>del</strong>simun.– Che tristezza! – esclamò il marchese. – E che silenziosoprattutto regna fra queste sabbie.81


– Ed abbiamo appena cominciato – disse Rocco.– Ci abitueremo.– E il deserto non ci sembrerà tanto triste – disse BenNartico. – Forse che i carovanieri non amano queste sabbie?Quando tornano al Marocco sospirano il momento di rivedere illoro Sahara.– Eppure non devono passare una vita troppo allegra qui.– È vero, marchese – rispose l'ebreo. – Quella <strong>del</strong> deserto èuna esistenza di stenti, di privazioni inaudite e anche di pericoliincessanti. Ogni anno un buon numero di quegli intrepidiviaggiatorilasciano le loro ossa a calcinarsi sotto l'ardente sole<strong>del</strong> deserto, eppure gli altri non si scoraggiano e continuano leloro immense traversate.– Miete molte vite il simun? – chiese Rocco.– Lo saprete dagli scheletri che incontreremo sul nostrocammino – rispose Ben Nartico. – Si può dire che le vie checonducono al Niger sono tutte coperte di ossa di uomini ed'animali. Non è raro che una carovana intera venga copertadalle sabbie e scompaia per sempre.– Diavolo! – esclamò Rocco. – Ciò non è certoincoraggiante.– Senza contare poi quelle che muoiono per mancanzad'acqua – disse il marchese.– Al Marocco si ricorda ancora, con orrore, quella <strong>del</strong>1805, che perì tutta per aver trovati i pozzi interamente asciutti –disse Ben.– Era numerosa? – chiese Rocco.– Si componeva di duemila persone e di milleottocentoanimali fra cammelli e asini.– E perì tutta?– Furono trovati quei cadaveri ammonticchiati attorno aipozzi asciutti.82


– Che ecatombe!... – esclamò il marchese.– Speriamo che non tocchi anche a noi una simile sorte –disse Rocco. – Mi rincrescerebbe lasciare la mia povera pelle adisseccare fra queste sabbie.Mentre chiacchieravano la carovana procedeva lentamente,serpeggiando fra quelle dune infinite. Il caldo cominciava adiventare insopportabile e la luce, riflessa dalle sabbie, ferivacru<strong>del</strong>mente gli occhi, mentre una polvere impalpabile si levavasotto i piedi degli animali, cadendo dovunque e provocandofrequenti colpi di tosse. Certi momenti pareva che dalle millefessure <strong>del</strong> suolo scaturissero vampe, come se sotto quellesabbie ardessero laghi di lave disciolte, eruttate da vulcaniinvisibili. Anche quel silenzio, non interrotto né da un gridod'uccello né dal ronzio d'un insetto, né dall'urlo d'uno sciacallo,produceva uno strano effetto come di sconforto e di tristezzasull'animo <strong>del</strong> côrso e <strong>del</strong> sardo, non abituati alle terribili marcenel deserto. Il marchese, si era provato a cantare un'arietta natia,ma aveva presto cessato, giacché la polvere impalpabile glientrava fra le labbra disseccandogli le fauci. E poi, quella voce,sperdendosi in quelle sabbie sconfinate, pareva che invece dirallegrare cagionasse maggior tristezza, perché si spegnevabruscamente senza eco, come se il calore l'assorbisse al pari<strong>del</strong>l'umidità. A mezzogiorno, dopo una marcia di quattro ore, lacarovana si arrestava presso una minuscola oasi formata da unadozzina di datteri già carichi di frutta <strong>del</strong>iziose e di pochi cespidi lichen esculentus. Il deserto si può dire la patria <strong>del</strong> datteroperché nelle oasi vi cresce spontaneamente, senza richiederecoltura alcuna, resistendo tenacemente alle sabbie ed alle lunghesiccità e sfidando impavido i terribili calori che tutto disseccano.Se il cammello è necessario all'abitante <strong>del</strong> deserto, il dattero loè maggiormente e si comprende la venerazione che egli ha perquesta pianta senza <strong>del</strong>la quale non potrebbe forse vivere. Ed è83


infatti dal dattero che i Tuareg ed i Tibbù estraggono quanto ènecessario alla loro esistenza. Le foglie tenere servono lorod'insalata e si digeriscono facilmente; da quelle asciutte,mediante incisioni, estraggono un succo lattiginoso rinfrescantechiamato latte di dattero molto gustoso al palato, ma che si devebere subito, perché inacidisce rapidamente; da quelle piùvecchie prima rammollite e poi battute, ottengono stuoie assairesistenti, tappeti, panieri, cappelli e corde solidissime. Glispatici dei fiori, quando sono freschi, costituiscono pure un ciboeccellente e salubre. Dagli spatici spogliati invece ottengono<strong>del</strong>le buone scope. Dalle frutta poi, che come si sa contengonouna grande quantità di zucchero, d'amido e di mucillagine, iTuareg ricavano una farina che si mantiene per lungo tempo, cheè assai nutriente e che forma, si può dire, il loro principalenutrimento. Ma non si limitano alla sola farina, perchéottengono anche uno sciroppo squisito, chiamato miele didattero che serve di condimento al riso od al miglio e, lasciandofermentare le frutta, ne ricavano un vino assai gustoso chepossono convertire in aceto ed in alcool mediante ladistillazione. Perfino il legno di queste meravigliose piante èpregiato; essendo durissimo e quasi incorruttibile, dà dei carboniche sviluppano un calore di poco inferiore a quello dei fossili.Cosa si potrebbe ricavare di più da una pianta che non richiedepoi nessuna cura e che cresce là dove tutte le altre morirebbero?Mentre il marchese aiutato da Esther e dal moro rizzava duetende, volendo prolungare la fermata fino al tramonto, e Roccopreparava la colazione, Ben ed i due cammellierisaccheggiavano le piante. Quando tornarono, i loro panieri eranocolmi di quelle belle e <strong>del</strong>iziose frutta, di forma ovoidale,carnose, coperte d'una pellicola lucida, d'un color rossogiallastroe giallo-bruno.– La raccolta è stata abbondante – disse Ben. – Si potrebbe84


fare <strong>del</strong>l'eccellente miele.– E chi se ne incaricherà? – chiese il marchese.– Io, signore – rispose Esther che stava succhiando, collesue piccole labbra, rosse come corallo, un frutto giunto aperfetta maturanza.– Fatto da voi sarà più gustoso – disse il marchese,galantemente. – Se permettete io cercherò d'aiutarvi, ma sarò unpessimo lavoratore.– Giacché vi offrite, vi prendo subito in parola – disseEsther, ridendo ed arrossendo ad un tempo. – La fabbricazionene è facile.– Ed io intanto vi procurerò un vaso di latte di dattero –disse Ben. – La pianta morrà poi, ma qui ve ne sono parecchie euna più o una meno, non sarà gran cosa.– E perché cesserà di vivere? – chiese il marchese.– Si inaridisce presto e dopo pochi giorni appassisce <strong>del</strong>tutto. È perciò che i Tuareg scelgono od i maschi superflui o lefemmine che hanno cessato dal produrre frutta.Prese un otre, si arrampicò su una pianta e, tagliate alcunefoglie, fece presso la cima una profonda incisione circolarequindi un'altra verticale, più leggera. Non erano trascorsi alcuniminuti che già il liquido, molto lattiginoso, sgorgavaabbondantemente raccogliendosi nel recipiente. Mentre Benattendeva che la pelle si riempisse, il marchese, Esther e Roccofabbricavano il miele, operazione facilissima non richiedendoche <strong>del</strong>la forza ed un vaso di terra col fondo bucherellato. Bastariempirlo di datteri ben maturi e comprimere i frutti finché lapolpa sfugge attraverso i fori, privandosi così <strong>del</strong>le ossa cherimangono invece dentro assieme alle pellicole. Ne ottennerocosì quattro grossi vasi, che dovevano servire a variare i pasti.Bevuto il latte e divorata la colazione, tutti si stesero sotto letende o all'ombra <strong>del</strong>le piante a godersi un po' di sonno, mentre i85


cammelli russavano in mezzo alle ardenti sabbie, insensibilicome le salamandre ai morsi terribili <strong>del</strong> sole.86


LE PANTERE DEL SAHARAQuando la carovana si ripose in cammino, il sole stava pertramontare fra un vero oceano di fuoco. L'astro, ancorasfolgorante di luce, declinava rapidamente tingendo d'un rossoinfuocato la sterminata distesa di sabbie, mentre la luna sorgevadal lato opposto, pure rosseggiante come un disco di metalloappena reso incandescente. I cammelli, ben riposati, s'eranomessi in cammino con passo più rapido <strong>del</strong> solito, non ostante ilcalore intenso che ancora regnava fra quegli eterni cumuli disabbie e che doveva mantenersi a lungo, anche dopo scomparsoil sole.Un'afa pesante, che rendeva la respirazione difficile,gravava sul deserto, sugli uomini e sugli animali, ma larifrazione <strong>del</strong>le sabbie, così dolorosa agli occhi, specialmenteper le persone che non vi sono abituate, era almeno scomparsa eciò era già molto pel marchese e Rocco, le cui palpebre avevanosofferto assai durante la mattina. A poco a poco le ombre <strong>del</strong>lasera calavano. Pareva che salissero da oriente e che siestendessero sopra il deserto come un immenso velo il qualeandava sempre più oscurandosi. Ad occidente invece l'orizzontefiammeggiava ancora, come se dei crateri vomitassero pelfirmamento cortine di fuoco e di lave. I tramonti <strong>del</strong> desertosono impareggiabili, pieni di poesia misteriosa e di malinconia,resa ancora maggiore dal silenzio profondo che regna su quellesterminate lande, un silenzio di cui non se ne può formarsiun'idea. Nelle foreste, nelle pianure, sulle montagne, nei burronianche più selvaggi s'ode sempre qualche rumore. O il monotonotrillare dei grilli, od il ronzìo degli insetti notturni, od il87


mormorìo d'un fiume, od il lontano scrosciare d'una cascata, odil sussurrìo <strong>del</strong>le foglie scosse dal venticello notturno. Neldeserto invece nulla, assolutamente nulla, perché la natura èmorta. Solamente qualche volta, di notte, il misterioso silenzioviene rotto bruscamente dall'urlo lamentevole di qualchesciacallo vagante fra le dune in cerca di preda, ed è un urlo cheinvece di rallegrare l'anima vi apporta maggior tristezza. Il soleera scomparso e la luna si era alzata sopra l'orizzonte, salendolentamente su un cielo d'una trasparenza incredibile. I suoi raggisi riflettevano vagamente sulle sabbie e proiettavanosmisuratamente le ombre dei cammelli e dei cavalli.– Si direbbe che questo è il regno dei morti – disse ilmarchese. – Pare che la carovana sia seguìta da una legione dispettri striscianti sulle sabbie. Eppure quanta poesia! Noncredevo che le notti fossero così splendide nel deserto. Hanno<strong>del</strong>la tristezza, è vero, ma quale calma maestosa regna fra questepianure! Cosa ne dici Rocco?– Che io sudo come mi trovassi in un forno – rispose ilsardo, che non condivideva quell'entusiasmo – e che pagherei apeso d'oro una bottiglia di birra gelata.– Ah! Il sibarita!– Non mi negherete, signor marchese, che qui faccia moltocaldo. Si direbbe che fra queste sabbie corrano <strong>del</strong>le vampeterribili. Che ci siano dei vulcani qui sotto?– Il Sahara non ne ha nemmeno uno, mio bravo Rocco.– Ditemi, signor marchese, che il Sahara sia stato semprecosì?– Gli antichi lo hanno sempre veduto coperto di sabbie.– Che non sia possibile trasformarlo?– Stanno già tentandolo, e con successo.– E chi?– I francesi <strong>del</strong>l'Algeria meridionale hanno già cominciato88


a coltivarne una parte, creando numerose oasi produttive, dove idatteri e le piante gommifere crescono a profusione.– Come! Sono riusciti a rendere queste sabbie coltivabili? –chiese Ben Nartico.– Sì, e fra pochi anni sarà sfatata la leggenda che il Saharasia una regione arida ed inabitabile. Si è creduto finora che sottoqueste sabbie mancasse assolutamente qualsiasi tracciad'umidità, mentre invece si è constatato ormai che l'acquaabbonda dovunque. Ed infatti come potrebbero vivere le palme<strong>del</strong>l'oasi, se le loro radici non toccassero uno strato umido?– È vero, marchese, ed è stato osservato che in quelle oasiove i pozzi franavano, le piante morivano rapidamente.– Ebbene, il generale Desvaux, convinto che l'acqua nonmancasse, ha voluto fare degli esperimenti i quali hanno datodei risultati sorprendenti. Accertatosi che il sottosuolo <strong>del</strong>Sahara era come un immenso lago sotterraneo compreso fra duestrati impermeabili, diede all'ingegnere Jus l'incarico di aprire unpozzo artesiano. La perforazione terminata nel giugno <strong>del</strong> 1856,a Gedida, diede completa ragione al bravo generale, perché siebbe un getto abbondantissimo, il quale forniva quattromila litrid'acqua al minuto, tanto cioè da poter innaffiare una <strong>del</strong>lemaggiori oasi. Dietro quel pozzo altri se ne sono aperti ed altri siapriranno in seguito, e le oasi crescono ora rapidamentevincendo le sabbie. Ormai al sud <strong>del</strong>l'Algeria, su terreni cheprima erano assolutamente sterili, si vedono splendidepiantagioni di datteri che rendono non meno di venti milioniall'anno.– È meraviglioso! – esclamò Ben Nartico.– È il principio <strong>del</strong>la trasformazione <strong>del</strong> deserto – disse ilmarchese. – Fra qualche secolo una buona parte <strong>del</strong> Sahara saràresa produttiva mercé l'attività ed il genio degli europei.– Ho anche udito a parlare d'un progetto grandioso, ossia89


<strong>del</strong>la trasformazione d'una parte <strong>del</strong> deserto in un mare.– Sì, Ben e non mi stupirei che un giorno diventasse realtà.Ferdinando di Lessep, il costruttore <strong>del</strong> meraviglioso canale diSuez, ha non solo studiato il progetto, ma anche affermata la suariuscita. Si tratterebbe d'inondare 8000 chilometri quadrati dideserto, ossia tutta la parte bassa, mediante un canale lungocentosessanta chilometri da aprirsi a Gabes. Dieci anni di tempoe duecento milioni, ecco quanto sarebbe necessario per attuarequesta grandiosa idea.– Si sommergerebbero però molte oasi.– Questo è vero Ben, ma quali vantaggi ne ricaverebbero ilcommercio e soprattutto le potenze mediterranee messe così incomunicazione facile colle ricche regioni <strong>del</strong> Sudan?– E si farà?– Chi può dirlo? Il governo francese ha dichiarato per orache non può incoraggiare l'impresa; ciò però che si è negatooggi, si potrebbe concedere domani.– Allora addio carovane – disse Rocco. – La poesia <strong>del</strong>deserto sarebbe finita.– Scommetterei però che saresti ben più contento di passaresopra queste sabbie seduto comodamente sul ponte d'un battelloa vapore – disse il marchese, ridendo.– Rinuncerei volentieri ai cammelli ed ai loro cammellieri eanche ai datteri, per quanto siano eccellenti. E voi Ben?L'ebreo stava per rispondere quando in mezzo alle dunesabbiose echeggiò improvvisamente un urlo acuto, terribile,l'urlo d'una creatura umana alle prese colla morte.– Chi chiama aiuto? – chiese il signor di Sartena, fermandobruscamente il cavallo e staccando dall'arcione il fucile.Tutti si rizzarono sulle staffe per abbracciare maggiororizzonte. Le dune erano così alte in quel luogo, da non poterspingere gli sguardi molto lontano. In quel momento il grido si90


ipeté più distinto. Quella voce aveva urlato in lingua araba:– Aiuto! Aiuto!– Laggiù si ammazza qualcuno – disse il marchese,preparandosi a lanciare il cavallo al galoppo.– Adagio, signore – disse Ben. – Non dimenticate chesiamo nel deserto e che questo è il regno dei Tuareg.– Abbiamo <strong>del</strong>le buone armi.Il marchese spronò il cavallo e si slanciò là dove eranopartite quelle grida. Ben e Rocco l'avevano seguìto mentre ilmoro ed i due beduini si disponevano attorno al cammellod'Esther, impugnando i loro lunghi fucili. Superate alcune dune,il marchese si trovò dinanzi ad una bassura cosparsa di magricespugli formati da erbe albagi e vide disteso al suolo un uomoavvolto in un caic oscuro, il quale si dibatteva disperatamentecontro un grosso animale che tentava d'azzannarlo. Vedendosopraggiungere i cavalieri, la fiera aveva fatto un rapido balzoindietro, piantandosi solidamente sulle corte e robuste zampe emostrando la bocca irta di denti aguzzi. Era un animale grossoquasi quanto un leone, con una testa allungata, il musosporgente, il collo corto ed il corpo robusto, le gambe grosse edil pelame giallo-rossiccio a macchie ed a rosette nerastre. Conun solo sguardo il marchese aveva subito riconosciuto con qualeavversario aveva da fare.– Una pantera <strong>del</strong> deserto! – esclamò. – Adagio! Non èmeno da temersi dei leoni.Balzò rapidamente a terra, avendo ben poca probabilità difar fuoco con qualche certezza di riuscita su quel cavallo che giàcominciava ad impennarsi, poi gridò ai compagni:– Occupatevi <strong>del</strong>l'uomo voi; io penso alla pantera.La fiera, comprendendo che nulla aveva da guadagnare inquella lotta, aveva cominciato ad indietreggiare verso unammasso di rocce nere che emergevano fra le sabbie.91


Il marchese stava per puntare il fucile, quando tutto d'untratto la vide sparire entro una spaccatura che prima non avevaosservata.– Ah! Si è intanata! – esclamò. – Ti scoveremo più tardi,mia cara.Certo ormai di tenerla in suo potere e che non avrebbeosato abbandonare il suo rifugio, raggiunse Ben e Rocco i qualiavevano sollevato l'uomo che era stato assalito dal formidabilepredone <strong>del</strong> deserto. Era un individuo di cinquanta osessant'anni, dalla pelle molto bruna, con una barba lunghissimae completamente bianca, gli occhi nerissimi animati da un fuocoselvaggio ed il corpo d'una magrezza spaventosa. Aveva il capocoperto da un turbante d'una bianchezza dubbia e un ampio caicrattoppato.Indosso nessuna arma, eccettuato un nodoso bastone.Nondimeno doveva essersi difeso gagliardamente control'attacco <strong>del</strong>la belva, perché non aveva riportato che una solagraffiatura che deturpava la gota sinistra.– Iddio vi sarà riconoscente – disse, quando Rocco gli ebbelavata la ferita. – Credevo che la mia ultima ora fosse giunta.– Chi siete e cosa fate qui solo nel deserto? – chiese ilmarchese.– Sono un povero marabuto e mi sono smarritoallontanandomi dalla carovana colla quale marciavo. Da cinquegiorni cammino alla ventura.– Potete reggervi?– Muoio di fame signore e sono così sfinito che non ho piùla forza necessaria per fare un passo.– Vi metterò sul mio cavallo – disse Ben. – Desiderereiprima sapere da dove venite.– Dal Sahara centrale, dalle oasi di Argan e di Birel-Deheb.Nartico scambiò col marchese un rapido sguardo che92


voleva significare:– Quest'uomo può essere prezioso.– Rocco – disse il marchese. – Conduci questo poverodiavolo da El-Haggar e fa' accampare i cammelli. Noi intantocercheremo di scovare la pantera.– Lasciatela andare, signore – rispose il sardo.– No, mio bravo Rocco; conto di regalarmi una magnificapelliccia.L'ercole prese fra le robuste braccia quel corpomagrissimo, lo pose sul proprio cavallo e si allontanò fra ledune.– Che cosa volevate dire con quello sguardo? – chiese ilmarchese a Ben, quando furono soli.– Che quel marabuto potrebbe darvi <strong>del</strong>le prezioseinformazioni sulla strage <strong>del</strong>la missione Flatters. Se egli vienerealmente dal Sahara centrale, ne saprà qualche cosa di certo eforse più di quanto c'immaginiamo.– L'avevo pensato anch'io, Ben. Però...– Parlate.– Dovrò fidarmi di quell'uomo? I marabuti sono fanatici.– Non vi potrà tradire perché deve aver molta fretta diritornare nel Marocco. Ho veduto che possiede una borsa bengonfia, segno sicuro che la sua questua è stata abbondante anchefra i Tuareg. Gli doneremo un cammello e lo manderemo aTafilelt.– Più tardi lo interrogheremo; per ora, occupiamoci <strong>del</strong>lapantera.– Ci tenete molto ad avere la sua pelle?– Sono un appassionato cacciatore.– Allora andiamo a scovare quell'animale, se ciò vi fapiacere. Non sarà cosa lunga.– Purché si decida a lasciare il suo covo!93


– Ve la costringeremo, marchese. Gli sterpi ben secchi quinon mancano e non avremo da faticare per accenderli.– Volete affumicarla, Ben?– Sì, se si ostina a non mostrarsi.Legarono i cavalli l'uno all'altro e s'accostaronoall'ammasso di rocce, tenendo le dita sui grilletti dei fucili. Infondo a quella specie di corridoio videro subito brillare duepunti luminosi dalla luce verdastra e udirono un rauco brontolìo.– Ci spia – disse il marchese.– Badate, marchese. Se è una femmina ed ha dei piccini, sidifenderà disperatamente.– Le mie cartucce sono di prima qualità, Ben. Ah! èscomparsa! Che sia molto profonda la tana?– Proverò a far fuoco; voi tenetevi pronto a dare il colpo digrazia, marchese.– L'aspetto – rispose il signor di Sartena, il quale nonperdeva un atomo <strong>del</strong>la sua calma.– Ed anch'io – disse una voce.– Ah! Tu Rocco!– Volevate che vi lasciassi soli nel pericolo? – chiese ilsardo. – Ah! No, per Bacco! Il marabuto è nelle mani <strong>del</strong>lasignorina Esther e non ha più bisogno di me.– Attenzione – disse Ben.Si avanzò fino a cinque passi dal crepaccio, abbassò l'armae la scaricò entro.Lo sparo fu seguìto da un urlo, ma la fiera non uscì.– Che la galleria sia più ampia di quanto supponiamo? –chiese il marchese.– Forse descrive qualche curva – rispose Ben – e la miapalla non ha colpito che le rocce.– Affumichiamola – propose Rocco. – Quando non potràpiù resistere, balzerà fuori.94


Gli sterpi non mancavano in quel luogo. Mentre ilmarchese rimaneva a guardia <strong>del</strong> crepaccio, Ben ed il sardostrapparono alcune bracciate di albagi e le gettarono, colledovute precauzioni, dinanzi alle rocce. La pantera, quasi si fosseaccorta <strong>del</strong>le loro intenzioni, aveva incominciato a brontolare,aumentando rapidamente il tono. Erano urla rauche, cavernose,ripiene di minaccia e che annunziavano un imminente assalto.– Questi preparativi non le garbano – disse il marchese. –Ed infatti non deve essere molto divertente farsi abbrustolire ibaffi.Rocco accese un zolfanello e andò, con pazza temerità, adar fuoco agli sterpi.Stava per ritirarsi, quando la belva, con uno slanciorepentino, gli si scagliò addosso attraversando le fiamme collarapidità <strong>del</strong>la folgore. L'assalto era stato così improvviso, che ilgigante non aveva potuto reggere all'urto ed era cadutopesantemente sul dorso.– Fuggi! – aveva gridato il marchese.Era troppo tardi per pensare ad una ritirata. La belva gli siera gettata sopra con furia incredibile, cercando di dilaniarlocolle poderose unghie. Fortunatamente il sardo era dotato d'unaforza veramente erculea. Vedendosi perduto e nell'impossibilitàdi evitare l'attacco, aveva stretto le braccia attorno alla panteracon tale rabbia da strapparle un urlo di furore. Un orso grigionon avrebbe potuto fare di più con un giaguaro. Rocco nonlasciava la preda, mettendo a dura prova le costole e la spinadorsale <strong>del</strong>la belva. Il marchese e Ben erano balzati innanzi, manon osavano far fuoco per paura di uccidere, colla medesimapalla, anche il compagno il quale formava colla sua avversaria,una massa sola.– Scostati, Rocco! – urlava il marchese. – Lasciala andare!Il sardo però non la intendeva così. Temendo di provare95


quelle unghie dure come l'acciaio, raddoppiava gli sforzi pernon lasciarla libera. Le sue braccia poderose si stringevanosempre più facendo scricchiolare l'ossatura <strong>del</strong>la fiera.– Lasciate fare, padrone – diceva. – Cederà!La pantera, sentendosi soffocare, faceva sforzi prodigiosipar liberare le zampe e tentava di azzannare il cranio <strong>del</strong> suonemico. Urlava ferocemente mandando schiuma dalla golasanguinosa e dimenava pazzamente la coda con moti convulsi. Isuoi occhi, che avevano dei bagliori sinistri, pareva che glischizzassero dalle orbite. Ad un tratto mandò un urlo più rauco,poi s'abbandonò, mentre le potenti braccia <strong>del</strong> sardo sirinserravano, più strette che mai, attorno al corpo.– Va'! – gridò l'ercole, scagliandola a quattro o cinque passilontano. – Marchese, potete dargli il colpo di grazia.L'avvertimento giungeva a tempo. La pantera, mezzasoffocata e forse colle costole rotte, stava per rialzarsi. Due palleche le attraversarono il cranio la fecero cadere e per sempre.– Mille demoni! – esclamò il marchese, che non si eraancora rimesso. – Quale vigore sovrumano possiedi tu, oRocco?– Due solide braccia – rispose il sardo sorridendo.– Da sfidare quelle d'un gorilla.– Se troverò una di quelle scimmie gigantesche, la sfideròalla lotta, marchese.– Potevi venire dilaniato.– Ah! Bah! Ho un pugno che può ammazzare un bue,l'avrei messo in opera.– Ecco un uomo che ne vale venti – disse Ben. – Se iTuareg ci assaliranno io non vorrei trovarmi nei loro panni.– E nemmeno io – disse il marchese. – Mio caro Rocco, miguarderò dall'attaccar briga con te. Ne uscirei con tutte le costolefracassate!96


LE CONFESSIONI DEL MARABUTOQuando tornarono all'accampamento, che era stato piantatosul margine di quella bassura, trovarono il marabuto sedutodinanzi ad una pentola di miglio condito con sciroppo di datteri,un vero manicaretto per gli abitanti <strong>del</strong> deserto. Il poverodiavolo, a digiuno da cinque giorni, divorava con un'avidità tale,da temere che se ne andasse al paradiso di Maometto con unacolossale indigestione. Nel deserto doveva aver sofferto nonpoco, a giudicarlo dalla sua spaventosa magrezza, quantunque imarabuti sieno più o meno tutti patiti in causa dei lunghi viaggiche intraprendono e anche dei lunghi digiuni a cui sisottopongono. Questi uomini sono i più fe<strong>del</strong>i apostoli<strong>del</strong>l'islamismo e godono fama di santoni, appartenendo ad unasetta che ha lo scopo di propagare la fede <strong>del</strong> Profeta arabo.S'incontrano dappertutto sui margini <strong>del</strong> deserto, sia nelMarocco meridionale, come nell'Algeria e nella Tripolitania.Vivono in tempietti foggiati a due o tre cupole, situati su unrialzo di creta, e quasi sempre soli. Sono, si può dire specie dimonaci, buoni taluni, austeri, dediti a privazioni ed a lungheastinenze; feroci impostori e orgogliosi gli altri. Talvolta hannomoglie, una sola però, quantunque la legge maomettana nepermetta parecchie, nondimeno per lo più vivono in un perfettoisolamento, occupando il loro tempo a studiare il Corano ed adigiunare. I più ignoranti invece si abbandonano a pazze danzeal pari dei dervis giranti <strong>del</strong>la Turchia, roteando intorno a sestessi finché cadono sfiniti o svenuti. Vi sono fra loro anche deifamosi ciurmatori, che pretendono di operare miracoli, di parlareper la bocca dei defunti e che in tempo di guerra pronosticano le97


vittorie o che vendono amuleti che devono spuntare le armi deinemici e arrestare perfino le palle dei cannoni!... Si vantanoanche di essere dottori, e le loro ricette consistono sempre in unpezzo di carta su cui vergano <strong>del</strong>le frasi <strong>del</strong> Corano e che poifanno trangugiare in una tazza di brodo. Sono tuttaviapersonaggi importanti e anche pericolosi. Con poche parolepossono scatenare <strong>del</strong>le pericolose ribellioni fra le tribùignoranti e creare dei seri fastidi al Sultano <strong>del</strong> Marocco.Fortunatamente i ministri <strong>del</strong> Commendatore dei credenti, daquei furbi che sono, hanno trovato un mezzo sicuro per tenerli infreno e nel medesimo tempo fare l'interesse <strong>del</strong>le finanzeimperiali. Tutte le tribù marocchine più o meno indipendenti,siano Scellok o Amazirgui o Rifani, hanno sempre provato unadecisiva ripugnanza a pagare all'imperatore le imposte o tributiche egli si crede in diritto di esigere. Una volta i ministrilevavano <strong>del</strong>le armate per costringerveli; ora invece ricorrono aimarabuti, i quali possono accumulare ad un tempo le funzioni dicapi religiosi, civili e militari. I santoni, sicuri di fare un ottimoaffare, si mettono in viaggio per predicare... la colletta santa.S'incontrano nel deserto o fra le montagne, visitano le tribùribelli, parlano e predicano a destra ed a manca con una lena eduna vigoria incredibile, e la loro eloquenza è così persuasiva chefiniscono collo strappare i tributi che degli eserciti forse nonotterrebbero. Col gruzzolo in tasca allora tornano nel Marocco,se ne trattengono la parte più grossa e consegnano il rimanenteal Sultano, il quale, come si può figurare, è ben lieto di quelleentrate insperate e non si fa avaro di tributare elogi ed onori acosì valenti esattori. Il marabuto raccolto morente, al pari deisuoi compagni, aveva intrapreso un viaggio nel deserto colmedesimo scopo. Spinto però o da vero zelo religioso o daeccessiva venalità si era inoltrato fino nelle oasi dei Tuareg, perimpinguare maggiormente la borsa, col pretesto che quel denaro98


doveva servire a distruggere gl'infe<strong>del</strong>i <strong>del</strong>l'intera Europa.Disgraziatamente la carovana alla quale si era unito, era partitasenza svegliarlo, ed il disgraziato, abbandonato fra le sabbie,senza viveri e senza animali, era stato ad un pelo di trovare lasua tomba fra gl'intestini <strong>del</strong>la famelica pantera. Dopo peròun'abbondante scorpacciata di miglio ed un riposo d'un paiod'ore, quel diavolo d'uomo si era risvegliato come uno cheavesse presi regolarmente i suoi pasti. Era il momento di farloparlare, avendo il marchese troppa premura di giungere aBeramet, prima che la carovana si allontanasse troppo verso ilsud. Dopo avergli offerta una pipa colma di eccellente tabacco,che non fu rifiutata dal santone, e dopo d'aver parlato con lui <strong>del</strong>deserto e dei Tuareg, gli chiese a bruciapelo.– Sicché voi avete assistito certamente alla distruzione<strong>del</strong>la colonna francese guidata da Flatters?Udendo quelle parole il santone aveva levata dalle labbra lapipa, guardando il marchese con profondo stupore.– Cosa ne sapete voi? – chiese finalmente, non senza unacerta inquietudine.Poi, dopo di esserglisi accostato e di averlo guardatoattentamente, disse:– Ah! Voi non siete un marocchino bensì un europeo nellevesti di un arabo. Mi sono ingannato?– No – rispose il marchese, francamente.– Forse un francese.– Quasi, perché sono un algerino.– E che cosa fate qui, nel deserto?– Vado al Senegal e attraverso il Sahara per scopicommerciali.– Mi era venuto il sospetto che vi recaste presso i Tuareg.– A fare che cosa, se tutti i componenti la spedizione sonostati uccisi?99


– Tutti!...– Forse che voi ne sapete qualche cosa? Forse chequalcuno di quei disgraziati è ancora vivo?Il marabuto non rispose. Guardava ora il marchese, oraRocco ed ora i due ebrei con una certa inquietudine che nonsfuggì al suo interrogatore.– Ascoltatemi – disse questi. – Se voi mi narrate quantosapete su quella tragedia, io vi regalo un cammello per potertornarvene al Marocco e anche un bel fucile per difendervi.– Non mi tratterrete con voi? – chiese il marabuto.– A quale scopo? Noi dobbiamo andare al sud, mentre lavostra destinazione è al nord.– È molto che mancate dall'Algeria?– Sono due mesi.– Allora non avete saputo che una <strong>del</strong>le guide è stataarrestata e anche avvelenata.– Non so nulla affatto. Quando lasciai l'Algeria non eranogiunte che le prime voci sull'atroce massacro <strong>del</strong>la spedizione.Orsù, parlate; io ormai ho indovinato che sapete molte cose suquel dramma.Il marabuto esitò ancora qualche istante, poi disse con uncerto tremito nella voce:– Suppongo che non mi crederete un complice dei Tuareg.– Non abbiate alcun timore a ciò. I marabuti sono uominisanti e non già guerrieri – disse il marchese.– E quando avrò parlato mi lascerete andare? – insistetteancora il marabuto.– Ve lo prometto.– Questo santone non deve avere la coscienza tranquilla –mormorò Rocco. – Forse è stato lui ad aizzare i Tuareg controgl'infe<strong>del</strong>i.Il marabuto stette alcuni istanti in silenzio come per100


accogliere meglio i suoi ricordi, poi disse:– Io mi trovavo nell'oasi di Rhat che è, si può dire, lacitta<strong>del</strong>la dei Tuareg Azghar, quando avvenne il massacro <strong>del</strong>laspedizione, ossia a poche miglia dal luogo ove i francesivennero assaliti, quindi nessun particolare mi è sfuggito. Comevoi avrete saputo, il colonnello, oltre al capitano Masson eparecchi ingegneri, aveva preso con sé una forte scorta dicacciatori algerini <strong>del</strong> 1° Reggimento, fra i quali si trovavanodue uomini che dovevano più tardi tradirlo: Belkassem-ben-Ahmed che si era arruolato sotto il nome di Bascir ed El-Abiodben-Alì.– Lo sapevo – disse il marchese.– Quei due soldati non erano algerini, come si era creduto,bensì entrambi originari <strong>del</strong> paese dei Tuareg. Giunta laspedizione nel cuore <strong>del</strong> deserto, Bascir, d'accordo colcompagno, ordì il tradimento per impossessarsi <strong>del</strong>le armi e deiviveri nonché dei denari e dei regali che supponeva nascosti neibagagli. Col pretesto di condurre il colonnello a visitare unaminiera d'oro, trascina la colonna a Ued-Dom, poi disertaassieme a El-Abiod e corre ad avvertire i Tuareg. L'indomanimilleduecento pirati <strong>del</strong> deserto piombavano sulla spedizione,opprimendola col loro numero. Flatters, il capitano Masson edun sott'ufficiale cadevano vivi nelle mani dei nemici; altri,guidati da un sergente, riuscivano ad aprirsi un passaggioattraverso le file degli assalitori fuggendo poi verso il nord, ma ipiù rimanevano sul terreno falciati dalle larghe sciabolate deifanatici. Devo aggiungere che alcuni giorni innanzi i Tuaregavevano già tentato di distruggere la colonna, vendendo ai suoimembri dei datteri avvelenati, i quali avevano prodotto <strong>del</strong>lecoliche spaventose. Solo alcuni soldati erano spirati sulle sabbieinfuocate e dopo atroci tormenti. I superstiti intanto avevanocontinuata la loro fuga verso il settentrione, tormentati101


incessantemente dai Tuareg, che non lasciavano a loro un istantedi tregua.– Conosco quella ritirata terribile, – disse il marchese –ritirata che rimarrà leggendaria come il naufragio <strong>del</strong>la Medusa.Quei disgraziati, morenti di fame e di sete, che si assassinavanoreciprocamente durante veri accessi di follia furiosa, sono cadutiquasi tutti mordendo le sabbie negli ultimi spasimi <strong>del</strong>l'agonia.Proseguite: cos'è successo <strong>del</strong> colonnello Flatters e di Masson?– Del colonnello io ignoro se sia stato risparmiato o ucciso.Ho udito però a raccontare che i Tuareg lo avevano condottoverso Tombuctu non so se per finirlo lontano dagli sguardi ditutti, o se per renderlo schiavo di quel Sultano.– Allora voi non escludete la supposizione che possa essereancora vivo? – chiese il marchese. – Anch'io ho udito araccontare che è stato condotto a Tombuctu.– Lo ignoro – rispose il marabuto.– Giuratelo.– Lo giuro sul Corano.– Ed il capitano Masson?– Ho veduto la sua testa piantata in cima ad una picca eanche quella <strong>del</strong> sergente.– Infami! – gridò Rocco.– Mi avete detto che uno dei traditori è stato arrestato –riprese il marchese.– Sì, Bascir, il quale aveva avuto l'audacia di recarsi aBiskra colla speranza d'indurre il governatore <strong>del</strong>l'Algeria adorganizzare una spedizione di soccorso, per farla poi massacraredai Tuareg. Riconosciuto da uno dei pochi superstiti, venivaarrestato e dopo averlo ubriacato, sottoposto a lunghiinterrogatori.– Ed ha confessato tutto?– Sì, aggiungendo anzi che il colonnello Flatters era stato102


ucciso perché si era rifiutato di scrivere una lettera colla qualedoveva chiedere una colonna di soccorso.– Che Bascir abbia detto il vero?– Hum! Ne dubito signore.– È ancora vivo quell'uomo?– Ho saputo che è stato avvelenato l'8 agosto nelle carceridi Biskra, per opera di alcuni amici dei Tuareg e coll'aiuto <strong>del</strong>trattore arabo incaricato di fornire i cibi ai prigionieri.Probabilmente temevano che, minacciato di morte e collepromesse di laute ricompense, potessero indurlo a servire diguida ad una spedizione vendicatrice.– Ed il compagno di Bascir, quell'El-Abiod, sapete dove sitrova ora? – chiese Ben Nartico.– Mi hanno detto che è cammelliere in una carovana che sidirige verso Tombuctu.– È l'uomo che cerchiamo e che ci fu segnalato dal vecchioHassan – disse l'ebreo al côrso, parlando in lingua francese.– Sì – rispose il signor di Sartena, il quale era diventatomeditabondo.– Egli deve ora nascondersi sotto il nome di Subbi, ma noilo ritroveremo egualmente.Fece sciogliere uno dei migliori cammelli, e lo condussedinanzi al marabuto, cui Rocco aveva già dato un fucile e <strong>del</strong>lemunizioni.– È vostro – gli disse. – Vi auguro buon viaggio.– Grazie <strong>del</strong> dono e d'avermi salvata la vita – rispose ilmarabuto. – Che Dio sia con voi.Salì in sella, fece alzare il cammello e s'allontanò d'alcunipassi, poi tornò indietro e guardando il marchese, disse:– Badate, i Tuareg vegliano onde nessun europeo s'addentrinel deserto. Temono la vendetta dei francesi.– Grazie <strong>del</strong> vostro avviso – rispose il signor di Sartena. –103


Ci guarderemo dai loro tradimenti.– Signore, che cosa ne dite di quel santone? – chieseRocco, guardando il marabuto che stava per scomparire dietroalle dune.– Che quell'uomo non deve essere stato estraneo almassacro <strong>del</strong>la spedizione – rispose il marchese.– E colle sue parole deve aver aizzati i Tuareg a dareaddosso agl'infe<strong>del</strong>i – aggiunse Ben Nartico. – Questi santonisono dei pericolosi bricconi.– Io non l'avrei lasciato andare così – disse Rocco.– Ci sarebbe stato d'impiccio – rispose il marchese. – Chevada a farsi appiccare altrove.Mezz'ora dopo la carovana riprendeva le mosse,dirigendosi verso le pianure sabbiose <strong>del</strong> sud.104


UNA VENDETTA NEL DESERTOLe marce sull'interminabile mare senz'acqua, come gliarabi chiamano nel loro linguaggio figurato, le immense edesolate pianure <strong>del</strong> Sahara, si succedevano sempre più faticosee più monotone. Le sabbie si succedevano alle sabbie, senzanessuna variante, ora formando bassure che parevano nondovessero finire mai ed ora lunghe file di dune che davanol'aspetto di onde solidificate, stancando immensamente glisguardi e anche l'anima dei due europei e dei loro compagni.Solo a lunghe distanze, intorno alle rocce emergenti comeisolotti perduti su quel mare di sabbia, s'incontravano <strong>del</strong>lemagre erbe, semibruciate dagli implacabili raggi di quel terribilesole e sulle quali si gettavano avidamente i poveri cammelli,disputandosele. Era il vero deserto, senza un albero che potesserallegrare lo sguardo, senza un pozzo ove bagnarsi le labbraarse, senza un essere vivente qualsiasi, perché se il Sahara haanimali feroci e anche antilopi e gazzelle e struzzi, nons'incontrano che nelle vicinanze <strong>del</strong>le oasi. Era un vero oceanodi sabbia e di fuoco, impregnato d'una atmosfera ardente chedisseccava ed incartapecoriva le carni, che faceva fumare gliuomini come le zolfatare e che assorbiva rapidamente l'acquadegli otri già tanto scarsa. E che luce poi, che irradiazione! Certimomenti gli occhi non potevano più affrontare quei riflessibrucianti, che producevano dolori paragonabili alle trafitture dimille spilli e che le palpebre non bastavano più a riparare.Dinanzi, l'orizzonte che pareva coperto di fiamme; in alto uncielo sfolgorante che non si poteva guardare nemmeno per unsolo istante; a terra i riflessi accecanti <strong>del</strong>le sabbie rese quasi105


incandescenti. Nondimeno la carovana non s'arrestava, ansiosadi giungere ai pozzi di Beramet per rinnovare le sue provvisted'acqua che cominciavano a scemare con spaventosa rapidità escovare El-Abiod. Aveva però rinunciato, dopo alcuni giorni,alle marce diurne, quantunque gli accampamenti sotto le tende,con quel sole terribile che le riscaldava come forni, riuscisseropenosissimi pel marchese e per Rocco, non abituati a quelle altetemperature. Non si mettevano in cammino che qualche oraprima <strong>del</strong> tramonto, continuando fino all'alba. Tuttavia il caloresi manteneva quasi eguale anche alla notte, perché nessun soffiod'aria lo mitigava e le sabbie non perdevano quasi nulla <strong>del</strong>laloro incandescenza, nemmeno nelle prime ore <strong>del</strong> mattino. Nonfu che al nono giorno dopo la loro partenza da Tafilelt, che lacarovana poté finalmente salutare l'esile e alto minareto diBeramet, nel momento in cui il muezzin, col viso volto allaMecca, lanciava nello spazio la preghiera mattutina:– Allah, Allah, russol Allah... (Dio è Dio e non v'è altro Dioche Dio e Maometto è il suo Profeta).La carovana si era arrestata. Tutti gli uomini e ancheEsther, che doveva pure fingersi mussulmana, si eranoinginocchiati sui tappeti appositamente distesi e dopo d'averrecitata la preghiera alla presenza degli abitanti, ciascuno avevafatto le sue abluzioni colla fine sabbia <strong>del</strong>la via come prescriveil Corano, allorché il viaggiatore non trova acqua a suadisposizione. Ciò fatto, uomini e cammelli avevano fatto la loroentrata nella piccola oasi, colla speranza di trovare la carovana.Beramet non è che una piccola stazione, situata a poche migliadal fiume Igiden, fiume però che rimane asciutto degli annicontinui e che dovrebbe scaricare le sue magre acque in unlaghetto salmastro che si estende verso il settentrione, quasi aiconfini <strong>del</strong> Marocco. Si compone d'una piccola moschea e di treo quattro duar abitati ognuno da un gruppetto di famiglie e di106


magre piantagioni di datteri, di acacie, e di aloè. I suoi abitantiappartengono quasi tutti alla razza degli Amazirgui, la più bellae la più fiera <strong>del</strong> Marocco, nemica degli arabi, ai quali fannosubire, quando se ne presenta l'occasione, i più cattivitrattamenti. Sono begli uomini, robusti, cacciatori intrepidi ecamminatori instancabili, con un miscuglio di selvatichezza e didolcezza, più ospitali dei Scellok, che sono invece arrogantiladri e assassini ed ai quali disputano la supremazia <strong>del</strong>le tre oquattro razze che vivono nel Marocco. Giovani, vivono di cacciae coltivano i campi; diventati vecchi fanno i pastori e passanointere giornate distesi al suolo, in una immobilità assoluta,sfidando il sole a testa nuda. Non hanno che una passione,quella <strong>del</strong> loro fucile, un'arma straordinariamente lunga, che ilfiglio riceve dalle mani <strong>del</strong> padre, il quale a sua volta lo ebbedall'avo, e che adornano con piastre d'argento e d'oro e che nonabbandonano mai. Appena entrati fra i duar, il marchese ed isuoi compagni s'avvidero subito, con molto dispiacere, che nonvi era in quel momento alcuna carovana.– Già andati? – chiese il marchese, con visibile malumore.– Che abbiamo tardato troppo?– È partita da cinque giorni – rispose El-Haggar, che si eragià informato dal caid o capo <strong>del</strong>la borgatella.– Per dove?– Per i pozzi di Marabuti.– Che il diavolo se li porti! – esclamò il marchese, furioso.– Che quel briccone mi sfugga?– Lo raggiungeremo marchese – disse Ben Nartico. – Legrosse carovane non marciano molto rapidamente.– Quanti giorni ci saranno necessari per giungere a queipozzi?– Non meno di tre settimane – rispose El-Haggar.– Un bel tratto da percorrere – disse Rocco.107


– Signorina Esther, – disse il marchese, volgendosi verso lagiovane ebrea – avete bisogno di qualche giorno di riposo?– No, marchese – rispose la sorella di Ben. – Sul cammellonon mi affatico, essendo abituata al passo di questi animali.– Se io lo avessi montato per una settimana avrei le renispezzate. Quelle scosse mi fanno quasi l'effetto <strong>del</strong> rollìo e <strong>del</strong>beccheggio d'una nave in tempesta.– Questione di abitudine, marchese.– Allora potremo ripartire questa sera, se non vi rincresce.– Mi spiacerebbe invece farvi perdere qualche giorno.– Grazie, fanciulla.Rizzarono le loro tende fuori dai duar onde essere piùliberi, poi Ben, El-Haggar ed i due beduini si recarono ai pozziper abbeverare ampiamente i cammelli e fare le loro provvisted'acqua. I pozzi <strong>del</strong> Sahara sono tutti eguali. Vengono scavati dauna corporazione speciale detta dei R' tassa e con sistemiassolutamente primitivi, sicché la loro durata è breve. Fanno unbuco nel terreno, lo allargano a poco a poco, puntellandolo,onde le sabbie non cedano e foderandolo con tronchi di palmizivuoti. Simili opere sono poco solide e le sabbie, franando a pocoa poco, finiscono presto per riempire i pozzi facendo scomparirel'acqua. Quelli però di Beramet erano ancora in ottimo stato epotevano fornire acqua in quantità e anche eccellente, cosapiuttosto rara, essendo per lo più un po' salmastra. I cammellifurono dapprima lasciati bere a sazietà, poi furono costretti aingurgitarne altra mediante un imbuto cacciato sulle loro narici,operazione poco piacevole di certo per quei poveri animali, manecessaria onde aumentare la loro provvista interna. Alla sera,un po' dopo il tramonto, la carovana, aumentata di due mahari,ossia cammelli corridori, acquistati dal marchese e ben provvistad'acqua e di viveri, lasciava Beramet, prendendo la via <strong>del</strong> sud.Il deserto pareva che fosse diventato più arido ancora. Non più108


occe, non più magre erbe, non il più piccolo animale: sabbia, esempre sabbia avvallata confusamente in larghe ondulazioni epoi sabbia ancora.– Mi sembra che il deserto si abbassi considerevolmente –disse il marchese, il quale cavalcava a fianco di Ben.– Forse questo sarà il fondo <strong>del</strong>l'antico mare – risposel'ebreo.– Ah! Credete anche voi che anticamente il Sahara fossecoperto d'acqua?– Tutti lo affermano, signore. Ed infatti come spiegarel'abbondanza di queste sabbie?– Eppure gli scienziati ne dubitano, mio caro Ben.L'altitudine media <strong>del</strong> deserto è di quattrocento metri sul livello<strong>del</strong> mare, quindi dovete ammettere che l'acqua non doveva salirea tanta altezza, se, come si dice, doveva comunicare coll'oceano.– Vi sono però <strong>del</strong>le bassure considerevoli, marchese.– Non lo nego pur essendo relativamente poche.– Quale spiegazione danno dunque gli scienziati?– Affermano che il Sahara al pari dei deserti <strong>del</strong> Turkestane di Gobi, non sia già diventato tale pel ritiro <strong>del</strong>le acque, bensìin causa di sollevamenti geologici avvenuti in epoche più omeno antiche e sui quali la sabbia si è formata per azionedisgregante, operata superficialmente sulle rocce dall'aria e dallepiogge.– Può essere, marchese – disse Ben Nartico. – Gli stratirocciosi sono abbondantissimi nel Sahara e anche d'una durezzapoco considerevole. Ah!– Che cosa avete?– Guardate quella roccia isolata che sorge dinanzi a noi.– La vedo.– È la roccia d'Afza la bella.– Ne so meno di prima.109


– È una storia che nel Sahara tutti conoscono.– Ma che io ignoro, Ben.– Ricorda una terribile vendetta.– Allora me la racconterete.– Sì, quando ci fermeremo, marchese. Per ora marciamo.Il deserto manteneva la sua desolante uniformità e anche,pur troppo, il suo intenso calore. Una calma assoluta regnava suquelle sconfinate pianure. Se qualche colpo d'aria giungeva alunghi intervalli, era d'altronde così ardente da non desiderarloaffatto, perché pareva che togliesse il respiro. Quella primamarcia, dopo la partenza da Beramet, si prolungò fino all'alba,desiderando il marchese di guadagnare via onde poterraggiungere la carovana almeno a Marabuti. Appena sorto ilsole, furono alzate le tende e tutti vi si rifugiarono per prepararsila colazione e prendere poscia un po' di riposo. Mentre Roccos'occupava dei piatti forti, consistenti per lo più in una zuppa dilegumi ed in frittelle di farina, Esther preparò un <strong>del</strong>izioso mokache offrì ai suoi compagni assieme ad alcuni bicchierini divecchio cognac, liquore che il marchese non si era dimenticatodi portare. Mentre accendevano le pipe, attendendo la zuppa, ilmarchese, che si era sdraiato su di un tappeto, disse a Ben:– Alla fermata ci siamo, amico, e la istoria <strong>del</strong>la rupe mi èancora ignota.– Credevo che l'aveste dimenticata – disse l'ebreo, ridendo.– Tutt'altro, mio caro. Forse mi stuzzicherà l'appetito.– Ve la narrerò io, marchese – disse Esther.– Allora il racconto avrà maggior pregio. Afza deve esserestata una donna, è vero?– E una <strong>del</strong>le più belle <strong>del</strong> deserto.– Qui si nasconde qualche cupo dramma.– Una vendetta che vi darà un'idea dei costumi degliabitanti <strong>del</strong> Sahara.110


– Sono tutto orecchi.– Voi avete veduto quella rupe?– Sì, signorina Esther.– Un giorno presso quella roccia sorgeva un duarcircondato da bellissimi datteri, perché allora i pozzi non eranoancora stati rovinati ed il terreno non era diventato sterile – dissel'ebrea. – Voi già sapete che quando l'acqua viene a mancare, ildeserto riprende i suoi diritti e tramuta anche le più belle oasi inuna pianura arida, sulla quale non spunta più l'erba. Quel duarera abitato da un beduino che si chiamava Alojan, un uomoaudace, intrepido cacciatore e che tutti conoscevano nel Sahara.Alojan era felice perché oltre a possedere numerosi cammelli,possedeva pure la più bella donna <strong>del</strong> deserto, Afza, una Tuaregche aveva pagato quasi a peso d'oro sul mercato d'Anadjem.Disgraziatamente quella felicità non doveva durare a lungo;Allah aveva disposto diversamente. Un giorno Alojan, mentreinseguiva un'antilope, giungeva in una bassura sabbiosa, dove ilterreno era coperto di lance spezzate, di sciabole insanguinate edi cadaveri orrendamente squarciati. Una battaglia dovevaessere avvenuta in quel luogo fra tribù di Tuareg avversarie.Alojan, temendo di venir sorpreso dai vincitori, stava pertornarsene al suo duar, quando gli giunse agli orecchi unlamento. Si spinge fra i cadaveri e scopre a terra un giovaneguerriero che respirava ancora. Alojan era valoroso e anchemolto generoso. Raccoglie il ferito, lo carica sul suo cammello elo trasporta nel suo duar ove lo cura come se fosse un fratello.Dopo quattro lunghi mesi di convalescenza quel giovane, che sichiamava Faress, era completamente guarito.«"Tu ormai non hai più bisogno <strong>del</strong>le mie cure" gli disse ilgeneroso Alojan. "Se tu vuoi tornare presso la tua tribù, io ticondurrò e ti lascerò anche con dispiacere. Ma se vuoi rimanerenel mio duar, sarai per me un fratello, mia madre sarà anche la111


tua e mia moglie ti sarà sorella. Pondera la mia proposta e decidicon calma."«"O mio benefattore," rispose il giovane guerriero "ovetroverei dei parenti come quelli che tu mi proponi? Senza di teio non sarei più vivo e la mia carne sarebbe servita come pastoagli uccelli da preda e le mie ossa sarebbero rimaste senzasepoltura sulle sabbie ardenti <strong>del</strong> deserto. Giacché lo vuoi, iorimarrò presso di te, per servirti tutta la vita."«Devo però dirvi che Faress era stato indotto a rimanere daun motivo meno puro: era l'amore che cominciava a sentire perla bella Afza, amore nato dalle cure che ella gli aveva prodigato,e ben presto corrisposto. Erano passati altri due mesi, quandoAlojan, che non aveva avuto il menomo sospetto, incaricòFaress di scortargli la madre, la moglie e due fanciulli fino adun'oasi, dove contava di piantare il suo duar. L'occasione fa illadro, come si dice. Faress non sapendo resistere, pose la tendasu un cammello, vi collocò la madre coi due fanciulli e li mandòinnanzi dicendo che li avrebbe presto raggiunti con Afza. Lavecchia attese a lungo, e non vide più giungere né l'uno, nél'altra. Faress, salito su un rapido cavallo, aveva portata Afzapresso la sua tribù. Alla sera, quando Alojan giunse alla nuovaoasi, trovò la madre piangente, assisa presso una palma.«"Dov'è Afza?" le chiese con voce terribile.«"Io non ho veduto né tua moglie, né Faress" rispose. "Ed èda questa mattina che li attendo."«Allora per la prima volta un sospetto attraversò il cuore edil cervello <strong>del</strong> tradito. Aiutò la madre ad alzare la tenda, prese lesue armi, salì sul suo mahari e corse disperatamente attraversoal deserto, finché giunse presso la tribù di Faress. All'entrata <strong>del</strong>duar si ferma presso una vecchia che viveva sola.«Scorgendolo, costei lo guardò a lungo con stupore,dicendogli:112


«"Perché non vai dallo sceicco <strong>del</strong>la tribù? Oggi è giorno difesta e non si nega ospitalità a nessun straniero, fosse anche unnemico".«"E perché si fa festa?" chiese Alojan.«"Faress El-Meido, che era rimasto sul campo di battaglia eche era stato pianto per morto, è tornato conducendo con sé unabella donna e oggi si sono celebrate le nozze."«Alojan dissimulò la rabbia tremenda che lo divorava eattese pazientemente la notte. Quando tutti gli abitanti dei duardormivamo, striscia senza far rumore sotto la tenda di Faress eprima che questi apra gli occhi, con un colpo di scimitarra glispicca la testa dal busto. Afza, svegliata da quel getto di sanguetiepido che le era schizzato in visò, si alza attonita. Alojanl'afferra prontamente, dicendole:«"Seguimi!"«"Imprudente!" esclamò la donna con voce tremante pelterrore che la invadeva. "Va', fuggi prima che Faress ed i suoiparenti ti uccidano."«"Silenzio, donna" disse Alojan, con voce minacciosa."Alzati, invoca Dio e maledici il demonio che ti ha spinto adabbandonare il tuo sposo ed i tuoi figli."«Afza che aveva già veduto il terribile lampo che balenavanegli occhi <strong>del</strong> tradito, cercò di gridare al soccorso, ma venneafferrata strettamente e portata sul cammello. L'allarme però erastato dato ed il padre di Faress e due dei suoi figli si eranoslanciati sulle tracce di Alojan. Questi, vedendosi inseguito davicino impugna le sue armi e si difende come un leone. Nelfrattempo Afza liberatasi dai suoi legami si unisce agliinseguitori scagliandogli contro sassi, uno dei quali lo coglie allatesta ferendolo. Nondimeno Alojan uccide i due fratelli di Faresse riesce anche ad atterrare il padre.«"Io non uccido i vecchi" disse, quando lo vide a terra.113


"Riprendi il tuo cavallo e ritorna fra i tuoi."«Poi, riafferrata Afza si rimise in viaggio dirigendosi versoil suo primiero duar, senza aver detto una parola alla sua donna.«Quando giunse presso la rupe che avete veduto, da unodei suoi servi che era ancora rimasto nell'oasi, fece chiamare ilpadre ed i fratelli <strong>del</strong>la moglie che abitavano poco discosti, eraccontò loro quanto era avvenuto.«"Padre" disse poi, quand'ebbe finito. "Giudica tua figlia."«Il vecchio s'alzò senza dire verbo, trasse la scimitarra e latesta <strong>del</strong>la bella Afza ruzzolò al suolo. Compiuta la vendetta,Alojan rovinò i pozzi onde tutte le piante morissero, li riempì disabbia, poi, salito sul suo cammello, scomparve fra le dune <strong>del</strong>deserto né più si seppe nulla di lui. La rupe però è rimasta aricordare la vendetta <strong>del</strong> povero cacciatore <strong>del</strong> deserto e <strong>del</strong>lainfe<strong>del</strong>e Afza.»114


GLI URAGANI DEL SAHARADa dieci giorni la carovana marciava dirigendosi sempreverso il sud, quando un mattino, dopo una faticosissima corsanotturna, il marchese ed i suoi compagni, mentre stavanosorbendo il caffè sotto la tenda, videro comparire El-Haggar colvolto abbuiato e sconvolto.– Signori – disse con un accento così inquieto da nonsfuggire al marchese. – Un pericolo, e forse tremendo, s'avanzasu di noi.– I Tuareg? – chiese il signor di Sartena, preparandosi adarmare la carabina.– No, padrone, i Tuareg non ci minacciano. E il simun chesi prepara a soffiare. Fra poche ore il deserto sarà in tempesta edè necessario cercare un rifugio onde non farci seppellire dallesabbie.Il marchese, Esther e Ben Nartico, udendo quelle parole sierano precipitati fuori <strong>del</strong>la tenda, però, con loro stupore nullavidero che annunciasse quel terribile vento infuocato chedissecca tutto, che assorbe gli umori <strong>del</strong>le piante, che faevaporare rapidamente l'acqua contenuta negli otri e che sollevafuriosamente le sabbie, coprendo sovente le carovane esoffocandole. Una calma completa regnava dovunque, ancheagli estremi confini <strong>del</strong> deserto e le sabbie rimanevanoimmobili. Solamente in aria si vedeva estendersi un leggerostrato di vapori biancastri, i quali non avevano alcun che diminaccioso.– Non soffia un alito di vento e tu ci annunci lo scoppio <strong>del</strong>simun! – esclamò il marchese. – Hai sognato, El-Haggar?115


– Io lo vedo – rispose il moro, i cui sguardi si erano fissativerso il sud.– E dove?– Non scorgete quel punto nero, appena visibile, che s'alzasull'orizzonte?– Non è un ammasso di rocce?– No, padrone: è una nube che s'avanza e annuncia ilsimun. Domandatelo anche a due beduini e ve loconfermeranno.– Che cosa ci consigli di fare?– Partire subito, padrone. A tre o quattro miglia più al sudvi sono <strong>del</strong>le rocce che ci offriranno un ottimo rifugio contro lesabbie.– Andiamoci.– Riprenderanno le marce i cammelli? – chiese BenNartico. – Devono essere affaticati.– Ve li costringeremo e poi anche essi si sono accorti <strong>del</strong>pericolo e cammineranno.– Partiamo – disse il marchese.Le tende furono levate subito e caricati gli animali furonofatti alzare senza bisogno di ricorrere al bastone. Anche lepovere bestie erano in preda ad una viva inquietudine. Icammelli scuotevano nervosamente la testa e mandavano diquando in quando acuti lamenti, i cavalli e l'asino nitrivano eragliavano e cercavano di mordersi vicendevolmente. Intanto ivapori, bianchi come latte, aumentavano coprendo quasi tutto ilcielo, e dal sud cominciava a spirare, ad intervalli, qualcheraffica soffocante. Il punto nero segnalato da El-Haggaringrandiva a vista d'occhio, alzandosi sempre più nell'orizzonte.Era una nuvola opaca che il simun si cacciava innanzi convelocità vertiginosa. I due beduini ed il moro, si erano messi acantare per incoraggiare i cammelli, le cui inquietudini116


crescevano. I loro lamenti diventavano sempre più acuti efiutavano il vento già caldissimo, aspirandolo fragorosamente. Icavalli invece, cosa strana, avevano le vene <strong>del</strong> colloturgidissime e continuavano a mordersi con furore. Agli estremiconfini <strong>del</strong> deserto le sabbie dovevano già alzarsi e turbinare,scomponendo le dune.– Questo simun deve essere qualche cosa di spaventevole –disse il marchese, il quale si sentiva in preda ad una profondaagitazione nervosa. – Si direbbe che il mio cuore trema comedinanzi ad un pericolo ignoto.– È il terrore <strong>del</strong>le carovane – rispose Ben.– Se giungeremo al rifugio promessoci dal moro, tuttofinirà in una pioggia di sabbia.– E dopo, marchese?...– Che cosa volete dire?– Ci rimarrà acqua sufficiente per giungere nell'oasi diMarabuti? Ecco il pericolo maggiore.– Che il vento ce l'assorba tutta? – chiese Rocco.– Quante carovane ne sono rimaste prive dopo il simun! Equanti sono morti di sete!– Voi mi fate venire la pelle d'oca – disse il sardo. –Suppongo che non avrete l'idea di spaventarmi colla speranza divedermi impallidire.– Questo non è il momento di scherzare – rispose BenNartico. – È invece il momento di tremare e di prendere ancheuna pronta risoluzione.– Quale? – chiese il marchese.– Di precedere la carovana coi due mahari perché temo cheil simun ci piombi addosso prima di giungere al rifugio.– Volevo farvene la proposta – disse El-Haggar chemarciava al loro fianco. – I cammelli sono stanchi e minaccianodi lasciarsi cadere.117


– Marchese, – disse Ben – sapete montare i mahari?– Sì, avendoli usati nella campagna <strong>del</strong>la Cabilia.– Volete incaricarvi di mia sorella? Io penserò a Rocco.– Sarò un protettore fidato – rispose il marchese.– Lasciamo i cavalli e montiamo i mahari. Sono molto piùveloci e più resistenti. In meno di mezz'ora saremo al rifugio.– Affrettatevi – disse El-Haggar. – Ecco che le sabbiecominciano a turbinare.La nube aveva coperto il cielo e nel suo seno si udivano deifragori assordanti, come se dei carri carichi di ferraglievenissero trascinati in una corsa sfrenata sopra ponti metallici.Un vento ardentissimo, che disseccava le labbra, passava soprail deserto con mille stridori, sollevando immense cortine disabbia, le quali correvano all'impazzata fra le dune. Pareva chefossero impregnate di fuoco avendo dei bagliori di fiamme. Ilmarchese era salito precipitosamente sul mahari che gli avevacondotto il moro, poi aveva preso fra le braccia Esther, mentreNartico e Rocco montavan l'altro.– Non occupatevi di noi – disse El-Haggar. – Se le sabbiec'impediranno di raggiungervi, ci fermeremo qui. Ci vedremopiù tardi, quando il simun sarà cessato. Andate e che Allah eMaometto vi proteggano.I due mahari si erano slanciati a corsa precipitosa fra iturbini di sabbia, come se volessero gareggiare col vento. Se icammelli sono le navi <strong>del</strong> deserto, i mahari sono i corsieri. Sonopiù belli, più nobili degli altri, dall'andatura più disinvolta, dalpiede più sicuro, più sobri, più affezionati ai loro padroni edinfinitamente più rapidi. La loro andatura ordinaria è un lungotrotto, durante il quale innalzano e abbassano la coda e la testa,imprimendo alla loro gobba certe scosse che finiscono colfiaccare il cavaliere, quando non è da lunga pezza abituato aquel galoppo disordinato. Che veloci corridori però! Percorrono118


d'un fiato, senza prendere riposo, perfino sessanta miglia equalche volta anche di più, se vengono aizzati. Il marchese,assiso solidamente sulla sella che è concava e fornita dinanzi edi dietro di due rialzi per impedire al cavaliere di venire sbalzatoa terra da quelle brusche scosse, si teneva stretto al petto la bellaebrea, cercando di proteggerle il viso dalle sabbie cheturbinavano intorno. Ben e Rocco lo seguivano a pochi passi,aggrappati ai due rialzi ed alle cinghie tenendosi curvi perripararsi gli occhi e la bocca. La carovana era scomparsa fra lecolonne di sabbia, marciando velocemente verso il settentrione.Il vento, ormai scatenato, ruggiva fra le dune, sciogliendole edisperdendole. Pareva che il deserto si fosse tramutato in unoceano in piena tempesta. Delle vere onde s'abbattevano suifuggiaschi, ma onde di sabbia e forse più pericolose <strong>del</strong>le altre.Il cielo pareva che fosse tutto in fiamme e che la nuvola ardessecome se fosse composta di catrame liquido, perché proiettava uncalore tale da non poter resistere. I fuggiaschi si sentivanocucinare vivi, come se si trovassero entro un immenso fornoscaldato a bianco. I mahari non cessavano però di correre.Filavano come trombe, col collo teso e la testa rasente il suoloper non respirare quell'atmosfera ardente che disseccava i loropolmoni.Salivano le dune, le discendevano senza rallentare e sottouna pioggia furiosa di frammenti di rocce e di granelli che ilvento faceva turbinare ad altezze prodigiose per poi lasciarliprecipitare.– Nascondete il capo nel mio caic – diceva il marchese allagiovane ebrea, quando le sabbie si abbattevano verso il suolo. –Coraggio! Il mahari corre sempre ed il rifugio non è lontano.– Il vento ci strappa dalla sella – rispondeva Esther,aggrappandosi strettamente a lui per non venire trascinata.– Non temete, mi tengo saldo.119


– E la carovana?– Non si scorge più.– E mio fratello?Il marchese si volse, e gli parve di vedere, fra le cortine disabbia, che diventavano sempre più dense, un'ombra gigantescagaloppare fra le dune.– Mi pare che ci segua – disse.– Resisteranno i mahari?– Speriamolo, Esther.Il dromedario correva sempre all'impazzata, mandando diquando in quando dei lamenti soffocati. Dove andava? Ilmarchese non lo sapeva, ma aveva fiducia nel meravigliosoistinto <strong>del</strong> corridore. I turbini di sabbia intanto si succedevanosempre più furiosi e più fitti, nascondendo ogni cosa. Anche ilmahari di Ben e di Rocco era scomparso. Il calore intantoaumentava. Era così intenso che in certi momenti il marchese sisentiva asfissiare. Gli pareva che <strong>del</strong>le fiamme gli entrassero frale labbra inaridite e che gli scendessero nello stomaco abruciargli i polmoni. La testa gli girava, gli occhi, pieni disabbia, non vedevano più nulla e agli orecchi sentiva dei ronzìistrani. Nondimeno resisteva tenacemente, stringendo le gambesui fianchi ansanti <strong>del</strong> figlio <strong>del</strong> deserto. Aveva circondato conambe le braccia Esther, stringendosela al petto, lasciandosisferzare il viso dai lunghi e neri capelli <strong>del</strong>la giovane che ilvento aveva sciolti e che gli si attorcigliavano al collo. Ad untratto il mahari rallentò bruscamente la corsa. Il marchese alzòla testa e scorse confusamente, attraverso le onde di sabbia, unamassa enorme che pareva intercettasse la via.– Che sia il rifugio?... – si chiese.Il mahari, percorsi dieci o dodici passi, si era inginocchiatonascondendo la testa fra le gambe. Il marchese balzò a terratenendosi al petto, seminascosta fra il caic, Esther e si slanciò120


innanzi in direzione di quella massa oscura. Le sabbie ed iciottoli cadevano con furia estrema, coprendoli entrambi, mentreil vento ululava sinistramente, ardente come se uscisse dalcratere d'un vulcano. Vedendo aprirsi dinanzi un crepacciooscuro, il marchese vi si cacciò risolutamente entro. Era unaspelonca che forse un tempo era servita di rifugio a qualchefiera, assai alta, di forma irregolare, col suolo coperto di sabbiafina e di antichi ossami e che s'inoltrava per parecchi metri nelmezzo d'un enorme ammasso di rupi. Quando depose a terra lagiovane ebrea, s'accorse che essa non dava più segno di vita.– Che sia morta? – si chiese, con angoscia. – No... non èpossibile, <strong>del</strong>l'acqua, presto <strong>del</strong>l'acqua!Si rammentò in quel momento che il mahari, oltre ad avere<strong>del</strong>le borse contenenti <strong>del</strong>la farina di datteri, aveva pure due otripieni d'acqua. Senza badare alle sabbie che s'accumulavanodinanzi allo speco e al pericolo di venire atterrato e sepolto daquelle trombe turbinanti, si slanciò nuovamente all'aperto. Ilmahari non doveva essere lontano. Lo ritrovò a quaranta passi,inginocchiato al suolo, già quasi coperto dalle sabbie e collatesta ancora nascosta fra le zampe. Staccò rapidamente i dueotri, già molto sgonfiati e tornò verso lo speco, incespicando ecadendo più volte. Il vento, diventato impetuosissimo, lorespingeva, lo rotolava al suolo, poi tornava ad abbatterlo,mentre la sabbia lo accecava e gli entrava fra le fauci disseccate,minacciando di soffocarlo.Quando poté finalmente giungere al crepaccio, la giovaneebrea era tornata in sé.– Marchese! – esclamò, rivedendolo. – Vi credevo perduto.– Prendete, vi è <strong>del</strong>l'acqua qui! – rispose il signor diSartena, articolando le parole a sbalzi.– No, voi... voi...– Silenzio... bevete... dopo... dopo...121


La giovane accostò le labbra aride all'apertura <strong>del</strong>l'otre ebevette a lunghi sorsi tenendo gli occhi fissi in quelli <strong>del</strong>marchese. Sul suo viso, ordinariamente candido comel'alabastro, tinta particolare <strong>del</strong>le ebree marocchine che vince insplendore quelle <strong>del</strong>le creole, a poco a poco si diffondeva unaleggera sfumatura rosea.– Grazie – disse ma con un accento così caldo che fecetrasalire, forse per la prima volta, il marchese.Questi le sorrise, poi a sua volta accostò all'apertura ancoraumida dalle labbra rosee <strong>del</strong>la bella giovane e bevette. Cosastrana! Gli parve che quell'acqua che aveva bagnata la bellabocca di Esther, fosse diventata più dolce e più fresca dandogliuna sensazione <strong>del</strong>iziosa. Depose con precauzione l'otre accantoall'altro, badando che non sfuggisse nemmeno una goccia diquel liquido prezioso, poi guardò verso l'apertura, come sevolesse sfuggire lo sguardo nero e scintillante <strong>del</strong>la giovane chesi teneva ostinatamente fisso su di lui.– E vostro fratello?... E Rocco? – disse.– Non li avete veduti? – chiese Esther, con inquietudine.– Ma no!... – esclamò il marchese, stupito di non averpensato prima ai suoi compagni.– Che le sabbie li abbiano arrestati?...– Il loro mahari era robusto quanto il nostro e <strong>del</strong> pariveloce, quindi io non credo che il vento li abbia atterrati e lesabbie sepolti.– Che abbiano trovato qualche altro rifugio? – chieseEsther, le cui inquietudini diventavano angosciose.– Volete che vada a cercarli?– Vi esporreste ad un grave pericolo, marchese. Non uditecome le sabbie precipitano dinanzi alle rocce e come il ventorugge?– È vero, Esther, pure non devo rimanere qui inoperoso122


mentre forse stanno per venire sepolti da queste trombe disabbia.– Non potrete tentare nulla.– Proviamo, cerchiamo.Il marchese si spinse verso l'apertura e comprese subito chequalunque tentativo sarebbe stato vano. Il deserto era in pienatempesta e offriva uno spettacolo terribile. Le dune siscioglievano come se fossero diventate di neve ed il vento,sempre più caldo e sempre più impetuoso, sollevava le sabbie intali quantità da ottenebrare il cielo. Le cortine turbinavano intutte le direzioni alzandosi a prodigiose altezze, poi sispezzavano, bruscamente precipitando, quindi tornavano adalzarsi, volteggiando sulle possenti ali <strong>del</strong> turbine. Certimomenti quell'oscurità s'illuminava d'una luce viva e rossa comese il deserto fosse in fiamme e come se il cielo fosse rischiaratoda centinaia di vulcani. In alto ed abbasso si udivano rombiassordanti seguìti da ululati spaventosi prodotti dal ventosempre più scatenato. Le sabbie, spinte dappertutto,cominciavano già ad accumularsi anche dinanzi al rifugio,minacciando di otturarlo. Dall'alto di quell'enorme ammasso dirocce, cadevano ad ogni istante valanghe di sassi, i qualirimbalzavano dovunque, correndo poi all'impazzata pel deserto,sotto la spinta irresistibile dei venti.– Marchese, – disse Esther, stringendosi a lui – ho paura!– Siamo al coperto e nulla abbiamo a temere – rispose ilsignor di Sartena, cingendole con un braccio la vita. – Nonsiamo noi che corriamo pericolo, bensì gli uomini <strong>del</strong>lacarovana.– E mio fratello?– Avrà raggiunto qualche altro rifugio, ne sono certoEsther. Il moro aveva detto che ve n'erano parecchi fra questerocce e forse i nostri compagni sono più vicini a noi di quello123


che noi crediamo. Riposatevi fanciulla e aspettiamo che il simuncessi, dovete essere stanca.– È vero, marchese; mi reggo appena. Mi pare che l'aria mimanchi.– Riposatevi in quell'angolo; io veglio su di voi. Se avvienequalche cosa, vi sveglierò.La giovane, che si sentiva stordita e completamenteaffranta, si rifugiò nell'angolo più lontano <strong>del</strong>la caverna, mentreil marchese si sdraiava presso l'apertura tendendo gli orecchi,colla speranza di udire qualche chiamata. Si sentiva però anchelui invadere da un profondo torpore, causato forse daquell'intenso calore e dalla difficoltà <strong>del</strong> respiro e faceva sforziprodigiosi per tenere aperti gli occhi. Quando, dopo alcuniminuti, si volse, vide Esther stesa sulla fine sabbia <strong>del</strong>la caverna,colla testa abbandonata su un braccio e le palpebre chiuse. Ilseno le si alzava affannosamente, come se provasse difficoltà arespirare quell'aria infuocata che pareva priva di ossigeno.– Un po' di riposo le farà bene – disse. – Quando il simunsarà cessato, ci metteremo in cerca di Ben e di Rocco e poi <strong>del</strong>lacarovana.Si rimise in osservazione, lottando contro il torpore che loinvadeva con maggior ostinazione, però ad ogni istante sisentiva prendere da un irresistibile desiderio di volgere glisguardi verso l'angolo ove dormiva l'ebrea. Ad un tratto chiusegli occhi. I fragori <strong>del</strong>la tempesta non gli giungevano chevagamente agli orecchi e si sentiva invadere da un torpore<strong>del</strong>izioso, che lo invitava ad abbandonarsi. Lottò ancora qualchemomento, poi vinto da un estremo languore si lasciò cadere,mentre le sabbie, spinte dai venti, continuavano ad accumularsidinanzi al rifugio minacciando di seppellirlo vivo colla giovaneebrea.124


SEPOLTI DALLE SABBIEQuando il marchese, dopo una dormita durata forseparecchie ore, riaprì gli occhi, una semioscurità lo avvolgeva.Sorpreso da quel cambiamento di luce, non potendo ammettereche la notte fosse già calata, s'alzò bruscamente, girando intornogli sguardi. Un'angoscia inesprimibile gli strinse il cuore, nelloscorgere l'apertura <strong>del</strong> rifugio completamente ostruita dallesabbie. La luce che illuminava l'antro proveniva da unafenditura, non più larga di mezzo piede, aperta nella vôlta, da uncrepaccio insomma che non avrebbe potuto servire in alcunmodo d'uscita ad una persona, per quanto magra fosse stata.– Rinchiusi! – esclamò, con accento di terrore.Si alzò quanto era lungo, ascoltando attentamente i rumoriche scendevano attraverso il crepaccio. Al di fuori il simundoveva imperversare ancora, perché udiva confusamente deirombi lontani e gli ululati sinistri <strong>del</strong> vento.– La tempesta infuria sempre – disse, rabbrividendo – e lesabbie forse continuano ad accumularsi dinanzi a questo rifugio.S'avvicinò ad Esther. La giovane dormiva ancora, colbellissimo capo sempre posato sul braccio destro ripiegato, lelabbra schiuse ad un adorabile sorriso che metteva a nudo i suoidenti candidissimi. Una leggera tinta si era diffusa sul suo volto,dando alla pelle uno splendore insolito, come dei riflessi di setarosea.– Pare che sogni – mormorò il marchese. – Quanto saràterribile il risveglio! Se la lasciassi dormire e cercassi intanto ditrovare qualche uscita? Proviamo.S'allontanò di alcuni passi dirigendosi verso l'ammasso di125


sabbia, poi si arrestò guardando ancora la giovane. Gli erasembrato di udire un profondo sospiro.– Esther! – chiamò.La giovane aveva aperto gli occhi e stava per alzarsi.– Dove sono io? – si chiese.– Nel rifugio.– E... questa oscurità? Marchese!...– Devo darvi una brutta notizia – rispose il signor diSartena. – Le sabbie ci hanno rinchiusi.– Che cosa dite, marchese?– La verità, Esther. Siamo sepolti vivi.– Gran Dio!... E mio fratello... e gli altri?...– Non so dove siano. Probabilmente non hanno lasciato illoro ricovero, perché il simun infuria ancora.– E siamo rinchiusi? Allora noi siamo perduti!– Non smarritevi. In qualche modo noi usciremo.– E da quale parte? Non vedo nessun'altra apertura,marchese.– Non lo so, la cercheremo. Forse lo strato di sabbia non ècosì compatto come crediamo.– Marchese... io ho paura.– E di chi Esther? Di me forse?– Ah!... No! – esclamò vivamente la giovane. – Ma se nonpotessimo più uscire e dovessimo morire qui, soli, perdutinell'immenso deserto?...– Vi sono i nostri compagni.– E come potranno supporre che noi ci troviamo dietro aqueste sabbie?Il marchese impallidì e non rispose. Supponendo che Ben eRocco ed anche i cammellieri fossero sfuggiti alla morte, comeavrebbero potuto immaginarsi che Esther ed il marchese sitrovavano sepolti in quel luogo, nel cuore di quella enorme126


massa di rocce? Fra i due prigionieri regnò un lungo silenzio.Esther guardava il marchese con angoscia, aspettando unarisposta, una parola di speranza, che il côrso non riusciva atrovare.– Siamo perduti, è vero! – disse ella finalmente. – Noisiamo condannati a morire entro il nostro rifugio.– No, non perdiamoci d'animo – rispose il marchese. –Proverò a scavare le sabbie col mio fucile.– Franerà.– Lo temo anch'io, pure tentiamo.Raccolse l'arma che aveva deposta in un angolo, la scaricò<strong>del</strong>la cartuccia, poi accostatosi all'enorme massa che ostruival'entrata, vi cacciò a forza la canna.La sabbia, appena scavata, cominciò a rotolare da tutte leparti, minacciando di seppellire anche il marchese.– È troppo asciutta per tentare qualche cosa – mormorò ilcôrso, facendo un gesto di scoraggiamento. – Non sarà da questaparte che noi usciremo.Ritirò la canna e la trovò piena di sabbia.– Abbiamo dinanzi a noi una massa così enorme, che civorrebbero forse parecchie dozzine d'uomini armati di pale persgombrare l'uscita – disse a Esther.– Che cosa tentare ancora?– Non lo so, eppure io non voglio che voi moriate – disse ilcôrso con suprema energia. – Siete troppo giovane e troppobella per finire qui la vostra esistenza, o Esther.Vi erano in quelle parole una tale commozione e tantocalore, che la giovane lo guardò con stupore, arrossendo.– Morremo assieme – diss'ella con un filo di voce.Il marchese non rispose. I suoi sguardi si eranoostinatamente rivolti alla fessura dalla quale scendeva un fasciodi luce rossastra.127


– Là! – disse, dopo alcuni istanti. – La nostra salvezza stalassù! La vita, la libertà, tutto!... No, Esther, voi non morrete!...Io vi salverò.Quello squarcio si trovava in un angolo <strong>del</strong>la caverna, aquindici piedi d'altezza, e se non consentiva il passaggio ad unapersona, era però facile a raggiungersi, essendo la paretescrepolata ed ineguale. Aggrappandosi alle punte <strong>del</strong>le rocce epuntando i piedi nelle fessure, si poteva facilmente elevarsi finolassù, specialmente per un uomo come il marchese, robusto eagile e rotto a tutti gli esercizi <strong>del</strong>lo sport. Raggiungerlo perònon voleva ancora significare la libertà. Come abbiamo detto,quello squarcio non aveva che una larghezza di mezzo piede suuna lunghezza di due. Il marchese però aveva formato il suoprogetto, pericoloso forse, ma di possibile riuscita.– Che cosa volete fare? – chiese Esther, vedendolo dirigersiverso l'angolo <strong>del</strong> rifugio.– Avete <strong>del</strong>le cartucce anche voi? – chiese invece ilmarchese.– Sì, due dozzine almeno.– Ed io quasi il doppio. Vuotate le vostre e mettete da partela polvere. Mi sarà necessaria.– Volete preparare qualche mina?– Lo avete indovinato, Esther.– Cederà, la roccia?– Lo si vedrà, Esther. Con due libbre e forse più di polveresi può ottenere una buona mina e provocare uno scoppioformidabile.– E se non riuscirete?– Si compirà la volontà di Dio – rispose il marchese.Si aggrappò alle sporgenze <strong>del</strong>la parete, puntò i piedi inuna fessura e cominciò a innalzarsi coll'agilità di un gatto.Vedendolo inerpicarsi e pensando che se un piede gli sfuggiva128


poteva fracassarsi il cranio, Esther ebbe un brivido.– Badate, marchese, – gli disse con voce tremula – potresteuccidervi.– Non cadrò – rispose il côrso.Esther, ritta in mezzo al rifugio, seguiva ansiosamente ilmarchese, il quale continuava ad innalzarsi cacciando le ditanervose nelle fessure e tenendosi stretto a tutte le sporgenze cheincontrava. Ogni volta che lo vedeva esitare e vacillare, provavaun colpo al cuore e chiudeva gli occhi, credendo di vederlo già aprecipitare. Fortunatamente il signor di Sartena possedeva unaforza ed una elasticità incredibili, tali da sfidare il migliorgabbiere <strong>del</strong>la flotta <strong>del</strong> Mediterraneo. Finalmente con un ultimosforzo poté aggrapparsi alla fessura, librandosi per un momentonel vuoto.– Non vi sono che dieci o dodici centimetri di roccia –disse, dopo aver fatta scorrere una mano sui margini <strong>del</strong>losquarcio. – Ah!– Che cosa avete marchese? – chiese Esther.– Vi è qui un buco che sembra fatto appositamente perricevere una buona carica di polvere.– Ed il simun soffia ancora?– Mi pare che cominci a calmarsi. Prepariamo la mina.Si aggrappò nuovamente alla parete è dopo essere discesoun paio di metri, si lasciò cadere sullo strato sabbioso.– Non perdiamo tempo – disse. – Forse i nostri compagnistanno cercandoci.Misero insieme le cartucce e cominciarono a svitarleservendosi dei denti e mettendo la polvere in una borsa di pelle.– Conserviamone una dozzina – disse il marchese. – Non sisa mai quello che può accadere.Appena finito, il marchese stracciò un lembo <strong>del</strong> suo caic,lo bagnò in uno degli otri e lo cosparse di polvere onde129


preparare una miccia. La temperatura che regnava anche nelrifugio in causa <strong>del</strong>l'ardente vento <strong>del</strong> simun era tale, chebastavano due minuti per seccarla perfettamente.– Ritiratevi verso l'apertura e copritevi colla sabbia, Esther– disse il marchese. – Lo scoppio può determinare la caduta dimolti massi.– E voi avrete il tempo di fare altrettanto?– La miccia brucerà per lo meno quaranta secondi.Si cacciò in tasca la borsa gonfia di polvere e ricominciòl'ardua salita. Giunto anche questa volta felicemente presso lafenditura, vuotò la borsa nella buca che aveva scoperta, vi misela miccia, poi, strappati alcuni sassi malfermi, turò l'orifiziomeglio che poté onde l'esplosione riuscisse più formidabile.– Siete nascosta, Esther? – chiese.– Sì, marchese.Accese la miccia servendosi d'uno zolfanello, poi si lasciòscivolare lungo la parete, correndo là dove la giovane si eraquasi interamente sepolta fra le sabbie. Si preparò rapidamenteuna buca e vi si cacciò dentro. La miccia bruciava lentamente,con un leggero crepitìo, mandando in aria qualche scintilla. Ilmarchese la guardava consumarsi con un'ansietà facile acomprendersi. Sarebbe bastata quella polvere a disgregare lerocce, aprendo un varco sufficiente per lasciar passare un corpoumano? O anche spezzandosi, l'esplosione non avrebbedeterminato il franamento <strong>del</strong>la vôlta intera, seppellendo idisgraziati sotto le macerie? D'improvviso un lampo accecanteilluminò il rifugio, seguìto da un rimbombo assordante e da unrovinare di macigni. Esther, credendo che tutto crollasse, avevamandato un grido di terrore: il marchese invece, a rischio di farsifracassare da qualche masso, si era slanciato in mezzo al fumoche aveva bruscamente invasa la caverna. La mina avevasquarciato l'angolo <strong>del</strong>la vôlta, precisamente sopra la parete che130


il marchese aveva ripetutamente scalata, formando un'aperturairregolare e così ampia da lasciar passare comodamente unuomo molto grosso. Parecchi massi erano stati lanciati, dallaviolenza <strong>del</strong>l'esplosione, contro le pareti, ma nessuno avevaraggiunto l'ammasso di sabbia che otturava l'uscita.– Siamo salvi! – aveva gridato il marchese.Sbarazzò Esther dalla sabbia che la copriva e l'aiutò adalzarsi.– Vedete? – disse. – Usciremo e ritroveremo i nostricompagni e vostro fratello.– Sì, marchese, ma se la scalata è possibile a voi, forte eagile, non lo sarà per me – disse Esther.– Per centomila Cabili! – esclamò il marchese. – Io nonavevo pensato a ciò. Se potessi portarvi fino lassù!– Ci uccideremmo entrambi.– Che cosa fare? – si chiese il marchese. – Dovrò lasciarviqui, sola! No, non lo farò mai!– Rimarrò qui finché avrete trovato mio fratello e Rocco.Col loro aiuto e colle corde dei cammelli potrò uscire.– E se durante la mia assenza qualche pericolo viminacciasse, Esther?– Quale? Non vi è nessuno in questa caverna e poi non hoforse la mia carabina americana? – disse la giovane. – Partitemarchese, cercate i nostri compagni, poi tornate qui.– Esther...– Marchese.– Non avrete paura?– Nessuna; vi attenderò tranquillamente.– Siete coraggiosa.– Orsù, spicciatevi, marchese. Forse Ben e Rocco stannocercandoci e saranno molto inquieti non trovandoci in luogoalcuno.131


– È vero – disse il signor di Sartena. – E da solo non potròaiutarvi ad uscire.Afferrò vivamente la mano che la giovane ebrea gliporgeva sorridendogli, prese il fucile e si slanciò verso le pareti,raggiungendo facilmente lo squarcio.Allora issandosi a forza di braccia si trasse fuori, mettendoi piedi su una specie di piattaforma addossata ad una rupegigantesca. Il deserto si estendeva dinanzi a lui a perditad'occhio, completamente trasformato dal simun. Le lunghe filedi dune erano scomparse od avevano cambiato forme edimensioni. Là dove prima vi erano dei rigonfiamenti, sivedevano invece <strong>del</strong>le profonde escavazioni; là dove siestendeva una pianura, si scorgevano invece <strong>del</strong>le montagne disabbia, capricciosamente avvallate oppure emergevano, pari adisolotti perduti su un oceano sconfinato, <strong>del</strong>le rocce che prima ilmarchese non aveva mai vedute. Era un vero caos.– Il deserto ha cambiato faccia – mormorò.Guardò in tutte le direzioni, sperando di scoprire Ben eRocco o la carovana; invece non vide nulla.– Che siano stati tutti sepolti? – si chiese con angoscia. – Oche si siano riparati dietro a quelle montagne di sabbia che ilsimun ha formato?Si curvò sull'orlo <strong>del</strong>la piattaforma e guardò giù. La pareterocciosa scendeva dolcemente per una decina di metri, rendendofacile la scalata. Il marchese stava osservandola, quando la suaattenzione fu attirata da una forma biancastra che si agitavapresso la sabbia accumulata dinanzi al rifugio.– Il nostro mahari! – esclamò con voce giuliva. –L'intelligente animale ci ha fiutati e si è accostato alla caverna.Tornò rapidamente verso la spaccatura che metteva nelrifugio e chiamò Esther.– Avete visto nessuno, marchese? – chiese l'ebrea appena lo132


scorse.– Suppongo che i nostri compagni si trovino dietro le dune– rispose il signor di Sartena, il quale non voleva spaventarla. –Monterò il mahari e andrò a cercarli, giacché quel bravoanimale non ci ha abbandonati. Mi aspetterete senza timore?– Andate, marchese, ma non dimenticate che io vi attendofra mille angosce.– Il mahari è un buon corridore e mi basterà una mezz'oraper perlustrare un vasto tratto di deserto.Il marchese le fece un gesto d'addio accompagnato da unsorriso, poi si lasciò scivolare lungo la parete rocciosa,raggiungendo il mahari. Vedendolo, l'intelligente animales'inginocchiò per invitarlo a salire in sella.– Avanti, mio bravo – disse. – Bisogna cercare gli altri.Il mahari s'alzò, fiutò per alcuni istanti l'aria infuocata <strong>del</strong>deserto, poi si slanciò a corsa rapidissima attraverso le dune e lebassure con quell'andatura bizzarra, che fa sembrare queglianimali zoppicanti. Dove si dirigeva? Il marchese lo ignoravama aveva completa fiducia di quell'animale dotato d'un istintomeraviglioso e d'un odorato finissimo che gli permettono difiutare una sorgente e gli uomini a distanze incredibili. La corsasi accelerava sempre più, diventando così vertiginosa che ilmarchese penava a respirare. Salì un cumulo enorme di sabbia,si cacciò fra le dune, discese alcune bassure, poi tornò arimontare altri cumuli tenendo il collo teso e respirandofragorosamente. Correva da una buona mezz'ora sempre piùallontanandosi dall'enorme ammasso di rupi giganteggiantiverso il sud, quando s'arrestò quasi di colpo dinanzi ad unaduna, mandando un grido acuto. Quasi subito altre gridaconsimili vi risposero ed il marchese, con suo stupore, videsorgere fra le sabbie parecchie teste di cammelli.– La carovana! – esclamò.133


La sua gioia però ebbe la durata d'un lampo.– E Ben?... E Rocco? – si chiese, impallidendo.Le sabbie si agitavano in tutti i sensi ed i cammelli ed icavalli s'alzavano gridando e nitrendo sonoramente, poi ancheuna tenda che pareva fosse stata abbattuta, si sollevò, ed il moroed i due beduini comparvero, scuotendosi di dosso la polvere.– Voi signore! – esclamò El-Haggar, scorgendo ilmarchese. – Solo!... E gli altri?– Non sono tornati qui Ben e Rocco? – chiese il signor diSartena, tornando ad impallidire.– Non li abbiamo veduti, signore.– Nemmeno il loro mahari?– No.– Che siano stati sepolti dalle sabbie?– Non erano con voi?– Sì, ma poi non li ho più riveduti. Le trombe di sabbia ciavevano divisi.– E la signorina Esther? Perduta anch'essa?– È al sicuro.– Avete raggiunto le caverne <strong>del</strong>la roccia?– Sì, El-Haggar, io ed Esther siamo stati anche rinchiusidalle sabbie.– Forse l'ugual sorte è toccata anche a Ben Nartico ed alvostro servo – disse il moro, dopo un momento di riflessione.– Conoscete quelle caverne?– Mi ci sono rifugiato parecchie volte, signore.– Quante sono?– Quattro.– Vicine l'una all'altra?– No, signore.– Lasciamo che i beduini s'incarichino <strong>del</strong>la carovana.Prendete <strong>del</strong>le corde, montate un cavallo e seguitemi senza134


indugio.– Sono con voi, signore.– Ci occuperemo prima di Esther, poi cercheremo gli altri.Un momento dopo l'uno sul mahari e l'altro sul migliorcavallo lasciavano la carovana, dirigendosi verso l'enormeammasso di rocce. Quando scalarono la piattaforma e sicurvarono sullo squarcio, trovarono la coraggiosa fanciullaseduta in mezzo alla caverna, col fucile sulle ginocchia. Duesolide funi unite alle due estremità da una traversa di legnofurono calate e l'ebrea fu felicemente innalzata fino sulla rupe,assieme ai due otri, troppo preziosi per lasciarli nella caverna.– Marchese, – diss'ella, quando rivide la luce – a voi devola vita.Il signore di Sartena non rispose, ma le sorrise guardandolaa lungo negli occhi.135


UN TERRIBILE MOMENTOLiberata Esther e fatta scendere dalla rupe, il marchese edEl-Haggar si misero senza indugio in cerca di Ben e di Rocco.Erano tutti molto inquieti, temendo che si fossero rifugiati inuna caverna priva di qualsiasi apertura. Le sabbie, otturandol'ingresso, forse avevano intercettata l'entrata <strong>del</strong>l'aria e quei duedisgraziati potevano trovarsi alle prese coll'asfissia. Erano sicuriche avevano trovato anche essi un rifugio; si trattava però disapere in quale, essendovene altri tre lungo l'enorme pareterocciosa.– Cerchiamo innanzi a tutto il mahari – aveva detto ilmarchese. – Se le sabbie non lo hanno sepolto, in qualche luogolo vedremo.– È precisamente l'assenza di quell'animale che m'inquieta– aveva risposto El-Haggar, la cui fronte si era oscurata. – Sefosse ancora vivo, a quest'ora si sarebbe alzato e ci avrebbeanche fiutati. Ho guardato in tutte le direzioni dall'alto <strong>del</strong>lapiattaforma e non l'ho veduto.– Che si sia rifugiato anch'esso nella caverna occupata daBen e da Rocco? – chiese Esther, la quale non era meno inquieta<strong>del</strong> moro.– Non escludo questa probabilità – rispose El-Haggar. –Nondimeno sarei più tranquillo se lo vedessi alzarsi fra lesabbie.– Dove si trova il secondo rifugio? – chiese il marchese.– A quattro o cinquecento passi da qui.– Cerchiamolo.Si misero a seguire la parete rocciosa, guardando136


attentamente le sabbie che il simun aveva accumulate in enormequantità contro quel gigantesco ostacolo. Avevano sempre lasperanza di trovare qualche traccia di Ben e di Rocco. Giàavevano percorso quasi tutta la distanza che li separava dalsecondo rifugio, quando un grido di stupore sfuggì al moro.– Là! Là! – esclamò indicando una piccola duna. – Vedo ilmahari! Esso è coricato fra le sabbie!– Che sia morto soffocato? – chiese il marchese. – Se fossevivo si sarebbe alzato.El-Haggar mandò un grido gutturale ben noto ai cammelli,ma il mahari non si mosse.– È morto – disse il moro, slanciandosi innanzi. – Avrebberisposto alla mia chiamata.Quando gli fu vicino, dovette convincersi che il poveroanimale era veramente morto. Esso giaceva su un fianco, collelunghe zampe rattrappite, la bocca coperta di schiuma sanguignaed il ventre squarciato in così orribile modo che ne uscivanogl'intestini.– Chi può averlo ucciso? – chiese il moro, al colmo <strong>del</strong>lostupore. – Le sabbie ed il simun non entrano per nulla nella suamorte!Il marchese si era chinato sul povero animale, osservandoloattentamente.– È stato sventrato da qualche belva – disse, rialzandosi. –Solamente un colpo d'artiglio può aver prodotto questaspaventevole ferita. Guardate, El-Haggar! Si vedono le improntedi potenti unghie.– Che un leone affamato lo abbia assalito? – si chiese ilmoro, guardando paurosamente le dune che li circondavano earmando precipitosamente il suo lungo fucile rabescato.– Se non è stato un leone, sarà stata qualche pantera – disseEsther. – Queste caverne devono servire di rifugio a non poche137


elve.– E Ben! E Rocco! Che siano stati divorati? – si chiese ilmarchese.– Si vedrebbero altre macchie di sangue o qualchebran<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>le loro vesti – rispose El-Haggar. – No, non èpossibile che siano stati assaliti durante il simun.– Cerchiamoli, El-Haggar – rispose Esther che eradiventata pallidissima.– Dov'è la caverna?– Si trova dinanzi a noi.– È stata chiusa, è vero? – chiese il signor di Sartena.– Sì, e si trova precisamente dietro quell'ammasso disabbie.– Se il mahari è caduto qui, essi devono essere là dentro.Scaviamo, El-Haggar; forse giungeremo in tempo per salvarli.Il moro aveva portato con sé due pale ed una zappa, cheaveva sospese alla sella <strong>del</strong> cavallo, immaginandosi chepotessero essere utili. Mentre Esther, armata <strong>del</strong>la sua carabina,si metteva in sentinella, temendo che l'animale che avevasventrato il povero mahari si aggirasse dietro le dune, ilmarchese ed il moro si misero a scavare febbrilmente. La sabbiaaccumulata dinanzi al rifugio era moltissima e <strong>del</strong>lo spessore diparecchi metri, però avendo assalita la massa verso la cima, adogni scossa franava in quantità straordinaria. In pochi minuti laparte superiore <strong>del</strong>la vôlta doveva scoprirsi. Il lavoro eratutt'altro che facile. La sabbia continuando a scivolare lungo lachina, minacciava ad ogni istante di travolgere e ancheseppellire i due uomini. Già il marchese ed il moro ne avevanofatta cadere una quantità enorme, mettendo a nudo la pareterocciosa, quando entrambi s'arrestarono, guardandosi l'un l'altrocon viva ansietà.– Hai udito? – chiese il marchese al moro.138


– Sì – rispose questi.– Dei ruggiti è vero?– Ed anche <strong>del</strong>le grida umane.– Non ti sei ingannato?– No, signore.– Che il leone o la pantera, dopo d'aver sventrato il mahari,si siano rifugiati qui dentro?– Tutti gli animali temono il simun e quando le sabbie sisollevano cercano un ricovero.– E Ben? E Rocco? Saranno stati risparmiati?– Vi ho detto, signore, che ho udito <strong>del</strong>le voci umane.– Scaviamo, El-Haggar! Sono impaziente di chiarire questomistero.– Adagio, signore – disse il moro, raccogliendo il suo fucilee mettendoselo accanto. – Il leone potrebbe slanciarsi su di noid'improvviso, appena vede un'apertura.– Lo uccideremo – rispose il marchese, con accentorisoluto.Afferrò la zappa e si rimise a scavare, mentre il moro collapala continuava a far largo. D'improvviso videro aprirsi dinanziun buco e si sentirono mancare il terreno sotto i piedi. Avevanomesso allo scoperto la cima <strong>del</strong>l'entrata e la sabbia era cadutaentro il rifugio. Stavano per impugnare le armi, quando vennerorovesciati, travolti e precipitati fino in fondo all'ammassosabbioso.Quattro antilopi si erano scagliate attraverso quel primopassaggio colla velocità d'un uragano, atterrandoli con unaspinta irresistibile. Non si erano ancora alzati, che quelleagilissime bestie erano di già scomparse in mezzo alle dune,sfuggendo al colpo di carabina sparato da Esther.– Tuoni <strong>del</strong>l'Argentaro! – esclamò il marchese, rialzandosiprontamente col fucile in pugno.139


A quel grido una voce a lui ben nota, che usciva dallacaverna aveva risposto:– Padrone! Badate ai leoni!– Rocco! – gridò il marchese. – El-Haggar! Esther! Sono làdentro!La cosa sembrava così strana, che né il moro, né la giovaneebrea dapprima vi prestarono fede. Come potevano trovarsi làdentro, ancora vivi, se in quel rifugio si trovavano dei leoni?– È impossibile! – aveva esclamato Esther. – Vi sieteingannato.– No, ho udito la voce di Rocco – disse il marchese.– Se vi sono dei leoni!– Eppure ho inteso benissimo.– Allora vi sarà anche Ben!– Lo spero.– Ben! Ben! – gridò Esther.Una voce che pareva uscisse da sottoterra, rispose subito:– Esther!– Dove sei?– Nella caverna.– Solo?Un formidabile concerto di ruggiti spaventevoli impedì diudire la risposta.– Indietro! – gridò il marchese. – Preparate le armi!Si erano precipitati giù dall'ammasso sabbioso, prendendoposizione dietro una duna la quale s'alzava di fronte allacaverna, alla distanza di quaranta o cinquanta passi. I ruggiticontinuavano sempre più cavernosi, indizio certo che quelleformidabili fiere cominciavano ad impazientirsi.– Pare che siano in parecchi – disse il marchese, il qualeteneva il fucile puntato verso l'apertura.– Una famiglia intera – rispose El-Haggar, le cui membra140


tremavano mentre i suoi denti stridevano.– Che si decidano a uscire?– Devono essere impazienti di ricuperare la libertà.– Attento, marchese! – gridò Esther.Un leone aveva cacciata la testa fra lo scavo e si sforzavadi allargarlo, facendo crollare le sabbie. Il marchese, il moro e lagiovane puntarono rapidamente le armi mirando quella testaminacciosa, la quale mandava ruggiti assordanti.– Aspettiamo che esca – disse il côrso. – Se lo uccidiamosul posto, impedirà l'uscita agli altri.La fiera, scorgendo quelle persone armate, esitò qualchemomento, poi d'un colpo, con uno slancio gigantesco, siprecipitò giù dall'ammasso di sabbia.El-Haggar ed Esther fecero fuoco simultaneamente e forsetroppo precipitosamente, perché il leone non parve che fossestato toccato dalle loro palle. Con un secondo slancio raggiunsela cima d'una duna, dove si fermò in atto di sfida, facendorintronare il deserto dei suoi possenti ruggiti. Il marchese stavaper prenderlo di mira, intanto che il moro e la giovane ebrearicaricavano frettolosamente le armi, quando vide un altroanimale precipitarsi fuori <strong>del</strong>la caverna. Era una superbaleonessa, grossa quasi quanto il maschio e certamente non menopericolosa. Con uno slancio superò la distanza e raggiunse ilcompagno.– Ritiratevi verso la caverna! – gridò il marchese, al moroed alla giovane. – Stanno per assalirci!I due leoni avevano abbandonata la duna e si erano messi avolteggiare attorno al piccolo gruppo, ruggendospaventosamente e mostrando i formidabili denti. Pareva chevolessero impedire ai loro avversari di rifugiarsi nella caverna edi unirsi ai loro compagni. Il maschio soprattutto faceva paura,con quella criniera irta che lo faceva parere due volte più grosso.141


Balzava come se le sabbie fossero coperte di molle e con talerapidità da rendere quasi impossibile la mira.– Stringetevi a me – disse il marchese a El-Haggar e allagiovane. – Tenetevi pronti a fare una scarica. Io mi occupo <strong>del</strong>maschio; voi <strong>del</strong>la femmina.I due terribili animali continuavano a volteggiare concrescente velocità, stringendo a poco a poco i loro giri. Ilmomento <strong>del</strong>l'assalto non doveva essere lontano. Il marchese,non ostante il suo coraggio, si sentiva bagnare la fronte d'unfreddo sudore. Era sicuro <strong>del</strong> proprio colpo ma dubitava moltodi El-Haggar, il quale pareva che avesse perduta completamentela testa. Il povero diavolo tremava come se avesse la febbre ed ilfucile ballava fra le sue mani malferme.– Esther, – disse – conto su di voi. Mirate con calma.– Lo farò, marchese – rispose la giovane la cui voce peròera malferma.– Se sbagliate siamo perduti.In quel momento verso la cima <strong>del</strong>l'ammasso di sabbiaudirono echeggiare due urla di terrore. Rocco e Ben Narticoerano comparsi sul margine <strong>del</strong>la caverna, entrambi inermi.– Fuggite! – gridò il marchese.I due leoni, udendo le grida dei loro prigionieri, si eranoarrestati, guardandoli, come se fossero indecisi sulla scelta <strong>del</strong>leloro vittime. L'occasione era propizia per colpirli. Il marchesemirò il leone e fece fuoco. La belva mandò un ruggitospaventevole, girò due volte su se stessa volteggiando sullezampe deretane, cadde, poi si rialzò tentando di riprendere loslancio, quindi stramazzò giù dalla duna. La leonessa, vedendocadere il suo compagno, s'avventò furiosamente contro ilmarchese e lo atterrò di colpo, posandogli una zampa sul petto.Già stava per squarciargli il petto, quando le palle di El-Haggare di Esther la raggiunsero colpendola alla spalla destra e alla142


gola. Non ebbe nemmeno il tempo di mandare un ruggito ecadde addosso al marchese, fulminata. Esther, pallida,coll'angoscia ed il terrore scolpiti sul viso, si era precipitataverso il signor di Sartena, credendo che fosse stato ferito.– Marchese! Marchese! – esclamò con voce rotta.Il côrso con una violenta scossa si era sbarazzato <strong>del</strong>la fierae si era alzato sorridente e tranquillo.– Grazie, Esther – disse con voce commossa.– Se foste morto...– Vi sarebbe rincresciuto, Esther?– Vi avrei pianto per sempre – mormorò la giovane,abbassando gli occhi.143


LE TORTURE DELLA SETESe il marchese ed Esther avevano passato un terribilequarto d'ora nel loro rifugio, Ben e Rocco ne avevano passatouno peggiore perché oltre ad essere stati rinchiusi dalle sabbieaccumulate dal simun, avevano anche corso il pericolo di veniredivorati dai leoni. Separati dai loro compagni, dai turbini disabbia, avevano continuata la corsa verso il sud, affidandosiinteramente alla sagacia <strong>del</strong> loro mahari, finché s'erano trovatidinanzi all'enorme parete rocciosa. Vista un'apertura, già in granparte ostruita, vi si erano lestamente cacciati dentro per mettersial riparo dal turbinio sempre più impetuoso <strong>del</strong>le sabbie,abbandonando fuori il cammello. Quel rifugio, molto più ampiodi quello che avevano trovato il marchese ed Esther, era unacaverna che pareva avesse già servito di covo a degli animaliferoci, essendo ingombro di ossami spolpati di recente. Vi eranoappena entrati, quando avevano udito al di fuori le grida <strong>del</strong>mahari seguìte da ruggiti terribili. Per un istante si erano credutiperduti. Nella fretta di rifugiarsi nella caverna, si eranodimenticati di prendere i fucili, sospesi ancora alla sella.Fortunatamente le pareti <strong>del</strong> rifugio erano solcate da crepacci edin un angolo avevano scoperto una piattaforma, la quales'innalzava fino presso la vôlta. L'avevano prontamente scalata,mettendosi in salvo. Un momento dopo i due leoni erano entrati,poi erano giunte <strong>del</strong>le antilopi che il simun aveva cacciate dalledune. I leoni però, forse molto spaventati dalla furia crescente<strong>del</strong>l'uragano, si erano accovacciati in un angolo, senza pensaread assalire né gli uomini, né gli agili corridori <strong>del</strong> deserto.Tuttavia Rocco e Ben avevano molto desiderato trovarsi fuori,144


giacché quella tranquillità da parte <strong>del</strong>le belve poteva tutto d'untratto rompersi. Quella situazione angosciosa si era prolungatafino all'arrivo <strong>del</strong> marchese e dei suoi compagni. Solamentedopo il franamento <strong>del</strong>le sabbie e la fuga <strong>del</strong>le antilopi, i leoniavevano sentito ridestarsi la loro istintiva ferocia. Vedendoentrare la luce, si erano provati, senza esito però, a balzare sullapiattaforma per strappare i due disgraziati, poi erano fuggitiforse colla speranza di procurarsi una preda più facile o dibanchettare colle carni <strong>del</strong> povero mahari.– Vi assicuro, marchese, – disse Ben – che dei brividi ne hoprovati durante quelle ore angosciose. Credevo ad ogni istante diprovare i denti dei leoni e di trovarmi nei loro intestini.– Ed anch'io non ero certo allegro – aggiunse Rocco. –Avevo preparato bensì i miei muscoli per strangolare qualcunodi quei bestioni, però non vi nascondo che avevo la pelle d'oca eche sudavo freddo.– Vi credo, amici – rispose il marchese. – Ora però tutto èfinito e anche il simun se n'è andato senza causarci danni. Non lapoteva andare meglio.– O peggio, signore – disse il moro.– Perché dici questo, El-Haggar? – chiese il marchese. –Forse che qualche altro pericolo ci minaccia?– E più grave di quello che potete supporre.– Vuoi dire?...– Che il simun ha assorbito quasi tutta l'acqua degli otri eche fra qualche giorno saremo alle prese colla Sete.– Ne sei certo? – chiese il marchese, con viva inquietudine.– Ho esaminato gli otri prima <strong>del</strong> vostro arrivo. Hoconstatato che erano quasi vuoti.– Ne abbiamo due ancora pieni, quelli che aveva il miomahari e che abbiamo portato con noi nel rifugio.– Magra risorsa in questo deserto: non sarà che un giorno145


guadagnato, mentre ce ne occorrono ancora dieci o dodici pergiungere ai pozzi di Marabuti.– Tu mi spaventi, El-Haggar.– Vi espongo la situazione quale è, signore – rispose ilmoro con voce grave.– Non vi sono altri pozzi più vicini? – chiese Ben Nartico.– Quelli d'El Gedea che si trovano verso l'ovest, forse ladistanza sarà eguale a quella che ci separa da Marabuti e poidovremmo deviare di molte miglia.– Preferisco proseguire verso il sud onde raggiungere lacarovana – disse il marchese, dopo un momento di riflessione. –Economizzeremo l'acqua più che ci sarà possibile e spingeremoi cammelli più rapidamente che potremo.– Allora partiamo senza indugio, signore – disse El-Haggar.– Un'ora perduta può esser fatale. Ecco la carovana che giunge;non accordiamole un minuto di riposo.La prudenza più elementare li consigliava a non fermarsi,quantunque tutti, dopo quelle ricerche, avessero desideratoqualche giorno di riposo per rimettersi dalle fatiche sopportate edalle emozioni. Fatta una rapida visita agli otri, tutti furonoconvinti che il moro non aveva affatto esagerato il tremendopericolo che li minacciava.L'acqua si era evaporizzata sotto i soffi ardentissimi <strong>del</strong>simun e ne rimaneva così poca da non poter durare più di tre oquattro giorni usandone colla più grande economia. Comeavrebbero potuto resistere poi?Ecco quello che si era domandato, non senza un fremitod'orrore, il marchese. Avrebbero trovato qualche pozzo ignoratodalla loro guida?– Se ci vedremo minacciati dalla morte, uccideremo i mieicammelli – aveva detto Ben Nartico al marchese. – Dell'acquane hanno sempre nel loro serbatoio.146


Mangiato un boccone senza nemmeno sedersi, la carovanaaveva continuata la marcia, girando attorno alla colossale rocciala quale si prolungava per parecchie miglia verso l'est, formandoun bastione imponente. Esther aveva ripreso il suo posto sulcammello, riparata dalla tenda; il marchese, Ben e Rocco eranorisaliti sui loro cavalli, mentre il moro ed i due beduinispingevano i cammelli a sferzate per costringerli ad affrettare illoro pigro passo. Il deserto, anche al sud <strong>del</strong> bastione, era statospaventosamente sconvolto dal simun. Era un caos di dune, diavvallamenti, di solchi giganteschi che parevano scavati damigliaia di titani, e di colline sventrate in cento mila modi. Nonpiù un filo d'erba né un cespuglio, né un palmizio; il ventocaldissimo aveva disseccata tutta la magrissima vegetazione <strong>del</strong>Sahara o l'aveva estirpata o sepolta sotto ammassi di sabbia,privando in tal modo i cammelli <strong>del</strong> loro cibo ordinario.– Questo simun è un vero flagello – disse il marchese, i cuisguardi erravano tristamente su quella regione desolata. – D'orainnanzi saremo costretti a nutrire i nostri animali con farina didatteri e con fichi secchi.– Domandano così poca cosa! – disse Ben Nartico. – Unpugno di farina appena inumidita per loro basta. Essi avranno laforza di andare anche più oltre; saremo noi che forse nonriusciremo a spingerci fino a quei pozzi.– Ridurremo le razioni all'ultimo limite.– L'acqua non basterà, marchese.– Berremo il sangue <strong>del</strong>le nostre bestie ma non ciarresteremo – disse il signor di Sartena, con suprema energia. –Mi pare che siamo tutti valenti e lotteremo fino alla fine.– Vi è una donna fra noi.– Ah! Sì, vostra sorella, ma è una donna che ha <strong>del</strong>l'energiada cedere anche a noi. E poi le ultime gocce d'acqua leserberemo esclusivamente per lei.147


– Ed i beduini non li contate? Nel deserto tutti sono egualie nessuno può bere un sorso d'acqua di nascosto, sotto pena dimorte. Se voi aveste voglia di favorire mia sorella, i cammellierinon ve lo permetterebbero.– Ah! La vedremo, Ben Nartico.– Se volessero opporsi con due pugni li metterò a posto io– disse Rocco il quale assisteva al dialogo. – Me ne date ilpermesso, padrone?– Io non credo che osino tanto – rispose il marchese. – Seessi sono selvaggi noi siamo uomini civili e sapremo calmarlicon argomenti persuasivi.Mentre si scambiavano quelle parole, la carovanacontinuava ad avanzarsi sotto una vera pioggia di fuoco. Il cielo,cessato il simun, aveva riacquistata la sua purezza ed il soledardeggiava perpendicolarmente i suoi raggi, scaldando lesabbie a bianco. Quel calore che rendeva l'atmosfera d'unaelasticità straordinaria, unitamente alla calma assoluta cheregnava sopra la sconfinata pianura sabbiosa e la rifrazione diquell'oceano di luce intensa, abbagliante, producevano difrequente <strong>del</strong>le strane illusioni d'ottica, le quali di quando inquando facevano battere di speranza i cuori dei due isolani estrappavano alle loro labbra grida di sorpresa. Quando meno sel'aspettavano, apparivano ai loro sguardi meravigliati <strong>del</strong>ledistese d'alberi, <strong>del</strong>le palme superbe che pareva dovesseropromettere <strong>del</strong>le oasi ridenti; oppure <strong>del</strong>le lunghe file dicammelli o di cavalli montati da beduini e da marocchini sfilantiall'orizzonte; o vedevano aprirsi improvvisamente, fra le sabbie,dei canali profondi che parevano colmi d'acqua, dei veri fiumi.Ahimè! Non erano che semplici illusioni d'ottica. Era ilmiraggio che giuocava ai loro occhi inesperti dei veri tiribirboni, simili ai cru<strong>del</strong>i disinganni provati dai soldati francesinella famosa spedizione d'Egitto. Questi fenomeni sono148


comunissimi nei deserti, e più specialmente nel Sahara e hannoingannato più volte perfino dei vecchi viaggiatori, i qualicredendo in buona fede di aver veduto cose reali, hannoraccontate cose meravigliose come di laghi scorti fra le sabbie,di oasi popolose e ricche di palagi e simili altre corbellerie. Imiraggi sono dovuti al forte riscaldamento <strong>del</strong> suolo, alladisuguaglianza di densità degli strati d'aria e anche allarifrazione dei raggi luminosi. La carovana che il marchese ed ilcôrso scorgevano non era che la loro che si riflettevaall'orizzonte; i gruppi di palmizi che parevano formasseroboschi non erano altro che due o tre palme perdute chissà aquale distanza; i laghi erano il cielo capovolto per effetto diottica e dagli strati d'aria dilatati pel contatto <strong>del</strong> suolo troppoardente. Tuttavia che terribili <strong>del</strong>usioni per persone già alle presecolla sete e che non sognavano che fiumi e pozzi d'acqua!... Viera di che diventare furiosi e perdere anche la pazienza. Allasera la carovana fu costretta ad arrestarsi intorno ad un'alta duna.I cammelli non si reggevano più e si erano lasciati cadere alsuolo l'uno dietro l'altro, resistendo ostinatamente alle grida ealle busse dei beduini e <strong>del</strong> moro. Si sarebbero fatti ucciderepiuttosto che alzarsi e fare qualche miglio ancora. Il marchese,alla presenza di tutti aprì un recipiente e diede a ciascuno larazione d'acqua, poco più d'un bicchiere di un liquido caldo, chepuzzava di muschio pel continuo contatto colla pelle eassolutamente insufficiente a spegnere la terribile sete che lidivorava. Poi rinchiudendo l'otre, disse:– Avverto che chi toccherà i recipienti senza il miopermesso lo ucciderò come un cane. Ho detto e lo giuro su Dio esul Corano.La cena fu triste. La farina di dattero, le pallottole dikuskussù e la carne conservata in scatole non andava giù che consforzi supremi in quelle gole arse dall'infuocata temperatura <strong>del</strong>149


deserto ed irritate dalla polvere impalpabile che si librava soprale dune. Terminato il magro pasto, ognuno si stese sui tappeti,cercando d'ingannare la sete colle pipe. Una tranquillità assolutaregnava sul deserto ed un silenzio perfetto. Nessun rumore sinotava in alcuna direzione, né alcun alito di vento soffiava daquegli sconfinati orizzonti. Era la gran calma <strong>del</strong> Sahara, quellacalma che infonde negli animi dei viaggiatori un senso di stranobenessere e che tuttavia non è disgiunto da una profondatristezza. Si sente fortemente l'isolamento, si sente l'immensità,si sente la paura <strong>del</strong>l'ignoto. La luna si era alzata in tutto il suosplendore e seguiva silenziosamente il suo corso, attraversomiriadi di stelle, prolungando indefinitamente le ombreproiettate dalle dune, dalle tende e dai cammelli. I suoi raggiazzurrini, d'una grande trasparenza si riflettevano vagamentesulle sabbie, le quali avevano degli strani scintillìi. Pareva chel'astro si specchiasse nelle acque d'un lago stendentesi attornoall'orizzonte. Il marchese aveva lasciata cadere la sua pipa, eguardava, rapito da quella scena meravigliosa, a fianco diEsther, la quale si era sdraiata sul tappeto, fuori <strong>del</strong>la tenda.– Che notte – disse finalmente. – Dove se ne può veder unasimile? Bisogna venire nel deserto per goderne di uguali. Oracomprendo l'amore che nutrono i Tuareg pel loro Sahara nonostante le tante tribolazioni che sono costretti a soffrire su questearide sabbie.– E anche voi cominciate ad amarlo questo deserto, è veromarchese? – chiese Esther.– Sì, e quasi invidio l'esistenza dei predoni <strong>del</strong> Sahara.– Eppure la morte ci minaccia, marchese. Chi può dirci sequesto mare di sabbia non ci sarà fatale? Forse fra otto giorninoi non saremo più vivi.– Noi forse, ma non voi – rispose il marchese.– Perché dite questo?150


– Perché serberemo a voi gli ultimi sorsi d'acqua.– E credete che io accetterei un simile sacrificio. Ah! No,marchese, e poi non potete privare gli altri per me.– Chi m'impedirà di dare a voi la mia parte? Posso dispornea mio piacere senza che nessuno abbia da ridire.Poi prendendo la fiaschetta che teneva sospesa al fianco, eporgendola ad Esther, disse:– Io e Rocco abbiamo lasciato qualche sorso per voi.Dovete voi soffrire più di noi.– La razione mi è stata sufficiente, marchese – rispose lagiovane, con voce commossa. – No, mi sembrerebbe dicommettere un <strong>del</strong>itto privandovi anche d'una sola goccia.– Noi siamo uomini che abbiamo affrontate le terribiliprivazioni <strong>del</strong>la campagna <strong>del</strong>la Cabilia. Accettate Esther, ve neprego.La tentazione era irresistibile. La povera giovane, nonabituata agli ardori <strong>del</strong> deserto, si sentiva disseccare le carni eaveva la gola in fiamme, pure ebbe ancora il supremo eroismo dirifiutare.– No, marchese, no...Il signor di Sartena con un rapido gesto le accostò lafiaschetta alle labbra e gliela vuotò in bocca.– Grazie – ebbe appena il tempo di mormorare.Come se quei pochi sorsi le avessero spento d'un colpo lasete che la tormentava, Esther si era lasciata cadere sul tappeto,in preda ad una specie di torpore. Il marchese, dopo d'aver fattoil giro <strong>del</strong> campo, interrogando ansiosamente l'orizzonte, si erasdraiato a pochi passi dalla giovane, a fianco di Rocco. Amezzanotte, El-Haggar, come gli era stato ordinato, suonò lasveglia col suo corno d'avorio e mezz'ora dopo la carovanariprendeva le mosse, bastonando senza misericordia i cammelliricalcitranti. Attraversavano allora un tratto di deserto151


frequentato ordinariamente dalle carovane. Era la gran viabattuta dai mercanti sahariani che dalle coste di Berber vannoverso le oasi <strong>del</strong> deserto centrale e se ne vedevano purtroppo lelugubri tracce. Erano lunghe file di scheletri biancheggiantisotto i raggi <strong>del</strong>la luna, scheletri di cammelli, di asini, di cavallie d'uomini che il simun aveva di certo dissepolti e dispersi fra ledune. Quella marcia fu una <strong>del</strong>le più terribili, perché fu protrattafino alle undici <strong>del</strong> mattino. Quando si arrestarono, erano tuttimorenti di sete. Avevano le labbra screpolate, la gola infuocata ela lingua talmente secca da non poter articolare parola.– Acqua! Acqua! – era il grido che usciva da tutte lebocche.Anche i cammelli si lamentavano e facevano sforzidisperati per lambire la pelle degli otri ed inumidirsi almeno lalingua.Il marchese però, quantunque soffrisse forse più degli altri,rimaneva sordo a tutte le preghiere.– Quell'acqua è la vita – rispondeva. – Non ne avrete unagoccia fino alla ferma notturna. Io devo rispondere <strong>del</strong>le vostreesistenze e non cederò nemmeno dinanzi alle armi.Il cuore gli sanguinava soprattutto vedendo soffrire lapovera Esther, ma se in quel momento avesse osato offrirglienequalche goccia, i cammellieri, già furiosi, non avrebbero di certotollerato quella parzialità ed il marchese non voleva ancorascatenare un rivolta, quantunque fosse ben deciso di serbare gliultimi sorsi per la giovane. Non fu che verso le quattro, quandoil calore cominciava un po' a decrescere, che la carovana siripose, in cammino. Il marchese, che cominciava a diffidare deibeduini, aveva messo alla testa <strong>del</strong>la carovana i due cammelliche portavano gli otri onde averli sotto gli occhi ed impedire unasorpresa che avrebbe avuto conseguenze incalcolabili. Ne avevaaffidata la sorveglianza a Rocco, il solo forse che non152


dimostrasse di soffrire troppo la mancanza d'acqua.– Il primo che li tocca uccidilo – gli aveva detto ilmarchese.– Contate su di me, padrone – rispose il gigante. – Se ibeduini ed il moro s'accostano ai cammelli li fulmino con duepugni che saranno peggiori dei castighi di Dio.Il pericolo stava specialmente dalla parte dei due beduini,uomini di una fe<strong>del</strong>tà assai dubbia, capaci di qualsiasibricconata. I loro volti avevano già fin dal mattino assunto unaspetto feroce, e più volte il marchese li aveva sorpresi aronzare, in attitudine sospetta, attorno ai due cammelli cheportavano la provvista. Se la paura non l'avesse trattenuti,probabilmente la carovana sarebbe rimasta ben presto senza unagoccia <strong>del</strong> prezioso liquido.– Stiamo in guardia, marchese – disse Ben vedendolilanciare cupi sguardi ripieni d'ardente bramosia sui duecammelli. – Essi tramano qualche cosa e faremo bene a vegliaredurante le fermate.– Monteremo la guardia per turno – rispose il côrso.– Sono capaci di fuggire colla provvista, lasciandoci senzauna goccia d'acqua.– Non andrebbero molto lontani, Ben. Ho <strong>del</strong>le armi dilunga portata e le mie palle li raggiungerebbero presto.Anche quella terza marcia, la più dolorosa di quante neavevano fatte fino allora, si protrasse fino a tarda ora, attraversopianure immense prive di qualsiasi filo d'erba. Il marchese stavaper dare il segnale <strong>del</strong>la fermata, quando la sua attenzione fuattirata da uno stormo immenso d'uccelli di rapina, il quale oras'alzava ed ora si abbassava fra le dune, con un gridìoassordante.– Cosa c'è laggiù? – si chiese fermando il proprio cavallo. –Qualche motivo deve aver radunato qui quei volatili che sono153


pur rari in questo deserto.– Se voi vedete gli uccelli io sento un puzzo orrendo –disse Rocco, che da qualche istante fiutava l'aria. – Si direbbeche dietro quelle dune vi sia un carnaio che sta putrefacendosi.– Un'ecatombe forse? – chiese il marchese, impallidendo. –Qualche massacro compiuto dai predoni <strong>del</strong> Sahara, dai ferociTuareg?– Od una carovana morta di sete? – disse Ben.– Rocco, rimani a guardia <strong>del</strong>la provvista d'acqua e diEsther e noi Ben andiamo a vedere.Fecero fermare la carovana e spinsero i cavalli attraverso ledune spronando vivamente, perché gli animali nonmanifestavano troppo desiderio di andare innanzi.S'impennavano di frequente, nitrivano, fiutavano l'aria,scuotevano le folte criniere e sferravano calci. Di passo in passoche s'accostavano alle dune, dietro le quali si vedeva piombarel'immenso stormo degli uccelli da preda, l'odore diventava cosìpestilenziale, che il marchese, quantunque abituato alle stragidei campi di battaglia, si sentiva quasi venir meno.Sorpassata l'ultima duna, un orribile spettacolo si offerse aisuoi occhi.154


UN'ECATOMBESu una vasta pianura che s'abbassava in forma d'imbuto,una numerosa carovana giaceva senza vita, abbattuta fra lesabbie. Uomini, cammelli, cavalli e asini, confusamentemescolati in mezzo ad armi, a casse, a barili, a pacchi d'ogniforma e dimensione ma sventrati e fracassati riposavanoinsieme, nell'eterno sonno <strong>del</strong>la morte. Un silenzio profondo,rotto solamente dal lugubre gridìo degli uccelli da preda,volteggianti su quell'ecatombe, regnava in quell'immensocarnaio che l'ardente sole <strong>del</strong> Sahara aveva già cominciato adecomporre.– Che cosa è successo qui? – chiese il marchese, con vocestrozzata. – Chi ha potuto causare la morte a questa carovana?– I pirati <strong>del</strong> deserto, signore – rispose Ben Narticorabbrividendo. – Questi disgraziati sono stati sorpresi e distruttifino all'ultimo. Guardate! Il campo, dopo la vittoria dei briganti,vittoria forse facile, è stato saccheggiato.– Ma quando?– Forse da non più di ventiquattro ore.– Forse che i Tuareg si aggirino da queste parti?– Tutto lo indica, marchese.– Che qualche carovana sia stata sorpresa?– È probabile, marchese.– Fuggiamo, Ben! Fuggiamo!– No, marchese: forse la morte di questa carovana ci salva.– Perché dite questo?– Qui troveremo <strong>del</strong>l'acqua. Vedo un gran numero di otridispersi fra le sabbie e non tutti saranno vuoti.155


– Non avrò il coraggio di mettere i piedi fra questo carnaio– disse il marchese.– Vi manderemo i beduini.– Venite, Ben; quest'aria pestifera è pericolosa.Stavano per spronare i cavalli, quando in mezzo a quelladistesa di morti, udirono echeggiare un grido umano, rauco,straziante:– Acqua! Ac...qua!Il marchese e Ben si erano arrestati.– Un uomo che vive ancora! – esclamò il marchese. – Hoben udito io?La medesima voce, più straziante di prima, s'alzò fra imorti:– Ac...qua!... Ac...qua!...– Vi è un uomo da salvare – disse il marchese,profondamente commosso. – Ben, andiamo a cercarlo.Rifiutandosi i cavalli d'avanzare, scesero da sella, presero ifucili e si diressero verso il luogo ove avevano udito levarsi quellamento. L'odore che esalava quell'ammasso di cammelli ed'uomini era tale, che il marchese fu costretto ad arrestarsi piùvolte. L'assalto dei pirati <strong>del</strong> Sahara doveva essere stato terribile,spietato. Dovunque v'erano gruppi d'uomini coperti di ferite, coivolti spaccati a colpi di sciabola, coi crani fracassati dai calci deifucili, coi corpi crivellati dai colpi di lancia. Molti erano stati giàdecapitati, avendo l'abitudine, quei feroci predoni, di sospenderealle selle dei loro rapidi mahari, le teste dei vinti nemici, ondemostrarli alle donne <strong>del</strong>le loro tribù, come prove <strong>del</strong> loroindomito valore. Perfino i cammelli non erano stati risparmiati ese ne vedevano moltissimi coricati gli uni addosso agli altri euccisi a colpi di fucile, tirati forse a bruciapelo.– Che macello! – esclamò il marchese. – Ah! Sono benterribili quei Tuareg!...156


– Quando escono dai loro inaccessibili covi, portanodovunque la strage – rispose Ben Nartico. – Guai allora allecarovane che incontrano sul loro cammino e che osano tentare laresistenza. Forse quei disgraziati marocchini, fidando nelleproprie forze e nel proprio numero, hanno tentato di far fronteall'assalto di quei briganti e hanno pagato colla morte il lorocoraggio.– Ac...qua!... Ac...qua!... – ripeté in quell'istante la voce,con accento così disperato che il marchese si sentì correre unbrivido per tutte le ossa.Erano allora giunti presso una duna dietro la quale sivedeva un gruppo di dodici o quindici marocchini che dovevanoaver opposta una vigorosa resistenza, perché erano mescolati adalcuni uomini dai volti feroci e barbuti, coi corpi avvolti in ampicaic bruni o bianchi e che stringevano ancora fra le dita,rattrappite dagli ultimi spasimi <strong>del</strong>la morte, dei larghi yatagan alama diritta, dei Tuareg di certo. Tutto intorno le sabbie eranoinzuppate di sangue e in alto s'aggiravano dei brutti avvoltoi, iquali di quando in quando si gettavano su quei cadaveristaccando dai volti lunghi bran<strong>del</strong>li di carne già verminosa. Ilmarchese, dato uno sguardo su quei miseri, le cui ossa dovevanorimanere insepolte a calcinarsi lentamente sotto la pioggia difuoco <strong>del</strong> sole africano, stava per salire una seconda duna,quando a pochi passi, su un terreno scoperto, vide sorgere edimenarsi una testa umana.Quasi contemporaneamente una voce, lamentevole,strozzata, ripeteva per la quarta volta:– Ac...qua!... Ac...qua!...Il marchese e Ben Nartico si erano precipitati innanzi,mandando un grido di sorpresa e d'orrore. Un essere ancoravivo, forse l'unico superstite di quell'ecatombe, stava dinanzi aloro, sepolto nella sabbia fino al collo con dinanzi, fuori di157


portata <strong>del</strong>le labbra, un vaso contenente ancora un po' d'acqua.Quel disgraziato, che i feroci Tuareg avevano condannato alsupplizio di Tantalo, per farlo morire di sete coll'acqua dinanziagli occhi, aveva il volto spaventosamente alterato, le labbrascrepolate e contratte e le orbite orribilmente dilatate. Vedendocomparire il marchese e Ben, le sue pupille, che avevano stranibagliori, si fissarono su di loro, con terribile ansietà ed insiemepaura.– Acqua!... – gridò.Non era più una voce umana, era un vero ruggito di belva.Poi era rimasto immobile, cogli occhi sempre spaventosamentefissi sui due salvatori, mentre le sue mascelle s'abbassavanolentamente con un lugubre crepitìo.– Disgraziato! – esclamò il marchese. – Quei mostri nonpotevano immaginare un supplizio più atroce! Sarebbe statomeglio che l'avessero ucciso!S'armarono entrambi d'una di quelle larghe sciabole cheavevano veduto presso i marocchini e si misero a scavarefebbrilmente la sabbia. Pareva che l'assetato, dopo l'ultimogrido, avesse esaurito tutta la sua energia, perché conservavaun'assoluta immobilità, tenendo la testa affondata fra le spalle,come una fiera in agguato. Solamente i suoi sguardi si eranodistolti dal marchese per fissarsi sul vaso <strong>del</strong>l'acqua. Ad untratto, quando già Ben ed il marchese lo avevano quasiinteramente disseppellito, parve che acquistasse tutto d'un colpol'elasticità <strong>del</strong>le membra. Con uno scatto improvviso, fulmineo,e prima ancora che il marchese avesse pensato a trattenerlo, siera slanciato fuori da quella buca che avrebbe dovuto, servirglida tomba, gettandosi sul vaso. Afferrarlo e vuotarlo tutto d'unfiato, fu la questione d'un secondo.– Fermatevi! – aveva gridato il marchese. – Vi uccidete!...Era troppo tardi. Il liquido era ormai scomparso ed il158


disgraziato era piombato al suolo come fosse stato toccato dauna bottiglia di Leyda.– Morto? – chiese Ben.– Forse no.Il marchese si era curvato sul povero uomo posandogli unamano sul petto.– Il suo cuore batte ancora – disse. – Questi saharianidevono avere la pelle ben dura. Da quanto tempo si trovavaseppellito?– Da molte ore di certo, forse da più di qualche giorno –disse Ben.– Trasportiamolo al campo e cerchiamo di salvarlo. Unuomo di più non ci sarà di peso, specialmente ora che abbiamola speranza di trovare degli otri pieni d'acqua.– Ve ne saranno qui – rispose Ben. – Ai Tuareg premono lemerci e le armi e non già l'acqua. Sanno dove si trovano i pozzie ne hanno in abbondanza.Presero il sahariano per le gambe e per le braccia e sidiressero verso i cavalli. Il marchese intanto osservavacuriosamente il moribondo. Era un uomo di trent'anni,magrissimo, di statura piuttosto alta, colla pelle abbronzata ed ilineamenti molto più regolari di quelli che si riscontranoordinariamente fra gli abitanti <strong>del</strong> Sahara. Due piccoli baffi,piuttosto radi, gli ombreggiavano il labbro ed al mento portavaun lungo pizzo simile a quello che usano avere gli algerinisoggetti alla Francia. Anche le vesti che indossava erano diverseda quelle dei cammellieri <strong>del</strong>le oasi e dei marocchini, avendolarghi calzoni di stoffa rossa, casacca di panno azzurro conalamari pure rossi e alle gambe alte uose di tela.– O m'inganno assai o quest'uomo è un algerino – disse ilmarchese. – Se non muore, sapremo chi sarà.Quando giunsero ai cavalli, lo caricarono sull'animale più159


docile e s'affrettarono a giungere al campo dove Esther e Roccoli aspettavano con viva impazienza, tenendo a freno i beduiniche la sete aveva resi furiosi. Appena questi ultimi appresero lanotizia <strong>del</strong> massacro, si slanciarono all'impazzata verso il campo<strong>del</strong>la morte spinti un po' dall'avidità <strong>del</strong> saccheggio, masoprattutto dalla speranza di trovare ancora <strong>del</strong>l'acqua negli otri<strong>del</strong>la carovana. Intanto il marchese, fatta rizzare una tenda estendere alcuni tappeti, aveva coricato il moribondo, il qualecontinuava a dare pochi segni di vita. L'emozione, la lunga setesofferta e anche la compressione subita per tante ore fra lesabbie ardenti, dovevano averlo ridotto in pessimo stato.Tuttavia il marchese non dubitava di poterlo salvare. Aiutato daRocco e da Ben gli aprì i denti che teneva chiusi con forzasuprema e gli versò fra le inaridite fauci alcune gocce di vecchiocognac. Un sonoro sternuto accompagnato da una smorfiaspasmodica, fece avvertito il marchese che l'ultimo superstite<strong>del</strong> massacro non era così malandato come credeva.– Quest'uomo deve essere di ferro – disse. – Lo credevomoribondo mentre invece mi ha l'aria di voler risuscitare moltopresto. Un riposo d'un paio d'ore lo rimetterà in gambe.Gli fece inghiottire a più riprese parecchi cucchiai d'acquazuccherata, lo coprì con un caic e lo lasciò tranquillo. Quandouscì in compagnia di Esther, vide i due beduini ed il mororitornare carichi di otri gonfi d'acqua.– Padrone siamo salvi! – gridò El-Haggar, precipitandosiverso il marchese. – Prendete, bevete senza economizzare; vi èacqua in abbondanza laggiù.– Hai riconosciuto nessuno di quei morti? – chiese ilmarchese, dopo essersi dissetato abbondantemente.– No, signore – rispose El-Haggar.– Non sapresti dirmi se quella carovana era quella che noidovevamo raggiungere a Marabuti?160


– Ho esaminato parecchi di quei disgraziati, però non sonoriuscito a riconoscerne alcuno. Sono quasi tutti feriti in volto dacolpi di lancia e di yatagan e coperti di sangue.– Credi che i Tuareg si siano allontanati?– Lo suppongo, signore. Devono aver fretta di mettere insalvo le merci prese.– Quanti uomini componevano la carovana, secondo i tuoicalcoli? – chiese Ben.– Dovevano essere per lo meno duecento – rispose il moro.– Allora i Tuareg dovevano essere moltissimi.– Talvolta si radunano in parecchie centinaia per dareaddosso alle grosse carovane. Una volta ho veduto una bandaforte di cinquecento cavalieri.– Che tornino qui? – chiese il marchese. – Hanno lasciatomolte armi e molti altri oggetti che probabilmente non hannopotuto trasportare.– È probabile che vengano a raccogliere il resto – disse El-Haggar.– Sarebbe quindi un'imprudenza fermarci qui.– Sì, signore. Non spira buon'aria per noi, qui.– E l'uomo che abbiamo raccolto? – chiese Esther. – Quelpoveretto non potrà reggersi in sella.– Lo legheremo su un cammello – rispose il marchese.– O gli cederò il mio, così potrà rimanere coricato.– Vi sono degli altri otri da raccogliere? – chiese Ben.– Ne abbiamo veduti molti – rispose il moro.– Andiamo a prenderli – disse Rocco. – L'acqua è troppopreziosa per lasciare che la beva il sole. Condurremo con noiquattro cammelli e vi raggiungeremo più innanzi.– Spicciatevi dunque – disse il marchese. – Ciaccamperemo più al sud.Mentre Rocco, El-Haggar ed i beduini partivano pel campo161


<strong>del</strong>la morte, il marchese, Esther e Ben abbeveravano gli animaliper rianimarli, poi caricarono sul cammello coperto dalla tendail supposto algerino, senza che quel disgraziato avesse riapertogli occhi.– Partiamo, – disse il marchese – e andiamo a respirare ariepiù pure. Ben, Esther, i fucili in mano, non si sa mai ciò che puòaccadere; forse i Tuareg non sono molto lontani.Radunarono i cammelli, girarono al largo dal campo <strong>del</strong>lastrage e si diressero verso il sud-ovest, passando fra duealtissime file di dune, le quali serpeggiavano capricciosamenteattraverso il deserto. Avendo scorto, parecchie miglia più amezzodì, una specie di bastione roccioso, volevano raggiungerloe stabilire colà il loro accampamento, onde poter dominare unvasto tratto <strong>del</strong> Sahara e quindi evitare una sorpresa da parte deiferoci predoni. Una mezz'ora più tardi Rocco, i beduini ed El-Haggar li raggiungevano coi quattro cammelli. Avevano raccoltiquattordici otri quasi tutti pieni d'acqua, provvista sufficiente perpermettere di raggiungere Marabuti senza correre il pericolo didover provare ancora le atroci torture <strong>del</strong>la sete. Rocco avevafatto il giro <strong>del</strong> campo <strong>del</strong>la strage, onde accertarsi che non vierano dei Tuareg nascosti fra le dune o se non vi erano altriuomini vivi, però le sue ricerche avevano avuto esito negativo. Ipredoni non avevano ritenuto necessario di collocare <strong>del</strong>lesentinelle, certi di ritrovare ancora al loro ritorno le armi e levesti degli assassinati. Alle due <strong>del</strong> mattino la carovanagiungeva finalmente dinanzi all'ammasso di rocce che avevascorto in lontananza. Era una collinetta isolata, formata da rupiaddossate le une alle altre, con spaccature e piccole caverne, chepoteva servire da citta<strong>del</strong>la nel caso d'un attacco da parte deipredoni.– Riposiamoci qui qualche giorno – disse il marchese. –Ora che l'acqua non ci fa difetto, possiamo permetterci questo162


lusso.Scaricarono i cammelli, rizzarono le tende, circondandolecolle casse e si accamparono. L'algerino fu levato di peso eportato sotto una piccola tenda che era stata addossata alla rupe.Non si era ancora risvegliato, però il suo sonno era tranquillo ela sua respirazione era diventata regolare.– Domani questo diavolo d'uomo sarà in piedi – disse ilmarchese. – Non morrà più.Mentre Rocco ed El-Haggar preparavano la cena ed ibeduini raccoglievano alcune bracciate di sterpi che crescevanofra le fessure <strong>del</strong>le rupi, il marchese, Ben ed Esther salirono lacollinetta dalla cui cima potevano abbracciare una vastaestensione di deserto. Essendo la notte chiara e l'orizzontelimpidissimo, era facile scoprire un uomo od un cammello aduna distanza straordinaria.– Non si scorge nessun essere vivente – disse Ben, il qualeaveva raggiunto pel primo la cima. – Non vedo che dune disabbie e laggiù <strong>del</strong>le bande di uccelli di rapina che si dirigonoverso il campo <strong>del</strong>la strage.– Che i Tuareg abbiano i loro duar molto lontani? – chieseil marchese.– Vi ripeterò ciò che vi ha detto il vecchio Hassan: ledistanze non si calcolano nel deserto ed i Tuareg non sispaventano a scorrazzare anche a cinque o seicento miglia dalleloro oasi.– Dove saranno andati? A levante, ad oriente o al sud?Temo di trovarli sulla nostra via.– Dio ci guardi da un tale incontro, marchese. Quei ladroninon ci risparmierebbero, soprattutto, voi e Rocco che siete perloro degli infe<strong>del</strong>i.– Eppure non rappresentano male la loro parte di islamiti, –disse Esther – sicché non sarà facile nemmeno ai Tuareg di163


iconoscerli per cristiani.Accertatisi che almeno pel momento nessun pericolo liminacciava, ridiscesero la collinetta e rientrarono nel campodove li attendeva la cena. Mezz'ora dopo tutti dormivano sotto laguardia di El-Haggar a cui spettava il primo quarto.164


EL-MELAHL'indomani, quando il marchese uscì dalla tenda, trovòl'uomo che aveva strappato miracolosamente alla morte, sedutosulla sella d'un cammello, cogli sguardi fissi sulle banded'uccelli di rapina che continuavano ad accorrere da tutti i punti<strong>del</strong>l'orizzonte onde prendere parte a quell'orgia di carne corrotta.– Come state, giovinotto? – gli chiese il signor di Sartena,battendogli familiarmente sulle spalle. – Potete vantarvi digodere una forza fenomenale ed una resistenza incredibile. Unaltro sarebbe già morto da parecchio tempo.Il superstite si era alzato, guardando il marcheseattentamente e quasi con diffidenza.– È a voi che devo la vita, è vero? – chiese, dopo qualcheistante di silenzio.– Sì, sono stato io a strapparvi dalle sabbie.– Grazie, signore; non dimenticherò mai che vi devo <strong>del</strong>lariconoscenza.Poi guardandolo con maggior attenzione riprese, con unaccento che tradiva una certa inquietudine:– Voi non siete un arabo.– Che cosa ve lo ha fatto sospettare?– Avete un accento che tradisce la vostra origine francese.– Forse che conoscete la mia lingua natia? – chiese ilmarchese, con stupore.– Sono stato parecchi anni in Algeria – rispose il giovane,dopo una breve esitazione.– Siete anzi un algerino.– No, v'ingannate; sono <strong>del</strong> Tuat – rispose il giovane con165


vivacità.– Sono stati i Tuareg a distruggere la vostra carovana?– Sì, signore. Ci hanno sorpresi l'altra sera, mentre cieravamo appena accampati ed il loro assalto fu così violento eterribile, da impedirci d'organizzare la difesa. Erano tre oquattrocento, per la maggior parte armati di lance e di fucili ehanno fatto di noi uno spaventevole macello. Che orrore!Vivessi mille anni, non mi scorderò giammai quella strage.– E perché hanno risparmiato voi?– Non lo so, signore – rispose il giovane, con aria quasiimbarazzata. – M'avevano preso vivo ed invece di spaccarmi ilcranio mi hanno seppellito nella sabbia. Un capriccio feroce <strong>del</strong>loro capo, ma una tortura ben peggiore <strong>del</strong>la morte toccata aglialtri, perché senza il vostro provvidenziale aiuto, chissà quantosi sarebbe prolungata la mia agonia.– Da dove era partita la carovana?– Da Tafilelt.– E andava a Marabuti?– Chi ve lo ha detto? – chiese il sahariano, guardandolo consorpresa.– E doveva spingersi a Tombuctu, è vero? – continuò ilmarchese.– Ah!...– Confessatelo.– È vero.– Era quella che noi cercavamo di raggiungere! – esclamòil marchese. – L'uomo che io cercava sarà morto!Maledizione!...– Quale uomo, signore?– Un algerino.– Ve n'erano parecchi nella carovana. Come si chiamava?– Subbi o meglio El-Abiod: l'avete conosciuto?...166


Il sahariano aveva provato un trasalimento nervoso ed erarimasto muto, guardando il marchese quasi con terrore. Il signordi Sartena era però così preoccupato, che non si era accorto <strong>del</strong>laviva inquietudine che traspariva sul volto <strong>del</strong> giovane.– El-Abiod!... – disse finalmente, passandosi una manosulla fronte. – Io non ho mai udito questi nomi, signore.Eravamo in centosessanta e non tutti ci conoscevamo. Già,quell'uomo sarà caduto anche lui ed il suo cadavere sarà statodilaniato dagli avvoltoi.Poi lasciandosi cadere sulla sella che gli serviva da sedia,come se fosse stato colto da una improvvisa debolezza, aggiunsecon voce lamentevole.– Sono stanco, signore. Mi pare che le dune girino intornoa me.– Ritiratevi sotto la tenda e riposatevi – disse il marchese. –Oggi ci fermeremo qui, non avendo ormai nessuno scopo perraggiungere presto i pozzi di Marabuti. Frugate e rifrugate lavostra memoria; forse quel nome l'avete udito ripetere dagliuomini <strong>del</strong>la carovana.– Mi proverò, signore, ma anche se mi rammentassi a checosa vi servirebbe? Quell'uomo non sarà sfuggito al massacro.– I Tuareg possono averlo risparmiato; doveva contare nonpochi amici fra gli assalitori. Chissà, forse è stato quelmiserabile a far sorprendere la carovana. A proposito, come vichiamate voi?– El-Melah, signore – disse il sahariano, con voce appenadistinta, mentre grosse gocce di sudore gli irrigavano la fronte.– Andate a riposarvi e non temete; siete fra persone che nonsi lasceranno sorprendere dai Tuareg e che sapranno anchevendicare i vostri compagni.Mentre il sahariano si ritirava sotto la tenda, Rocco e Benavevano raggiunto il marchese.167


– Mi sembrate assai preoccupato – disse l'ebreo. – Forseche quel colloquio vi ha messo addosso dei timori? Forse che iTuareg ci minacciano?Il marchese li trasse lontani dalla tenda <strong>del</strong> sahariano e limise al corrente di quanto aveva appreso.– Il traditore è morto! – esclamò Rocco. – Aveva già avutoil sospetto che quella carovana fosse quella che cercavamo diraggiungere.– La cosa è grave – disse Ben. – Se El-Abiod è statoucciso, noi non potremo sapere più nulla <strong>del</strong>la sorte toccata alpovero colonnello Flatters ed ai suoi compagni.– Non ci resta che fare una cosa – rispose il marchese. –Continuare la nostra marcia verso Tombuctu. Se è vero che ilcolonnello è stato condotto colà per venderlo al Sultano, noi lotroveremo e lo libereremo.– E quel sahariano verrà con noi? – chiese Rocco.– Ora che l'abbiamo strappato alla morte, vorresti lasciarloqui solo?– Volete che vi dica che cosa penso di quell'uomo?– Parla Rocco.– L'ho esaminato attentamente quando parlava con voi enon mi è piaciuto. Mi pare che abbia qualche cosa di falso nellosguardo.– È una opinione tutta tua non corredata da alcun fatto.Quel povero diavolo dev'essere ancora spaventato.– Sarà come voi dite, marchese, nondimeno lo sorveglieròda vicino.– E farete bene – disse Nartico. – Noi non sappiamo ancorachi sia ed a Tombuctu non è prudente presentarsi con un uomopoco fidato. Basta una semplice <strong>del</strong>azione per perdere la testa inquella città <strong>del</strong> fanatismo mussulmano e che è interdetta a chinon appartiene all'Islam.168


– Quando partiamo? – chiese Rocco.– Questa sera, se i Tuareg non si mostrano – rispose ilmarchese.– Approfitteremo di questa fermata per esplorare i dintorni– disse Ben. – Non sono tranquillo.– Mi sembra impossibile che quei predoni non abbianolasciato alcuno di loro onde impedire ad altri di saccheggiare imorti. Volete venire marchese?– Andiamo, Ben. Intanto Rocco e vostra sorellaprepareranno il pranzo.Presero i fucili e le rivoltelle, si provvidero di abbondanticartucce e saliti sui cavalli si spinsero attraverso le dune,dirigendosi verso il campo <strong>del</strong>la strage.Quella corsa però non diede alcun risultato. Pareva che iTuareg avessero definitivamente abbandonato quei paraggi e cheavessero rinunciato a raccogliere le poche armi rimaste ancorafra le sabbie e d'impadronirsi <strong>del</strong>le vesti dei cadaveri e <strong>del</strong>lebardature degli animali. Quando tornarono dopo una galoppatadi quasi due ore, trovarono il sahariano seduto fuori <strong>del</strong>la tenda,intento ad osservare con particolare attenzione Esther e Rocco, iquali si affacendavano a preparare il pranzo. I suoi sguardi, cheavevano strani bagliori, erano specialmente fissi sulla giovaneebrea, seguendone i più piccoli movimenti. Era cosìprofondamente immerso nella sua contemplazione, che non udìnemmeno il marchese ad accostargli.– Vi sentite meglio? – chiese il côrso.Il sahariano udendo quella voce trasalì come un uomo coltodi sorpresa. Invece di rispondere, chiese con una intonazionequasi selvaggia:– È vostra sorella quella giovane?– No, è sorella di quell'uomo che sta scendendo da cavallo.– È assai bella, signore.169


– Non dico il contrario.– Il Sultano di Tombuctu la pagherebbe ben cara.Il marchese lo guardò, aggrottando la fronte.– Sareste forse un provveditore di carne umana di quelSultano? – chiese.– Io! – esclamò El-Melah. – Oh! No, signore.– Perché avete detto che il Sultano la pagherebbe cara?– Pensavo in questo momento ai Tuareg, i quali vendono aquel monarca tutte le donne che fanno prigioniere. Se sapesseroche qui vi è una così splendida perla, metterebbero sossopratutte le loro tribù per rapirvela. Quella giovane è un pericolo perla vostra carovana.– Sapremo difenderla, El-Melah. Noi non abbiamo paura diquei ladroni, ve lo dissi già.– Voi siete troppo buono, signore.Esther e Rocco avevano fatto dei veri prodigi. Dopo tantigiorni di privazioni si erano promessi di offrire al marchese ed aBen un vero banchetto per festeggiare il ritorno <strong>del</strong>l'acqua. Perfar ciò avevano operato un completo saccheggio nelle provviste<strong>del</strong> marchese, serbate per le grandi occasioni. Non mancavanonemmeno le sardine all'olio e due vecchie bottiglie di Bordeaux,un lusso inaudito nel deserto. Tutti fecero onore al pranzo, ancheil sahariano, il quale forse non si era mai trovato ad un similebanchetto e le due bottiglie bagnarono, forse per la prima volta,le gole di El-Haggar e dei beduini, a dispetto di Maometto e <strong>del</strong>Corano. Durante il pasto, El-Melah si era mantenuto silenzioso,però non aveva levato un solo istante gli sguardi di dosso aEsther, tanto che la giovane aveva finito per accorgersene.Dapprima lo attribuì ad una pura curiosità, ma poi provòqualche inquietudine, perché in quegli occhi nerissimi avevasorpreso talvolta dei lampi selvaggi, quasi feroci. Terminato ilpasto, il marchese ed i suoi compagni accesero le pipe, mentre170


El-Haggar ed i cammellieri si spingevano fino alla cima <strong>del</strong>lacollinetta a osservare i dintorni, essendo ancora tutti pococonvinti <strong>del</strong>la completa ritirata dei Tuareg. Nessun allarme peròvenne a turbare la pace <strong>del</strong> campo. Alla sera, rassicurato <strong>del</strong>lacalma che regnava nel deserto, il marchese dava il segnale <strong>del</strong>lapartenza, premendogli di frapporre il maggior spazio possibilefra la carovana ed il campo <strong>del</strong>la strage.– Faremo una lunga marcia – aveva detto El-Haggar. –Quantunque l'acqua non ci manchi, desidererei essere già aipozzi di Marabuti.Lasciò sfilare dinanzi a sé la carovana e si mise allaretroguardia con Ben, mentre Rocco vegliava sul cammello diEsther in compagnia di El-Melah.Avevano già percorso un paio di miglia, mantenendo ladirezione <strong>del</strong> sud, quando il marchese che distanziava l'ultimocammello di tre o quattrocento passi, nel volgersi credette discorgere qualche cosa di bianco apparire sulla cima d'unmonticello di sabbia, per poi scomparire subito.– Alto, Ben – disse. – Siamo seguìti.– Da chi? – chiese l'ebreo, arrestando il cavallo.– Forse dai Tuareg.– Oh! Che vi siate ingannato, marchese?– No, ho scorto una forma umana avvolta in un ampiomantello bianco. È comparsa sulla cima di quella duna, quellache si alza a quattro o cinquecento passi da noi.– Che sia qualche morto che ci segue? – si chiese l'ebreo,con un brivido.– Non credo a simili istorie – disse il marchese. – Non sonosuperstizioso.– Allora sarà qualche spia dei Tuareg?...– Se non fosse uno di quei predoni, non si sarebbenascosto.171


– Può essere qualche disgraziato appartenente alla carovanae sfuggito miracolosamente alla strage.– Ci avrebbe raggiunti.– È vero – mormorò Ben. – Cosa fare, marchese?– Lasciamo che la carovana prosegua per la sua marcia eandiamo a scovare quella spia.– Forse non è sola, marchese.– Abbiamo quattordici colpi da sparare, senza aver bisognodi ricaricare le armi e siamo entrambi buoni bersaglieri. Venite,Ben; chiarita la cosa, saremo più tranquilli.– Sono pronto a seguirvi, marchese. Devo avvertire Roccoed El-Haggar?– È inutile, Ben; lasciamo che continuino la loro via. Seudranno degli spari non indugeranno a venire in nostro aiuto.Esaminarono i fucili e le rivoltelle, si sbarazzarono degliampi caic onde essere più liberi, poi spronarono i cavallidirigendosi verso la collinella sabbiosa, sulla quale il marcheseaveva veduto comparire quella forma bianca. El-Haggar eRocco, credendo che eseguissero una semplice ricognizione,avevano continuata la loro marcia aizzando i cammelli ondeallungassero il passo.La notte, essendo chiarissima e lumeggiata dalla luna,permetteva di distinguere nettamente qualsiasi oggetto bianco. Ilmarchese era quindi certo di ritrovare subito il suo uomo,ammesso che fosse tale. Giunti a circa cento passi dalla duna,rallentarono la corsa e presero i fucili.– Dividiamoci – disse il marchese. – Voi girate la duna adestra ed io a sinistra. In tal modo prenderemo la spia fra duefuochi.– Alto, marchese – disse Ben rattenendo di colpo il cavalloe facendolo impennare.– Avete veduto qualche cosa?172


– Sì, un oggetto brillare sulla cima <strong>del</strong>la collinetta, forse lapunta d'una lancia o la canna d'un fucile.– Dunque non mi ero ingannato!– Pur troppo, marchese. Dei Tuareg devono averci seguìti.– Le canaglie!– Accostiamoci con prudenza e giriamo la duna senzasepararci.Il marchese si guardò alle spalle.La carovana era lontana allora quasi un miglio e s'avanzavain mezzo ad un labirinto di montagnole di sabbia, le quali laproteggevano a destra ed a sinistra.– Avanti, Ben – disse. – I nostri compagni sono al sicuro.Stavano per girare la duna, quando tre o quattro lampibalenarono verso la cima, seguìti da fragorose detonazioni. Ilcavallo <strong>del</strong> marchese s'impennò violentemente cercando disbarazzarsi <strong>del</strong> cavaliere e mandò un nitrito di dolore.– Signore! – gridò Ben.– È nulla! – rispose il côrso. – Una palla ha portato via lapunta d'un orecchio al mio cavallo. Fuoco Ben e carichiamo!Vedendo comparire sulla duna alcuni turbanti, scaricarono iloro fucili, poi, impugnate le rivoltelle, lanciarono i cavalli algaloppo per snidare gli assalitori.Un urlìo assordante, terribile, arrestò quasi subito il loroslancio. Quelle grida li avevano avvertiti <strong>del</strong> grave pericolo chestavano per affrontare.– Fermate, marchese! – aveva comandato Ben, facendofare al proprio cavallo un fulmineo volteggio.Dodici mahari montati da altrettanti uomini armati di lancee di moschettoni, erano sbucati dietro alla duna e si preparavanoa loro volta a caricare i due imprudenti.– Un agguato! – esclamò il marchese, lasciando larivoltella e introducendo rapidamente una cartuccia nel fucile. –173


Alto là, bricconi! Non siamo marocchini da lasciarci sgozzarecome montoni!Mirò freddamente il capo-fila che si dimenava come unossesso sulla cima <strong>del</strong> suo mahari, incoraggiando con acute urla icompagni e fece fuoco alla distanza di centocinquanta passi. IlTuareg allargò le braccia, lasciò cadere il moschettone e la lancia,poi stramazzò al suolo fulminato.– Gambe ora! – gridò il marchese, spronando vivamente ilcavallo.I predoni, spaventati dall'ammirabile precisione di quel colpodi fucile, si erano arrestati, mandando urla feroci. Ben ed ilmarchese ne approfittarono per guadagnare altri trecento passi,distanza sufficiente per mettersi fuori di portata di queimoschettoni vecchi di qualche secolo e d'un tiro molto dubbio.– Fuciliamoli con calma – disse il marchese, rallentando lacorsa. – Ne getteremo a terra parecchi prima di raggiungere lacarovana.– E stiamo per ricevere anche dei soccorsi – disse Ben.– Da chi?– Ecco Rocco che galoppa verso di noi.– Un bersagliere di vaglia, mio caro Ben. Quel sardo tiracome uno svizzero di San Gallo.– Allora i Tuareg avranno il loro conto.– In ritirata e non facciamo risparmio di cartucce.Dopo un momento di esitazione i predoni avevano ripresa lacorsa urlando a squarciagola e agitando furiosamente le loro armi.– Faremo fare loro una splendida galoppata – disse ilmarchese. – Prima gli uomini e poi i mahari!In quell'istante un colpo di fucile rimbombò e un altroTuareg cadde mandando un grido terribile. Rocco aveva fattofuoco alla distanza di quattrocento metri, annunciando con quelsuperbo colpo la sua presenza.174


I PREDONI DEL SAHARADue razze, egualmente feroci e ladre si disputano l'impero<strong>del</strong> Sahara: i Tibbù ed i Tuareg. I primi, abitano la parteorientale e meridionale <strong>del</strong> grande deserto, e sono meno cru<strong>del</strong>idei secondi quantunque non meno pericolosi per le carovane.Preferiscono ricorrere più all'astuzia che alla violenza perderubare i cammellieri ed i trafficanti ed in ciò non hanno rivali.Dotati di un'agilità estrema si nascondono <strong>del</strong>le giornate interefra le sabbie, aspettando che qualche cammello si sbandi peralleggerirlo subito <strong>del</strong> suo carico o che i cammellieri siaddormentino per saccheggiarli completamente. I Tuareg, chechiamatisi anche Sorgu o Tuarik, sono i veri pirati <strong>del</strong> Sahara,anzi si possono considerare come i più famosi predatori <strong>del</strong>mondo. Abitano tutte le oasi <strong>del</strong> Sahara centrale e occidentale,trasformandole in veri covi di malandrini e sono i padroni ditutti i pozzi e di tutte le sorgenti <strong>del</strong> deserto. Questi audaciscorridori <strong>del</strong>le sabbie ardenti, sembrano di origine araba,perché hanno lo stesso tipo dei mori <strong>del</strong>l'Algeria, <strong>del</strong>laTripolitania, <strong>del</strong>la Tunisia e <strong>del</strong> Marocco. Hanno viso ovale,fronte alta, bocca ben tagliata, occhi larghi e nerissimi, capelliassai lunghi, pelle assai bruna ed i corpi magri e muscolosi.Sono tutti mussulmani fanatici, che odiano ferocementegl'infe<strong>del</strong>i, anzi si fanno un merito a ucciderli, ma conosconomalamente il Corano, sono superstiziosi all'eccesso e si copronodi amuleti ai quali attribuiscono proprietà meravigliose contro lemalattie, contro le palle dei nemici, contro la iettatura ecc. Nehanno al collo, alle braccia, alle gambe, ne appendono perfinoalle loro armi e alle selle dei loro mahari. Bellicosi e cru<strong>del</strong>i175


all'eccesso, sono sempre in guerra contro tutti, spargendo ilterrore dai confini <strong>del</strong> Sudan fino alle frontiere <strong>del</strong>laTripolitania, <strong>del</strong>l'Algeria e <strong>del</strong> Marocco. Cavalieri insuperabili,coi loro mahari percorrono <strong>del</strong>le distanze incredibili, spiandodovunque il passaggio <strong>del</strong>le carovane. Quando sanno che una èin marcia, vi piombano addosso come uno stormo di avvoltoi ese non riescono ad ottenere un grosso diritto di passaggio,sterminano, fino all'ultimo, cammellieri e trafficanti. Chi resisteè perduto, perché quegli audaci predoni non temono la morte evanno alla carica con un coraggio disperato. Il marchese,conoscendo già quanto valevano, non si era fatto soverchieillusioni. Due uomini morti non dovevano averli né spaventati,né calmati.– Finché ce ne sarà uno non cesseranno di perseguitarci –disse il côrso, volgendosi verso Rocco e Ben. – Fortunatamentesono pochi e li distruggeremo facilmente.Dopo quella prima lezione, i predoni erano diventati piùprudenti ed avevano rallentato lo slancio dei loro mahari pertenersi fuori di portata da quelle terribili armi che gli uominibianchi maneggiavano con tanta destrezza. Non conoscendoperò che il tiro dei loro moschettoni, il quale è molto limitato inquei vecchi fucili, si trovavano sempre a buona portata peiretrocarica dei due isolani e di Ben.– Padrone, – disse Rocco – volete che ricominciamo ilfuoco, prima di raggiungere la carovana?– No, aspettiamo, mio bravo sardo – rispose il marchese. –Quantunque quei Tuareg siano i più cru<strong>del</strong>i bricconi <strong>del</strong> mondo,mi ripugna ucciderli a sangue freddo. Cerchiamo piuttosto dismontarli. Forse ci tengono più ai loro mahari che alla propriapelle. Cosa ne dite Ben?– Che vedendosi senza cavalcature forse rinunceranno adarci la caccia – rispose l'ebreo.176


– A voi allora Ben, poi farà fuoco Rocco.L'ebreo fermò il cavallo, alzò lentamente il fucile e mirò ilmahari <strong>del</strong> capo-fila, un bellissimo animale dal mantello quasibianco, dal ventre stretto e le gambe secche e nervose, unmagnifico corridore.– È un peccato ucciderlo – disse l'ebreo.Mirò per qualche istante, poi premette dolcemente ilgrilletto onde non spostare la canna. La detonazione era appenaecheggiata quando si vide il mahari cadere bruscamente sulleginocchia, sbalzando a terra il suo cavaliere. Rimase unmomento ritto, colla testa alzata, il collo teso e la bocca aperta,poi stramazzò fulminato.– Per Bacco! – esclamò Rocco. – Un bel colpo, signor Ben.– Sì – disse il marchese. – Dovete averlo colpito al cuore.Vedendo cadere il loro miglior corridore, i predoni avevanorisposto con urla feroci e con una scarica, affatto inoffensiva, deiloro moschettoni. Accortisi che nessuno dei tre cavalieri erastato colpito, spinsero innanzi i loro mahari per giungere a tiro.– A te, Rocco – disse il marchese.– Pronto signore – rispose il sardo, voltando il cavallo.– Faremo un superbo doppietto perché tiro anch'io. A te ilprimo mahari di destra, a me quello di sinistra. Fuoco!I due spari formarono una detonazione sola. Il cammellomirato dal sardo cadde di colpo; quello <strong>del</strong> marchese continuò lacorsa, ma dopo cinquanta passi stramazzò piantando il musoentro una duna di sabbia e facendo fare al suo cavaliere un saltomortale di quattro metri.– Che superba volata! – esclamo Ben, ridendo. – Un clownnon avrebbe fatto di meglio.I Tuareg si erano arrestati sfogando la loro rabbiaimpotente con urla ed imprecazioni.– Kafir! Cristiani maledetti! Morite dannati! Che il sole <strong>del</strong>177


deserto dissecchi i vostri corpi e che gli avvoltoi divorino levostre carogne!– E che il simun disperda voi! – rispose il marchese.Un Tuareg, il più alto di tutti, che montava un mahari dalmantello oscuro, si spinse innanzi facendo volteggiare sopra lasua testa il moschettone e rivolgendosi al marchese, urlò:– Giuro sul Corano che avrò la tua barba e anche la tuatesta, infe<strong>del</strong>e maledetto!– Ed io il tuo mahari per ora – rispose il côrso, strappandoa Ben il fucile che era già carico. – Prendi, miscredente!Aveva appena terminata la minaccia che anche il quartocorridore cadeva al suolo, dimenando pazzamente le gambe,mentre il suo padrone, scavalcato di colpo, rotolava giù da unaduna, sagrando come un ossesso. Era troppo anche per quegliostinati e coraggiosi predoni. Quella meravigliosa precisione ditiro e la portata straordinaria di quelle armi, dovevano averprodotta una profonda impressione anche in quei birbaccioni.Comprendendo ormai che la lotta stava per diventare disastrosaper loro, non potendo misurarsi contro uomini così coraggiosi ecosì abili nel maneggio <strong>del</strong> fucile, e temendo che dopo icammelli quei formidabili nemici se la prendessero nuovamentecolle persone, fecero un rapido dietro fronte, spingendo glianimali a corsa sfrenata verso il nord.– Pare che ne abbiano avuto abbastanza – disse ilmarchese. – Che si siano decisi di rinunciare ai loro progettiladreschi?– Non speratelo, marchese – disse Ben. – Finché ne rimarràuno non ci lasceranno tranquilli.– Vedo che non accennano ad arrestarsi.– Torneranno presto. Hanno da seppellire i loro compagni,e da buoni mussulmani verranno ancora giù per scavare le fosse.– Che vadano invece in cerca di aiuti? – disse Rocco.178


– Dopo sepolti i compagni, probabilmente si spingerannofino all'oasi più vicina per levare armati – rispose Ben. –Quando però torneranno, noi saremo ben lontani.– Lasciamoli correre e raggiungiamo la carovana – disse ilmarchese. – Ci avanzeremo a marce forzate per giungere prestoai pozzi di Marabuti.Vedendo che i Tuareg non accennavano a fermarsi,spronarono i cavalli e con una galoppata di mezz'oraraggiunsero la carovana, la quale in quel frattempo avevacontinuata la sua fuga verso il sud. Alla retroguardia trovaronoEsther colla piccola carabina in mano, pronta a proteggere lacarovana e a portare soccorso al marchese ed ai suoi compagni. Idue beduini ed il sahariano mostravano invece unosbigottimento tale, da far scoppiare dalle risa Rocco.– Non potremo fare molto assegnamento su questi uomini –disse il marchese, osservando i visi sconvolti dei marocchini.– I due beduini parlavano di abbandonarvi – disse Esther. –Se non avessero avuto paura <strong>del</strong>la mia carabina, e <strong>del</strong> fucile diEl-Haggar, non sarebbero forse più con noi.– Ed anche El-Malah mi pare abbastanza spaventato – disseBen.– Torneranno quei predoni? – chiese Esther. – Mi spiacevarimanere qui, mentre voi esponevate la vostra vita e facevatequei tiri meravigliosi. Io v'invidiavo.– Non vi mancheranno le occasioni per far uso <strong>del</strong>la vostracarabina – disse il marchese, guardandola con ammirazione. –Avete <strong>del</strong> buon sangue nelle vene ed un coraggio che moltiuomini non hanno di certo.– Se lo dite voi, marchese, vi crederò – diss'ella, ridendo.– Signore – disse in quel momento El-Haggar, accostandosial marchese. – È necessario marciare senza perdere tempo; queiTuareg torneranno con altri compagni. Essi non cesseranno179


l'inseguimento finché non avranno vendicati i loro morti.– E tu hai una paura indiavolata di loro, è vero El-Haggar?– rispose il marchese.– So quanto sono tenaci nelle loro vendette, signore. Avetefatto male a prenderli subito a fucilate.– Volevi che mi lasciassi ammazzare come quei disgraziatiche abbiamo veduti ieri?– Non dico questo, si poteva venire a patti con queipredoni. Probabilmente si sarebbero accontentati d'una terza oquarta parte <strong>del</strong>le vostre mercanzie come diritto di passaggio.– Io sono uso a non tollerare imposizioni da parte dichichessia, mio caro El-Haggar. Il deserto appartiene a tutti e chivorrà impedirmi d'attraversarlo avrà da fare col mio fucile.Lascia andare i Tuareg e le tue paure insieme e cerchiamo difrapporre fra noi e quei bricconi il maggior spazio possibile.– Ben detto, marchese – disse Esther. – Noi non abbiamopaura di quei ladroni. Partiamo.La carovana, che aveva fatta una brevissima sosta, si riposein cammino attraverso a quelle eterne ondulazioni sabbiose lequali parevano non dovessero avere più confine. Quelleimmense pianure non variavano. Sempre dune, poi dune ancora,con qualche magro cespuglio quasi disseccato dal sole e qualchescheletro di cammello biancheggiante sinistramente fra quellesabbie ardenti. Nessuna palma che annunciasse la presenza d'unpozzo, si scorgeva in alcuna direzione, come pure non si vedevaalcuna roccia che rompesse la desolante monotonia di quellepianure. Il marchese e Ben si erano collocati alla retroguardiaonde prevenire qualunque sorpresa, mentre Rocco e El-Haggarsi erano messi all'avanguardia, tenendo i fucili dinanzi alle selle.El-Melah invece aveva ripreso il suo posto a fianco <strong>del</strong>cammello montato da Esther. Il sahariano, poco ciarliero comela maggior parte dei suoi compatrioti, non aveva ancora rivolto180


alla giovane una sola parola, però mostrava verso di essa unattaccamento strano. Ogni volta che la giovane lo guardava eracerta d'incontrare gli occhi neri, brucianti di lui e ne ricevevaun'impressione indefinibile, come un senso di malessere e dipaura. Nel lampo di quegli sguardi vi era qualche cosa dimisterioso ed insieme di bestiale e di minaccioso, che la giovanenon sapeva spiegarsi. Non aveva però fino allora avuto di chelamentarsi di quell'uomo. Anzi non aveva nemmeno il tempo diformulare un desiderio, che già El-Melah, come l'avesseindovinato, lo eseguiva. Se una scossa <strong>del</strong> cammello aprivatroppo la tenda, s'affrettava a rinchiuderla onde il sole non vipenetrasse; se vi era da salire una duna prendeva subito labriglia e guidava l'animale adagio, con prudenza, onde noncadesse; se Esther aveva sete lo indovinava dallo sguardo ed erapronto ad offrirle l'otre. Mai però una parola, né un sorriso, néun gesto che tradisse una qualche compiacenza nel renderle queiservigi, che d'altronde nessuno gli chiedeva. Esther aveva finitoper crederlo un po' pazzo.– La paura provata durante quella lunga agonia e fors'anchequell'orribile scena <strong>del</strong> massacro, devono avergli sconvolto ilcervello – aveva detto la giovane. – Lasciamo che mi guardi.Un momento però, aveva avuto un timore ben diverso.Aveva sorpreso negli sguardi <strong>del</strong> sahariano un lampo terribile enel momento in cui il marchese si era appressato al cammelloche la portava, per scambiare con lei qualche parole. Quellosguardo però si era subito spento ed il viso di El-Melah, per unmomento alterato, aveva ripresa la sua impassibilità consueta.Alla sera la carovana, sfinita da quella lunga marcia s'arrestavafra due alte dune che formavano due bastioni naturali, postobellissimo per resistere ad un attacco sulle due fronti, nel casoche i Tuareg avessero cercato di approfittare <strong>del</strong>le tenebre persorprenderli.181


– Con due sentinelle sulla cima <strong>del</strong>le dune, noi potremodormire tranquillamente alcune ore – aveva detto il marchese,dando il segnale <strong>del</strong>la fermata.Mentre si preparava la cena e si alzavano le tende, fece unagaloppata verso il nord in compagnia di Ben, onde accertarsi chei Tuareg non li avevano seguìti, tenendosi nascosti dietro alledune. Quella corsa non fece scoprire nulla che potesseaumentare le loro inquietudini.– Pare che abbiano rinunciato ad inseguirci – disse ilmarchese a Rocco ed al moro. – Non abbiamo veduto nessuno.– Non illudetevi, signore – disse El-Haggar. – Quei predoninon ci lasceranno tranquilli, lo vedrete.– Io dico invece che ne hanno avuto abbastanza e che nonci seccheranno più.– Badate a me, signore, che ho assistito al massacro <strong>del</strong>laspedizione <strong>del</strong>la signora Tinné.– Chi? Tu? – esclamò il marchese, stupito.– Sì, signore e dovrei essere morto fino da allora.– Chi era questa signora Tinné? – chiese Esther, concuriosità. – Una donna europea forse?– Una <strong>del</strong>le più ricche e <strong>del</strong>le più belle giovani <strong>del</strong>l'Olanda– rispose il marchese.– Ed è stata assassinata qui?– Sì, in questo deserto. Ceniamo ora, poi vi narrerò quelmassacro che ha commosso l'intera Europa. Forse da El-Haggarudremo dei particolari che tutti ancora ignorano.– Se i Tuareg ce ne lasceranno il tempo – disse il moro, icui sguardi si erano volti verso una bassura che si estendevaverso l'est.– Si avvicinano? – chiese il marchese, alzandosivivamente.– Non sono essi per ora, ma se quei giganteschi volatili182


fuggono ciò significa che degli uomini li inseguono o che lihanno spaventati.– Di quali volatili parli?– Non vedete una nube di polvere alzarsi dietro quelle dunee avanzarsi velocemente verso di noi?– Vediamo – rispose il marchese.– È una banda di struzzi – signore.– Una bella occasione per procurarci un superbo arrosto –disse Rocco. – Non vedo quindi alcun motivo per inquietarsi,mio bravo moro.– Ma quegli struzzi fuggono – insistette El-Haggar.– Lasciali fuggire.– E devono essere stati i Tuareg a costringerli a prendere illargo.– Ne sei certo? – chiese il marchese.– Lo suppongo, signore.– Ebbene – disse il marchese con voce tranquilla. – Primaoccupiamoci di questi superbi volatili; poi penseremo ai Tuareg.Signora Esther, ecco l'occasione per fare una bella scarica.– Sono con voi, marchese – rispose la giovane, prendendola sua carabina americana.– Vengo anch'io – disse Ben.– E tu Rocco fa' preparare un bel fuoco. Vi sono qui deglisterpi da raccogliere. Venite, aspetteremo quei volatili alpassaggio.La nube di polvere ingrandiva a vista d'occhio es'avvicinava con una rapidità prodigiosa. La banda dovevapassare in mezzo alla bassura, a meno di mezzo chilometro<strong>del</strong>l'accampamento, a quanto pareva. Il marchese, Esther e Bensi slanciarono in mezzo alle dune e andarono ad appostarsidietro un monticello di sabbia, il quale sorgeva isolato quasi nelmezzo <strong>del</strong>la bassura. Gli struzzi s'avanzavano in fila, correndo e183


sbattendo vivamente le loro ali per aiutarsi meglio. Erano unadecina, tutti bellissimi e di statura gigantesca e ricchi di quellepiume preziose che sono così ricercate e così ben pagate suimercati europei ed anche americani, bianche sotto il ventre esotto la coda e nere lungo il dorso e le ali. Questi volatili sonoancora numerosissimi nel Sahara e vivono là dove altri animalinon potrebbero resistere, potendo resistere lungamente alla seteal pari dei cammelli. Raggiungono talvolta un'altezza superioreai tre metri, hanno il collo e le gambe spoglie di piume, unbecco robustissimo che potrebbe spaccare, senza difficoltà, ilcranio d'un uomo, e piedi poderosi. Le loro ali invece sono cosìbrevi da sembrare piuttosto moncherini, sicché non possono cheaiutare la loro corsa ma non servono per volare. Sononondimeno rapidissimi corridori e vincono facilmente i cavalli.È nota la prodigiosa robustezza dei loro stomaci, poiché inmancanza di altro, si nutrono perfino di sassi che digerisconocome fossero pagnottelle! I dieci struzzi, i quali parevanorealmente in preda ad una viva agitazione, filavano cometrombe, col collo teso, gettando in aria, coi loro robustissimipiedi, nembi di sabbia e di pietre, muovendo diritti attraverso labassura. Pareva che non si fossero ancora accorti <strong>del</strong>la presenzadei cacciatori, quantunque siano dotati d'una vista acutissima ed'un olfatto perfetto che permette loro di fiutare i nemici agrandi distanze.– Sembrano veramente spaventati – disse il marchese, ilquale li osservava con viva curiosità.– Sì, – confermò Ben – però non credo che siano stati iTuareg a metterli in fuga. Mi pare d'aver veduto degli animalicorrere dietro le dune.– Che gli struzzi siano inseguiti da qualche banda di iene?– Rimarrebbero subito indietro, marchese – disse Ben. –Ah! Guardateli i cacciatori!184


Essendo le dune terminate, gli inseguitori dei giganteschivolatili erano stati costretti a smascherarsi onde attraversare laradura.– I caracal! – esclamò il marchese. – Ah! I ladroni!Adagio, miei cari! Caccerete un altro giorno per vostro conto. Avoi gli struzzi, a me quegli arditi predoni.I caracal chiamati anche, e forse impropriamente, le lincidei deserti, erano almeno una trentina e correvanodisperatamente sulle orme degli struzzi, facendo sforziprodigiosi per isolarne qualcuno. Erano bellissimi animali, nonpiù alti di settanta od ottanta centimetri, con una coda lungatrenta, di corporatura svelta, cogli orecchi lunghi e sottili ed ilpelame giallo fulvo sul dorso e biancastro sotto il ventre. Vivonodi preferenza nei deserti inseguendo con un coraggio incredibilestruzzi e gazzelle e facendo dei gran vuoti fra le pecore dei duar.Svelti corridori, percorrono <strong>del</strong>le distanze straordinarie e nonlasciano le prede finché non le hanno raggiunte e fatte a pezzi.Selvaggi, indomabili e astutissimi, costituiscono un veropericolo per tutti gli abitanti <strong>del</strong> deserto, escluso l'uomo, che nonosano assalire, ed il leone, che anzi seguono a distanza perdivorare gli avanzi <strong>del</strong>le sue prede. I caracal manovravano conuna rapidità ed una precisione veramente ammirabili, cercandotagliar fuori uno degli struzzi che pareva il meno resistente e chemalgrado i suoi sforzi disperati rimaneva sempre l'ultimo <strong>del</strong>labanda. Gli mordevano ferocemente le zampe, senza badare aicalci furiosi che lanciava il volatile, e gli balzavano dinanzitentando di azzannargli il petto. Pagavano di frequente cara laloro audacia, perché qualcuno di quando in quando venivascagliato in aria colla testa fracassata dai robusti piedi<strong>del</strong>l'uccello gigante.– Strappiamolo ai caracal – disse il marchese.Approfittando <strong>del</strong> momento in cui lo struzzo era riuscito a185


guadagnare sui suoi avversari una dozzina di metri, fece fuocosul caracal più vicino. L'animale mandò un acuto guaito ecadde. Quasi nel medesimo istante anche il povero struzzo,colpito dalle palle di Esther e di Ben, stramazzava. Udendoquegli spari, i caracal si erano arrestati guardando le trenuvolette di fumo che s'alzavano dietro alla duna. Vedendocomparire subito i cacciatori, abbassarono le code e partironoventre a terra dalla parte donde erano venuti. Frattanto lostruzzo, abbandonato dai compagni già lontanissimi, era tornatoad alzarsi. Fece ancora cinque o sei passi zoppicando, poi tornòa cadere e questa volta per non più rialzarsi. Il marchese inpochi salti lo raggiunse, gli strappò un bel mazzo di piumecandidissime e porgendole a Esther, le disse con galanteria:– Alla bella cacciatrice.– Grazie marchese – rispose la giovane, arrossendo dipiacere.Ben si era accontentato di sorridere.186


LE STRAGI DEL SAHARAUn'ora dopo tutti i componenti la carovana, seduti su untappeto, gustavano la <strong>del</strong>iziosa carne <strong>del</strong>l'uccello gigante,essendone stato arrostito un pezzo enorme da Rocco, bravocuoco quanto abile cacciatore. Il marchese vi aveva aggiuntoalcune scatole di prosciutto ed una bottiglia, ed Esther un vasodi conserva di datteri squisiti ed alcune focacce di farina.– Marchese, – disse ad un tratto la giovane, nel momento incui El-Haggar serviva il caffè – forse che gli struzzi vi hannofatto dimenticare la vostra promessa?– E quale? – chiese il côrso.– Mi avevate detto di narrarmi una storia terribile.– Il massacro <strong>del</strong>la spedizione <strong>del</strong>la signorina Tinné – disseBen.– Ah! Sì, me l'ero scordato; una tragedia spaventevole,amici miei, commessa forse dagli stessi individui che stamane cihanno data la caccia – rispose il marchese. – Si può dire che lesabbie <strong>del</strong> Sahara sono state ben bagnate da sangue europeo eche pochi sono stati i fortunati viaggiatori che le hannoattraversate incolumi. La signorina Tinné è stata una <strong>del</strong>le primevittime, e fu compianta dall'Europa intera. Bella, ricca assai egiovane ancora, era stata presa dalla passione dei viaggi. Primad'inoltrarsi in questo deserto, aveva già viaggiato sul Niloesplorando regioni allora poco note, anzi vi aveva perduta lamadre, uccisa dalle terribili febbri di quei paesi. Nel 1869,trovandosi nella reggenza di Tripoli, organizzava una carovanacoll'intenzione di attraversare il deserto e raggiungere il lagoTschad e poi Kano. Aveva preso con sé due marinai olandesi187


fidatissimi, cinque donne, tre schiavi liberati, il tunisinoMohamett el Kebir...– Un traditore – disse El-Haggar, interrompendolo.– Sì, e due ex spahis è vero, Haggar?– Sì, signore, e me come guida.– La signorina Tinné s'era procurata <strong>del</strong>le raccomandazionipei capi Tuareg, onde non incontrare ostacoli da parte di queifieri predoni. Contava anzi molto sulla protezione d'un capotribù di Gharbi. La coraggiosa donna s'avanzava quindi neldeserto raggiungendo felicemente l'oasi di Gharbi, ma colà sivide subito abbandonata, con un pretesto qualunque, da quelcapo, e affidata alla protezione di un marabuto chiamato Hag-Amed. Poco tempo dopo essa veniva raggiunta da otto Tuaregche dicevano aver ricevuto l'ordine di scortarla. La Tinné, chenon dubitava d'un tradimento, accetta la scorta e riprende lamarcia con ventisette arabi ed altrettanti cammelli, forzaimponente che avrebbe dovuto tenere in freno i predoni, se tuttiquegli uomini fossero stati fe<strong>del</strong>i. Al terzo accampamento dopoMurzuk, i Tuareg <strong>del</strong>la scorta, quantunque avessero ricevutoricchi regali, cominciarono a mostrarsi esigenti ed assumere uncontegno minaccioso. Si erano messi d'accordo col tunisino perspogliarla. Resi arditi dalla complicità di quel miserabile,chiedono alla viaggiatrice cinquanta talleri ed un bornus nuovo,minacciando in caso contrario di abbandonarla nel deserto. Ècosì El-Haggar?– Sì, signore – rispose il moro. – Voi siete bene informato,più di quanto credevo. Il tunisino, anima vile e perversa, erad'accordo con loro.– La Tinné, donna energica e risoluta, rifiutò recisamente,promettendo però di fare a loro altri regali quando la carovanafosse giunta salva a Scenukhen. Tuttavia temendo qualche bruttasorpresa da parte di quei ladroni, fece rimettere al loro capo un188


presente di valore. Il giorno seguente i cammellieri, che si eranopure accordati coi Tuareg cominciarono a dare segnid'insubordinazione, rifiutandosi dapprima di partire, poisventrando alcune otri. La Tinné sospettò forse qualche cosa,perché si è saputo che aveva progettato di tornare a Murgest, mal'infame tunisino fu così abile nel rassicurarla, da indurla ariprendere la marcia verso il sud. Il 1° agosto erano già giuntinella valle <strong>del</strong>l'Aberdisciuk, lontani dalle oasi abitate. La Tinnéaveva dato ordine, dopo una notte tranquilla, di levare le tende edi caricare i cammelli. Doveva essere l'ultimo che dava; la suamorte era stata ormai decisa dai Tuareg e dal tunisino. Giàstavano per rimettersi in marcia, quando una viva questioneinsorse fra due cammellieri, pel carico dei bagagli. Uno dei duemarinai olandesi volle interporsi per rappacificarli. Un Tuareg,si slanciò allora contro il disgraziato colla lancia alzata,gridandogli:«"Che hai tu per immischiarti in una questione sorta framussulmani?"«Aveva appena pronunciato quelle parole che cadeva alsuolo trafitto. Il suo compagno, Ary Iacobs, che si trovava già acavallo, si slancia verso l'assassino tentando di afferrare il fucileche aveva appeso alla sella, ma prima che avesse potuto armarlocadeva a sua volta, sotto un colpo di scimitarra ed uno di lancia.Alle grida <strong>del</strong>le donne e degli schiavi liberati, la signora Tinnéuscì dalla tenda, chiedendo che cosa succedesse. I Tuareg ed icammellieri si erano già precipitati sulle casse e lesaccheggiavano, credendo che fossero piene d'oro, come avevadato loro ad intendere il tunisino, mentre i servi fuggivanovigliaccamente in tutte le direzioni. La signora Tinné compresesubito che la sua ultima ora era suonata, tuttavia cercò dicalmare quei miserabili e d'imporsi colla propria energia. Unarabo, certo Hman, <strong>del</strong>la tribù dei Bu-Sef, le passò per di dietro189


e le vibrò coll'yatagan un colpo sulla nuca, facendola cadere alsuolo svenuta e sanguinante. Poche ore dopo la sfortunatasignora spirava senza soccorso alcuno, mentre le sue ricchezzepassavano nelle mani dei cammellieri e dei Tuareg. È così El-Haggar?»– Sì, signore – rispose il moro.– E tu non l'hai difesa? – chiese Esther, con indignazione. –Ti credevo più coraggioso, El-Haggar.– Io ero stato abbattuto da un colpo di lancia, la cui puntami aveva trapassata la spalla – disse il moro. – Quando tornai inme, dopo molte ore, la signora Tinné era già morta.– Ed è rimasto impunito quell'assassino infame? – chieseBen.– Furono arrestati i servi, ai quali i Tuareg avevano datialcuni cammelli perché tornassero a Murzuk, ma gli altriscorrazzano ancora il deserto – disse il marchese. – Anzi ildottor Bary, incontrò più tardi l'uccisore <strong>del</strong>la Tinné nell'oasi diGhat e lo udì anche vantarsi di quel <strong>del</strong>itto.– Ed il tunisino? – chiese Esther.– Di quel miserabile che osò perfino spogliare la Tinnémentre era ancora agonizzante, non se ne seppe più nulla.– Che canaglie! – esclamò Ben.– Ah! Non è il solo <strong>del</strong>itto rimasto impunito – disse ilmarchese. – Anche l'assassinio dei signori Dournaux-Duperré edi Joubert, non è stato vendicato.– Chi erano costoro? – chiesero Ben ed Esther.– Due coraggiosi francesi che si erano proposti di esplorareil Sahara al sud <strong>del</strong>l'Algeria e che furono vigliaccamenteassassinati dai Tuareg. Avevano già visitate felicementeparecchie oasi <strong>del</strong> Sahara, Dournaux studiando e Joubertnegoziando perché era un abile trafficante, quando ebbero lamalaugurata idea di prendersi una guida Tuarik, certo Nacer-190


Ben-Tahar, un traditore forse peggiore <strong>del</strong> tunisino <strong>del</strong>la signoraTinné. Si erano già molto inoltrati nel deserto, quandos'accorsero che quella guida cercava d'ingannarli e che permeglio riuscire nei suoi disegni cercava di allontanare la loroseconda guida, Amed-Ben-Herma, la quale invece aveva datoprove di fe<strong>del</strong>tà non dubbia. Decisero quindi di sbarazzarsene egiunti a Chedames la denunciarono al cumacan. Fuun'imprudenza di certo ed il magistrato, che conosceva l'animovendicativo dei Tuareg, non mancò di avvertirli <strong>del</strong> pericolo.Nacer aveva infatti giurato di vendicarsi dei suoi ex padroni enon mancò alla promessa. I signori Dournaux e Joubert si eranoallontanati da Chedames di alcune giornate, quando si videroraggiungere da sei Tuarik che parevano affamati e miserabili.Avendo chiesto ai due francesi ospitalità con pianti e lamenti,furono ricevuti nel campo e provvisti di cibi. Erano sei assassinimandati dal vendicativo Nacer.«Alla notte, mentre i due francesi dormivano, queimiserabili invadevano la tenda e li trucidavano barbaramente acolpi di pugnale.»– E nemmeno quei disgraziati furono vendicati? – chieseRocco.– I loro assassini non furono più disturbati. Scomparveronell'immensità <strong>del</strong> deserto e più nessuno si occupò di loro.– Abbiamo fatto bene a dare a loro quella severa lezione –disse Rocco. – Se avessi saputo ciò prima, invece che suicammelli sparavo contro gli uomini. Chissà! Forse quei bricconiavevano preso parte all'assassinio dei signori Dournaux eJoubert e fors'anche a quello <strong>del</strong>la missione Flatters e...Rocco si era bruscamente interrotto. I suoi sguardi si eranoincontrati a caso con quelli <strong>del</strong> sahariano ed era rimasto stupitodal lampo terribile che balenava negli occhi di costui.– Che cosa avete El-Melah? – chiese. – Perché mi guardate191


così?Tutti si erano voltati verso il sahariano e rimasero colpitidall'espressione cupa <strong>del</strong> suo volto.– È nulla – disse El-Melah, ricomponendosi. – Udendoquesti racconti sanguinosi, ho avuto un'impressione sinistra.– Comprendo – disse il marchese. – Avete assistito troppodi recente a una simile strage.– È vero, signore – disse il sahariano. – Vado a riposare seme lo permettete.S'alzò quasi a fatica e uscì dalla tenda con passo malfermo.– Flatters! – mormorò coi denti stretti, gettando all'intornouno sguardo smarrito. – Che non lo sappiano mai, almeno fino aTombuctu.Alle tre <strong>del</strong> mattino, dopo un riposo di sei ore, il marchesefaceva suonare la sveglia, desiderando giungere ai pozzi diMarabuti prima che il sole, che fra poco doveva mostrarsi,tornasse a scomparire. Durante la notte nessun allarme era statodato dagli uomini di guardia, sicché era da sperarsi che i Tuaregsi fossero definitivamente allontanati, rinunciando a vendicare imorti. Alle quattro la carovana, dopo una leggera colazione, sirimetteva in cammino scendendo una immensa pianura che intempi, certo antichissimi, doveva essere stato il fondo d'un vastoserbatoio d'acqua salata a giudicare dalle masse di sale che sivedevano sparse fra le sabbie. Il marchese e Ben si eranoricollocati alla retroguardia e Rocco, come sempre,all'avanguardia a fianco di El-Haggar. Le vicinanze <strong>del</strong>l'oasi diMarabuti s'indovinavano facilmente pel numero considerevoled'animali che si vedevano correre in mezzo alle dune. Essendovipozzi in abbondanza, tutti gli abitanti di quella regione parevache si fossero concentrati in quei dintorni. Di quando in quando,ma a grande distanza e quindi fuori di portata dai fucili, sivedevano fuggire bande di struzzi e di grosse ottarde. Talora192


invece erano truppe di sciacalli dalla gualdrappa, specie di caniselvaggi colla testa da volpe, gli orecchi grandissimi, gli occhigrossi, le code lunghissime, ed il pelame rossastro, fitto emorbido, che diventava giallognolo sotto il ventre ed il dorsocoperto da una specie di gualdrappa nera a strisce bianche, <strong>del</strong>più curioso effetto. Al pari dei caracal non sono pericolosi pergli uomini, tuttavia non mancano d'audacia e osano entrareperfino nei duar onde mangiare ai poveri montoni la grossacoda, un boccone squisito e molto apprezzato dai sahariani.Anche qualche iena striata di quando in quando si mostravasulla cima <strong>del</strong>le dune, facendo udire il suo riso sgangherato, ma,all'appressarsi <strong>del</strong>la carovana, subito s'allontanava al galoppo. Amezzodì El-Haggar che si era spinto innanzi alcune centinaia dimetri, segnalò una linea di palme, la quale spiccava vivamentesul purissimo orizzonte.– L'oasi! – gridò, con voce giuliva. – Presto! Là avremoacqua fresca e selvaggina!– Cominciavo ad inquietarmi – disse il marchese a Ben. –L'ultima otre è stato vuotata or ora.Anche i cammelli avevano fiutata la vicinanza <strong>del</strong>l'acqua.Quantunque stanchissimi, affrettavano il passo, mentre i maharinon si trattenevano che a grande stento.– Ben, – disse il marchese – precediamo la carovana. Sonoimpaziente di godermi un po' d'ombra e di bere una buona tazzad'acqua.– Sono con voi, marchese – rispose l'ebreo.Spronarono i cavalli, lanciandoli a corsa sfrenata.Le palme ingrandivano a vista d'occhio, spiegandosi informa d'un vasto semicerchio. L'effetto che produceva quelverde in mezzo alle aride ed infuocate sabbie <strong>del</strong> deserto, eracosì strano, che il marchese stentava a credere d'aver dinanzi asé <strong>del</strong>le vere piante e dubitava che si trattasse invece d'uno dei193


soliti giuochi <strong>del</strong> miraggio.– Si direbbe che quell'oasi è un'isola sperduta sull'oceano –disse a Ben.– Ed è anche popolata, marchese – rispose l'ebreo,rattenendo violentemente il cavallo. – Vedo dei cammelli, inmezzo a quelle piante.– Che appartengano a qualche carovana proveniente dalleregioni meridionali?– O che siano i nostri Tuareg? Possono averci preceduti esenza difficoltà, avendo tutti dei buoni mahari.– Se sono essi daremo battaglia e questa volta non sarannogli animali che cadranno.Allentarono nuovamente la briglia lasciando che i cavalliriprendessero il loro galoppo e staccarono dalla sella i fucili.Ben non si era ingannato. Parecchi cammelli e mahari montatida uomini vestiti di ampi caic bianchi e coi volti quasiinteramente nascosti da pezzuole legate dietro la nuca, si eranoschierati dinanzi ai gruppi di datteri e di palme che formavanol'oasi. Non dovevano essere quelli che li avevano inseguiti,perché erano tre volte più numerosi e per la maggior partearmati di lance. Anche gli uomini <strong>del</strong>la carovana si erano accorti<strong>del</strong>la presenza degli stranieri. Rocco ed El-Haggar accorrevanoin aiuto <strong>del</strong> marchese e di Ben, l'uno col mahari e l'altro conl'asino.– Signore, – disse il moro – i Tuareg hanno occupato ipozzi e non vi permetteranno di bere senza farvi pagare unatassa.– E credi tu che io voglia lasciarmi taglieggiare? – chiese ilmarchese.– Signore, sono una quarantina e forse ve ne saranno altrinascosti dietro le palme. Mentre impegnate la lotta possonogettarsi sulla carovana e rapire la signorina Esther.194


– Vediamo innanzi a tutto quali sono le loro pretese.Dieci Tuareg preceduti da un uomo di alta statura cheportava un turbante verde, un capo di certo, s'avanzavanotenendo le lance in pugno.Quando giunsero a cento passi dal marchese, l'uomo dalturbante verde lo salutò con un: «Salam alikum» 6 molto cortese.Poi assumendo improvvisamente un'aria spavalda, gridò:– I pozzi sono occupati da noi e per ora ci appartengono,che cosa volete quindi voi, figli <strong>del</strong> Sultano <strong>del</strong> Marocco?– Noi siamo assetati, desideriamo bere – rispose El-Haggar.– L'acqua <strong>del</strong> deserto appartiene a tutti ed i pozzi sono staticostruiti dai nostri padri.– I vostri padri li hanno abbandonati ai Tuareg e noi liabbiamo occupati. Volete bere? Sia, ma l'acqua la dovretepagare.– Che cosa chiedi?– Le vostre armi e la metà dei vostri cammelli.– Ladro! – gridò il marchese, che non poteva più frenarsi. –Ecco la mia risposta!Con un rapido gesto aveva alzato il fucile, mirando il capo.Già il colpo stava per partire quando El-Melah, che eragiunto guidando il cammello di Esther, si precipitò innanzi,gridando:– Amr-el-Bekr non mi conosci più? Pace! Pace!6 La pace sia con voi.195


UN COLLOQUIO MISTERIOSOI Tuareg che si preparavano già a caricare il drappello,udendo quelle parole, avevano rialzate le lance e arrestato loslancio dei mahari, fissando i loro sguardi su El-Melah. Ungrido di sorpresa e anche di gioia sfuggì tosto al capo.– Ah!... L'algerino!...– Sì, sono io, Amr – rispose El-Melah. – E questi sono mieiamici che non desiderano altro che vivere in pace.Attraversò lo spazio che lo separava dal capo dei Tuareg e,accostatosi al mahari, lo costrinse ad inginocchiarsi.– Lascia questi uomini tranquilli – mormorò agli orecchi<strong>del</strong> predone. – Nell'attesa non perderai nulla.– Chi sono costoro?– Dei francesi.Un lampo feroce guizzò negli occhi <strong>del</strong> capo.– Fratelli degli altri?... Di quelli che abbiamo scannato alsud <strong>del</strong>l'Algeria.– Silenzio, Amr.– Dove vanno?– A Tombuctu.– Per quale motivo?– Non lo so ancora, nondimeno lo saprò presto.– Siamo in quaranta.– Hanno <strong>del</strong>le armi potenti e non sbagliano un colpo.– Perché ti sei unito a loro?– Mi hanno salvato.– Ah! E tu sei riconoscente ai tuoi salvatori? – ghignò ilpredone.196


– Sì, per ora – rispose El-Melah, con un tristo sorriso. –Obbedisci?– Va' a dire loro che fra noi regnerà la pace.– Vuoi predare?– Cosa devo fare?– Va' al nord. A quattro giornate da qui è stata distrutta unagrossa carovana e troverai ancora da raccogliere vesti e armi inquantità.– Chi l'ha assalita?– Quella canaglia di Korkol.– Perché lo chiami canaglia? – chiese il predone.– Perché dopo d'averlo informato <strong>del</strong>l'appressarsi <strong>del</strong>lacarovana ha cercato di disfarsi di me, seppellendomi fra lesabbie. Senza questi uomini io sarei a quest'ora morto e la miatesta sarebbe servita di cibo agli avvoltoi.– Quello non è riconoscente – disse il Tuareg, sorridendo. –Dove devo raggiungerti?– Ti aspetto a Tombuctu.– Vi seguirò da lontano, così vi giungeremo insieme. Badaperò di non ingannarmi.– Il sangue dei francesi ci unisce. Addio, Amr-el-Bekr.El-Melah tornò verso il marchese ed i suoi compagni iquali avevano atteso con pazienza la fine di quel colloquio,senza poter udire una sola parola, stante la distanza che liseparava dal gruppo dei Tuareg.– La pace è conclusa, signore – disse il sahariano, con vocelieta. – Ho persuaso i Tuareg a lasciarci tranquilli e ad andarsenealtrove.– E come conosci quei banditi? – chiese il marchese,guardandolo un po' sospettosamente.– Quel capo mi deve la vita, avendolo liberato da un leoneche stava per divorarlo – rispose El-Melah.197


– E perciò i suoi compatrioti ti hanno sepolto nelle sabbie.– Quelli erano dei veri bricconi, signore.– Non chiedono nulla per lasciarci l'oasi?– No, signore.– Già non avrei ceduto alle loro ladresche pretese.– E avreste fatto male. Avrebbero potuto, più tardi, unirsiad altri Tuareg e distruggere la vostra carovana.– Andiamo ai pozzi – disse Ben. – La sete mi divora.Mentre s'inoltravano nell'oasi, i Tuareg, saliti sui loromahari, uscivano dalla parte opposta dirigendosi verso l'est.Erano una quarantina con alcune donne che montavano deicammelli forniti di tende. Inviarono da lontano il loro salamalikum, poi scomparvero in mezzo alle dune, allontanandosirapidamente. L'oasi non aveva che una estensione moltolimitata, appena un quarto di miglio sì in lungo che in largo,tuttavia era ricca di verzura e d'ombra. Il terreno, quantunquesabbioso, ma fecondato da qualche serbatoio sotterraneo, eracoperto da macchie di splendidi aloè, di fichi d'India, chiamatidagli abitanti <strong>del</strong> deserto kermus <strong>del</strong> Inde, di es-segiar, arbustispinosi che producono <strong>del</strong>le bacche insipide; di agul e di alfeh,erbe dure e amare che perfino i cammelli disdegnano e dipiccole mimose. Sopra quella prima vegetazione, numerosepalme dai tronchi eleganti, distendevano le loro splendide foglie.Erano <strong>del</strong>le superbe camerope humilis dal fusto cilindrico, nudoalla base e più sopra difeso da squame regolari e la cimacoronata da un ciuffo di trenta o quaranta foglie piumate. Sonopiante preziose producendo <strong>del</strong>le frutta simili ai datteri, ripienidi polpa zuccherina, mentre nel tronco nascondono una sostanzafarinosa mangiabile. Non mancavano però nemmeno le palmedattifere, già cariche di quelle belle frutta carnose, lucenti, d'unatinta giallo-bruna o rosso-giallastra. Sotto quelle ombre non sivedevano animali. Abbondavano invece i volatili; grosse ottarde198


che s'inseguivano battagliando, degli sberegrig simili alle gazze,colle ali azzurre e la coda ed il ventre più pallido, e falchigiocolieri. Il marchese ed i suoi compagni, attraversatorapidamente quel minuscolo paradiso, dove si respirava unafrescura <strong>del</strong>iziosa prodotta dall'umidità <strong>del</strong> sottosuolo,raggiunsero i pozzi, scavati quasi nel centro <strong>del</strong>l'oasi, a brevedistanza l'uno dall'altro. Come tutti quelli <strong>del</strong> Sahara erano statirivestiti di tronchi di palma, onde impedire al terreno sabbiosodi franare, ed erano profondi dai sette agli otto metri. Gli otrifurono calati e tutti si dissetarono avidamente con quell'acquafresca e limpida, felicità inapprezzabile specialmente per queiviaggiatori che da tanti giorni non avevano bevuto che unliquido corrotto dal caldo, puzzolente e tiepido.– Ah! – esclamava Rocco, bevendo a crepapelle. – Cosasono la birra, le gazose, il sidro in paragone a quest'acqua! Equei birbanti di Tuareg volevano rifiutarla! Mio caro El-Melahte ne sarò riconoscente finché vivo, d'avermi procurata unasimile ebbrezza!Calmata la sete abbeverarono abbondantemente i cammelli,i mahari ed i cavalli, poi rizzarono le tende, avendo deciso difermarsi un paio di giorni in quel piccolo Eden.Disgraziatamente quella felicità doveva essere di brevedurata. Riposavano da quattro ore chiacchierando e fumando,godendosi quella <strong>del</strong>iziosa frescura, quando videro Rocco, ilquale si era spinto verso il margine settentrionale <strong>del</strong>l'oasi percacciare una copia d'ottarde, tornare di corsa.– Signore, in piedi e prendete le armi! – gridò,precipitandosi verso le tende. – I predoni s'avvicinano.– Quali? – chiese il marchese, prendendo il fucile. – Quelliche ci hanno lasciati poco fa?– Non dovevano essere loro – rispose Rocco. – Questivengono dal nord-ovest.199


– Che siano quelli che ci hanno data la caccia? – disse El-Haggar.– Lo suppongo, ma sono cresciuti di numero. Devonoessere almeno una trentina.– Fuggiamo signore – disse El-Haggar.– E per dove?– Cercheremo un rifugio nell'oasi di Eglif. Fra ventiquattroore vi possiamo giungere e là troveremo <strong>del</strong>le rocce che cipermetteranno di resistere meglio.– E anche Tasili, il mio fe<strong>del</strong>e servo – aggiunse Ben – enon sarà certo solo.– Quelle canaglie cominciano a diventare noiose – disse ilmarchese, con collera. – Che non possiamo sbarazzarci dicostoro?– Marchese, partiamo – ripeté Ben. – Se rimaniamo qui, cicirconderanno.– Fate le provviste d'acqua e ordinate la carovana – disse ilcôrso. – E noi andiamo a ritardare la marcia di quei predoni.Vieni Rocco, venite Ben.– Ed io? – chiese Esther.– Non esponetevi per ora e poi la vostra presenza ènecessaria qui – le disse il marchese. – Siete la più valorosa eprenderete il comando <strong>del</strong>la carovana.Salì sul cavallo imitato da Ben, mentre Rocco montava ilmahari e si spinsero verso il margine <strong>del</strong>l'oasi. Intanto i duebeduini, El-Haggar ed El-Melah riempivano precipitosamentegli otri e riordinavano i cammelli con grida e bastonate. Ibanditi, diventati prudentissimi, quantunque raddoppiati dinumero, s'avvicinavano cautamente, tenendosi riparati dietro ledune. Non essendo però queste tanto alte da poterli coprireerano scesi dai loro mahari, tenendo ora molto più alla loro pelleche a quella degli animali.200


– Mi pare che non si sentano troppo sicuri di prenderci –disse il marchese, il quale si era arrestato dietro un gruppo dipalmizi. – Si direbbe che hanno paura.– Certo! Dopo quella lezione! – esclamò Rocco. –Credevano che i nostri fucili fossero carichi di sabbia o di palledi cotone!– Mostreremo loro che il nostro piombo è ancora di primaqualità, mio bravo Rocco. Lasciamo che la carovana si allontani,poi ci faremo sentire.– Si dividono – disse in quel mentre Ben. – Pare checerchino di prenderci fra due fuochi.– O che vogliano invece attaccare contemporaneamente noie la carovana – chiese il marchese. – Non lasceremo a loro iltempo di compiere una simile manovra. Avanti, amici! Tagliamola via alla prima banda che gira al largo <strong>del</strong>l'oasi.Giunti a circa mezzo chilometro dalle prime palme, ibanditi si erano divisi in due drappelli egualmente numerosi.Mentre uno muoveva direttamente verso l'oasi, coll'intento didare battaglia e trattenere i tre cavalieri, l'altro s'era spinto versol'est per girare intorno a quell'isolotto di verzura e sorprendere lacarovana nella sua ritirata. Come però abbiamo veduto, ilmarchese e Ben si erano subito accorti di quella manovra, che seriusciva poteva avere conseguenze gravissime per la truppa deicammelli. Ed infatti non vi era molto da contare sulla scorta<strong>del</strong>la carovana, più disposta a scappare che a difendersi. Forsesul solo El-Haggar v'era da fare qualche calcolo e anche fino adun certo limite; in quanto ai beduini vi era più da temere divederli unirsi ai predoni per prendere poi parte al saccheggio,che di opporre qualsiasi resistenza. Su El-Melah poi v'era moltoda dubitare, dopo lo spavento provato.– Rocco – disse il marchese – va' ad unirti ad Esther e nonlasciarla fino al nostro arrivo.201


– E voi, signore? – chiese il sardo.– Copriremo la ritirata meglio che potremo.– Contate su di me.Il sardo lanciò il mahari in mezzo alle palme, scomparendodietro i folti cespugli.– Ed ora a noi, Ben – disse il marchese.Si volse e vide, a circa un chilometro, la carovana. Avevagià lasciata l'oasi e s'inoltrava nel deserto rapidamente,muovendo verso il sud.– A chi daremo prima battaglia? – chiese Ben.– Al drappello che cerca di girare l'oasi – rispose ilmarchese. – Quantunque la carovana sia ora ben protetta daifucili di Rocco e di Esther, non mi sento sicuro.– Sono pronto a cominciare.Spronarono i cavalli attraversando l'oasi da occidente aoriente e raggiunsero la punta estrema, nel momento in cui unprimo drappello, composto di sedici predoni passava a corsasfrenata a circa duecentocinquanta metri. Fermarono i cavalli,scesero di sella, si appoggiarono al tronco d'una grossa palma efecero fuoco simultaneamente. Un mahari ed un Tuareg cadderofra le urla furibonde <strong>del</strong>la banda. A quella prima scarica ne seguìuna seconda, poi una terza facendo cadere un altro uomo e altridue animali.– Cinque colpiti su sei palle! Un bel tiro! – gridò ilmarchese.I banditi arrestati in piena corsa da quelle scariche terribili,si gettarono in mezzo alle dune, abbandonando i loro corridori.– Come li abbiamo fermati! – esclamò Ben.– Questi, ma non gli altri – disse il marchese. – Stanno perpiombarci alle spalle.Il secondo drappello, trovando la via sgombra, s'era spintovelocemente innanzi, occupando il margine <strong>del</strong>l'oasi. Alcuni202


spari rimbombarono.– Diavolo! – esclamò il marchese. – Ci fucilano!Alcune palle erano passate in alto sibilando. Ben ed il côrsosi slanciarono sui loro cavalli e partirono al galoppo, salutati dauna seconda scarica <strong>del</strong> pari inoffensiva.– Che pessimi bersaglieri – disse il marchese.– Sono i loro fucili che valgono poco – rispose Ben.Vedendoli fuggire, i predoni si erano messi ad inseguirlivigorosamente, eccitandosi con alte grida e sparando di quandoin quando qualche colpo di fucile, i cui proiettili non potevanocerto giungere a buona destinazione in causa <strong>del</strong>le scossedisordinate dei mahari. Il marchese e Ben attraversata l'oasi intutta la sua lunghezza, si slanciarono fra le dune di sabbia. Lacarovana aveva già percorse due miglia e continuava la fuga.Rocco ed Esther, la quale aveva fatto abbassare la tenda peressere più libera, stavano alla retroguardia, coi fucili in mano.– Cerchiamo di mantenere la distanza – disse il marchese,rallentando la corsa.– Sì, finché potremo – rispose Ben. – Mi pare che i Tuaregsiano risoluti a non lasciarci un momento di pace.– Tenteremo di smontarli.I predoni si erano nuovamente riuniti, vista l'impossibilitàdi sorprendere la carovana ed eccitavano i loro mahari perguadagnare via. Quattro o cinque, meglio montati, in pochiminuti si trovarono a soli quattrocento passi dai fuggiaschi.– Ben, – disse il marchese – arrestiamoli.– Gli uomini od i mahari?– Preferisco gli animali. Il Tuareg smontato è come ungaucho argentino senza cavallo.Si fermarono dietro una duna e ricominciarono il fuoco.Bastarono dieci secondi per quei valenti bersaglieri, persmontare tre uomini. I tre mahari, gravemente feriti, erano203


caduti a poca distanza l'uno dall'altro. Il marchese stava perincominciare il fuoco, quando il suo cavallo s'impennòbruscamente mandando un nitrito di dolore, poi cadde sulleginocchia posteriori, sbalzando di sella il cavaliere.– Marchese! – esclamò Ben spaventato.– Un semplice capitombolo – rispose il côrso,risollevandosi prontamente. – Hanno colpito solamente ilcavallo.Gettò uno sguardo furioso sui Tuareg. Il predone che gliaveva mandata quella palla stava ritto sul suo mahari, col fucilefumante ancora teso.– Me la pagherai, briccone! – gridò il côrso. – A me haiucciso il cavallo; a te prenderò la pelle <strong>del</strong> mahari!Le parole furono seguìte da uno sparo, e non fu l'animaleche cadde, bensì il cavaliere.– La collera mi ha fatto tremare il braccio – disse ilmarchese. – Tuttavia non mi rincresce. Sarà un briccone dimeno.Guardò il cavallo. Il povero animale, colpito fra le zampeanteriori da un grosso proiettile, rantolava disteso sulla sabbia.– È perduto – disse il marchese, con rammarico.– Salite dietro di me e raggiungiamo la carovana – disseBen. – Presto, i Tuareg arrivano al galoppo!Il côrso si slanciò sul cavallo, s'aggrappò a Ben edentrambi partirono a corsa sfrenata mentre i predoni, furiosi divedersi sfuggire ancora una volta la preda, si sfogavano conimprecazioni e minacce senza fine.204


L'ASSALTO DEI TUAREGRocco ed Esther, vedendo il marchese e Ben tornare acorsa sfrenata su un solo cavallo, erano accorsi in loro aiuto,temendo che l'animale oppresso dal doppio peso e dallastanchezza, si lasciasse raggiungere dai Tuareg. Il destriero però,oltre ad essere robustissimo, era ancora pieno di vigore eraggiunse senza troppi sforzi la carovana, rifugiandosi in mezzoai cammelli.– Marchese! – gridò Esther, con voce alterata. – Siete statoferito?– No, quei bricconi non mi hanno toccato, rassicuratevi –rispose il côrso. – Tirano o troppo alto o troppo basso e nonsono perciò molto da temersi.– Ho tremato per voi.– Un po' più su e la palla non vi risparmiava, marchese –disse Ben.– Signore, – disse in quel momento El-Haggar – che cosapensate di fare?– Di continuare la ritirata – rispose il marchese. – I Tuaregminacciano di stringersi addosso a noi. Se ci circondano non sose potremo resistere.– Padrone – disse Rocco. – Se ci fermassimo qui efacessimo alcune scariche con tutti i nostri fucili? Siamo in ottoe, anche ammesso che i beduini ed El-Melah non siano valentibersaglieri, si potrebbe infliggere una buona lezione a queibricconi.– Mi sembra che l'idea non sia da rigettare – disse Ben. –Se i banditi ci assaltano finché siamo in marcia, produrranno un205


tale disordine fra i nostri cammelli, da metterci a malpartito.– Fate inginocchiare gli animali dietro a questa duna –rispose il marchese, dopo una breve riflessione. – Proviamo adarrestare quelle canaglie.Una montagnola di sabbia somigliante ad un'onda, formatacertamente dal simun, si estendeva su una lunghezza di oltrecento metri con una elevazione di sette od otto. Era un ottimobastione, sufficiente ad arrestare i proiettili dei banditi cheavevano così poca penetrazione. Il marchese, dopo d'aver fattosdraiare gli animali, fece occupare dai suoi uomini la cresta,raccomandando a tutti di non far fuoco che al suo comando. Nonscarseggiavano di munizioni, avendone due casse, tuttavia nonvoleva sprecarle inutilmente, essendo troppo preziose neldeserto. I predoni credendo che la carovana avesse continuata lasua marcia al di là <strong>del</strong>la duna, s'avvicinavano al galoppo suquattro colonne, offrendo un magnifico bersaglio. Il marcheseed i suoi compagni, sdraiati dietro alla cresta, coi fucili beneappoggiati, si tenevano immobili e silenziosi. Quando i predonisi trovarono a cinquanta passi, il marchese gridò:– Fuoco!Quattro mahari e tre uomini caddero a destra ed a sinistra,scompigliando le colonne e facendo cadere l'uno sull'altroparecchi altri animali che non avevano avuto il tempo di evitarei banditi. Parecchi Tuareg spaventati, si sbandarono urlando escaricando a casaccio le armi, ma cinque, i più valorosi di certo,proseguirono la corsa, balzando sulla cresta e puntando le lance.Il marchese, che aveva subito ricaricata l'arme, ne fulminò unoquasi a bruciapelo, mentre Ben ed Esther facevano cadere duealtri mahari. Rocco, vedendo un predone, che era statoscavalcato a pochi passi, gli si scagliò addosso impugnando ilfucile per la canna.– Muori cane! – urlò.206


Il Tuareg però, agile come una scimmia, si sottrasse alcolpo e si gettò addosso al sardo a corpo perduto, impugnandoun yatagan dalla lama lucente e affilata come un rasoio.– Guardati, Rocco! – gridò il marchese, il quale aiutato daEl-Haggar e dai beduini, stava azzuffandosi cogli altri, mentreEsther, Ben ed El-Melah facevano fuoco su quelli che si eranodispersi, per impedire loro di radunarsi.– Lasciate fare, padrone – rispose il sardo.Il predone era un uomo robusto, ma non certo tale dapotersi misurare col sardo, che era dotato d'una forza più cheerculea. Si avventò innanzi coll'yatagan alzato, urlando:– Muori, cane d'un kafir!Il sardo lo lasciò accostarsi, poi con un salto fulmineoabbrancò l'avversario, lo sollevò come fosse una piuma,facendogli scricchiolare le costole sotto una stretta formidabile elo scagliò dieci metri lontano, facendogli fare un meravigliososalto mortale. La caduta fu così impetuosa, che il Tuareg rimasedisteso senza moto. Gli altri, vedendo volteggiare in quel modoil loro compagno, non ne vollero sapere altro. Convinti <strong>del</strong>lasuperiorità dei loro avversari, si precipitarono giù dalla duna,fuggendo come antilopi e gettando perfino le armi per essere piùleggeri. La rotta era completa. I predoni fuggivano in tutte ledirezioni frustando i mahari, senza più occuparsi di quelli cheerano stati scavalcati e che correvano disperatamente fra le duneper mettersi al coperto dalle palle di Ben, di Esther e di El-Melah.– Cessate il fuoco! – comandò il marchese. – Se tornanodopo questa seconda lezione, li uccideremo tutti.– Spero che non ne avranno più la voglia, signore – disseEl-Haggar. – Tuttavia affrettiamoci a raggiungere Eglif. Neltrambusto i cammelli si sono urtati gli uni gli altri e hannoguastati parecchi otri. Se non siete stanchi, ripartiamo.207


I Tuareg erano scomparsi. Solamente a grande distanza sivedeva ancora qualcuno degli scavalcati superare le dune.Rocco e Ben s'impadronirono di due mahari che si era coricatipresso gli estinti padroni, come per invitarli a risalire in sella, ela carovana, sicura ormai di non venire più inquietata, si rimisein cammino, ansiosa di frappone molta distanza fra quelliostinati predoni. La notte li sorprese a venti miglia da Eglif.Avevano marciato tutta la giornata non facendo che duebrevissime soste per mangiare un boccone. Non ritenendosiancora sicuri, si arrestarono solamente poche ore, ripartendodopo la mezzanotte, non ostante i lamenti acuti dei cammelli,lamenti che straziavano gli orecchi e che muovevano acompassione. I due beduini però li fecero subito tacere tappandoloro barbaramente le nari con degli stracci e tempestandoli dilegnate distribuite senza misericordia e colmandoli conmaledizioni interminabili. I sahariani, cosa strana, mentre hannomille attenzioni pei mahari, trattano invece i cammelli con unabrutalità inaudita. Mentre ai primi danno quanto hanno dimeglio <strong>del</strong>le loro provviste, perfino <strong>del</strong> burro e <strong>del</strong>lo zucchero eli tengono puliti e non li caricano mai pesantemente, ai secondinon risparmiano né legnate, né maltrattamenti, né ingiurie.Danno a questo <strong>del</strong> cane, <strong>del</strong> maledetto dal Profeta, <strong>del</strong> porco, loprivano quasi di tutto e lo caricano in modo da far compassione,facendolo così rapidamente deperire. Se possono portareduecentocinquanta chilogrammi, peso ordinario, ne aggiungonosovente altri duecento e non si occupano di curare le orribilipiaghe prodotte loro dalle casse. È però bensì vero che il mahariè più nobile, più affezionato al padrone e che costa dieci volte dipiù, mentre il djemel è testardo, cattivo e anche vendicativo,tentando sovente di mordere i suoi conduttori, specialmentedurante la stagione degli amori.Alle quattro <strong>del</strong> mattino, la carovana, che era preceduta da208


El-Haggar e dal marchese, montati sui due mahari presi aiTuareg, scopriva alcuni gruppi di palme intristite colle foglieingiallite e pendenti.– Eglif – disse il moro.– Vedi nessun fumo alzarsi fra quelle piante? – chiese ilmarchese.– No, signore.– Eppure laggiù deve trovarsi Tasili, il servo di Ben.– Non scorgo alcuna tenda fra quelle palme.– Che gli sia toccata qualche disgrazia o che stanco diaspettarci sia partito pel sud? – si chiese il marchese.– Può essersi spinto verso Amul-Taf – disse il moro.– Un'altra oasi?– Sì, lontana due giorni di marcia e migliore di questa.In quel momento Ben li raggiunse.– Mi sembrate preoccupati – disse, dopo averli guardatientrambi. – Vi è accaduto qualche cosa di spiacevole, marchese?– Se non a me, a voi di certo. Nell'oasi non si vede néalcuna tenda, né alcun cammello.– Forse Tasili sarà andato in cerca di selvaggina – risposeBen. – Voi sapete che presso i pozzi non manca.– Proviamo a chiamarlo – disse il marchese.Alzò il fucile e lo scaricò in direzione <strong>del</strong>le palme. Ladetonazione si propagò fra le dune rumoreggiando e si spensesenza eco nei lontani orizzonti, senza ricevere risposta.– Tasili non si trova più qui – disse il marchese, dopoalcuni istanti d'attesa.– Che sia stato sorpreso dai Tuareg e assassinato! –esclamò Ben impallidendo.– Perdita grave, perché lui solo sa dov'è sepolto il tesoronascosto da mio padre.– Andiamo a vedere – disse El-Haggar. – Se è stato209


assalito, troveremo le tracce dei Tuareg.Eccitarono i mahari ed il cavallo e si spinsero innanzi,mentre la carovana s'avanzava lentamente attraverso le dune chein quel luogo erano molto alte. Pochi minuti dopo si trovavanosul margine <strong>del</strong>l'oasi. Era molto più piccola di quella diMarabuti ed in via di deperimento in causa <strong>del</strong>la scarsità d'acqua<strong>del</strong> sottosuolo. Non si componeva che di poche dozzine dipalmizi quasi intristiti e di pochi cespugli ormai disseccati.Solamente presso il pozzo, che si trovava nel centro, vegetavanoancora rigogliosamente quattro o cinque datteri, ormai privi difrutta. Fu precisamente presso quelle piante che Ben ed i suoicompagni trovarono <strong>del</strong>le tracce che confermavano i lorosospetti sulla sorte toccata al fe<strong>del</strong>e servo. Al suolo giaceva unatenda tutta strappata, degli otri sventrati, una lancia da Tuaregspezzata in due, la carcassa, ormai spoglia <strong>del</strong>le carni, d'un asinoe <strong>del</strong>le funi e dei bossoli di cartucce vuoti.Presso il pozzo, che era quasi interrato, si vedevano ancoragli avanzi di un fuoco e dei sassi anneriti che dovevano averservito da camino a Tasili ed ai suoi uomini.– I Tuareg sono venuti qui e hanno portato via il vostroservo – disse El-Haggar all'ebreo.– Sì – disse Ben, con voce strozzata. – Quei maledetti lohanno assalito.– E dove l'avranno condotto? – chiese il marchese. – Senon l'hanno ucciso abbiamo la speranza di poterlo ritrovare ungiorno.– Vedo parecchie tracce qui – disse El-Haggar. –Seguiamole.Attraversarono l'oasi e sulle sabbie videro ancora impressenumerose orme di mahari e di cammelli le quali si dirigevanoverso il sud.– Che l'abbiano condotto a Tombuctu? – si chiese il moro.210


– Queste tracce che il simun non ha cancellate, si prolunganoverso il mezzodì.– È già una fortuna.– Era accompagnato da una scorta il vostro Tasili? – chieseil marchese.– Sì, da tre sahariani di Tabelbalet – rispose Ben.– Fe<strong>del</strong>i?– Lo credo.– I Tuareg usano fare dei prigionieri.– Sì – disse El-Haggar – e li vendono come schiavi aTombuctu.– Allora ogni speranza di ritrovare Tasili non è perduta.Che cosa dite Ben?L'ebreo non rispose. Era salito su una duna e guardavaattentamente verso il sud, riparandosi gli occhi con ambe lemani. Che cosa cercava? Sperava forse di vedere ancora irapitori <strong>del</strong> fe<strong>del</strong>e servo di suo padre?– Cosa osservate Ben? – chiese il signor di Sartena.– Mi pare d'aver scorto un uomo scivolare in mezzo alledune e poi nascondersi.– Qualche Tuareg, forse?– No, mi parve un negro seminudo.– Andiamo a scovarlo Ben – disse il marchese, risalendosul mahari.I suoi compagni lo imitarono e si slanciarono fra le dune.Percorsi cinquecento passi videro un essere umano,spaventosamente magro, colla pelle nera e incartapecorita,malamente coperto da uno straccio e che fuggiva a rompicolloattraverso le sabbie.– Ehi fermati, o faccio fuoco! – gridò il marchese in arabo.– Noi non siamo Tuareg.Il negro s'arrestò sulla cima d'una duna, sgranando i suoi211


occhi che parevano di porcellana e alzando le scarne bracciacome per implorare grazia.– Chi sei? – chiese il côrso, raggiungendolo.– Non mi uccidete – disse quel disgraziato con vocetremante.– Noi non facciamo alcun male ai galantuomini. Perché seifuggito?– Vi credevo dei Tuareg, signore.– Sei solo?– Solo, signore. Gli altri sono stati portati via dai ladri <strong>del</strong>deserto.– Che sia uno degli uomini di Tasili? – chiese Ben.– Tasili! – gridò il negro. – Voi lo avete conosciuto?– Siamo venuti qui per cercarlo.– Ma allora voi siete le persone che egli aspettava.– Tu eri con Tasili! – esclamò Ben.– Sì, signore.– È vero che i Tuareg lo hanno fatto schiavo?– Sì, e l'hanno condotto al sud per venderlo a Tombuctu,assieme ai due miei compagni:– Quando siete stati sorpresi? – chiese il signor di Sartena.– Tre settimane or sono, verso sera – rispose il moro. – ITuareg erano in venti e ci piombarono addosso nel momento incui stavamo preparando la cena. Io potei fuggire, ma Tasili ed imiei due compagni furono subito atterrati e legati e all'indomanicaricati sui cammelli e portati via. Essendomi alla notteavvicinato al campo dei Tuareg, dai loro discorsi appresi cheerano diretti a Tombuctu e che contavano di vendere iprigionieri su quel mercato.– Povero Tasili! – esclamò Ben, con dolore. – Ah! Ma noilo ritroveremo.– Sì, Ben – disse il marchese. – E poi vi è necessario.212


Torniamo nell'oasi e rimettiamo un po' in gambe questodisgraziato che mi pare moribondo.– Sono tre settimane che non vivo che di datteri signore –rispose il negro. – E anche quelli sono finiti e lo stomaco èvuoto da quattro giorni.Quando tornarono all'oasi, la carovana era già giunta ed ibeduini avevano rizzate le tende intorno al pozzo.213


I TUAREG DI MARABUTILa carovana rimase due giorni nell'oasi di Eglif, perrimettersi dalle lunghe fatiche sopportate nella lunga traversata eper completare le provviste d'acqua, essendo molto scarsi i pozzinella regione meridionale <strong>del</strong> Sahara. Il marchese ed Estherfurono anzi tanto fortunati da ingrossare anche le provvistesolide, avendo sorpreso uno struzzo ed un'antilope nei dintorni<strong>del</strong>l'oasi. Il terzo giorno il marchese dava il segnale <strong>del</strong>lapartenza, frettoloso di attraversare la seconda metà <strong>del</strong> deserto edi giungere a Tombuctu, l'opulenta Regina <strong>del</strong>le Sabbie. Unamarcia di sette giorni li condusse, senza incidenti notevoli, aipozzi d'Amul-Taf, dove trovarono alcune famiglie sahariane chesi dedicavano all'allevamento dei cammelli corridori, mestieremolto lucroso. Questi allevatori sono abbastanza numerosi nelSahara meridionale e occupano le oasi più importanti. Sono tuttiricchi e posseggono numerosi branchi di mahari e anche didjemel, ma danno la preferenza ai primi, vendendoli a prezzimolto alti sui mercati di Kabra, di Tombuctu e di El-Mabruk.Per rendere i mahari agili e vigorosi, appena sono nati non lilasciano in libertà, per tema che le loro gambe s'inarchino e sirovinino. Li seppelliscono subito nella sabbia fino al ventre,onde il corpo non graviti e ve li tengono per tre o quattrosettimane, nutrendoli esclusivamente con latte e burro. Altermine di quell'epoca, permettono all'animale di trottare dietroalla madre, poi gli passano un anello al naso e cominciano adeducarlo. Essendo il mahari molto più intelligente dei djemel, siaffeziona subito al suo padrone e si ammaestra facilmente, alpunto che, se in un combattimento il padrone rimane ucciso, non214


lo abbandona. Anzi gli si inginocchia accanto come per invitarloa montare in sella e non lo lascia se non dopo essersi convinto<strong>del</strong>la sua morte. Non fugge però. Ritorna al duar <strong>del</strong>l'estintopadrone per mostrare alla famiglia la sella vuota.Il marchese ed i suoi compagni s'intrattennero un giorno fraquegli allevatori ospitalissimi, ben diversi dai Tuareg, lasciandopresso di loro il negro raccolto ad Eglif, essendosi rifiutato diaccompagnarli a Tombuctu in causa <strong>del</strong>la sua estremadebolezza. Toccando poi successivamente le piccole oasi diTrasase e di Grames, dopo una lunghissima marcia giungevanoa Teneg-el-Hadsh una <strong>del</strong>le ultime stazioni <strong>del</strong> deserto.Solamente poche giornate li dividevano ancora dalla Regina<strong>del</strong>le Sabbie. L'influenza <strong>del</strong> Niger, il fiume gigante <strong>del</strong>l'Africaoccidentale, si faceva sentire. L'aria non era più così secca, nécosì infuocata e anche fra le sabbie cominciavano ad appariredei cespuglietti verdi. Si cominciavano poi a veder <strong>del</strong>le banded'uccelli, i quali s'affrettavano subito a fuggire verso il sud. Quae là le tracce <strong>del</strong>le carovane aumentavano. Si vedevano difrequente scheletri di cammelli e d'uomini, basti, cassesventrate, avanzi di fuochi; chissà quanti disgraziati erano cadutidopo d'aver compiuta la traversata <strong>del</strong> deserto, quasi in vista<strong>del</strong>la Regina <strong>del</strong>le Sabbie, sulla porta <strong>del</strong>la salvezza, sfiniti dalleprivazioni e soprattutto dalla sete. A Teneg-el-Hadsh erano giàgiunte due grosse carovane provenienti dalle rive <strong>del</strong> Niger, unadiretta al Marocco con carichi di piume di struzzo e di avorio,l'altra nell'Algeria con gomma arabica e polvere d'oro <strong>del</strong>leminiere di Kong. L'occasione era propizia per assumereinformazioni circa la sorte toccata al disgraziato colonnelloFlatters. Provenendo quelle carovane da Tombuctu, nondovevano ignorare se dei francesi erano stati colà condotti evenduti al Sultano. Con una profonda meraviglia, il marcheseprovò invece un'amara <strong>del</strong>usione. Flatters? Tutti ne avevano215


udito parlare, sia marocchini che algerini, ma nessuno avevaudito a narrare che i Tuareg l'avessero condotto a Tombuctu.– Che cosa ne pensate, Ben? – chiese il marchese, dopoaver interrogato tutti i capi <strong>del</strong>le due carovane, ottenendosempre la medesima risposta. – Che io sia stato ingannato e cheil colonnello sia stato veramente ucciso nel deserto?– Non disperiamo, marchese – rispose l'ebreo. – Forsequesti uomini, interamente occupati nei loro traffici, non si sonointeressati <strong>del</strong>la sorte toccata al povero colonnello. Che cosaimportava a loro?– Eppure io so che il governo <strong>del</strong>l'Algeria aveva promessosei premi ai capi carovanieri che avessero potuto fornire notiziesulla spedizione – disse il marchese.– Quando noi saremo a Tombuctu faremo <strong>del</strong>le ricerchescrupolose, marchese, e sapremo la verità. Se è vero che ilcolonnello è stato condotto al Sultano, qualcuno lo avrà vedutodi certo entrare in città coi Tuareg.– Che disillusione se invece fosse stato ucciso nel deserto!– esclamò il côrso, con amarezza.– Vi rincrescerebbe aver fatto questo lungo viaggioinutilmente? – chiese Esther, la quale assisteva al colloquio.– Oh! No! – esclamò vivamente il côrso. – No, Esther, velo giuro!La giovane lo comprese e sorrise, mentre una viva fiammale animava gli sguardi.– Lo dite davvero, marchese? – chiese la bella ebrea,mentre Ben s'allontanava.– Sì, Esther, perché se io non avessi intrapreso questoviaggio non vi avrei conosciuta – rispose il marchese,prendendole una mano e stringendogliela con passione.– No, non è possibile – disse Esther, abbassando gli occhi.– Sarebbe un sogno troppo bello...216


– Esther, – disse il côrso, con voce grave – se questo sognosi realizzasse? Se io vi amassi davvero?– Voi, marchese, amare una ebrea, una donna che nelMarocco si disprezza?– La Corsica e la Francia non sono il Marocco, Esther. Ildestino mi ha gettato sulla vostra strada, ho imparato adapprezzarvi e ad ammirarvi e credo che nessun'altra donnapotrebbe diventare, meglio di voi, la compagna <strong>del</strong>la mia vita.Esther, volete diventare mia moglie?– Io la marchesa di Sartena!Aveva appena pronunciato quelle parole quando udì pressodi sé una rauca imprecazione. Si volse vivamente e vide sdraiatopresso la tenda El-Melah. La faccia <strong>del</strong> sahariano era contratta emanifestava una collera terribile.– Che cosa avete El-Melah? – chiese.– E che cosa fate qui? – domandò il marchese, aggrottandola fronte.– I Tuareg – rispose il sahariano.– Quali Tuareg? – chiese il côrso.– Quelli che abbiamo incontrato ai pozzi di Marabuti.Stanno entrando ora nell'oasi.– Che ci abbiano seguìti? – si domandò il marchese, conira. – La presenza di quei predoni non mi piace affatto.– Che osino assalirci fra tanta gente? – chiese Esther.– Oh no di certo, perché i marocchini e gli algerinis'unirebbero a noi per respingerli. Qui siamo come fracompatrioti.– Che vadano anche essi a Tombuctu? Che cosa ne dici El-Melah?Il sahariano non rispose. Guardava Esther in modo strano,mentre un brutto sorriso gli coronava le labbra.– Ebbene, non mi hai udito, El-Melah? – chiese il217


marchese, impazientito. – Che quei Tuareg si dirigano ancheessi a Tombuctu?– Ah! Sì, lo suppongo – rispose il sahariano, quasidistrattamente.– Che abbiano il sospetto che noi siamo degli infe<strong>del</strong>i?– Lo ignoro, signore.– Sarebbe pericoloso per noi. Vado ad assicurarmeneassieme a Ben. Tu, El-Melah non lascerai Esther durante la miaassenza e aspetterai il ritorno dei beduini e di El-Haggar chesono andati ad acquistare dei viveri.Il sahariano fece un gesto d'assenso e si sdraiò al suolo, aquattro passi dalla giovane ebrea, la quale si era seduta presso latenda, all'ombra d'un bellissimo palmizio. Il viso <strong>del</strong> giovanenon si era ancora rasserenato, né i suoi sguardi si erano perancostaccati dall'ebrea. Anzi una fiamma cupa balenava entro quegliocchi nerissimi, mentre la fronte si aggrottava sempre più.– Signora, – disse ad un tratto, risollevandosi – che cosa vaa cercare a Tombuctu il marchese?Esther alzò il capo che teneva appoggiato ad una mano, eguardò con stupore il sahariano.– Perché mi fai questa domanda, El-Melah? – chiese.– Io vi ho seguìti fino qui senza aver ancora potutoconoscere chiaramente i vostri progetti e prima di entrare inTombuctu desidererei sapere lo scopo che vi guida. La Regina<strong>del</strong>le Sabbie è pericolosa per gl'infe<strong>del</strong>i; voi giuocate la vita.– Andiamo a cercare il colonnello Flatters. Credevo che tulo sapessi, El-Melah.Un sorriso beffardo spuntò sulle labbra <strong>del</strong> sahariano.– Non valeva certo la pena di venire fino qui a cercare unuomo che forse è morto e che è ben lontano da Tombuctu.– Sai qualche cosa tu? – chiese Esther.Il sahariano crollò il capo, poi disse come parlando fra sé.218


– Lasciamolo cercare.– Chi?– Il francese.– Non ti comprendo, El-Melah.– Chissà, forse potrà trovare anche qualche cosa d'altro aTombuctu. Signora, è vero che il marchese vi ama?– Sì, El-Melah.– E voi? – chiese il sahariano, figgendole in viso unosguardo acuto come la punta d'uno spillo.– Ciò non ti può interessare – rispose Esther, il cui stuporeaumentava.– Desidererei sapere se lo lascereste per un altro uomo chepure vi ama e forse più <strong>del</strong>l'altro.– El-Melah – disse la giovane alzandosi. – Il sole <strong>del</strong>deserto ti ha sconvolto il cervello? Ne avevo il dubbio, ora ne hola certezza.– Sì, deve esser così – disse il sahariano, con un accentostrano. – Il sole <strong>del</strong> deserto deve aver guastato il cervello di El-Melah.S'alzò girando intorno alla tenda, poi tornò a sdraiarsi,tenendosi il capo stretto fra le mani.– Quel povero giovane è pazzo – disse Esther.In quel momento il marchese tornava con Rocco, El-Haggar e Ben. Tutti e tre parevano assai preoccupati ed inquieti.– Che cosa avete? – chiese Esther, muovendo loro incontro.– I Tuareg che sono passati per di qua sono gli stessi cheabbiamo incontrati ai pozzi di Marabuti – rispose Ben. – Vannoa Tombuctu.– E che cosa importa a noi, fratello? A Tombuctu vi è postoper tutti.– Ma noi vorremmo sapere per quale scopo ci vanno eperché sono tornati al sud, mentre parevano diretti verso il nord219


– disse il marchese. – Devono averci seguìti a grande distanza.– Si sono fermati?– No, Esther, hanno proseguito per la Regina <strong>del</strong>le Sabbie –rispose Ben.– Che abbiano qualche sinistro progetto su di noi?– Tutto si può attendere da quegli uomini – disse El-Haggar. – Se essi hanno un sospetto che voi non sietemussulmano, ci possono fare arrestare dalle guardie <strong>del</strong> Sultanoe anche uccidere.– Eppure non possiamo rimanere qui ora che abbiamoattraversato il deserto. Io non me ne tornerò se non quando avròavuto la certezza che il colonnello è morto o che si trovaprigioniero <strong>del</strong> Sultano.– Ed io se prima non avrò raccolto l'eredità di mio padre –disse Ben.– E trovato Tasili – aggiunse Rocco. – Senza quell'uomonon potrete certo riacquistare il tesoro.– Ascoltatemi – disse in quell'istante El-Haggar. – A me,come mussulmano, non è vietata l'entrata in Tombuctu e nessunpericolo può minacciarmi. Volete che io segua quei Tuareg percercare di scoprire le loro intenzioni e cercare Tasili? Fra tre oquattro giorni io sarò di ritorno e allora agirete.– E ti occuperai di sapere se il colonnello è vivo od è statoucciso.– Ve lo prometto, marchese. Ho <strong>del</strong>le conoscenze aTombuctu e andrò ad interrogare quelle persone.– E ne ho anch'io – disse El-Melah, alzandosi.– Vuoi partire con El-Haggar? – chiese il signor di Sartena.– Tu che conosci quei Tuareg puoi saper, meglio d'altri, che cosasono venuti a fare a Tombuctu.– Se lo desiderate io parto – rispose il sahariano, convivacità.220


– Vi concederemo una settimana di tempo. Se non vivedremo ritornare, qualunque cosa debba succedere, noiverremo a Tombuctu – disse il marchese.– Siamo d'accordo – rispose El-Haggar.I loro preparativi furono lesti. Caricarono su due maharidei viveri, s'armarono di fucili e di yatagan e salirono in sella.– Prima che il sole tramonti noi entreremo nella Regina<strong>del</strong>le Sabbie – disse El-Haggar. – Abbiate pazienza e nonlasciate questa oasi. In caso di pericolo io o El-Melah torneremosubito e voi vi rifugerete nel deserto.– Va' e che Dio sia con te – risposero Ben ed il marchese.Allentarono le corde ed i due mahari, attraversata l'oasi cheera ingombra dei cammelli <strong>del</strong>le due carovane, si slanciaronoverso il sud. Mentre però s'allontanavano, El-Melah continuavaa volgersi indietro ed Esther provava ancora l'impressione diquello strano sguardo che gli procurava una specie di malessereche non sapeva spiegarsi. Quando i due corridori scomparveroin mezzo alle dune, la giovane provò un vero sollievo.– Che uomo strano è quel Melah – mormorò. – Che siaveramente pazzo?Il marchese ed i suoi compagni intanto si erano occupati aprepararsi l'accampamento, onde passare quella lunga attesa, nelmiglior modo possibile. Rizzarono le due tende assicurandolecon numerose funi e disposero le casse ed i bagagli all'intorno,formando una specie di barriera, poi con sterpi e foglieinnalzarono una zeriba destinata a contenere i cammelli e glialtri animali, precauzione indispensabile con tanta gente cheoccupava l'oasi in attesa <strong>del</strong> momento per mettersi in marciaverso il nord.– Ora armiamoci di pazienza ed aspettiamo – disse ilmarchese, quando il campo fu pronto. – El-Haggar ritornerà, nesono certo e forse accompagnato da Tasili.221


– Speriamo – disse Ben. – In ogni caso, se non dovessetornare più, io sono risoluto ad andare a Tombuctu.– Ed anch'io – rispose il marchese. – E tu Rocco?– Per Bacco! – disse il sardo. – Se lo desiderate andrò aprendere pel collo il Sultano e lo terremo in ostaggio finchéavremo trovato il colonnello e Tasili.222


LA REGINA DELLE SABBIEMentre il marchese ed i suoi compagni si preparavanol'accampamento, El-Haggar ed il sahariano galoppavano verso ilsud onde attraversare l'ultimo tratto di deserto che li separavadalla Regina <strong>del</strong>le Sabbie. Deserto veramente non lo si potevachiamare, perché, quantunque il suolo fosse ancora coperto didune sabbiose, gruppi di palmizi si vedevano dovunque e anchenon pochi duar mostravano le loro tende brune con zeribecontenenti cammelli e montoni in gran numero. Piccolecarovane, cariche specialmente di sale, articolo molto ricercato aTombuctu, sfilavano fra le dune, alcune dirette alla città, altreverso le borgate <strong>del</strong> Niger e anche lunghe schiere d'asini cheprovenivano dalle oasi <strong>del</strong>l'Ulmder, situate verso oriente. El-Haggar ed El-Melah, procedevano senza parlare, cogli sguardifissi verso il sud, per cercare di scoprire i Tuareg che avevanolasciato l'oasi qualche ora prima e che ormai parevanoscomparsi.– Sembra che siano molto frettolosi di giungere aTombuctu – disse El-Haggar, dopo qualche tempo. – Eppure inostri mahari galoppano magnificamente. Quella premura èmolto sospetta. Cosa ne dici El-Melah, tu che conosci quegliuomini e che sei amico di quel capo?– Non amico – disse il sahariano, quasi con dispetto.– Tuttavia tu lo conosci e puoi sapere che razza di bricconesia.– Lo ignoro.– Non sarà meno ladro degli altri.– Non l'ho mai veduto rubare.223


– Nemmeno assassinare? – chiese il moro, con accentoironico.– Neanche.– Quanto sei stato presso la sua tribù?– Alcuni giorni – rispose El-Melah, con impazienza.– Allora comprendo. In quei pochi giorni nessuno gli ècaduto fra le mani. A te aveva detto che se ne andava al nord,quando lasciò i pozzi di Marabuti, è vero?– Mi parve.– Perché lo troviamo ora qui? Ecco quello che desiderereisapere.– Io non ho il cervello di Amr-el-Bekr.– È il nome di quel galantuomo? – chiese El-Haggar.– Sì.– Lo terrò in mente.El-Melah alzò le spalle senza rispondere.Proseguirono per un'altra ora, senza che i maharirallentassero la loro corsa indiavolata, poi El-Melah, che daqualche istante dava segni d'inquietudine chiese:– Sono tutti kafir quegli uomini bianchi?– Lo suppongo, quantunque abbiano recitato sempre lepreghiere <strong>del</strong> Profeta – rispose il moro.– E osano entrare in Tombuctu?– Tu sai che non sono persone d'aver paura.– L'ho veduto.Stette zitto un altro po', quindi riprese con tono quasiminaccioso.– Il francese ama l'ebrea, è vero?– Può darsi – rispose El-Haggar. – Ti rincresce forse, El-Melah? Me l'hai chiesto in un certo modo!– Quell'ebrea è la più bella ragazza che io abbia veduto neldeserto – continuò il sahariano, come parlando fra sé. – Il224


Sultano di Tombuctu la pagherebbe ben cara se qualcuno glielaoffrisse come schiava.– Ma non è già una schiava – disse El-Haggar, guardandolosospettosamente.– Lo so.– Sicché? Che cosa vuoi concludere?El-Melah guardò a sua volta il moro, come se avesse volutoscrutargli l'anima, poi disse con uno strano sorriso:– Voglio concludere che Tombuctu potrebbe esserepericolosa per quell'ebrea troppo bella.– Veglieremo attentamente sulla signorina Esther.Il sahariano fece col capo un segno affermativo e aizzò ilmahari. Verso il tramonto, dopo una corsa furiosa di otto ore,El-Haggar ed il suo compagno videro improvvisamenteapparire, sull'infuocato orizzonte, una linea imponente diminareti e di torri, le quali spiccavano vivamente sul purissimocielo <strong>del</strong> deserto. Qualunque altro l'avrebbe scambiato per unmiraggio meraviglioso non potendo credere che una cittàdovesse sorgere in mezzo a quella immensa pianura sabbiosa,ma El-Haggar ed il suo compagno non si lasciarono ingannare.Tombuctu, la Regina <strong>del</strong>le Sabbie e <strong>del</strong> Sahara, la cittàmisteriosa la cui esistenza era stata messa in dubbio per tantisecoli dagli europei, stava dinanzi a loro, a meno di quattromiglia.– Ci siamo – disse El-Haggar. – Ancora una galoppata edentreremo.Tombuctu o Timbuctu, <strong>del</strong>la quale si narrarono tanteleggende meravigliose prima che Renato Caillé e Barth lavisitassero, è situata ai confini meridionali <strong>del</strong> Sahara nel mezzod'una pianura sabbiosa, a circa quattordici chilometri dal fiumeNiger. Questa città che come Roma, Atene e Tebe, ebbe untempo le sue scuole di sapienti e di filosofi e che godette uno225


splendore incredibile nei secoli passati, è una <strong>del</strong>le più antiche.La sua fondazione data dal quarto secolo <strong>del</strong>l'Egira, secondoalcuni e secondo altri risale al 1214 <strong>del</strong>l'era cristiana. Pare peròche esistesse anche molto prima, secondo gli antichi storiciegiziani, sotto il nome di Kupha o di Nigeria. Comunque sia,godette per lunghi secoli una celebrità immensa ed insiememisteriosa, fino al giorno in cui i sovrani di Fez e <strong>del</strong> Maroccose la resero tributaria, impossessandosene. Non decadde però.Quantunque perduta al di là <strong>del</strong> deserto, architetti di Granadal'abbellirono, costruendo uno splendido palazzo pel Sultano erimase ancora per lungo tempo un deposito commerciale <strong>del</strong>lapiù grande importanza, ricevendo carovane dal Marocco,dall'Algeria, dalla Tunisia e dalla Tripolitania per disperdere poile merci negli stati <strong>del</strong>l'Africa centrale. Nel 1500, riacquistatal'indipendenza mercé una ribellione capitanata da un capo negro,risorse per qualche tempo, riguadagnando l'antico splendore, perpoi decadere nuovamente nel 1670, epoca in cui fu soggetta ai redi Bambarra e maggiormente nel 1826 in cui cadde sotto ladominazione dei Tuareg e dei Fellata, i formidabili predoni <strong>del</strong>deserto. Oggi Tombuctu, quantunque occupi un'area immensa,non conta più di quindici o ventimila anime; le sue settemoschee, le sue vecchie torri, i suoi massicci bastioni, i suoimercati, sono là a testimoniare la sua passata grandezza. Le suevie sono larghe tanto da potervi passare tre cavalli di fronte; hapoi belle case costruite con mattoni cotti al sole, con cortiliinterni e fontane, ha porticati ancora ammirabili che ricordano lostile dei mori, bastioni e pozzi grandiosi quantunque per lamaggior parte guasti ed una moltitudine di capanne che sipopolano solamente all'arrivo <strong>del</strong>le carovane, sempre numerosein certe epoche <strong>del</strong>l'anno e due grandi mercati destinati allavendita degli schiavi. 7 Tombuctu è ancora una città commerciale7 Tombuctu è ora conquista francese. Fu presa cin un audace colpo di226


di molta importanza, pur avendo un territorio aridissimo che nonproduce nulla affatto, nemmeno da nutrire la centesima parte<strong>del</strong>la sua popolazione, a segno che nel 1885 riuscì facilissimo aiTidiani di affamarla. Riceve numerosissime carovane cariche dimerci dagli stati <strong>del</strong>l'Africa settentrionale; viveri da Mopti e daDjenne; stoffe ricamate dal Senegal, oro e avorio dal Kong edalle regioni dei Bambarra e sale, derrata ricercatissima, che nonsi vende a meno di due lire al chilogrammo, dalle miniere diTanunderma e da Bonshebur. È poi una città dove il fanatismo,fino a qualche anno fa, imperava feroce. Nessun infe<strong>del</strong>e vipoteva entrare sotto pena di morte, e nessun europeo potevamettervi piede. Ciò non impedì però che Caillé prima e più tardiBarth, vestiti da mussulmani, vi potessero entrare a prezzo diimmensi pericoli. Anche nel 1887 il luogotenente Caron, cheaveva risalito il Niger con un battello a vapore montato daquattordici marinai fra europei ed indigeni, dovette accontentarsidi guardarla da lontano per non venire massacrato dai fanaticiTuareg e dai feroci kissuri <strong>del</strong> Sultano. El-Haggar ed El-Melah,dopo aver fiancheggiato gli enormi cumuli di rottami cheformano <strong>del</strong>le vere colline intorno alla città, entrarono attraversoi bastioni diroccati. Cominciava ad annottare, e per l'aria siaffievolivano le ultime grida dei muezzin che dall'alto deiminareti, coi visi volti ad oriente, lanciavano la solita preghiera:«Non v'è Dio fuor di Dio...»Dopo un breve interrogatorio da parte <strong>del</strong>le guardie <strong>del</strong>Sultano, incaricato di vigilare onde impedire l'entrata a qualsiasiinfe<strong>del</strong>e, si diressero verso un caravanserraglio, specie di vastatettoia destinata ai conduttori <strong>del</strong>le carovane e dove potevanoavere un pessimo giaciglio mediante una tenue moneta.– Ci occuperemo domani dei nostri affari – disse El-Haggar, scendendo dal mahari.mano, da scialuppe a vapore che avevano rimontato il Niger.227


Stavano per prepararsi la cena, quando videro entrarealcuni Tuareg che dovevano essere allora giunti a Tombuctu.Nel vederli, El-Haggar non poté far a meno di corrugare lafronte. Aveva riconosciuto il capo che aveva incontrato nei pozzidi Marabuti.– Costoro devono averci attesi presso i bastioni e seguìti –disse a El-Melah.– Non occuparti di loro – rispose il sahariano. –Probabilmente non pensano a noi e abbiamo torto ad inquietarci.– Sarei stato più contento di non rivederli qui.Amr-el-Bekr pareva che non avesse fatta alcuna attenzionea loro. Si era ritirato in un angolo <strong>del</strong>la vasta tettoia assieme aiquattro uomini che lo accompagnavano e dopo aver scaricato imahari degli otri e dei sacchetti contenenti le provviste, tutti sierano sdraiati sui loro tappeti, fingendo di dormire.El-Haggar ed il sahariano si prepararono la cena, diederoda mangiare ai loro animali, poi si stesero su due angarebmettendosi a fianco i fucili e cercarono d'imitare i Tuareg, iquali pareva si fossero realmente addormentati. Il moro, che sisentiva spossato da quella lunga corsa, non tardò a russare. El-Melah invece vegliava. Di quando in quando alzava la testa perassicurarsi che il compagno dormiva, poi quando gli parvegiunto il momento opportuno, lasciò senza far rumore l'angarebe scivolò verso l'angolo occupato dai Tuareg. Non vi era ancoragiunto quando vide alzarsi un uomo.– Sei tu, Amr? – chiese El-Melah.– Sono io – rispose il capo dei Tuareg. – Ti aspettavo. Dovesono gl'infe<strong>del</strong>i?– Sono rimasti nell'oasi.– Hanno qualche sospetto?– No, almeno finora.– Cos'hai da dirmi?228


– Sai perché l'uomo bianco che ti ha minacciato si è spintofino qui?– No.– Per cercare il colonnello Flatters.Una rauca bestemmia uscì dalle labbra <strong>del</strong> predone.– Sa che siamo stati noi...– Silenzio, Amr – disse El-Melah, mettendogli una manosulla bocca.– Quell'uomo è pericoloso per noi?– Può diventarlo perché è un francese.– Un francese! – esclamò il Tuareg, stringendo i denti. – Selo avessi saputo prima l'avrei ucciso nel deserto.– Ci avresti perduto il premio che il Sultano concede a chigli consegna un kafir.– È per questo che li hai lasciati venire fino qui?– Sì, Amr – disse El-Melah. – A te gli uomini, a me ladonna.– Ah! Vi è anche una donna!– Bella come un'urì <strong>del</strong> paradiso di Maometto.– Che cosa vuoi farne di costei?– Rubarla al francese e venderla al Sultano.– Sei furbo tu, per essere un algerino. El-Abiod...– Taci! Qui mi chiamo El-Melah.– Ah! Hai cambiato nome!– E anche pelle. Se il francese avesse saputo chi sono io eda chi si deve il massacro <strong>del</strong>la spedizione, non sarei certo piùvivo.– Quando verrà qui il francese?– Fra una settimana; m'incarico io di condurlo.– Ti aspetterò – rispose il Tuareg. – Quanti sono i kafir?– Due europei ed un ebreo.– Il Sultano pagherà cari i due primi perché è molto che229


desidera avere degli schiavi dalla pelle bianca. In quantoall'ebreo lo farà bruciare come una bestia malefica.– Tu non gli dirai che è il fratello <strong>del</strong>la giovane – disse El-Melah con tono quasi minaccioso.– Mi accontenterò d'intascare il prezzo <strong>del</strong> tradimento.– La donna sarà mia.– Te la lascio.– Non bisogna quindi che venga presa cogli uomini. IlSultano sarebbe capace di tenersela senza pagarmela.– Cercherò un mezzo per non farla prendere insieme.– Tu ora devi dirmi una cosa.– Parla.– Sono giunti qui dei tuoi compatrioti con tre uomini presinell'oasi di Eglif, fra i quali uno molto vecchio?– Mi pare d'aver udito parlare di ciò.– Il vecchio mi è necessario per indurre i kafir a venire qui.Se è stato venduto ricompralo o rubalo al suo padrone.– Prima di domani sera sarà qui, te lo prometto. Conoscotutti i miei compatrioti e non mi sarà difficile scovare il vecchioche tu cerchi.– Dove ti rivedrò?– Al mercato degli schiavi.– Buona fortuna – disse El-Melah.Strisciò lungo la parete e tornò all'angareb. El-Haggar nonaveva cessato di russare. L'indomani, quando si svegliarono iTuareg erano scomparsi assieme ai loro mahari.– Se ne sono andati? – chiese il moro, respirando. – La lorocompagnia non mi piaceva.– Non occuparti altro di loro – disse El-Melah. – Pensiamoai nostri affari, invece.– Dividiamoci il lavoro; io mi occuperò di appurare quantovi è di vero riguardo al colonnello.230


– Ed io cercherò quel Tasili che tanto preme all'ebreo.– Conosci la città?– Come Algeri e Costantina.– Ci rivedremo a mezzodì per la colazione in questomedesimo luogo.– Sì, El-Haggar, e speriamo di essere fortunati nelle nostrericerche.Il sahariano aspettò che il moro si fosse allontanato, poi,salito sul suo mahari, si cacciò fra la folla che ingombrava idintorni <strong>del</strong>la tettoia. Tombuctu in quei giorni aveva triplicata lasua popolazione, in causa <strong>del</strong>le numerose carovane giunte datutte le parti <strong>del</strong> deserto e dalle borgate <strong>del</strong> Niger. Tutte le vieerano piene di cammelli, di mahari, di cavalli, di asini carichid'ogni sorta di mercanzie, di mercanti marocchini, algerini,tunisini e tripolitani, di negri <strong>del</strong>le rive <strong>del</strong> Niger, di Tuareg <strong>del</strong>deserto, di bellissimi Bambarra e di Fellata, chi avvolti in ampicaic e con immensi turbanti, chi vestito sfarzosamente cometanti Sultani e chi quasi nudi o nudi affatto. Tutte le piazze eranostate convertite in bazar, dove si vedevano accumulatemontagne di merci africane ed europee e derrate d'ogni specie,perché Tombuctu ha bisogno di tutto, perfino <strong>del</strong>la legna chedeve essere trasportata dal Niger. Si vedevano cumuli enormi didatteri, di fichi secchi, di miglio, di orzo, di pistacchi, di patate,mescolati confusamente a cumuli di cedri e di limoni trasportaticon grandi stenti dalle città <strong>del</strong>l'Africa settentrionale. Poiammassi di stoffe, di saponi, di can<strong>del</strong>e, di chincaglieriefrancesi, di casse di zucchero, di scatole ripiene di coralli, digingilli ed in mezzo a tutto ciò vere colline di sale, preziosaderrata che si vende quasi a peso d'oro quando scarseggia e cheserve anche come di moneta, dandosene cinque o sei libbre peruno schiavo nel fiore degli anni. Dovunque si commerciava, fraun gridìo assordante, fra uno strepito indiavolato, fra un via vai231


continuo d'animali che accrescevano il baccano e la confusione,non ostante gli sforzi dei kissuri, gli splendidi soldati <strong>del</strong>Sultano, per mantenere un po' d'ordine. El-Melah, dopo d'averfaticato non poco ad aprirsi il passo fra quella folla tumultuanteche si lasciava urtare e anche schiacciare i piedi dai cammelli,dai cavalli e dagli asini, piuttosto che interrompere gli affari, sidiresse verso il mercato degli schiavi, il quale si estende su unavasta piazza coperta da tettoie. I Tuareg suoi amici non eranoancora giunti, ma la piazza era occupata da una folla non menofitta di quella che ingombrava le vie.Negri d'ogni razza, Bambarra, Baraissa, rivieraschi <strong>del</strong>Niger, Massina, Bakhuni, Kartani, Fellani, uomini già vecchi,nel fior <strong>del</strong>l'età, ragazzi, maschi e femmine, tutti nudi per megliogiudicare i loro pregi ed i loro difetti, s'accalcavano sotto letettoie, muti, tristi, vergognosi <strong>del</strong>la loro miserabile condizione.Si palpavano, si osservavano diligentemente, si facevanocorrere o sollevare pesi perché sviluppassero i loro muscoli, siguardavano in bocca per giudicare la loro dentatura, o sifacevano lottare fra di loro per misurarne la forza. Per lo più ipadroni erano Tuareg, quei terribili predoni che mettono a ferroed a fuoco tutti i dintorni di Tombuctu per procurarsi schiavi eper saccheggiare.El-Melah attraversò tutte le tettoie, sperando di scoprire ilsuo amico, ma invano.Fece sdraiare il mahari all'ombra d'un palmizio, gli sisedette accanto, accese la pipa e attese pazientemente. Il solenon era ancora a metà <strong>del</strong> suo corso, quando vide giungere Amrseguìto da un vecchio moro di sessant'anni, di statura alta eancora robustissimo, non ostante l'età.Lo trascinava con una corda legata ai polsi, dandogliviolenti strappate e caricandolo d'insulti.– Cammina, cane, figlio d'un cane! – gridava il predone. –232


T'ho comperato e m'appartieni, vecchio imbecille.Vedendo El-Melah, gli si appressò dicendogli:– È questo l'uomo che cercavi?– Non lo so, – rispose il sahariano – ma ora lo sapremo.Esaminò il vecchio, poi disse:– Tu sei il servo di Ben Nartico, il fratello di Esther, èvero?Il moro udendo quei nomi trasalì e guardò El-Melah conprofondo stupore.– Non sei tu Tasili? – continuò il sahariano.– Come lo sai tu? – chiese il vecchio, con voce tremante.– È lui – disse il Tuareg. – Mi hanno detto che quest'uomosi chiama Tasili e che è stato catturato nell'oasi di Eglif.– È vero – confermò il moro.El-Melah lo liberò dalla corda, dicendogli:– Tu sei libero e sono pronto a condurti dai tuoi padroni.– Da Ben e dalla signorina Esther! – gridò il vecchio, conprofonda emozione.– Sì, rispose El-Melah.– Quando potrò vederli?– Domani.Fece ad Amr un segno d'addio, dicendogli in linguasahariana:– Al mercato, fra due giorni.– T'aspetto – rispose il capo, con un sorriso d'intelligenza.El-Melah ed il moro attraversarono le vie affollate,conducendo per la briglia il mahari e giunsero nelcaravanserraglio nel momento in cui vi entrava anche El-Haggar.– Chi è questo vecchio? – chiese la guida.– Sono stato più fortunato di te, El-Haggar – disse ilsahariano. – Cos'hai saputo tu <strong>del</strong> colonnello?233


– Nulla finora.– Ebbene io ho trovato ed ho condotto Tasili, il servo<strong>del</strong>l'ebreo, ed ho saputo anche che il colonnello Flatters si trovacome schiavo nel palazzo <strong>del</strong> Sultano.– Tu sei un uomo meraviglioso! – esclamò El-Haggar,guardandolo con ammirazione.– E questo non è tutto – proseguì El-Melah, con un perfidosorriso. – Ho anche saputo che i Tuareg che ci hanno seguìtohanno continuato il loro viaggio verso Sarajanco, al di là <strong>del</strong>Niger, dove si trovano i loro duar.– Allora la nostra missione è finita.– Possiamo tornare presso il signor marchese. Hai <strong>del</strong>lemonete tu?– Il padrone mi ha dato <strong>del</strong>la polvere d'oro.– Andiamo a comperare un mahari per questo vecchio epartiamo senza perdere tempo. Prima <strong>del</strong> tramonto noi saremoall'oasi.234


LA CASA DEL VECCHIO NARTICOSette ore dopo, con gran stupore <strong>del</strong> marchese e di Rocco econ viva gioia di Ben e di Esther, El-Haggar ed i suoi duecompagni, dopo una corsa furiosa, giungevano all'oasi di Tenegel-Hadsh.Festeggiato il vecchio Tasili il quale, rivedendo ipadroncini, piangeva di gioia, il marchese, in preda ad una vivaemozione, per le liete novelle recate, interrogò lungamente iltraditore sulla sorte toccata al colonnello. El-Melah aveva giàpreparato la sua storia. Da un Tuareg suo amico aveva avutol'assicurazione che il colonnello era stato condotto a Tombuctuda una banda di predoni, gli stessi che avevano assalita edistrutta la spedizione, e venduto come schiavo al Sultano.Quel suo amico, diceva lui, aveva anzi assistito alla vendita<strong>del</strong> disgraziato francese sulla piazza <strong>del</strong> Mercato e gli avevaperfino precisata la somma offerta dagli agenti <strong>del</strong> Sultano:quattro libbre di polvere d'oro, dieci denti d'elefante e trecentotalleri, una somma enorme in una città dove gli schiavi negri sipagavano quattro o cinque libbre di sale.– Noi lo liberemo, – disse il marchese – dovessimo darfuoco a Tombuctu o far prigioniero il Sultano.– M'incarico io di ciò – disse Rocco, che tutto credevapossibile.– Non commettete imprudenze, signore – rispose El-Melah,serio. – Il Sultano ha molti kissuri bene armati.– Li affronteremo.– No, signore. Lasciatevi guidare da me e vedrete chelibereremo il colonnello senza commettere violenze. Ho unamico che avvicina i ministri <strong>del</strong> Sultano e mediante una certa235


somma troverà il modo di far fuggire il francese.– Tu sei un uomo prezioso, El-Melah.– Pago il mio debito di riconoscenza, signore – disse ilmiserabile.– E tu, Tasili, – interrogò Esther – non hai udito a parlared'un colonnello francese venduto schiavo?– No, padrona – rispose il vecchio moro. – D'altronde ilFellata che mi aveva comperato dai Tuareg, non mi lasciavaquasi mai uscire dalla sua casa, né parlare con chicchessia.– Che cosa facevi in quella casa?– Macinavo orzo da mane a sera.– Oh! Mio povero Tasili! E ti avrà anche maltrattato quelpadrone.– Non mi risparmiava le legnate, ve lo assicuro – rispose ilvecchio, sforzandosi a sorridere.– Se mi farete conoscere il vostro ex padrone, gli faròsentire il peso dei miei pugni – disse Rocco, indignato. –Trattare così un povero vecchio! Gli romperò la groppa.– Amici, – disse il marchese – festeggiamo questo lietogiorno colle nostre ultime bottiglie. Voi, Ben, avete ritrovato ilvostro servo; io so che ormai il colonnello si trova così vicino eche vive ancora, mentre tutta la Francia lo ha pianto per morto.Cosa potevamo sperare di più? Rocco, ti raccomando la cucina.– Farò miracoli, signore – rispose il sardo, messo inbuonumore dalla prospettiva d'un pranzetto innaffiato dabottiglie.Mentre il brav'uomo, aiutato da Esther e dai due beduinimetteva a sacco le casse contenenti le provviste, il marchese eBen condussero Tasili sotto una tenda per essere più liberi e nonaver testimoni.– Hai potuto rivedere la casa abitata da mio padre? – chieseBen.236


– Sì, un giorno, approfittando <strong>del</strong>l'assenza <strong>del</strong> mio padrone,sono andato a visitarla.– È ancora disabitata?– Sì, perché prima di lasciare Tombuctu per avvertirvi <strong>del</strong>lamorte di vostro padre, l'ho fatta diroccare in modo da renderlaquasi inabitabile.– Non sarà stato toccato il tesoro?– È impossibile, padrone. L'ho rinchiuso in una cassacerchiata di ferro e calato nel pozzo <strong>del</strong> giardino, a parecchimetri di profondità, quindi ho coperto tutto con sabbia e sassi.– È considerevole quel tesoro? – chiese il marchese.Tasili guardò con diffidenza il signor di Sartena, poi Ben.– Puoi parlare liberamente – disse questi. – Il signormarchese mi ha accordato la sua amicizia e non ho segreti perlui.– Vostro padre aveva accumulato cinquecento libbre dipolvere d'oro oltre parecchie pietre preziose.– Si fa fortuna presto a Tombuctu – disse il marchese,ridendo.– Ha impiegato vent'anni ad accumulare quella sostanza –rispose Tasili.– Ammiro la vostra fe<strong>del</strong>tà. Un altro, al vostro posto, sisarebbe impadronito <strong>del</strong> tesoro e invece di tornare al Maroccoad avvertire gli eredi se ne sarebbe andato al Nuovo Mondo, senon più lontano.– Tasili è il fiore dei servi – disse Ben.Il vecchio sorrise, senza rispondere.– Marchese, quando partiamo? – chiese Ben.– Questa sera. Sono impaziente di entrare in Tombuctu e divedere il colonnello. Che peccato che sia solo! È strano però chei Tuareg abbiano trucidati tutti gli altri e risparmiato lui solo.– Forse sarà stato l'unico a cadere vivo nelle mani di quei237


predoni.– Ah! Se potessi scoprire anche gli assassini <strong>del</strong>lamissione!– Accontentatevi di liberare il colonnello e di ricondurlo inFrancia, marchese.La voce di Rocco interruppe la loro conversazione.– Il pranzo è in tavola! Vedrete che meraviglie! Non mancanemmeno la lepre al Bordeaux.Il sardo ed Esther avevano fatto dei veri prodigi perfesteggiare degnamente la liberazione <strong>del</strong> vecchio moro e lalieta novella recata da El-Melah. Oltre ad aver saccheggiate lecasse dei viveri, erano ricorsi anche alle due carovane per avereburro, formaggi, zucchero, orzo e frutta secche ed una magnificalepre che un arabo aveva uccisa nel deserto. I profumi cheuscivano dalle pentole erano così squisiti, che per un momento ilmarchese credette di trovarsi in qualche albergo <strong>del</strong>la Corsica o<strong>del</strong>la Francia, anziché ai confini <strong>del</strong> deserto.La minuta era davvero splendida e svariata. Orzo al latte,arrosto di montone, lepre al Bordeaux, un'ottarda in salsa verde,pasticcio di datteri, frutta secche e arance al Marsala.– Corbezzoli! – esclamò il marchese. – Che lusso! Unpranzo degno di Lucullo.– Che divorerebbe volentieri se fosse ancora vivo –aggiunse Rocco. – Fortunatamente è morto da tanti secoli e nonverrà a disputarcelo.La serata fu passata lietamente, in compagnia dei capicarovanieri, invitati a prendere il caffè. Alle undici tutti icammelli erano pronti alla partenza.Il marchese e Ben si posero all'avanguardia sui due maharie mezz'ora dopo la carovana abbandonava l'oasi, inoltrandosi neldeserto. A mezzodì <strong>del</strong>l'indomani i minareti di Tombuctu e lecupole <strong>del</strong>le moschee, indorate dal sole, si <strong>del</strong>ineavano238


all'estremità <strong>del</strong>la pianura sabbiosa.– Non una parola che non sia araba – disse Ben almarchese. – Se vi sfugge una frase in francese siete perduto,ricordatevelo.– Non temete, Ben – rispose il signor di Sartena. – Parleròarabo come un vero algerino e pregherò come un ardentemussulmano.Nondimeno il marchese internamente non si sentivatranquillo, ma ciò lo attribuiva all'emozione di entrare in quellamisteriosa città che era stata la meta sospirata di tanti audaciviaggiatori durante l'ultimo secolo e molti dei quali erano statiuccisi dal fanatismo dei Tuareg prima ancora di poter mirare, eda lontano, le cupole ed i minareti <strong>del</strong>le moschee. Attraversati ibastioni, la carovana, in bell'ordine, fece la sua entrata per laporta <strong>del</strong> settentrione. I kissuri, bellissimi uomini, armati dilunghi fucili a pietra e di yatagan che davano loro un aspettobrigantesco, dopo d'averli interrogati uno ad uno sulla loroprovenienza e d'aver constatato che i cammelli erano carichi dimercanzie, li lasciarono proseguire, credendoli in buona fedemercanti marocchini. Fu però pei due europei e anche pei dueebrei un momento di viva emozione. Il menomo sospetto sullaloro vera origine e sulla loro religione sarebbe stato più chesufficiente per perderli, essendo rigorosamente vietato l'ingressoa Tombuctu ai non mussulmani soprattutto agli europei.– Dove andiamo? – chiese il marchese a El-Haggar,quand'ebbero oltrepassata la porta.– Vi sono dei caravanserragli qui – rispose il moro.– Non saremmo liberi – disse Tasili. – Andiamo adaccamparci nel giardino <strong>del</strong> mio padrone. La casa è diroccata,questo è vero, però alcune stanze sono ancora abitabili.– Sì, andiamo alla dimora di mio padre – disse Ben. –Desidero ardentemente vederla.239


– E poi il tesoro è là – aggiunse Tasili, a bassa voce.Attraversarono parecchie vie ingombre di mercanti e dianimali, aprendosi il passo con molta fatica e guidati dal vecchiomoro si diressero verso i quartieri meridionali <strong>del</strong>la città, i qualierano i meno frequentati, i meno popolati, e anche i piùdiroccati, avendo molto sofferto dagli assalti dei Tidiani cheavevano assediata la città nel 1885. Si vedevano molte casesemidistrutte, capanne deserte e coi tetti sfondati, bastionirovinati e giardini ancora devastati che più nessuno avevacoltivato. Dopo una buona ora, il moro si arrestava dinanzi aduna casa di forma quadra, sormontata da tre cupolette moltoslanciate, e costruita con mattoni seccati al sole. Parte <strong>del</strong> tettoera stato diroccato e anche le pareti mostravano larghi crepacci.Dietro si estendeva un giardino incolto, pieno di sterpi eombreggiato da un gruppo di palme, cinto da una muragliaancora in ottimo stato.– È questa la dimora di mio padre? – chiese Ben, non senzaemozione.– Sì, padrone – rispose Tasili.– E sei stato tu a danneggiarla così?– Sì, onde impedire che potesse venire abitata da altridurante la mia assenza.– Hai fatto bene, Tasili.Fecero entrare i cammelli nel giardino, il quale era tantoampio da contenerli comodamente tutti, poi il marchese, Esther,Ben e Tasili visitarono l'abitazione. Come tutte le case diTombuctu abitate da persone agiate, nell'interno aveva uncortiletto circondato da un porticato con colonne di mattoni eduna fontana nel mezzo. Le stanze in numero di quattro, eranoancora abitabili, quantunque legioni di ragni e di scorpioni leavessero invase.– Ci possono servire – disse il marchese. – Già il nostro240


soggiorno in questa città non sarà lungo. Dissepolto il tesoro eliberato il colonnello, ce ne andremo subito.Fecero portare le casse ed i loro effetti sotto il porticato ediedero ordine ai due beduini di sbarazzare le stanze dei loroincomodi abitanti, soprattutto degli scorpioni, insetti moltopericolosi, ed i cui morsi talvolta riescono mortali alle persone.– Andiamo a vedere il pozzo – disse il marchese.– Non facciamo però capire ai beduini e nemmeno agli altriche là dentro si nasconde un tesoro – disse il prudente esospettoso moro. – Sarebbero capaci di denunciarvi perimpossessarsene.– Conosciamo quei messeri, – rispose il marchese –quantunque finora non abbiano dato alcun motivo di lagnarci diloro. Vuoteremo il pozzo di notte e durante la loro assenza.Il pozzo dove Tasili aveva seppellite le ricchezzeaccumulate dal suo defunto padrone, si trovava nel mezzo <strong>del</strong>giardino, fra quattro palme dûm d'aspetto imponente. Aveva unparapetto basso, formato da mattoni seccati al sole e nonmisurava più di due metri di circonferenza. Le sabbie ed i sassierano stati gettati in così gran copia dal vecchio moro, chegiungevano a due metri sotto il livello <strong>del</strong> suolo.– Quanto dovremo scavare? – chiese il marchese.– Dodici metri – rispose il moro.– Altro che le casse forti! L'impresa sarà dura ma la faticasarà compensata largamente. A quanto stimate le ricchezzerinchiuse nella cassa?– A due milioni di lire, signore.– Amico Ben, valeva la pena di attraversare il deserto e dibattagliare contro i Tuareg – disse il marchese. – Vi dico però dicercare un'altra via per ritornare al Marocco.– Ci pensavo anch'io – rispose l'ebreo. – È una ricchezzatroppo vistosa per esporla ai pericoli <strong>del</strong> deserto.241


– Volete un consiglio?– Parlate, marchese.– Scendiamo il Niger fino ad Akassa. Le barche nonmancano sul fiume; ne compereremo una e ce ne andremo daquella parte.– Assieme a voi, è vero marchese? – chiese Ben,guardandolo fisso e sorridendo.– Sì – rispose il signor di Sartena, che lo aveva compreso. –Assieme a voi ed a vostra sorella.– Queste ricchezze non appartengono a me solo – proseguìBen, – e guardate da due uomini che hanno fatto le loro provenel deserto contro i Tuareg, giungeranno più facilmente al mare.– Le difenderemo contro tutti, Ben, ve l'assicuro.– Io la mia parte, voi quella di mia sorella. Vi conviene,marchese?– Tacete e fermiamoci qui, per ora.Ben prese la destra <strong>del</strong> marchese e gliela strinse conemozione.– Che il sogno si avveri – disse – ed io sarò il più felicedegli uomini, come mia sorella sarà la più felice <strong>del</strong>le donne.– L'amo – disse il marchese. – È il destino che ci ha fattiincontrare.– Ed il destino si compia – rispose Ben con voce grave.242


L'HID-EL-KEBIRMentre il marchese ed i suoi compagni facevano i loroprogetti, El-Melah aveva lasciato inosservato l'abitazione<strong>del</strong>l'ebreo, dirigendosi frettolosamente al mercato degli schiavi,dove era certo di ritrovare il capo Tuareg. Voleva compiere isuoi sinistri disegni più presto che gli era possibile, onde nondestare qualche sospetto e mettere in guardia i due europei ed iloro amici. Tradirli era cosa facile. Bastava avvertire ilcomandante dei kissuri per farli subito arrestare, con pocaprobabilità di uscire più mai vivi da Tombuctu, ed intascare ilpremio <strong>del</strong>la <strong>del</strong>azione. Non voleva però far arrestare ancheEsther, sulla quale aveva altri progetti. Era quindi necessarioindurre gli europei e Ben a lasciare la casa per farli prenderealtrove.– Amr mi consiglierà – si diceva il miserabile. – Anche egliha interesse che il francese scompaia per non attirare più tardiqualche grossa bufera sulla sua tribù. Se il marchese sapesse chisono stati gli uccisori <strong>del</strong>la missione Flatters, o lo sospettasse, iosarei il primo a subire la punizione. Fortunatamente sono deikafir ed i kissuri <strong>del</strong> Sultano sono qui. Pagherò molto male ilmio debito di riconoscenza, ma la pelle innanzi tutto e alla miaci tengo ancora.Così monologando, giunse sulla piazza <strong>del</strong> Mercato, inquell'ora pochissimo frequentata, essendo già chiusa la venditadegli schiavi. Amr-el-Bekr, come aveva promesso, lo aspettavasdraiato sotto una tettoia, col cibuc in bocca ed una tazza dicaffè dinanzi. Alcuni dei suoi uomini stavano seduti pocolontani fumando e chiacchierando. Scorgendo El-Melah, il243


predone si era subito alzato.– Già di ritorno! – esclamò.– Ci siamo tutti.Gli occhi nerissimi <strong>del</strong> Tuareg, mandarono un lampo.– Devo andarli a denunciare? – chiese.– Adagio, mio caro. Non voglio far arrestare anche ladonna, te lo dissi già.– Me n'ero scordato – disse il Tuareg. – Bisognerebbecondurla altrove prima <strong>del</strong>l'arrivo dei kissuri.– È impossibile.– Allora condurrai via gli uomini. Ah! Ho trovato! Un'ideastupenda!Prese El-Melah sotto il braccio e lo condusse attraverso ilmercato, parlandogli a lungo sottovoce.– E l'hai tu quest'uomo? – chiese El-Melah. – Se è uno deituoi potrebbe venire riconosciuto.– So dove trovarlo.– Sarà dopo la cerimonia.– Sì.– Ed il colpo?– Dietro l'ultimo padiglione <strong>del</strong> palazzo <strong>del</strong> Sultano. Miaccorderò col comandante dei kissuri per lasciarli entrare.– Ed invece <strong>del</strong> colonnello?– Troveranno le guardie – concluse il Tuareg con un sorrisocru<strong>del</strong>e. – Ci sarò anch'io coi miei guerrieri.– Ed io intanto porterò via la donna.– Quanti uomini ti sono necessari?– Quattro mi basteranno, perché m'incarico io di mandarevia i due beduini che rimarranno a guardia dei cammelli.Si strinsero la mano e si lasciarono. Mezz'ora dopo El-Melah si presentava al marchese.– Signore, – gli disse – io non ho perduto il mio tempo.244


– Che cos'hai da raccontarmi? – chiese il signor di Sartena.– Che mentre voi vi occupavate <strong>del</strong>la casa, io mi sonooccupato <strong>del</strong> colonnello. Non avete notata la mia assenza?– No, El-Melah.– Domani, durante la cerimonia <strong>del</strong>l'hid-el-kebir, voivedrete e forse libererete il colonnello.– Possibile!– Ho tutto combinato col mio amico, il quale ci manderà unnotabile di Tombuctu per condurci nel palazzo <strong>del</strong> Sultano. Voiapprofitterete <strong>del</strong>l'assenza dei kissuri per introdurvi e fare ilcolpo senza correre troppi pericoli. Questa sera il colonnellosarà avvertito di tenersi pronto e d'attendervi.– Dici il vero, El-Melah?! – esclamò il marchese che nonriusciva a frenare la gioia.– L'uomo è fidato e mi è troppo amico per mentire.– E non vi saranno le guardie <strong>del</strong> Sultano?– No, perché prenderanno parte alla cerimonia ondescortare il loro signore.– È domani il primo giorno <strong>del</strong>l'hid-el-kebir?– Sì, e qui si festeggia coll'egual pompa di Fez e diMazagan. Voglio però darvi un consiglio.– Quale?– Di non condurre con voi la sorella <strong>del</strong> signor Ben – disseil furfante. – La presenza d'una donna potrebbe tradirvi.– Non aveva già alcuna intenzione di esporla ad un similepericolo. La lasceremo sotto la guardia di Tasili e dei beduini.– Tasili vi può essere utile, signore – disse El-Melah, cuinon garbava la presenza <strong>del</strong> moro.– È vecchio e non potrebbe esserci di molto aiuto – risposeil marchese. – E poi dei beduini non mi fido.– Farete come vorrete, signore – disse il sahariano celandoil suo dispetto.245


Il giorno seguente, dopo la colazione Ben, il marchese,Rocco, El-Haggar ed El-Melah lasciavano la casa per recarsiall'appuntamento. Non ci era voluto poco a persuadere Esther arimanere nella vecchia casa di suo padre, sotto la guardia diTasili e dei beduini. La coraggiosa giovane avrebbe desideratoprendere parte alla pericolosa impresa e trovarsi, in caso d'uncombattimento o d'una brutta sorpresa, a fianco <strong>del</strong> marchese e<strong>del</strong> fratello. Si era solamente arresa alle preghiere <strong>del</strong> marchesee dopo d'aver ricevuto promessa che le sarebbe stato subitomandato El-Haggar per informarla <strong>del</strong>l'esito <strong>del</strong>la spedizione.El-Melah si era messo alla testa <strong>del</strong> drappello per guidarlo almercato, dove l'attendeva il messo <strong>del</strong> capo Tuareg. Il miserabilenon era però tranquillo. Forse un po' di rimorso gli si erainfiltrato nell'anima e trovava egli stesso troppo infame ciò chestava per commettere contro coloro che l'avevano salvato da unacerta morte. Evitava gli sguardi <strong>del</strong> marchese, non rispondevache a monosillabi e procurava di tenersi coperto il viso per nonlasciar scorgere il suo pallore e la sua agitazione. Le vie diTombuctu, di passo in passo che s'avvicinavano ai quartieri piùcentrali, diventavano più affollate. Fellata, arabi, Tuareg e negrisi precipitavano verso la vasta piazza <strong>del</strong>la grande moschea, perassistere al passaggio <strong>del</strong> Sultano e <strong>del</strong>la sua corte. Tuttiavevano indossati i loro costumi di gala; gli ampi mantellibianchi o rigati coi cappucci infioccati; i turbanti più o menomonumentali, di lana bianca, o rossa, o azzurra od a righe di setatrasparenti; le tuniche scarlatte trapunte in oro od in argento; lecinture di cuoio zeppe d'armi, di pelle gialla o bruna, e le fascescintillanti di pagliuzze, di stellette, di lustrini. Per le vie era unurtarsi ed un pigiarsi continuo d'uomini, di cammelli e d'asini,fra urla, ragli, imprecazioni e anche bastonate somministratesenza misericordia sui dorsi dei negri dai cru<strong>del</strong>i e orgogliosiFellata. Giunto il drappello sulla piazza <strong>del</strong> Mercato, la quale era246


quasi sgombra, trovandosi lontana dalla grande moschea, unuomo vestito riccamente, con un caic candidissimo a strisce diseta, una casacca adorna di ricami d'oro e alti stivali di pellerossa a punta rialzata, si fece incontro a El-Melah, dicendogli:– Tu devi essere l'uomo che io aspetto. Ti chiami El-Melah?– Sì, sono io – rispose il sahariano.– Il tuo amico mi manda da te.El-Melah girò un rapido sguardo verso le tettoie e videsubito Amr-el-Bekr seminascosto fra le colonne.– Il furbo – pensò.– Vuoi venire? – chiese il complice <strong>del</strong> Tuareg.– Una parola, prima – disse il marchese, facendosi innanzi.– Scopri il volto onde io ti veda.L'arabo, poiché sembrava tale, si levò la fascia che portavasul viso come usano gli abitanti <strong>del</strong>le regioni meridionali <strong>del</strong>Sahara e mostrò un volto giovane ancora, color <strong>del</strong> pan bigio,con due occhi piccoli, nerissimi, dal lampo vivido.– Chi sei tu? – chiese il marchese.– Un notabile di Tombuctu che ha relazione alla corte <strong>del</strong>Sultano.– Conosci tutti gli schiavi che vi sono nel palazzo?– Sì.– Hai veduto un uomo bianco?– Una sola volta, di sera, perché non lascia quasi mai lestanze <strong>del</strong> Sultano.– Sai chi è quell'uomo?– Un colonnello francese, mi hanno detto – rispose l'arabo,prontamente.– E tu affermi che io potrò vederlo? – chiese il signor diSartena, con emozione.– E anche salvarlo, se tu vuoi, perché approfitteremo247


<strong>del</strong>l'assenza <strong>del</strong> Sultano e dei suoi capitani.– Se tu riuscirai io ti darò mille talleri.– Accetto – rispose l'arabo.– Quando potrò vedere il colonnello?– Ora non è il momento; aspettiamo che il Sultano e le sueguardie si trovino nella moschea. Intanto potremo assistere aduna parte <strong>del</strong>la cerimonia.– Sia – rispose il marchese.L'arabo, dopo aver scambiato uno sguardo con El-Melah, simise alla testa <strong>del</strong> drappello e prese una viuzza laterale che eraquasi deserta. Dopo d'aver percorse varie strade, sbucarono inun'ampia piazza, alla cui estremità si ergeva una moschea divaste dimensioni, cinta da una muraglia altissima e sormontatada quattro minareti esilissimi ed eleganti. Una folla enormeaveva occupato tutto lo spazio disponibile, non lasciando nelmezzo che uno stretto passaggio destinato al corteo <strong>del</strong> Sultano.Numerosi kissuri armati di lance trattenevano i curiosi,respingendoli colle aste, con una brutalità che non sarebbe certostata tollerata da altre popolazioni. Proprio in quel momento, fraun fracasso assordante di noggara, specie di tamburi assairumorosi, s'avanzava il corteo <strong>del</strong> Sultano. Precedeva undrappello numeroso di kissuri, bellissimi negri, scelti fra le piùcoraggiose tribù <strong>del</strong> Niger, tutti di alta statura, con torsi daercoli, con caic candidissimi che formano immense piegheondeggianti, con giganteschi turbanti a mille colori, casaccheverdi ricamate in oro, ampi calzoni rossi e alti stivali muniti disperoni guerniti di punte lunghe parecchi pollici. Cavalcavanosplendidi destrieri di sangue arabo e portavano lunghi fucili apietra, lance, ed al fianco, appesi ad un grosso cordone di seta,yatagan scintillanti, dalla lama ricurva. Seguivano i tamburinied i trombettieri, pure con sfarzosi costumi, poi mulatti con caicdi lana bianca e caffettani variopinti, quindi soldati vestiti come248


i marocchini, colle gambe nude, la tunica scarlatta con manicheampie e ricamate, la cintura di cuoio ed i tarbus rossi di formaconica. Dietro veniva il Sultano, montato su un magnificocavallo bianco, riccamente bardato alla turca, con gualdrapparicamata ed infioccata e staffe corte, fiancheggiato da paggi chereggevano immensi ombrelli verdi o che gli facevano vento confazzoletti di seta. Indossava un caic di seta bianca, ed aveva ilvolto quasi interamente coperto, non lasciando vedere che dueocchi nerissimi e mobilissimi. Poi venivano altri soldati,capitani, paggi e ulemi e mollah, specie di sacerdoti e marabutiin gran numero. Appena il corteo fu entrato nella moschea, sullacima <strong>del</strong>la spaziosa gradinata si vide comparire un imanoseguìto da un montone assai grasso e da un negro seminudo, distatura gigantesca.– Che cosa sta per succedere? – chiese il signor di Sartena.– Non avete mai assistito alla cerimonia <strong>del</strong>l'hid-el-kebir? –chiese Ben.– No.– Sicché ignorate che cosa significa.– Assolutamente.– È la festa <strong>del</strong>la buona carne.– E perché si chiama così?– Perché oggi in tutte le case mussulmane si uccide unmontone e si mangia la sua carne a crepapelle. È una festa che siprolunga per otto giorni, durante i quali i bravi seguaci <strong>del</strong>Profeta non fanno altro che rimpinzarsi di montone e ubriacarsidi kief.– Avrà però anche qualche significato religioso.– Sì, ma è talmente confuso che gli stessi ulemi nonsaprebbero darvi una spiegazione sufficiente. Sembra però checol hid-el-kebir si voglia ricordare il sacrificio di Abramo e diIsacco... Eh! Guardate e state attento a quello che succede. Si sta249


sgozzando il montone destinato a figurare sulla tavola <strong>del</strong>Sultano.L'imano con un rapido colpo di coltello aveva scannato ilpovero animale e l'aveva gettato sulle spalle <strong>del</strong>l'erculeo negro.Subito urla furiose si erano alzate fra la folla e una tempesta disassi era volata addosso al negro, il quale si era messo a correrea perdifiato senza abbandonare l'animale.– Perché lo trattano così? – chiese il marchese, stupito.– Per incitarlo a correre – rispose Ben Nartico. – Dalle suegambe può dipendere la rovina <strong>del</strong> Sultanato.– Che frottole mi raccontate?– Sono verità, marchese. Il negro deve portare il montoneal palazzo <strong>del</strong> Sultano e giungervi prima che le carni si sianoraffreddate, meglio poi se saranno ancora palpitanti.– E se arrivasse troppo tardi?– Cattivo augurio, sia pel Sultano, sia per gli abitanti. Oh,ma non dubitate! Il negro, per non venire lapidato, giungerà intempo. Andiamo, marchese. Non aspettiamo che il Sultano tornial suo palazzo.L'arabo aveva già fatto segno di mettersi in marcia.Il drappello si aprì il passo con spinte e pugni e si cacciò inuna viuzza laterale che era ingombra solamente d'asini e dicammelli. Avevano appena percorso poche dozzine di passi,quando Rocco, che veniva ultimo s'accorse che ne mancava uno:El-Melah.– Signore – disse, appressandosi al marchese. – Il saharianosi è smarrito fra la folla.– Eppure poco fa era presso di me – rispose il signor diSartena.– L'ho veduto anch'io – disse Ben. – Dove si sarà cacciatocostui?– Lo ritroveremo di certo presso il palazzo – disse il250


marchese. – El-Melah conosce Tombuctu e non si smarrirà.Per nulla inquieto <strong>del</strong>l'assenza <strong>del</strong> miserabile, non avendoalcun sospetto su di lui, proseguirono la via, ripassando per lapiazza <strong>del</strong> Mercato che era stata occupata da alcuni Tuareg,quindi attraversate parecchie altre strade giunsero dinanzi allaKasbah o palazzo <strong>del</strong> Sultano. Era una costruzione moltoelegante, di stile moresco, con porticati, cupolette, terrazze,torricelle esilissime e meravigliosamente lavorate efiancheggiata da due padiglioni ad un solo piano, le cui finestres'aprivano a due metri dal terreno.Solamente dinanzi alla entrata principale si vedevano duelussuri in sentinella; tutte le altre erano chiuse e senza guardie.– Dove si trova il colonnello? – chiese il signor di Sartena,il cui volto era trasfigurato da una estrema ansietà.L'arabo indicò uno dei due padiglioni che era sormontatoda un minareto dove in quel momento stava affacciato, sotto lacupoletta, un marabuto, forse per pregare o per godersi di lassùil panorama di Tombuctu.– Là – disse.– Ma la porta è chiusa – osservò Ben.– E la finestra è aperta.– Entreremo da quella?– Sì.– Sarà solo, il colonnello?– Sì, perché è stato avvertito <strong>del</strong> vostro arrivo.– Andiamo! – esclamò il marchese, slanciandosi innanzi.La piazza che si estendeva dietro la Kasbah era deserta,quindi non correvano pericolo di venire scoperti. Attraversaronovelocemente lo spazio, si assicurarono d'aver tutti la rivoltella edil pugnale e si radunarono sotto la finestra le cui persiane eranosemiabbassate. Il marchese stava per aggrapparsi al davanzale,quando si volse, dicendo:251


– Ed El-Melah?– Non si vede – rispose Ben, dopo aver lanciato unosguardo sotto i palmizi che ombreggiavano la piazza.– Che sia rimasto presso la moschea? Bah! Faremo senzadi lui.Il marchese, aiutato da Rocco, scavalcò lesto il davanzale,impugnò la rivoltella e balzò nella stanza. Essendo la persianasemicalata, ed avendo gli occhi ancora abbagliati dal sole,dapprima non distinse nulla. Dopo qualche istante però s'avvidedi trovarsi in una bellissima sala col pavimento di mosaico e lepareti coperte da stoffe fiorate. Tutto all'intorno vi erano deidivani di marocchino rosso e nel mezzo una fontanella il cuigetto manteneva là dentro una <strong>del</strong>iziosa frescura. In quelfrattempo Rocco e Ben erano pure entrati.– Dov'è il colonnello? – chiese l'ebreo.– Eccomi – rispose una voce in lingua francese.Un uomo di alta statura, avvolto in un ampio caic che locopriva tutto e col capo coperto da un turbante che glinascondeva quasi interamente il volto, era comparso sulla sogliad'una porta nascosta da una tenda. Il marchese stava perslanciargli contro colle braccia aperte, quando al di fuori si udìEl-Haggar urlare:– Tradimento! I kissuri!Poi risuonò un colpo di pistola seguìto da un urlo di dolore.Contemporaneamente l'uomo che avevano creduto il colonnellosi sbarazzava <strong>del</strong> caic e, impugnato un largo yatagan, siscagliava sul marchese urlando:– Arrendetevi!I due isolani e l'ebreo, erano rimasti così stupiti daquell'inaspettato cambiamento di scena, che non pensaronosubito a fuggire. D'altronde era ormai troppo tardi: al di fuori siudivano già le urla feroci dei kissuri <strong>del</strong> Sultano. Rocco, preso252


da un terribile impeto di rabbia, si era scagliato sul pretesocolonnello.– Prendi, canaglia! – urlò.Gli scaricò in pieno petto due palle, gettandolo a terramoribondo, poi spinse il marchese e Ben verso una porticina ches'apriva in un angolo <strong>del</strong>le pareti.– Fuggiamo per di là – disse.Nel medesimo momento alcuni kissuri armati di pistole e diyatagan irrompevano nella sala mandando urla furiose. I dueisolani e l'ebreo chiusero rapidamente la porta e, vedendodinanzi a loro una scaletta, vi si slanciarono su, montando igradini a quattro a quattro. Quella scala, stretta e tortuosa,metteva sulla cima <strong>del</strong> minareto che già avevano osservatoprima di entrare nel padiglione e che s'innalzava sull'angolodestro <strong>del</strong>la piccola costruzione, dominando la Kasbah <strong>del</strong>Sultano e la piazza. Era una specie di torre, molto sottile, comegià lo sono tutti i minareti <strong>del</strong>le moschee mussulmane, e che atrenta metri dal suolo terminava in una cupoletta rotonda, doveil muezzin <strong>del</strong> Sultano andava a lanciare la preghiera <strong>del</strong> mattinoe <strong>del</strong>la sera. La scaletta però, invece di essere esterna erainterna, una vera fortuna pei fuggiaschi, che diversamenteavrebbero corso il pericolo di venire subito moschettati daikissuri che avevano invasa la piazza. Giunti sulla cupoletta essisi trovarono dinanzi al marabuto che avevano già vedutoaffacciato pochi momenti prima. Il santone, vedendo comparirequei tre uomini armati di pugnali e di rivoltelle e coi visisconvolti, cadde in ginocchio, gridando:– Grazia! Io sono un servo devoto di Allah! Non uccideteun sant'uomo!– Per le colonne d'Ercole! – esclamò il marchese. – Eccoun uomo che ci darà dei fastidi!– Per un solo istante, signore – disse Rocco. – Lo prendo253


per le gambe e lo getto giù.– Non fatelo! – esclamò Ben. – È un marabuto, un santoneforse venerato e la sua morte segnerebbe anche la nostra.– Avete ragione Ben – rispose il marchese. – Anzi sarà pernoi un prezioso ostaggio.– Cosa devo fare? – chiese Rocco.– Legarlo per bene e lasciarlo in pace.Il sardo si levò la larga fascia di lana rossa che gli cingeva ifianchi e legò strettamente il disgraziato senza che questi, mezzomorto per la paura, avesse osato protestare. Il marchese e Ben sierano intanto affacciati al parapetto <strong>del</strong>la cupola. Più dicinquanta kissuri armati di vecchi fucili a pietra, di lance e dipugnali e di scimitarre, si erano radunati dinanzi al padiglione,urlando e minacciando. Sotto la finestra giaceva un uomo collatesta fracassata: era l'arabo che aveva guidato il drappellopromettendo la liberazione <strong>del</strong> disgraziato Flatters.– Che sia stato El-Haggar a ucciderlo? – chiese Ben.– Non lo so né mi curo di saperlo, almeno per ora – risposeil marchese. – Occupiamoci invece di cercare un modo qualsiasiper salvare le nostre teste che pare ci pesino troppo sulle spalle.– Signore – disse Rocco. – Vengono!– I kissuri?– Sì, marchese, hanno atterrata la porta.– E quelli <strong>del</strong>la piazza si preparano a fucilarci – disse Ben.– Ci hanno veduti.– Rocco, prendi il marabuto e minaccia di farlo cadere sullapiazza.– Subito, signore.L'ercole afferrò il santone il quale mandava urla da farcompassione anche ad una belva, lo sollevò fino al parapetto epoi lo spinse fuori tenendolo sospeso per un braccio, mentre ilmarchese gridava con voce tuonante:254


– Se fate fuoco, lo lasciamo cadere!– Attenti alle vostre teste – aggiunse Rocco. – Il santoneprecipita e vi assicura che nemmeno Maometto lo salverà.255


TRADIMENTO E SANGUEMentre il marchese ed i suoi compagni seguivano l'arabo,El-Melah approfittando <strong>del</strong>la confusione avvenuta sulla piazza<strong>del</strong>la moschea nel momento <strong>del</strong>l'arrivo <strong>del</strong> Sultano e dei suoikissuri erasi cacciato fra la folla, scomparendo senza chenessuno se ne fosse accorto. Il miserabile, certo ormai di nondoversi trovare più dinanzi al marchese, né all'erculeo Rocco, siera subito diretto verso la piazza <strong>del</strong> Mercato dove, come Amraveva promesso, doveva trovare i quattro Tuareg per aiutarlonella sua triste impresa. Praticissimo di tutte le vie e le viuzze<strong>del</strong>la città, in pochi minuti vi giunse, cacciandosi sotto le vastetettoie degli schiavi. Amr-el-Bekr era ancora là, nascosto dietroad un massiccio pilastro, col cibuc fra le labbra ed un fiasco dikief dinanzi e avvolto nel suo mantellone bianco non ostante ilcaldo equatoriale che regnava anche sotto quelle tettoie, malriparate dagli ardenti raggi <strong>del</strong> sole. A pochi passi stavano distesial suolo, pure ammantellati, altri quattro Tuareg, con a fiancocerte lance dalle lame dentellate e molto lunghe.– Li hai finalmente lasciati? – chiese il capo.– Sì – rispose El-Melah.– Non si sono accorti <strong>del</strong>la tua scomparsa?– No, erano troppo occupati a guardare il corteo <strong>del</strong>Sultano.– Nella Kasbah tutto è pronto per arrestare il marchese ed isuoi compagni.– È fe<strong>del</strong>e quell'arabo che mi hai mandato? Se il marchese,che pare sia ricchissimo, lo comperasse con molto oro?– Muley-el-Hassan è troppo fanatico mussulmano per256


lasciarsi corrompere da un kafir. Non temere, El-Melah.– Si difenderanno terribilmente quegli uomini. Vi è quelRocco che è capace di accoppare venti soldati a soli pugni.– I kissuri <strong>del</strong> Sultano sono molti e coraggiosi e ne avrannoben presto ragione.– E poi? – chiese El-Melah, con una certa ansietà.– I kafir si decapiteranno così più nessuno saprà come èmorto il colonnello e chi l'ha ucciso. Stupidi! E credevano chefosse ancora vivo e che noi l'avessimo risparmiato!– Eppure il marchese mi ha salvato la vita.Amr-el-Bekr alzò le spalle e sorrise sprezzantemente.– Dei kafir! Maometto non ti rimprovererà certo questotradimento. Orsù, prendi i miei uomini e agisci; io mi reco allaKasbah ad incassare il premio che mi è stato promesso.Si alzò, fece cenno ai quattro Tuareg di fare altrettanto edindicando loro El-Melah, disse:– Lo aiuterete e lo difenderete: è mio amico.Prese la zucca <strong>del</strong> kief e si allontanò avvolgendosimaestosamente nel suo caic.El-Melah rimase qualche istante immobile, pensieroso, poialzando a sua volta le spalle, mormorò a mo' di consolazione edi giustificazione:– Sono dei kafir è vero, ed io sono un fe<strong>del</strong>e mussulmano.Fece segno ai Tuareg di seguirlo e lasciò la piazza <strong>del</strong>Mercato, dirigendosi verso i quartieri meridionali <strong>del</strong>la città.Camminava rapidamente, colla testa bassa e la fronteburrascosamente aggrottata. Di quando in quando s'arrestavabruscamente, lanciando sguardi obliqui a destra ed a manca,come se avesse avuto paura d'incontrarsi col marchese, poiriprendeva la marcia più rapido.Mezz'ora dopo giungeva dinanzi all'abitazione <strong>del</strong>l'ebreo. Ilcancello <strong>del</strong> giardino era aperto, e presso il pozzo si vedevano i257


due beduini ed il vecchio moro, occupati a preparare lacolazione. El-Melah fece cenno ai Tuareg di arrestarsi.– Mi aspetterete qui, nascosti dietro la muraglia – disseloro. – Non entrerete se non quando io fischierò come icammellieri. Tenetevi però pronti a far uso <strong>del</strong>le vostre armi.Essendovi a breve distanza un cumulo di rottami, i predonivi si sdraiarono dietro, mettendosi dinanzi le lance e gli yatagan.El-Melah esitò un momento, poi entrò rapidamente nel giardino,chiamando:– Tasili!... Tasili!...Il vecchio udendo quella voce era balzato in piedi e cosìprecipitosamente da rovesciare una <strong>del</strong>le pentole.– El-Melah! – esclamò. – Ed il mio padrone?... Il signorBen?...– Sono vivi ed il colonnello è stato salvato.– Dove sono?– Nascosti presso un mio amico.– Grazie a Dio!... Corro dalla signora Esther.– Adagio – disse El-Melah, arrestandolo prontamente. – Iltuo padrone ha bisogno di te ed i due beduini. La tua padronadeve rimanere qui onde non esporla a dei gravi pericoli.– I beduini vadano, ma io non lascerò questa casa – disse ilvecchio, con accento risoluto. – Io devo vegliare sulla signorinaEsther.– È il signor Ben che ti vuole.– E tu?– Io resterò qui a guardare la tua padrona.– È impossibile! Ben mi ha fatto giurare di non lasciarlasola per nessun pretesto.Un lampo d'ira guizzò nei neri occhi <strong>del</strong> sahariano. Purecomprendendo che mai sarebbe riuscito a vincere l'ostinazione<strong>del</strong> vecchio, finse di cedere.258


– Ebbene – disse. – Saremo in due a montare la guardia.Andranno i beduini.– E dove?– Sulla piazza <strong>del</strong> mercato degli schiavi. Colà troverannoRocco che ha l'incarico di condurli nella casa <strong>del</strong> mio amico.– Forse che sono minacciati?– No, per ora, ma desiderano avere tutta la loro gente permeglio resistere nel caso d'un attacco da parte dei kissuri.Tasili, convinto dalle ragioni esposte dal traditore, si volseverso i due beduini i quali avevano assistito al colloquio.– Voi conoscete la città? – chiese.– Sì – risposero entrambi.– Avete udito? Rocco vi attende sulla piazza <strong>del</strong> Mercato.Prendete i vostri fucili e andate a raggiungerlo subito.I due figli <strong>del</strong> deserto si passarono nella fascia gli yatagane le pistole dal calcio intarsiato d'argento, tolsero dai lorocammelli i moschettoni e uscirono a passo di corsa.– Dov'è la signora Esther? – chiese El-Melah, quando nonli vide più.– Nella sua stanza.– Conducimi subito da lei; devo parlare da parte <strong>del</strong>marchese.– Seguimi.Il vecchio moro, che di nulla sospettava, attraversò ilgiardino ed entrò nel cortile passando per il porticato. El-Melahlo aveva seguìto guardandolo cogli occhi foschi. Ad un tratto sisbarazzò <strong>del</strong> caic lasciandolo cadere al suolo e con un salto datigre si slanciò addosso al moro, afferrandolo strettamente pelcollo onde impedirgli di gridare. L'assalto era stato cosìimpetuoso che entrambi erano caduti sulle pietre chelastricavano il porticato. Quantunque preso alla sprovvista e perdi dietro, il moro aveva subito cercato di voltarsi per afferrare a259


sua volta l'avversario. Sebbene vecchio era ancora un uomorobusto, capace di difendersi; disgraziatamente aveva da lottarecon un giovane agile come una scimmia e dotato d'unamuscolatura poderosa. Appena rizzatosi sulle ginocchia eraricaduto e così malamente, da rimanere stordito. Aveva battutola fronte sulle pietre ed il sangue gli colava abbondantemente,coprendogli gli occhi.– Arrenditi – disse El-Melah con voce rauca e facendoglibalenare dinanzi al petto la punta <strong>del</strong> pugnale. – Se mandi ungrido t'uccido.– Uccidimi... ma risparmia la mia padrona...– È troppo bella per ucciderla – disse El-Melah, con unatroce sogghigno. – Il Sultano la pagherà a peso d'oro.– Miserabile! – urlò il vecchio, tentando, con uno sforzosupremo, di afferrargli il pugnale.Il sahariano alzò l'arma e la sprofondò nel petto <strong>del</strong> misero,il quale si distese sulle pietre come se la vita lo avessebruscamente abbandonato. L'assassino gettò sulla vittima unosguardo smarrito, poi si slanciò verso l'interno <strong>del</strong>la casa,tenendo sempre in mano il pugnale ancora grondante di sangue.In quel momento una porta si era aperta ed Esther era comparsa.Aveva ancora i capelli sciolti sulle spalle e le braccia nude comese il rumore <strong>del</strong>la lotta l'avesse sorpresa nel momento in cuistava facendo la sua toletta. Vedendo El-Melah solo, col visosconvolto, gli occhi fiammeggianti e armato d'un pugnalesanguinante, intuì subito che qualche cosa di grave dovevaessere avvenuto e che ella stessa correva un serio pericolo.– Cos'hai? – chiese, retrocedendo verso la sua stanza. –Perché quel viso alterato e quel pugnale? Dov'è mio fratello? Edil marchese?Il sahariano rimase muto dardeggiando sulla giovane unosguardo ardente. Accortosi d'aver ancora in mano l'arma, la gettò260


lungi da sé, facendo un gesto d'orrore.– Cosa vuoi, El-Melah? – chiese Esther, con voceimperiosa.– Mi ha mandato qui vostro fratello per condurvi da lui –rispose finalmente il miserabile.– Dove si trova?– Nascosto in un luogo sicuro.– Tu menti!– E perché?– Tu hai ucciso qualcuno. Dov'è Tasili? Dove sono ibeduini?– Tutti partiti e noi, mi capite, siamo soli – rispose El-Melah, facendo un passo innanzi.– Sola! – esclamò Esther. – Sola! El-Melah, cos'èavvenuto? In nome di Dio, parla!... Hanno salvato il colonnello?– Chi?... Flatters? Ah! Ah! Voi avete creduto a quell'istoria?Sapete dove si trova ora la testa disseccata di quel francese?Orna la tenda <strong>del</strong> capo Tuareg Amr-el-Bekr, quello che abbiamoincontrato ai pozzi di Marabuti.– Tu m'inganni.– No, signora e vi dirò ancora che chi ha ucciso ilcolonnello ed il capitano Masson e che ha tradito la spedizioneper farla massacrare è stata una <strong>del</strong>le sue guide che allora sichiamava El-Abiod, poi Subbi ed ora El-Melah. Il miocomplice, Bascir, è stato avvelenato da me nelle carceri deiBiskra onde non parlasse, ma io e Amr-el-Bekr siamo ancoravivi.Dinanzi a quell'inaspettata confessione, Esther non avevasaputo frenare un grido d'orrore. El-Melah, il carovanieresalvato miracolosamente dal marchese, era quel Subbi cheavevano sperato di raggiungere nel deserto ed era pure quell'El-Abiod che assieme a Bascir aveva ordita ed effettuata la strage261


<strong>del</strong>la missione Flatters!...– Allora tu hai tradito anche mio fratello ed il marchese! –gridò Esther, con uno scoppio di pianto.– Non io, signora; è stato il capo dei Tuareg,quell'eccellente Amr-el-Bekr.– Miserabile, esci di qui! Tasili, aiuto!...– Tasili non può rispondere alla vostra chiamata, bellafanciulla – disse El-Melah, ghignando. – A quest'ora staconfabulando con Mosè o con Abramo.– L'hai ucciso! – gridò Esther, indietreggiando fino allaparete.– Mi pare, ma non ne sono certo.La giovane fece velocemente il giro <strong>del</strong>la stanza cercandoun'arma per punire il miserabile. Vedendo a terra il pugnale loraccolse, mandando un urlo selvaggio.El-Abiod però con una mossa fulminea l'aveva abbrancataa mezza vita, cercando di trascinarla verso la porta.– Aiuto! – urlò la giovane dibattendosi disperatamente.– Nessuno vi udrà – disse El-Melah, stringendola semprepiù onde impedirle di far uso <strong>del</strong> pugnale. – Venite, siete unapreda destinata al Sultano... e la pagherà cara... sì, molto cara!...– Aiuto! – ripeté Esther, mordendolo al collo.– Per la morte di Maometto! – urlò El-Melah, sentendosibagnare di sangue. – Sei una vipera tu? A me, Tuareg!...Ad un tratto un uomo entrò precipitosamente, rovinandogliaddosso. Un lampo balenò in aria e scomparve fra le spalle <strong>del</strong>sahariano.– Ecco il prezzo <strong>del</strong> tuo tradimento! – gridò una voce.El-Melah aprì le braccia lasciandosi sfuggire la giovaneebrea, fece tre o quattro passi battendo l'aria colle mani,strabuzzò gli occhi, poi un fiotto di sangue gli sgorgò dallelabbra e cadde sul pavimento mandando un sordo rantolo.262


IL COLPO DI PUGNALE DI EL-HAGGAREl-Haggar, come già i lettori sanno, era miracolosamentesfuggito ai kissuri <strong>del</strong> Sultano ed al tradimento <strong>del</strong>l'arabo.Mentre il marchese, Rocco e Ben, impazienti di vedere ilcolonnello, avevano scavalcato il davanzale, il moro, trattenutoforse da un sospetto, si era fermato sotto la finestra, volendo chesalisse prima l'arabo.– Monta – gli aveva detto. – Io sarò l'ultimo.– No – aveva risposto la guida. – Io rimarrò qui insentinella.Quella risposta, lungi dal rassicurare il moro, gli avevadestato un subitaneo lampo di diffidenza.– Sali – aveva ripetuto. – Ti ho detto che voglio esserel'ultimo.Invece di obbedire l'arabo aveva accostato due dita allelabbra come per mandare un fischio. Nell'istesso momento dallecase che occupavano l'estremità <strong>del</strong>la piazza erano usciti alcunikissuri. Era stato allora che El-Haggar aveva gridato:– Tradimento! I kissuri!...Accortosi che l'arabo cercava di sfoderare l'yatagan, condue colpi di rivoltella l'aveva fulminato, poi si era precipitatoattraverso la piazza a corsa sfrenata, scomparendo in mezzo adun dedalo di viuzze strette e deserte. Certo di essere inseguito,invece di proseguire la corsa aveva scavalcato il muro d'unorticello, gettandosi sotto un cespuglio. Quella manovra,eseguita a tempo, lo aveva salvato; pochi minuti dopo undrappello di kissuri era passato per quella viuzza correndo atutta lena. Appena gli inseguitori furono lontani, El-Haggar,263


abbandonato il nascondiglio, si era gettato in un'altra viuzza eattraversando ortaglie incolte aveva potuto raggiungereindisturbato i quartieri più meridionali <strong>del</strong>la città. Avendopromesso al marchese di recarsi da Esther per avvertirla<strong>del</strong>l'esito <strong>del</strong>la spedizione, desiderava vedere subito la giovane.– Sarà un colpo terribile per lei – mormorò il moro, che sisentiva stringere il cuore a quel pensiero. – A meno d'unmiracolo, il padrone, Ben e Rocco sono perduti: chi può avercitraditi? Chi?...Ad un tratto un sospetto gli attraversò il cervello.– El-Melah! – esclamò. – Non può essere stato che quelmiserabile! È stato lui a condurci l'arabo, è stato lui a preparareil piano e anche la sua scomparsa lo accusa. Ah!... PerMaometto!... La pagherà cara!... E la signora Esther? Che sia inpericolo?Allungò il passo, in preda a mille angosciosi pensieri.Temeva di giungere troppo tardi alla casa <strong>del</strong>l'ebreo. Quando sivide nei pressi <strong>del</strong> giardino, prima d'impegnarsi nella viuzza,fece il giro <strong>del</strong>la casa e non vide nulla che potesse confermare isuoi sospetti. I dintorni parevano deserti e la porta <strong>del</strong>la casa eraancora chiusa, come quando era partito assieme al marchese eda Ben. Un po' rassicurato, girò lungo il muro <strong>del</strong> giardino pergiungere al cancello e subito si arrestò indeciso. Dietrol'ammasso di rottami che ingombrava la via, aveva scorto unturbante che poi era subito scomparso.– Vi sono degli uomini nascosti là – disse. – Chi saranno!Dei kissuri forse?Stette un momento esitante, poi impugnata la rivoltellacolla sinistra e l'yatagan colla destra, varcò la porta. Anche nelgiardino nessun disordine, né alcune tracce di violenza.I cammelli ed i mahari, coricati l'un presso l'altro,sonnecchiavano, mentre presso il pozzo bollivano alcune264


pentole.– Nessuno! – esclamò, impallidendo. – Dove sono Tasili edi beduini? E la signora Esther?Ad un tratto udì <strong>del</strong>le voci che echeggiavano dalla parte <strong>del</strong>cortile.– C'è qualcuno qui – disse.Si slanciò verso l'andito ed entrò nel cortile, ma, giuntosotto il porticato, s'arrestò, poi retrocesse con orrore. Tasiligiaceva presso una colonna, coricato su di un fianco, colle maniraggrinzite sul petto e le gambe distese. Una larga macchia disangue si dilatava lentamente attorno al disgraziato.– L'hanno assassinato! – esclamò.Stava per curvarsi sul vecchio, quando udì Esther gridare:– Aiuto! Tasili!El-Haggar, in certi momenti era coraggioso. Quantunqueignorasse con quanti avversari aveva a che fare si slanciòrisolutamente in soccorso <strong>del</strong>la giovane ebrea. Attraversò duestanze e nella terza vide El-Melah che tentava di trascinare consé la giovane. Comprese tutto. Alzò la rivoltella per far fuoco sulrapitore, poi temendo che la palla potesse ferire anche lagiovane, l'abbassò impugnando invece l'yatagan e si scagliò sultraditore, sprofondandogli l'arma fra le spalle. Il colpo vibratodal moro era così tremendo, da troncare di colpo la spinadorsale. La morte <strong>del</strong>l'assassino <strong>del</strong> colonnello Flatters era stata,si può dire, quasi fulminante. Esther, vedendolo cadere, si eraprecipitata verso El-Haggar, il quale teneva ancora in pugnol'arma.– Ringraziate Allah, signora, – disse il moro – che mi hafatto giungere in tempo di salvarvi e per vendicare il padrone evostro fratello. Questo miserabile ci aveva venduti tutti alSultano.– Ed il marchese? E Ben? – gridò Esther, con un265


singhiozzo straziante.– Temo signora che siano perduti – rispose El-Haggar convoce triste.– Potente Iddio! – esclamò la giovane, coprendosi il viso.– Ignoro però se siano stati fatti prigionieri, perché quandofuggii per venire ad avvertirvi, i kissuri non avevano ancoraassalito il padiglione.– Narrami tutto, El-Haggar! Voglio sapere tutto.Il moro in poche parole raccontò tutto ciò che era avvenutodopo la loro partenza, fino al momento in cui i kissuriaccorrevano da tutte le parti <strong>del</strong>la piazza.– El-Haggar – disse la giovane, con suprema energia. –Andiamo alla Kasbah. Dove sono i beduini e Tasili?– I primi sono scomparsi ed il vostro servo è statoassassinato da El-Melah.– Tasili ucciso! – esclamò Esther, con dolore.– È disteso senza vita sotto il porticato.– Sei certo che sia proprio morto?– Andiamo a vederlo, signora, se ne avrete il coraggio.– Ne avrò, El-Haggar.Stavano per uscire, quando il moro le disse:– Armatevi, signora. Ho veduto degli uomini nascostipresso la cinta <strong>del</strong> giardino.– Dei kissuri?– Suppongo invece che siano dei complici di El-Melah.– Ho la mia carabina e la rivoltella.Esther rientrò nella sua stanza, si annodò rapidamente icapelli, indossò il giubbetto ricamato, si gettò sulle spalle uncaic fornito d'un ampio cappuccio, prese le sue armi e raggiunseil moro il quale era già uscito dal porticato.– Mio povero e fe<strong>del</strong>e Tasili! – gemette la giovane,curvandosi sul vecchio servo di suo padre.266


– È morto, signora – disse El-Haggar. – Il traditore lo hacolpito al cuore.– L'infame!Sollevò dolcemente il capo <strong>del</strong> vecchio moro, guardandoloper alcuni istanti cogli occhi lagrimosi, sperando forse disorprendere su quel volto qualche indizio di vita, poi lo lasciòricadere.– Riposa in pace, mio fe<strong>del</strong>e Tasili – disse. – Avrai onoratasepoltura.– Venite signora – disse El-Haggar, allontanandola condolce violenza.Giunti nel giardino, il moro bardò il cavallo e l'asino, aiutòEsther a salire sul primo, inforcò il secondo e si diressero versoil cancello.– Adagio, signora – disse, staccando dalla sella il suo lungofucile marocchino e armandolo. – Gli uomini che ho scorti sonodietro quell'ammasso di macerie.– Vuoi cacciarli?– Potrebbero seguirci o approfittare <strong>del</strong>la nostra assenzaper derubarci dei bagagli e dei cammelli. Ah! I beduini!All'estremità <strong>del</strong>la viuzza erano comparsi i due figli <strong>del</strong>deserto, tenendo in mano i loro moschettoni. Vedendo El-Haggar ed Esther, affrettarono il passo.– Signora – disse uno dei due. – Non abbiamo vedutonessuno sulla piazza <strong>del</strong> Mercato.– Chi vi ha mandati colà? – chiese Esther, stupita.– El-Melah. Ci aveva detto che il servo <strong>del</strong> marchese ciattendeva.– Ora comprendo – disse El-Haggar. – Quel miserabile liaveva allontanati per assassinare Tasili ed impadronirsi di voi.Avete paura?– Di che? – chiese il beduino, aggrottando la fronte. –267


Abbiamo i nostri moschetti.– Vi sono degli uomini dietro a quei rottami.I due beduini si guardarono l'un l'altro.– Che cosa dobbiamo fare? – chiese il primo.– Noi non abbiamo paura di nessuno – rispose il secondo.– Seguiteci – disse Esther.Spronò il cavallo, imbracciò la sua piccola carabinaamericana e si diresse risolutamente verso le macerie, mentre idue beduini giravano al largo. I quattro Tuareg, che non si eranoancora mossi, non avendo udito il segnale di El-Melah, vedendoquelle quattro persone armate di fucili balzarono sul cumulo,puntando le lance.– Che cosa fate qui? – chiese El-Haggar, con voceminacciosa.– Aspettiamo un uomo che abita in quella casa – risposeuno di loro.– El-Melah forse?– Sì, El-Melah o El-Abiod, come vi piace.– Non ha più bisogno di voi – disse Esther.I quattro Tuareg s'interrogarono collo sguardo.– Andate – disse El-Haggar, vedendo che non sidecidevano.– E dove? – chiese il Tuareg che aveva parlato pel primo.– El-Melah è partito per Kabra.I Tuareg si scambiarono alcune parole, poi vedendo chenon avrebbero potuto resistere a quelle quattro persone armatedi fucili e che parevano molto risolute, abbassarono le lance,scesero il cumulo e partirono frettolosamente, forse moltosoddisfatti che le cose fossero passate così lisce.– Voi rimanete a guardia dei cammelli e dei bagagli – disseEl-Haggar, quando i predoni furono scomparsi. – Attendete ilnostro ritorno.268


I due beduini rientrarono nel giardino chiudendo ilcancello.– Ed ora, signora – continuò il moro. – Abbassate ilcappuccio onde non s'accorgano che siete una donna,avvolgetevi bene nel caic e seguitemi.– Andiamo alla Kasbah? – chiese Esther, con vocetremante.– Sì, signora. In un quarto d'ora noi vi saremo.– E se fossero ancora nel padiglione? Potremo noi salvarli?Dimmelo El-Haggar.Il moro fece un gesto di scoraggiamento.– Ci perderemo senza alcun profitto, – disse poi – mentrerestando liberi, chissà...– Speri di strapparli al Sultano?– Non lo so, signora. Si vedrà poi.Aizzarono il cavallo e l'asino e si diressero verso i quartiericentrali <strong>del</strong>la città, scegliendo le vie meno frequentate.Essendovi festa in tutte le case, la festa <strong>del</strong>la carne di montone,pochissime erano le persone che s'incontravano e quelle pochenon erano che dei miserabili negri che non potevano certo dareimpiccio. Nondimeno per maggior precauzione El-Haggar avevapure alzato il cappuccio, in modo da nascondere buona parte <strong>del</strong>viso, quantunque fosse più che certo di non aver lasciato tempoai kissuri di riconoscerlo. Già non distavano dalla Kasbah più dicinquecento passi, quando udirono a tuonare in quella direzioneun pezzo d'artiglieria.– Il cannone! – esclamò El-Haggar, trasalendo. – Ah!Signora! Disgrazia!– Perché dici questo? – chiese Esther, impallidendo eportandosi una mano al cuore.– Il marchese ed i suoi compagni devono essersi rifugiatinel minareto <strong>del</strong> padiglione, signora.269


– E tu credi?... – chiese la giovane, con estrema angoscia.– Che dirocchino a cannonate il minareto per costringerlialla resa.– Gran Dio! El-Haggar!– Coraggio, signora: venite!Sferzò l'asino costringendolo a prendere un galoppo furiosoe pochi minuti dopo giungeva, sempre seguìto da Esther, sullapiazza <strong>del</strong>la Kasbah, di fronte ai due padiglioni. La lotta erafinita. Non si scorgevano che pochi curiosi che stavano radunatidinanzi alla finestra <strong>del</strong> padiglione più piccolo, osservando unalarga pozza di sangue. I kissuri <strong>del</strong> Sultano erano invecescomparsi. El-Haggar guardò il minareto e vide che un angolo<strong>del</strong>la base era stato diroccato, probabilmente da una palla di nonpiccolo calibro.– Signora – disse con voce tremante. – Sono stati presi.Esther vacillò e sarebbe certamente caduta dalla sella se ilmoro, accortosene a tempo, non l'avesse sorretta.– Badate, signora – le disse. – Ci osservano e se nasce loroqualche sospetto, prenderanno anche noi.– Hai ragione, El-Haggar – rispose la giovane reagendoenergicamente contro quell'improvvisa emozione. – Sarò forte.Informati di ciò che è avvenuto. Ah! Mio povero Ben! Poveromarchese!Il moro vedendo un vecchio dalla barba bianca cheattraversava la piazza, camminando quasi a stento, gli si accostò.– È successo qualche grave avvenimento? – gli chiese,facendogli segno d'arrestarsi. – Ho udito tuonare il cannone.Il vecchio si fermò guardandolo attentamente, quasi condiffidenza. Era un uomo di sessanta e forse più anni, col voltorugoso ed incartapecorito, il naso ricurvo come il becco deipappagalli, gli occhi neri e ancora vivissimi. Non pareva chefosse né un arabo, né un Fellata e tanto meno un moro a270


giudicare dal colore <strong>del</strong>la sua pelle molto bianca ancora.– Eh, non sapete? – chiese il vecchio, dopo averlo guardatoa lungo. – Hanno preso degli stranieri e anche un ebreo.Aveva pronunciata l'ultima parola con un accento cosìtriste, che il moro ne era stato colpito.– Anche un ebreo? – chiese El-Haggar.– Sì – disse il vecchio, con un sospiro.– Che cosa avevano fatto quegli stranieri?– Io non lo so. Mi hanno detto che si erano rifugiati su quelminareto dove opponevano una disperata resistenza,minacciando di precipitare sulla piazza un marabuto cheavevano sorpreso lassù.– Hanno poi effettuata la minaccia?– No, perché i kissuri hanno bombardato il minaretocostringendoli ad arrendersi subito. Se avessero resistito ancorapochi minuti, tutta la costruzione sarebbe precipitata e glistranieri insieme.– Dunque sono stati presi?– Sì, e anche quel disgraziato israelita.– V'interessava quel giovane ebreo? – chiese El-Haggar.Il vecchio, invece di rispondere, guardò nuovamente ilmoro, poi gli volse le spalle per andarsene.– Non così presto – disse El-Haggar, prendendolo per unbraccio. – Vi ho scoperto.– Che cosa dite? – chiese il vecchio, trasalendo.– Voi compiangete quel vostro correligionario.– Io ebreo!– Silenzio, potreste perdervi e perdere anche quella giovaneche monta quel cavallo. È la sorella <strong>del</strong> giovane ebreo che ikissuri hanno arrestato.– Voi volete ingannarmi.– No, non sono una spia <strong>del</strong> Sultano – disse il moro, con271


voce grave. – Quella giovane è la figlia di Nartico, un ebreo cheha fatto fortuna in Tombuctu.– Nartico! – balbettò il vecchio. – Avete detto Nartico!...Chi siete dunque?...– Un servo fe<strong>del</strong>e degli uomini che sono stati presi daikissuri.– E quella donna è la figlia di Nartico!... Del mio vecchioamico!...– Ve lo giuro sul Corano.Un forte tremito agitava le membra <strong>del</strong>l'ebreo. Stette alcuniistanti senza parlare, come se la lingua gli si fosse paralizzata,poi facendo uno sforzo, balbettò:– Alla mia casa... alla mia casa... Dio possente! La figlia diNartico qui!... Il figlio prigioniero! Bisogna salvarlo... Venite!Venite!– Precedeteci – disse il moro con voce giuliva. – Noi viseguiamo.Raggiunse Esther la quale attendeva, in preda a milleangosce, la fine di quel colloquio e la informò di quellainsperata fortuna.– È Dio che ce lo ha mandato – disse la fanciulla. –Quell'ebreo, che deve essere stato un amico di mio padre,salverà il marchese e mio fratello.– Ho fiducia anch'io in quell'uomo, signora – rispose El-Haggar.Raggiunsero il vecchio il quale si era diretto verso unaviuzza assai stretta, fiancheggiata da giardini e da casupole dipaglia e di fango abitate da poveri negri, tenendosi però ad unacerta distanza onde non suscitare dei sospetti. L'ebreo parevache avesse acquistata una forza straordinaria; camminava conpasso rapido e senza servirsi <strong>del</strong> bastone. Di quando in quandosi arrestava per osservare Esther, poi riprendeva il cammino con272


maggior velocità. Attraversò così quattro o cinque viuzze e siarrestò dinanzi ad una casetta ad un solo piano, di formaquadrata, sormontata da un terrazzo e ombreggiata da un gruppodi superbi palmizi. Aprì la porta e volgendosi verso Esther,disse:– Entrate nella casa di Samuele Haley, vecchio amico divostro padre. Tutto quello che possiedo è vostro; considerateviquindi come la padrona.273


IL VECCHIO SAMUELELa casa <strong>del</strong> vecchio ebreo, non era già una meschinacostruzione, come appariva all'esterno. Aveva un elegante cortilecon chioschi di purissimo stile moresco, come tutte le case <strong>del</strong>Marocco, con una bellissima fontana nel mezzo, dal gettoaltissimo e abbondante; il porticato a mosaico, e palmeall'intorno che proiettavano una <strong>del</strong>iziosa ombra, doppiamentepregiata sotto quel clima ardentissimo. Numerose porte, coglistipiti di marmo, che mettevano in altrettante stanze, s'aprivanosotto i chioschi riparati da tende di percallo azzurro e rosso afiorami gialli. Dappertutto vi erano tappeti e divani dimarocchino, lusso insolito in una città come Tombuctu, perdutaall'estremità <strong>del</strong> Sahara in un paese affatto selvaggio. Il vecchioebreo, che pareva fosse ringiovanito istantaneamente divent'anni, aiutò la giovane a scendere da cavallo, mentre dueschiavi negri recavano dei vassoi colmi di frutta, di pezzi dizucchero e di arance, importati chissà con quali spese, dagli statibarbareschi <strong>del</strong> settentrione.– È ben la figlia <strong>del</strong> defunto Nartico, il mio vecchio amico,che ho l'onore di ospitare? – chiese l'ebreo, dopo d'averla fattasedere su un soffice divano. – Per Isacco e Abramo!... Che siaproprio vero?– Sì, io sono Esther Nartico figlia <strong>del</strong> negoziante diTombuctu, morto otto mesi or sono fra le braccia di Tasili.– E le mie – disse il vecchio.– Voi avete assistito alla morte di mio padre! – esclamò lagiovane, con voce commossa.– Gli ho chiuso gli occhi. Ma voi come vi trovate qui? Io so274


che Tasili era partito pel Marocco onde dare ai figli il tristeannuncio.Esther gli narrò brevemente l'avventurosa traversata <strong>del</strong>deserto, assieme al marchese di Sartena e tutte le varie vicendetoccate alla piccola spedizione, fino al tradimento di El-Melah el'arresto di Ben e dei suoi compagni. Il vecchio ebreo l'ascoltò insilenzio, con viva attenzione, poi quando la giovane ebbeterminato, disse:– Dunque si ignorava che il colonnello Flatters era statoassassinato nel deserto e che i Tuareg, per attirare una secondaspedizione, avevano fatta spargere la voce che era stato condottoprigioniero a Tombuctu?– Il marchese di Sartena, al pari di molti altri, avevacreduto a quelle voci.– Non aveva sospettato di quel El-Melah?– No – rispose Esther. – Non lo seppi che stamane che egliera una <strong>del</strong>le guide <strong>del</strong> colonnello e che il suo vero nome era El-Abiod.– Avete fatto bene a uccidere quel miserabile – dissel'ebreo. – Meritava venti volte la morte.– E credete voi che vi sia qualche speranza di strappare ilsignor di Sartena ed i suoi compagni al Sultano? – chiese El-Haggar. – Voi non dovete ignorare che gli stranieri nonmussulmani, sorpresi in Tombuctu, vengono messi a morte.– Ed a quale morte! – disse il vecchio. – Non sono trascorsidue mesi dacché ho veduto abbruciare un ebreo che era venutoqui con una carovana di tripolini.– E mio fratello dovrebbe subire l'egual sorte! – gridòEsther, rabbrividendo e nascondendosi gli occhi. – Sarebbeorribile!... Salvateli, Samuele Haley, salvateli per l'amicizia cheavevate per mio padre! Io sono ricca, ho una cassa piena d'oro ela metto tutta a vostra disposizione.275


– Coll'oro qui tutto si può fare: corrompere funzionari,kissuri e carcerieri – rispose l'ebreo. – Anch'io ho accumulatauna vistosa fortuna e se sarà necessaria la spenderò pur disalvare il figlio <strong>del</strong> mio caro amico ed i suoi due compagni.– Oh!... Grazie, Samuele! – esclamò Esther, prendendoglile mani e stringendogliele fortemente. – È Dio che ci ha fattiincontrare.– Voi rimanete qui – disse il vecchio. – La mia casa è avostra disposizione, i miei servi, che sono fe<strong>del</strong>issimi, sono aivostri ordini. Fra un'ora sarò di ritorno e chissà che non vi rechi<strong>del</strong>le buone notizie.– Dove andate?– Da un arabo mio amico, personaggio molto influente.– Non ci tradirà?– No, non temete. Egli mi è affezionato, avendogli salvatala vita sul Niger, in una drammatica circostanza e gli ho resimolti preziosi servigi. Egli pagherà il suo debito diriconoscenza.Chiamò i due schiavi, diede loro alcuni ordini, poi uscìappoggiandosi al bastone.– Signora, – disse il moro, quando furono soli – ciò sichiama aver fortuna; senza l'incontro di questo vostrocorreligionario, non so davvero che cosa avremmo potuto fare.– È vero, El-Haggar. Che riesca a salvarli?– Io ho fiducia in quel vecchio.– Si uccidono subito gl'infe<strong>del</strong>i?– Dopo qualche giorno.– Lo saprà anche Samuele.– Certo, signora.– Se Ben ed il marchese dovessero morire, io nonsopravviverei.Mentre si scambiavano i loro timori e le loro speranze, i276


due negri avevano portato il caffè, dei pasticcini e <strong>del</strong>le fruttasecche. Esther ed il moro erano però così preoccupati cheassaggiarono appena qualche tazza di moka. Non potevanorimanere fermi, tanta era la loro impazienza e la loro angoscia.L'ora era già trascorsa, ed il vecchio Samuele non era ancoratornato. E come era stata lunga quell'ora, specialmente per lapovera Esther! Verso il mezzodì la porta finalmente si aperse ecomparve il vecchio ebreo accompagnato da un arabo di staturapiccola, magrissimo, dalla pelle quasi nera, vestitorigorosamente di bianco, con una piccola fascia verde intornoall'immenso turbante, distintivo che hanno diritto di portarecoloro che hanno compiuto il pellegrinaggio alla Mecca, allatomba <strong>del</strong> Profeta. Era forse più vecchio di Samuele, a giudicaredalle profonde rughe che gli solcavano la fronte, tuttavia parevache non avesse perduto nulla <strong>del</strong>la sua agilità e procedevaancora ritto, con passo leggero, pieno di maestà e di grazia.– Ecco l'amico di cui vi ho parlato – disse Samuele,presentandolo a Esther. – Egli sa ormai tutto ed è anche pronto atutto.L'arabo salutò gentilmente con un salam graziosissimo,poi, dopo d'aver guardato, non senza una viva ammirazione lagiovane ebrea, disse:– Non vi nascondo, signora, che la cosa è grave, perché ioho saputo che i prigionieri, prima di arrendersi, hanno freddatoquattro o cinque guardie <strong>del</strong> Sultano. La loro morte è ormai statadecretata: l'ebreo bruciato, i due cristiani decapitati. Nondimenonoi cercheremo di strapparli al Sultano.– Ah! Signore! – singhiozzò Esther. – Salvateli! Salvateli!– Io sono il capo <strong>del</strong> quartiere arabo ed ho amici devoti,pronti a obbedirmi e anche a ribellarsi, se lo desiderassi, control'autorità <strong>del</strong> Sultano, tuttavia non sono così numerosi da poteraffrontare da soli i kissuri, uomini di guerra e fe<strong>del</strong>i al loro277


signore. Vi sono però qui dei predoni che non si farebberoscrupolo alcuno a mettersi in lotta col Sultano, purché non sirisparmi l'oro.– Ma quale progetto avete voi? – chiese El-Haggar.– Di strappare i prigionieri colla forza.– Assaltando la Kasbah?– No, non si riuscirebbe a nulla, essendo troppo solida etroppo ben guardata. Noi porteremo via i vostri padroni primache salgano il patibolo, approfittando <strong>del</strong>lo scompiglio chesusciteranno i miei uomini.– Riusciremo.– Con tre o quattrocento persone risolute vinceremofacilmente la scorta dei kissuri. Duecento posso fornirle io.– E le altre? – chiese Esther.– Le recluteremo fra i Tuareg. Quei predoni sono semprepronti a tutto, quando hanno <strong>del</strong>l'oro da guadagnare. Che icondannati siano cristiani o ebrei, o mussulmani, poco importa aloro, quando si pagano e bene – rispose l'arabo. – Conosco queibriganti.– Io offro ventimila talleri – disse Esther. – Se non bastanoraddoppierò la cifra.– Per guadagnare una simile somma i Tuareg darebberofuoco anche alla Kasbah <strong>del</strong> Sultano.– Chi s'incaricherà di reclutarli? – chiese Samuele.– Lascia fare a me, amico – disse l'arabo. – Conoscoparecchi capi Tuareg e se volessi potrei avere anche millepredoni prima che siano trascorse dodici ore.– Signora siete giunta qui con una carovana? – proseguìl'arabo volgendosi verso Esther.– No, siamo venuti qui con una minuscola scorta e unadecina di cammelli.– Avete dei mahari rapidissimi? Ne occorrono tre pei278


prigionieri, perché appena noi li avremo liberati dovrannolasciare immediatamente Tombuctu e correre al Niger. Iomanderò uno dei miei uomini a Kabra per acquistarvi una buonascialuppa.– M'incarico io di trovare i mahari – disse Samuele.– E noi faremo inoltrare i cammelli fino a Kabra, dai nostribeduini – disse El-Haggar. – Così al momento <strong>del</strong>l'imbarcotroveremo i nostri bagagli pronti.– Ci rivedremo questa sera – disse l'arabo, alzandosi. – Viporterò buone nuove.– Quando avrà luogo il supplizio? – chiese Esther, convoce tremante.– Domani mattina, sulla piazza <strong>del</strong> Mercato, ma noi visaremo tutti e v'assicuro che l'andrà male pei kissuri <strong>del</strong> Sultano.Esther attese che l'arabo se ne fosse andato, poi volgendosiverso Samuele, lo informò <strong>del</strong> tesoro sepolto nel pozzo e che eranecessario estrarre prima <strong>del</strong>la fuga.– Questa sera andremo a prenderlo – disse il vecchio. – Lodivideremo in varie casse e lo caricheremo sui cammelli. Avetefiducia in questo moro?– Completa.– Egli s'incaricherà di condurlo a Kabra coi cammelli. Nontremate, Esther, tutto andrà bene e domani stringerete fra lebraccia vostro fratello. Quell'arabo è uomo di parola e manterràla promessa.279


I PRIGIONIERIIl marchese ed i suoi due compagni, dopo una breve quantoinutile resistenza, avevano dovuto capitolare dinanzi all'enormesuperiorità dei loro avversari. Bombardati da due pezzid'artiglieria che i kissuri avevano piazzati su una terrazza <strong>del</strong>laKasbah e che avevano già diroccata la base <strong>del</strong> minareto,moschettati dalla parte <strong>del</strong>la piazza e assaliti dalla parte <strong>del</strong>lascala, dopo alcuni colpi di rivoltella avevano dovuto cedere. Laminaccia di precipitare il marabuto non aveva ottenuto nessuneffetto, anzi invece di trattenere lo slancio degli assalitori, loaveva reso più impetuoso sicché disperando ormai di veniresoccorsi, avevano nascoste le armi per non farsi fucilare omassacrare dai furibondi guerrieri <strong>del</strong> Sultano. Solidamentelegati, erano stati subito condotti nella Kasbah, dinanzi al vizir oprimo ministro <strong>del</strong> Sultano, per venire sottoposti ad un lungointerrogatorio, prima di udire la loro condanna. Quantunquecerti <strong>del</strong>la loro sorte, si erano presentati al ministro a testa alta econ fiero cipiglio. Il vizir, un vecchio Fellata dalla lunga barbabianca e la pelle color <strong>del</strong>la crosta di pane, li aveva accolti conuna gentilezza che stonava coi lineamenti duri ed il suo sguardoferoce. Né il marchese né i suoi compagni si erano illusi,sapendo la sorte che li attendeva nella loro qualità d'infe<strong>del</strong>i.– Da quali paesi venite? – chiese il vecchio ministro, dopod'averli osservati a lungo.– Io sono figlio d'una nazione potente, che ha esteso le sueconquiste fino al grande deserto e che se volesse farebbe un soloboccone di Tombuctu e <strong>del</strong> suo Sultano – rispose fieramente ilmarchese. – Conosci tu la Francia?280


– E tu? – domandò il vizir, volgendosi verso Rocco.– La mia patria si trova al di là <strong>del</strong> mare, ma le sue isoleguardano l'Africa e le sue artiglierie hanno fiaccato, molti annior sono, l'orgoglio <strong>del</strong> bey di Tripoli. Conosci tu l'Italia?– Ne ho udito a parlare.– Ebbene, tocca uno solo dei miei capelli e le navi <strong>del</strong> miopaese saliranno il Niger assieme a quelle <strong>del</strong>la Francia eridurranno Tombuctu in un ammasso di macerie.Un risolino sardonico era spuntato sulle labbra <strong>del</strong> vecchioFellata.– Il deserto è troppo vasto ed il Niger troppo lungo – disse– e la Francia e l'Italia sono troppo lontane. E tu chi sei? Haianche tu una patria?– Sì, il Marocco – rispose Ben. – Quello non è troppolontano.– Sì, ma non s'inquieterà troppo per un ebreo – disse ilministro con un altro risolino beffardo.– Per Bacco! – esclamò il marchese, in francese. –Quest'uomo deve essere una vecchia volpe e un diplomatico digran valore. Me ne congratulerò col Sultano.– Se ne avrete il tempo – disse Ben, con un sospiro.– Che abbiano tanta fretta di mandarci all'altro mondo?– Lo temo, marchese.– Che cosa siete venuti a fare qui, voi infe<strong>del</strong>i, in una cittàinviolabile per chi non è mussulmano? – chiese il ministro. –Non sapevate che i kafir si uccidono?– Noi lo ignoravamo – disse il marchese. – Nei nostri paesicristiani, mussulmani ed ebrei, possono entrare nelle città senzavenire inquietati.– Allora hai fatto male a non informarti dei nostri costumi.E perché sei venuto? Tu non sei un commerciante.– Venivo a cercare un colonnello francese.281


– Ah sì, Flatters – disse il vizir. – Me l'avevano detto, ma iocredo invece che tu sia venuto a spiare le forze <strong>del</strong> Sultano peraprire poi il passo ai francesi. Noi sappiamo che i tuoicompatrioti aspirano ad impadronirsi <strong>del</strong>la nostra città.– Chi te lo disse?– Che cosa è venuto a fare, tre mesi or sono, quellascialuppa a vapore, montata da ufficiali francesi e che si èfermata per ventiquattro ore quasi in vista <strong>del</strong>la città? 8– Io non so di quali francesi tu intenda parlare – rispose ilmarchese. – Io vengo dal deserto quindi non posso sapere chiarriva dal Niger.– Io dico invece che tu eri d'accordo con quei francesi e chela istoria <strong>del</strong> colonnello Flatters l'hai inventata per coprire i tuoidisegni.– Ti ripeto che io non ho altro scopo! – gridò il marchese.– Che testardo – disse Rocco. – Gli romperei la zucca perfargli entrare un po' di persuasione. Volete che rompa le miecorde e che gli piombi addosso?– Non aggraviamo la nostra posizione – disse Ben. – Citroviamo già in cattive acque.Il vizir si era alzato, battendo le mani.Un negro, quasi interamente nudo, di forme atletiche e cheteneva in mano una scimitarra lucentissima e assai ricurva, eraentrato, inchinandosi fino a terra.– Impadronisciti di questi uomini – gli disse il vizir. – Latua testa risponderà di loro.– Sì, padrone – rispose il negro.8 Il vizir alludeva certo alla piccola cannoniera il Niger, la quale, dopo unfaticoso viaggio, aveva salito il fiume fino presso Kabra, nel luglio 1887.La montavano il tenente Caron, due ufficiali, quattro marinai europei edieci senegalesi, ma nessuno aveva potuto entrare in Tombuctu causa leostilità degli abitanti.282


S'accostò a Rocco e lo spinse brutalmente innanzi con unurto così violento, che per poco non lo fece stramazzare.– Sangue e morte! – gridò il sardo, furioso. – Giù le mani,canaglia d'uno schiavo.– Cammina, kafir – disse il negro, dandogli una secondaspinta.Era troppo per l'erculeo isolano. Con uno sforzoirresistibile spezzò le corde che gli stringevano i polsi, alzò ilpugno, grosso come una mazza da fucina e lo lasciò cadere conimpeto terribile sulla testa <strong>del</strong> carceriere o carnefice che fosse, laquale risuonò come una zucca che si crepa. L'africano rimase unmomento ritto, strambuzzando gli occhi, poi si lasciò sfuggire lascimitarra e stramazzò come un albero sradicato dall'uragano. Ilvizir aveva mandato un grido di terrore ed era indietreggiato finoalla parete, gettando all'intorno sguardi smarriti. Rocco afferratal'arma, si era slanciato verso il marchese e Ben, coll'intenzionedi tagliare i loro legami, ma prima che li avesse raggiunti,quattro kissuri armati di lance si erano precipitati nella sala.– Prendete quell'uomo! – aveva gridato il vizir con vocestrozzata.– Guardati Rocco! – urlò il marchese, tentando, ma invano,di spezzare le corde per accorrere in aiuto <strong>del</strong> fe<strong>del</strong>e servo.I kissuri si erano precipitati verso il sardo colle lanceabbassate, urlando:– Giù quell'arma! Arrenditi!– Eccovi la risposta! – tuonò Rocco.Si slancia innanzi maneggiando la pesante scimitarra comese fosse un fuscello di paglia, si copre con un fulmineomulinello, poi con due o tre colpi ben aggiustati taglia le lanceche gli minacciavano il petto. I ferri caddero con rumore,balzando a destra ed a sinistra, e lasciando nelle mani dei loroproprietari dei semplici bastoni.283


– È fatto! – gridò l'isolano, ridendo. – Volete ora che vifaccia a pezzi? La lama taglia come un rasoio.– Bravo Rocco! – esclamò il marchese.I kissuri, stupiti e spaventati da quel vigore straordinario edalla rapidità di quei colpi, si erano gettati indietro,aggruppandosi dinanzi al vizir più morto che vivo.– Andiamocene, signori – disse Rocco. – Conquisteremo laKasbah.Disgraziatamente quelle grida e quei colpi erano stati uditidai kissuri che vegliavano nelle sale attigue. Immaginandosi chequalche cosa di grave fosse accaduto nella stanza <strong>del</strong> vizir, eranoaccorsi in buon numero e non tutti erano armati di sole lance,perché alcuni avevano avuta la precauzione d'armarsi dimoschettoni e di pistole. Rocco aveva appena tagliate le cordedei compagni, che l'orda, composta d'una ventina di guerrieri, siscagliava nella stanza mandando urla da belve feroci. Ilmarchese e Ben avevano raccolte le lame di due lance perservirsene come di pugnali e si erano messi ai fianchi <strong>del</strong> sardo,il quale maneggiava la scimitarra così terribilmente, da temereche volesse accoppare tutti, il vizir compreso. Vedendoquell'ercole balzare innanzi, urlando come un ossesso e troncarecon pochi colpi le lance che gli erano state puntate contro, ikissuri si erano arrestati. Uno di loro però, più coraggioso,quantunque avesse perduta la sua arma, gli si gettò addossocoll'intenzione di ridurlo all'impotenza. Rocco lo afferrò collamano sinistra, lo sollevò come fosse stato un fanciullo e loscagliò in mezzo agli assalitori, facendogli fare un superbovolteggio. Fu un vero miracolo se il disgraziato guerriero non sifracassò il cranio sul pavimento di mosaico. Dinanzi a quellaprova d'un vigore così straordinario, i kissuri erano rimasti comeintontiti, guardando con terrore il gigante. Il loro stupore nondoveva però durare a lungo. Incoraggiati dal vizir e ricordandosi284


d'aver <strong>del</strong>le armi da fuoco, le puntarono risolutamente verso i treprigionieri intimando loro di arrendersi.– Basta, Rocco – disse il marchese, gettando il ferro dilancia. – Queste canaglie sono più forti di noi e pel momentonon ho nessuna voglia di farmi fucilare.– Ci uccideranno egualmente più tardi, signore – disse ilsardo il quale esitava a lasciare l'arma.– Chissà cosa potrà succedere poi, amico. Disarma: stannoper fare fuoco.Il sardo scagliò la scimitarra contro la parete e con talefuria da spezzare in due la lama. I kissuri li avevano subitocircondati, però non osavano ancora porre le mani su Rocco dicui conoscevano ormai la potenza <strong>del</strong>le formidabili braccia.– Conduceteli via – disse il vizir, il quale non si era ancorarimesso dal suo spavento. – Questi sono demoni vomitatidall'inferno.– Sì, demoni che ti torceranno il collo se cercherai di farci<strong>del</strong> male – disse il marchese.– Via! Via! – ripeté il vizir, con voce tremante.– Andiamo – disse Rocco. – Però il primo che cerca dilegarmi lo accoppo con un pugno.I kissuri si strinsero attorno ai prigionieri tenendo le pistoleed i moschettoni puntati e li fecero uscire dalla sala.Attraversarono una lunga galleria, sostenuta da bellissimecolonne di stile moresco, e con ampie finestre che guardavanosui giardini <strong>del</strong>la Kasbah, poi aprirono una porta massiccia,laminata di ferro e li invitarono ad entrare.– È il nostro carcere – disse il marchese. – Andiamo avederlo.Erano appena entrati quando la porta fu chiusa alle lorospalle con immenso fragore. Si trovavano in una saletta a vôlta,colle pareti coperte di lastre di pietra e illuminata da una feritoia285


tanto stretta, da non permettere il passaggio nemmeno ad ungatto e difesa da due grosse sbarre di ferro. Il mobilio sicomponeva di tre vecchi angareb e di due enormi vasi di argillaricolmi d'acqua.– Ecco una prigione a prova di lime e anche di bombe –disse il marchese. – Il vizir ha preso le sue precauzioni perimpedirci d'andarcene.– Eh, non si sa – disse Rocco. – Queste sbarre si possonopiegare e strappare.– E poi? – chiese Ben.– E allargare il buco.– Non abbiamo né scalpelli né martelli, mio povero Rocco– disse il marchese.– Se si potessero strappare queste lastre di pietra!– Mio caro ercole, non ci rimane che rassegnarci eattendere qualche miracolo.– Su chi sperate? – chiese Ben.– Su vostra sorella e su El-Haggar – rispose il marchese. –Essi non ci abbandoneranno, ne sono certo.– Che cosa potranno fare contro i kissuri <strong>del</strong> Sultano? –chiese Ben, con voce triste. – Sì, mia sorella tenterà di venire innostro aiuto, cercherà anche di corrompere gli alti funzionari <strong>del</strong>Sultano, i carcerieri, fors'anche il vizir, perché il denaro non lemanca, ma io dubito che possa riuscire. È una infe<strong>del</strong>e, al pari dinoi, e facendosi conoscere correrebbe forse maggiori pericoli.– Eppure io non dispero, Ben – disse il marchese. – Il miocuore mi dice che sta lavorando per la nostra liberazione.– Non dico il contrario, ma vi ripeto, saranno sforzi sterili.– Vediamo, signor Ben – disse Rocco. – Che questi dannatimussulmani abbiano proprio l'intenzione di ucciderci?– L'infe<strong>del</strong>e, che viene sorpreso in Tombuctu, puòconsiderarsi come uomo morto – rispose l'ebreo, con un sospiro.286


– Ed il Sultano crede che noi ci lasceremo sgozzaretranquillamente? Ah! Vivaddio, non siamo dei montoni noi!– Che cosa vorreste fare?– Io non lo so! Però vi dico che prima di lasciarmi scannarefarò un massacro dei kissuri – disse il bollente sardo.– Vi decapiteranno egualmente.– Diavolo! Signor marchese, così non la può andare.– Ebbene, cambia la nostra sorte, mio bravo Rocco –rispose tranquillamente il signor di Sartena.– Ritorno alla mia prima idea.– Di fuggire?– Sì, padrone.– Provati.– Strapperò le sbarre di ferro per ora. Sono grosse e ciserviranno a rompere le costole dei kissuri.– Saranno dure da levare.– Anche le mie braccia sono solide.L'isolano s'accostò alla feritoia, s'aggrappò ad una sbarra esi provò a scuoterla.– Non si muove – disse, per nulla scoraggiato. –Torciamola.Tese le braccia, strinse le dita e sviluppò tutta la sua fonaimmensa, inarcando le poderose reni e puntando le ginocchiacontro la parete. I muscoli si gonfiarono come se volessero farscoppiare la pelle <strong>del</strong>le braccia, mentre le vene <strong>del</strong> collo e <strong>del</strong>letempie s'ingrossavano prodigiosamente. La sbarra resisteva, maanche l'ercole non cedeva e raddoppiava gli sforzi. Ad un tratto,con grande stupore <strong>del</strong> marchese e di Ben, il ferro si piegò, poiuscì bruscamente dall'alveolo.– Eccolo! – esclamò Rocco, trionfante.– Mille leoni! – esclamò il marchese. – Ma tu hai una forzada gareggiare con un gorilla!287


– Gigantesca! Enorme! – disse Ben.– All'altra – disse il sardo, tergendosi il sudore che glibagnava la fronte.Essendo i margini <strong>del</strong>la feritoia ormai sconnessi, la secondasbarra fu strappata con meno fatica e assieme a essa cadde ancheuna parte <strong>del</strong>l'intonaco, allargando in tal modo il foro. Il sardocacciò la testa attraverso l'apertura, ma subito si ritrasse.– Vi è qualche sentinella? – chiese il marchese.– Sì, vi è un kissuro che veglia sotto la feritoia – rispose ilsardo.– Siamo alti dal suolo?– No, appena tre metri.– Dove guarda questa finestra?– In un giardino.– Ben – disse il marchese. – Se fuggissimo?– E la sentinella?– M'incarico io di abbatterla – disse Rocco. – Con un colpodi sbarra le fracasso la testa.– Allarghiamo il passaggio – disse il marchese. – Conqueste due sbarre possiamo spostare una lastra, è vero Rocco?– Ci riusciremo signore – rispose il sardo, il quale ormainon dubitava più <strong>del</strong>la riuscita <strong>del</strong> suo piano.– E potremo poi uscire dal giardino? – chiese Ben. – Visaranno <strong>del</strong>le muraglie da superare.– Le scaleremo – rispose Rocco.– Diavolo d'un uomo – mormorò l'ebreo. – Trova tuttofacile, ma sa anche operare.Stavano per mettersi al lavoro, quando il marchese siarrestò, dicendo:– E se ci sorprendono? Ben, mettetevi presso la porta e sequalcuno si avvicina, avvertiteci. Noi due basteremo a smuoverela lastra.288


– E se entra qualche kissuro stringetegli il collo – disseRocco.Essendo le due sbarre un po' appuntite, riuscirono asgretolare parte <strong>del</strong>l'intonaco, una specie di calce rossiccia dipoca resistenza, quindi si provarono a smuovere la lastra didestra che formava uno degli angoli <strong>del</strong>la feritoia. Dopo quattroo cinque colpi la pietra si spostò, quindi cadde fra le braccia <strong>del</strong>sardo.Dietro non vi era che <strong>del</strong> fango disseccato, mescolato apochi mattoni cotti al sole.– Che cosa ne dite, padrone? – chiese Rocco, giulivo.– Che fra un'ora noi saremo liberi – rispose il marchese. –Questi mattoni non offriranno alcuna resistenza.– Che pessime costruzioni, signor marchese!– Gli abitanti di Tombuctu non conoscono la calce. Tutte leloro case sono fatte con mattoni male seccati e con argilla.– Assaliamo la parete, signore.– Adagio, Rocco. La sentinella può accorgersi <strong>del</strong> nostrolavoro.– Faremo poco rumore.Si misero al lavoro, sgretolando l'intonaco e levando imattoni che mettevano a nudo. La feritoia a poco a poco siallargava, nondimeno ci vollero non meno di quattro ore primadi aver ottenuto uno spazio sufficiente per lasciar passare i lorocorpi. Quand'ebbero finito, la notte era calata da qualche ora.– È il momento di andarsene – disse Rocco.– Puoi passare? – chiese il marchese. – Tu sei il più grossodi tutti.– Passerò, signore.– Guarda se il kissuro ha lasciato il posto.Rocco si alzò sulle punte dei piedi e sporse conprecauzione la testa.289


– È sempre lì sotto e mi pare che si sia addormentato –disse. – Non si muove più.– È bene armato?– Ha una lancia e <strong>del</strong>le pistole alla cintura. Oh!– Cos'hai?– Invece di accopparlo con un colpo di sbarra lo afferro pelcollo e lo metto al nostro posto.– Saresti capace di fare una simile prodezza?– Guardate!Il sardo passò il corpo attraverso la feritoia, allungò ladestra, afferrò l'uomo per la gola e stringendo forte ondeimpedirgli di mandare qualsiasi grido, poi lo alzò come unbamboccio e lo fece passare per lo squarcio, deponendolo aipiedi <strong>del</strong> marchese e di Ben.– Mille leoni! – esclamò il signor di Sartena. – Chebraccio!Il kissuro, rapito così di volo, non aveva nemmeno cercatodi opporre resistenza. D'altronde Rocco non aveva allargata lamano.– Un bavaglio – disse l'ercole. – Presto o lo strangolo.Il marchese strappò un pezzo <strong>del</strong> suo caic, fece una fascia eaiutato da Ben l'annodò attraverso la bocca <strong>del</strong> disgraziatoguerriero.– Ora le gambe e le mani – disse Rocco.– È fatto – rispose il marchese, il quale si era levata lalunga fascia di lana che gli stringeva i fianchi.Il kissuro, mezzo strangolato, era rotolato al suolo,guardando i tre prigionieri con due occhi strambuzzati.– Bada che se tu cerchi di liberarti noi torneremo qui e tiaccopperemo – gli disse il marchese, con voce minacciosa. – Mihai compreso?Gli levò le due pistole che aveva alla cintura, due armi ad290


acciarino, lunghissime, col calcio intarsiato in argento e ne diedeuna a Ben.– Andiamo – disse.Rocco che si era munito d'una sbarra, arma ben piùpericolosa d'una lancia per quell'ercole, passò attraverso laferitoia e si lasciò cadere nel giardino.– Vedi nessuno? – chiese il signor di Sartena.– Passate – rispose il sardo.Un momento dopo i tre prigionieri si trovavano riuniti sottola feritoia.291


LA GALLERIA DELLA KASBAHIl giardino <strong>del</strong>la Kasbah occupava uno dei cortili interni edera molto meno vasto di quanto avevano supposto il marcheseed i suoi compagni. Essendo il suolo su cui è stata fondataTombuctu aridissimo e di natura sabbiosa come il vicinodeserto, non si vedevano né aiuole fiorite, né cespugli. Nonv'erano che dei gruppi di datteri e di palme dûm, disposte senzaordine e che dovevano proiettare un'ombra molto problematica,data la disposizione <strong>del</strong>le loro foglie. I tre fuggiaschi, dopoessersi accertati che non vi erano sentinelle, si erano subitocacciati in mezzo agli alberi per consigliarsi. Il giardino erachiuso da tre lati da fabbricati di stile moresco, con gallerie eterrazze; il quarto invece da una muraglia alta per lo meno unadecina di metri e così liscia da sfidare qualsiasi scalata.– Mi pare che lasciando il nostro carcere non abbiamoguadagnato molto – disse il marchese. – Quella muragliacertamente mette su qualche piazza o su qualche via, ma chi saràcapace di superarla?– Signore – disse Rocco. – Vedo là una galleria che è moltobassa. Dove conduca io non lo so, però mi pare che vi siano colàmaggiori probabilità di trovare un'uscita anziché rimanere qui.– Vi possono essere <strong>del</strong>le sentinelle – osservò Ben.– Le ammazzeremo – rispose il marchese. – Se nontroviamo il mezzo di uscire di qui, domani ci decapiteranno, miocaro Ben. Il vizir non ci perdonerà <strong>del</strong> brutto quarto d'ora che gliabbiamo fatto passare.– Questo è vero, marchese. La nostra sorte ormai è statadecisa.292


– Diamo dunque battaglia ai kissuri <strong>del</strong> Sultano.Si diressero cautamente verso la costruzione più vicina, unbellissimo padiglione lungo oltre cento metri, con una galleriaelegantissima che s'alzava appena nove piedi dal suolo e siprovarono a dare la scalata. Essendovi numerose colonne, lasalita non fu difficile. Raggiunta la balaustrata, con un volteggiola sorpassarono e misero piede sulla loggia, aprendosi il varcofra le persiane che erano state calate.– Che buio – disse Rocco. – Non vedo più nulla!– Meglio per noi – disse il marchese. – Così non civedranno.– Ma non so dove andiamo.– Troveremo qualche porta.– Fermiamoci presso la balaustrata – disse Ben.Avevano appena percorsi cinque o sei metri, quandoRocco, che camminava dinanzi a tutti, s'arrestò bruscamente,dicendo:– Fermi!...Aveva udito una porta aprirsi, poi chiudersi senza farerumore. I tre fuggiaschi si abbassarono presso il parapetto,impugnando le loro armi. Qualcuno stava attraversando lagalleria. Si udiva un passo leggero avvicinarsi, ma l'oscurità eracosì fitta che non potevano scorgere la persona che s'avanzava.– Che sia qualche kissuro? – mormorò il marchese.– Chiunque sia, lasciamolo andare – mormorò Ben.Un'ombra bianca passò a pochi passi da loro, scomparendoverso l'estremità opposta <strong>del</strong>la galleria e lasciandosi dietroun'onda di profumo acutissimo.– Doveva essere una donna – disse il marchese. – Chequesta loggia metta nell'harem <strong>del</strong> Sultano?– Non mi dispiacerebbe vedere le belle di quel despota –disse Rocco.293


– Sì, se non facessero baccano – rispose il marchese. –Vedendoci urlerebbero tanto da mettere in subbuglio tutta laKasbah.– Ridiscendiamo in giardino e cerchiamo qualche altrauscita – disse Ben.– Condivido la vostra idea – disse il marchese, dopo unmomento di riflessione. – Non desidero imbarazzarmi colledonne <strong>del</strong> Sultano.Rocco alzò una persiana per vedere se vi erano <strong>del</strong>leguardie nel giardino. Essendo la luna comparsa dietro l'oppostopadiglione, uno sprazzo di luce si proiettò nella galleria. Quasinello stesso momento un grido di donna echeggiava nella loggia.– Aiuto!... I ladri!...– Morte e sangue! – gridò Rocco. – Ancora la bella <strong>del</strong>Sultano!– Giù! Saltate! – comandò il marchese.Una porta si era aperta all'estremità <strong>del</strong>la galleria e alcuneombre si erano precipitate fra le arcate, vociferandospaventosamente. Non vi era un momento da esitare. Rocco, ilmarchese e l'ebreo scavalcarono il parapetto e si lasciaronocadere nel giardino correndo verso la muraglia. L'allarme erastato dato. Sulle terrazze, nei padiglioni, nelle logge si udivanogrida d'uomini e di donne.– Fuggono!– Sono nel giardino!– Fuoco!Alcuni colpi di moschetto, sparati dai kissuri chevegliavano sulle terrazze, rimbombarono mettendo in subbugliogli abitanti <strong>del</strong>la Kasbah, e forse lo stesso Sultano. Da tutte leparti si vedevano accorrere uomini muniti di torce e armati dimoschetti, di scimitarre e di lance. Il marchese ed i suoi duecompagni attraversarono di corsa il giardino e si misero a294


seguire l'alta muraglia colla speranza di trovare qualche porta oqualche scala che permettesse a loro di varcare l'ostacolo.– Qui! – esclamò ad un tratto Rocco, fermandosi. –Guardate, una porta!– Scassiniamola! – gridò il marchese.– Presto – disse Ben. – I kissuri vengono!Delle torce si vedevano correre attraverso gli alberi eclamori assordanti s'alzavano dovunque. Sulle terrazzerimbombavano colpi di moschetto sparati a casaccio. La portascoperta dal sardo era rinforzata da lastre di ferro, però ilmetallo s'era così arrugginito da non poter opporre una lungaresistenza. Il marchese appoggiò la canna <strong>del</strong>la pistola nellatoppa e fece fuoco. Il chiavistello, spezzato dalla palla, cedettesenza però che la porta si aprisse.– Mille pantere! – esclamò il marchese.– Signore – disse Rocco – scassinatela finché io tengo testaai kissuri.Alcune guardie erano comparse e si preparavano a dareaddosso ai fuggiaschi.Il sardo impugnata la sbarra, chiuse a loro il passo,menando colpi all'impazzata e costringendoli a retrocedere.Intanto il marchese e Ben, a colpi di spalla, sgangheravanol'ostacolo. Dopo quattro o cinque urti poderosi lo rovesciarono.– Rocco! – gridò il marchese. – Siamo salvi.Certo di essere seguìto dal fe<strong>del</strong>e sardo, si slanciòall'aperto, trascinando Ben.Si trovarono sulla piazza che s'apriva dietro la Kasbah.Nessun uomo si vedeva sotto i palmizi, quindi la fuga nonpresentava, almeno pel momento, alcuna difficoltà.– Rocco! – gridò ancora il marchese, slanciandosi a corsasfrenata.Vi risposero <strong>del</strong>le urla furiose, ma il sardo non comparve.295


– Ben! – gridò il marchese, con angoscia. – Rocco è statopreso! Torniamo!– Troppo tardi! I kissuri ci danno la caccia! Sono usciti dalgiardino!– Torniamo!– No, marchese! – esclamò Ben, afferrandolo strettamenteper un braccio. – Liberi potremo forse salvarlo; arrestati non ciaspetterebbe che la morte.– Ah! Disgraziato Rocco! Si è sacrificato per noi!– Fuggite! Vengono!Alcuni kissuri si erano slanciati sulla piazza. Vedendo i dueprigionieri a fuggire, scaricarono le due pistolacce, senza verunesito essendo quelle armi troppo vecchie e d'una portata troppolimitata.Il marchese, ormai rassegnato, si era precipitato dietro aBen, il quale fuggiva a rompicollo senza nemmeno volgersiindietro.Attraversata la piazza si cacciarono in mezzo alle viuzzeche mettevano verso i quartieri meridionali <strong>del</strong>la città.I kissuri, temendo forse che i fuggiaschi avessero deicompagni pronti a spalleggiarli, avevano rallentata la corsa.– Si sono fermati – disse il marchese, dopo aver percorsotutto d'un fiato tre o quattro viuzze. – Non li odo più. Doveandiamo?– Alla casa di mio padre – rispose Ben.– Conoscete la via? Io non so più dove vada.– La troveremo, marchese.Sostarono un momento per riprendere lena, poiricominciarono a correre gareggiando fra di loro. In lontananza,verso la piazza, si udivano ancora le urla <strong>del</strong>le guardie <strong>del</strong>Sultano, ma non erano più tali da inquietare i fuggiaschi. Parevache i kissuri avessero smarrito le tracce o che non si fossero296


sentiti tanto fotti da proseguire la caccia. Dopo una mezz'ora,non udendo più nulla, il marchese e Ben, completamente esausti,tornarono a fermarsi.– Non abbiamo più nulla da temere – disse l'ebreo. – Ormaisiamo salvi.– Noi sì, ma Rocco? – chiese il signor di Sartena, condolore. – Che l'abbiano ucciso?– Non è uomo da lasciarsi ammazzare – rispose Ben.– Si vendicheranno su di lui.– Non lo decapiteranno prima di domani e in dieci ore sipossono fare molte cose.– Vi dico che Rocco è perduto.– Andiamo da mia sorella, marchese. Vedremo poi cosapotremo tentare per strapparlo ai kissuri <strong>del</strong> Sultano. L'oro nonci manca e sono pronto a sacrificare tutta l'eredità di mio padrepur di salvarlo. Venite, marchese. Non dobbiamo essere lontanidalla nostra casa.– Grazie <strong>del</strong>la vostra offerta Ben, ma io dubito che il vostrooro possa servire a strappare alla morte quel coraggioso – disseil marchese, con un sospiro. – Canaglie! Tradirci cosìvigliaccamente!– Il traditore è stato ucciso da El-Haggar.– Lui sì, ma l'altro è forse ancora vivo.– Sospettate ancora su El-Melah?– Sì, Ben. È stato lui a mandarci quell'arabo e deve esserestato lui ad inventare l'istoria <strong>del</strong> colonnello.– Noi però non sappiamo ancora se Flatters sia veramenteschiavo <strong>del</strong> Sultano o se sia stato ucciso nel deserto.– Ormai ho perduto ogni speranza, amico. Sono convintoche quel valoroso è stato massacrato assieme a tutti i suoicompagni, in mezzo al Sahara.– Fermatevi!... Ci siamo.297


– Dove?– Alla casa di mio padre. Eh! Guardate! Vedo <strong>del</strong>la luce nelgiardino!...– Che vostra sorella stia disseppellendo il tesoro?– Lo suppongo, marchese.– O che siano dei ladri? Forse El-Melah? Ah! Vivaddio! Seè lui, lo uccido come un cane! Ben, datemi la vostra pistola; lamia è scarica.Impugnò l'arma <strong>del</strong>l'ebreo e si slanciò verso il cancello <strong>del</strong>giardino.Degli uomini, alla luce d'una torcia, stavano levando dalpozzo un grosso forziere.– Vedo El-Haggar! – esclamò il marchese.– E vi è anche mia sorella! – esclamò Ben.Con una spinta rovesciarono il cancello e si slanciarono nelgiardino gridando:– Esther!– Sorella!La giovane ebrea, udendo quelle due grida, aveva fattoalcuni passi innanzi, vacillando. Impallidì, arrossì, poi aprì lebraccia e si strinse al petto prima il fratello, poi il marchese,esclamando:– Salvi!... Salvi!... Dio possente, vi ringrazio.298


UNA BATTAGLIA TERRIBILEPochi minuti dopo, Ben, Esther ed il marchese, sedutiattorno ad un tavolo, in una <strong>del</strong>le stanze interne, si raccontavanole straordinarie vicende accadute in quelle ventiquattro ore. Funon senza dolore che i due fuggiaschi appresero la morte diTasili, assassinato dall'infame El-Melah, però si consolaronopresto apprendendo la morte <strong>del</strong> miserabile algerino.– Tasili e anche il colonnello Flatters, sono vendicati –disse il marchese. – Quel traditore meritava non una, ma centovolte la morte. È stato meglio che sia stato ucciso da El-Haggar,perché se fosse caduto nelle mie mani, lo avrei fatto morire fra ipiù atroci tormenti.– Non occupatevi più di lui, marchese – disse Esther. –Pensiamo invece a salvare Rocco.– Noi siamo pronti, è vero Ben?– Ci metteremo alla testa degli arabi e dei Tuareg e nonrisparmieremo i kissuri <strong>del</strong> Sultano. Quanti uomini haiassoldato, Esther?– Sono circa trecento.– Il capo degli arabi risponde di loro?– Sì, fratello.– È tutto pronto per assicurarci la fuga?– Una scialuppa ci aspetta a Kabra e quattro rapidissimimahari ci attenderanno fuori dalla parte <strong>del</strong> mezzodì. Il vecchioSamuele, l'amico di nostro padre ha pensato a tutto.– Mettiamo, innanzi tutto, in salvo il vostro tesoro – disse ilmarchese.– I due beduini ed El-Haggar fra poco partiranno per299


Kabra. Ho fatto portare qui sei piccole casse da caricare suicammelli.– Quanto hai promesso agli arabi ed ai Tuareg?– Ventimila talleri da pagarsi domani sera, nella casa diSamuele, cioè dopo i fatti compiuti.– Talleri che addebiterete a me – disse il marchese.Ben ed Esther si guardarono sorridendo.– Marchese, – disse l'ebreo – di questo parleremo in altritempi. Non dimenticate per ora che se noi siamo giunti quiincolumi, lo dobbiamo al vostro coraggio ed a quello di Rocco.– Ma...– Silenzio, marchese – disse Esther, mettendogli un ditosulle labbra. – Vi proibisco di parlare su ciò.– Andiamo a vedere il tesoro – disse Ben. – Il forziere ètroppo pesante per caricarlo su un solo cammello e divideremo ilcarico.La cassa era stata trasportata nella stanza attigua dai dueschiavi di Samuele e da El-Haggar. Era d'una robustezzaeccezionale, con larghi chiodi di ferro e grosse cerniere diacciaio. Intorno aveva <strong>del</strong>le lamine di rame di notevole spessore.– Saremo costretti a far saltare la serratura – disse Ben. –Tasili non è più qui per indicarci dove si trova la chiave.Fece portare una zappa, introdusse la punta nella toppa e,dopo reiterati sforzi, l'aprì. Lampi fulvi e bagliori scaturironotosto. Il cofano era pieno d'oro, di diamanti e di smeraldi,nonché di collane, di braccialetti e di ornamenti d'ogni specieusati dalle donne di Tombuctu.– Vi è qui una fortuna – disse il marchese con una certaemozione.– C'è da far girare il capo all'uomo più flemmatico <strong>del</strong>mondo.– Vi sono per due milioni di lire, mi ha detto Tasili.300


– Una bella somma, mio caro Ben.Vuotarono il cofano, facendo rotolare alla rinfusa pezzid'oro e gemme e riempirono le sei cassette fornite da Samuele,solidissime e laminate in ferro, che poi coprirono con stuoiestrettamente legate, onde nessuno potesse supporre checontenevano oggetti di valore.– Le crederanno casse piene di datteri – disse Ben. – Inquesto paese le precauzioni non sono mai troppe.I due beduini ed El-Haggar avevano già bardati i cammelli.Le sei cassette furono caricate sui tre animali più robusti, poi ilmoro diede il segnale <strong>del</strong>la partenza.– Mi hai ben compreso – chiese Esther al moro, prima chequesti uscisse dal giardino.– Sì, signora – rispose il moro. – Vi attenderò a Kabra.– E caricherai le casse ed i nostri bagagli sulla scialuppache l'arabo ha fatto acquistare per noi. Troverai i barcaiuoli sullagettata e per distintivo porteranno un fez algerino ed un caicrosso.– L'ebreo me lo ha detto.– Sii fe<strong>del</strong>e, El-Haggar, e non avrai da pentirti di noi.– Contate su di me, signora.– Ed ora, – disse Esther, volgendosi verso Ben ed ilmarchese – andiamo un po' a riposarci, onde essere pronti per lalotta.– Quando verrà l'amico di vostro padre? – chiese il signordi Sartena.– All'alba e assieme al capo arabo. Il vostro supplizio erastato annunciato pel mezzodì.– Povero Rocco – mormorò il marchese.– Lo salveremo – disse Esther. – L'arabo me lo ha giurato eSamuele mi ha detto che quell'uomo è capace di scatenaremezza popolazione contro il Sultano.301


– Una persona molto influente dunque?– Sì, marchese: era l'uomo che ci occorreva.Cinque ore dopo, prima ancora che spuntasse l'alba, l'araboed il vecchio Samuele battevano alla porta <strong>del</strong>la casa <strong>del</strong> defuntoNartico. Erano accompagnati da quattro Tuareg, avvolti nei loroampi mantelli di lana bruna e colle fasce riboccanti di yatagan edi pistoloni, veri arsenali d'aspetto poco rassicurante. Ilmarchese, Ben ed Esther, che non erano riusciti a chiudere gliocchi, li ricevettero nella saletta pianterrena che metteva sulgiardino.– Signora, – disse l'arabo, dopo aver salutato il francese eBen – vi ho condotto i capi dei Tuareg ed ho portato con me ilCorano onde giurino sulle pagine <strong>del</strong> libro sacro <strong>del</strong> Profeta.– Sta bene – rispose Esther, freddamente. – Il Profetamaledice coloro che mancano ai giuramenti. I vostri uominipronuncino la sacra formula, e che Dio li danni sem'inganneranno.– Signora, – disse uno dei quattro Tuareg, inchinandosidavanti alla giovane ebrea – tu ci verserai il prezzo pattuito e noiti saremo fe<strong>del</strong>i, lo giuro sul Corano. Che le belve <strong>del</strong> desertodivorino il mio corpo; che i miei nemici lascino insepolto sullesabbie ardenti <strong>del</strong> Sahara il mio carcame; che la sete mi strazi leviscere; che gli avvoltoi mangino i miei occhi se io ed i mieicompagni mancheremo alla promessa. Siamo i predoni <strong>del</strong>deserto, ma sappiamo anche essere leali e fe<strong>del</strong>i a chi ci paga. IlProfeta mi ode: mi punisca dunque se io mancherò algiuramento.I suoi compagni avevano ripetuto le medesime parole,tenendo una mano tesa sul libro sacro che l'arabo aveva apertodinanzi a loro. Terminato il giuramento, il capo arabo avevafissati gli sguardi sul marchese e Ben, i quali avevano assistito aquella scena senza pronunciare una sola parola.302


– Chi sono costoro? – chiese, rivolgendosi a Esther. – Ionon li ho veduti presso di te stamane.– Non potevano essere presso di me perché si trovavanonelle mani dei kissuri <strong>del</strong> Sultano – rispose la giovane.– Ieri sera mi hanno detto che due dei prigionieri sonofuggiti: il francese e l'ebreo. Sarebbero...– Sì, sono i due prigionieri.– Per Allah! E sono venuti qui?...– Li vedi. Uno è mio fratello, l'altro è il francese.L'arabo guardò l'uno e l'altro con stupore.– Allora ve n'è uno solo da salvare! – esclamò.– Sì, uno solo.– L'impresa sarà più facile.– O più difficile? I kissuri raddoppieranno le loroprecauzioni.– Siamo in trecento e tutti risoluti, signora.– Quando condurranno il prigioniero al supplizio?– Alle dieci.– Dove lo giustizieranno?– Sulla piazza <strong>del</strong> Mercato.– Dove sono ora i tuoi uomini?– Hanno già occupata la piazza e circondato il palco –rispose l'arabo. – Dietro di loro vi sono tre o quattrocento negripronti a spalleggiarli ed ai quali ho promesso mille talleri seimpediranno alla folla di importunarci.– La somma sarà depositata presso Samuele. Ventimila peiTuareg, mille ai negri e diecimila per te. Sei contento? – chieseEsther.– Tu paghi come una Sultana – rispose l'arabo, sorridendo.– L'uomo che devono giustiziare può considerarsi salvo.– Andiamo – disse Esther.– Hai preparato tutto per la fuga, signora?303


– I mahari aspettano presso la porta di mezzodì – disseSamuele. – I miei due schiavi si trovano colà già da due ore.– Ascoltatemi – disse il marchese, fermando l'arabo. – Noinon correremo il pericolo di venire riconosciuti dai kissuri <strong>del</strong>Sultano? Due uomini che hanno la pelle bianca contrastanotroppo fra una popolazione composta quasi esclusivamente dauomini di colore.– Ammiro la vostra prudenza, signore – disse l'arabo. – Ionon avevo pensato a questo pericolo. Rimanete qui e attendeteci,o meglio recatevi alla porta <strong>del</strong> mezzodì.– Io! – esclamò il marchese.– Questo francese vale cinquanta Tuareg – disse Esther. –Tu non l'hai ancora veduto combattere.– So che gli uomini d'Europa sono coraggiosi – risposel'arabo.– E mio fratello ha ucciso molti nemici <strong>del</strong> deserto –continuò Esther.– Signore – disse il vecchio Samuele. – Venite a casa mia:vi darò nuove vesti e vi tingerò la faccia e le mani in modo dasembrare un magnifico Bambarra.– Ed io un Tuareg – disse Ben, ridendo.– Affrettiamoci – disse l'arabo. – Dobbiamo trovarci sullapiazza <strong>del</strong> Mercato prima che la folla l'abbia invasa.Uscirono dalla parte <strong>del</strong> giardino e, attraversate <strong>del</strong>leortaglie incolte, dopo un quarto d'ora giungevano alla casa <strong>del</strong>vecchio ebreo. La trasformazione di Ben e <strong>del</strong> marchese fucompiuta in meno di mezz'ora.Avendo l'ebreo vestiti in quantità, gli riuscì facile trovaredue costumi che s'adattavano a meraviglia all'isolano e all'ebreo.Con una tintura dipinse poi i loro volti e le loro mani, in mododa rendere l'illusione perfetta.– Un superbo capo Bambarra – disse Esther, guardando il304


marchese.– Ed un magnifico Tuareg – disse questi volgendosi versoBen il quale stava passandosi fra la larga fascia rossa unformidabile yatagan a doppio taglio.– Siete irriconoscibili – disse il capo arabo. – Potetepassare dinanzi ai kissuri senza alcun pericolo.Si gettarono ad armacollo i fucili, accettarono dall'ebreo<strong>del</strong>le rivoltelle e degli yatagan, poi uscirono in gruppo. Esther,che si era messa sul capo un enorme turbante che le coprivaanche buona parte <strong>del</strong> volto, si era bene avvolta nell'ampio caic,onde nessuno potesse riconoscere in lei una donna. Le viecominciavano ad affollarsi. La notizia <strong>del</strong>l'imminente suppliziod'un kafir si era già sparsa per la città e la popolazione, avida disanguinari spettacoli, si riversava in massa verso la piazza <strong>del</strong>Mercato. Quando il drappello vi giunse, più di mille personeavevano occupati i baracconi e altre sboccavano da tutte le vieschiamazzando. Nel mezzo era già stato eretto una specie dipalco, alto parecchi metri e guardato da due dozzine di kissuriarmati di lance e di yatagan.Numerosi Tuareg, e molti arabi, armati come se andasseroalla guerra, si erano accalcati attorno al palco, respingendobrutalmente la folla che cercava di tagliare le loro file perscegliersi i posti migliori.– I nostri uomini – disse il capo arabo, volgendosi verso ilmarchese – sono più numerosi di quanto credevo.– E anche bene armati – rispose il marchese. – Nondesteranno qualche sospetto?– Nessuno, signore, perché tutti conoscono il fanatismo deiTuareg ed il loro odio verso i kafir.– Fanatismo molto discutibile.– L'oro soffoca tutto per quei predoni – rispose l'arabo. – Epoi, uditeli!...305


I Tuareg urlavano a piena gola, agitando ferocemente learmi.– A morte il kafir! Portatelo qui che lo vediamo morire!Fate presto! Dio è grande!– Che bricconi! – esclamò il marchese.– Venite, ci porremo dinanzi a tutti.Vedendolo, le file degli arabi e dei Tuareg si erano subitoaperte, sicché il drappello poté giungere presto presso il palco. Icapì predoni, quattro o cinque figure di briganti, con lunghebarbe arruffate, si erano accostati all'arabo, salutandolo.– Siete pronti? – chiese questi.– I nostri uomini sono impazienti di menare le mani –rispose uno dei capi. – Abbiamo sparsa la voce che l'uomo che sista per giustiziare non è un kafir bensì un inviato <strong>del</strong> Sultano deiturchi. Sono qui i due che sono fuggiti?– Sì – rispose l'arabo.– Sapete che i kissuri ed il vizir sono furibondi?– Me lo immagino.– Come sono, scappati?– Non darti pensiero di ciò.– E ci pagheranno egualmente i ventimila talleri, ora che ven'è uno solo da salvare?– Sono stati depositati presso il vecchio Samuele e questasera tu e gli altri capi andrete ad incassarli.– Non c'ingannerà l'ebreo?– Io rispondo di lui.– Allora i kissuri avranno a che fare con noi – disse ilTuareg, con accento feroce.– E poi non avrai dei fastidi?– I nostri cammelli ed i mahari sono già radunati e, fatto ilcolpo, tutti noi torneremo nel deserto; che i kissuri ci inseguanose ne hanno il coraggio.306


In quel momento un colpo di cannone rimbombò indirezione <strong>del</strong>la Kasbah.– Il prigioniero è uscito dal palazzo – disse l'arabo a Esther.Un vivo fermento s'era manifestato fra la folla, diventataormai enorme. Tutti si erano precipitati fuori dalle tettoie peraccalcarsi intorno al palco, ma gli arabi ed i Tuareg avevanostrette le loro file, mentre due centinaia di negri, con un rapidomovimento, avevano coperte le spalle dei futuri combattenti.– Siamo in buon numero – disse il marchese, il quale avevanotata la comparsa dei negri. – Questo arabo ha fatto le cose perbene.In lontananza si udivano a squillare dei corni e a rullare deinoggara. Il corteo si avvicinava respingendo la folla cheingombrava le vie, costringendola a riversarsi sulla piazza. Diquando in quando si udivano a echeggiare urla feroci.– A morte il kafir!– Decapitatelo!– Abbruciatelo!– A morte l'assassino!Il corteo sbucò finalmente sulla piazza, spazzando colleaste <strong>del</strong>le lance i negri, i Fellata ed i carovanieri che avevanooccupati tutti gli angoli <strong>del</strong>le vie. Si componeva di venti kissuria cavallo, armati di lance e di yatagan e di quaranta a piediarmati di moschetti. Dinanzi marciavano quattro negri chesuonavano dei lunghi corni e quattro Fellata i qualipercuotevano furiosamente dei tamburoni di legno vuoto copertida pelli di cammello. In mezzo, colle braccia legate, si vedevaRocco. Il sardo pareva tranquillissimo, nondimeno girava glisguardi da tutte le parti colla speranza di scorgere il marchese edi suoi compagni. Certo contava su qualche straordinarioavvenimento per sfuggire a sua volta ai kissuri.– Siete pronti? – chiese l'arabo ai capi Tuareg che gli307


stavano presso.– Sì – risposero i predoni.– Ai vostri posti. Quando io scaricherò in aria la miapistola, date addosso alla scorta. Io m'incarico d'immobilizzare ikissuri che circondano il palco.Poi si volse verso Ben ed al marchese.– Appena aperto il passo, fuggite – disse loro. – Noiproteggeremo la vostra ritirata ed il prigioniero.Il marchese impugnò colla destra l'yatagan e colla sinistrala rivoltella. Ben lo aveva subito imitato. I Tuareg, per meglioingannare i kissuri, si erano messi a urlare ferocemente.– A morte il kafir! Vogliamo la sua testa!...La scorta era allora giunta a poche decine di passi dal palcoed aveva cominciato a respingere i Tuareg e gli arabi, i quali nonaprivano le loro file che con molta lentezza. Ad un tratto unavoce tuonante coprì le urla di morte <strong>del</strong>la folla.– Rocco!Era stato il marchese.Udendo quel grido il sardo aveva alzata la testa ed essendopiù alto dei suoi guardiani, aveva gettato un rapido sguardo sullafolla. Nel medesimo istante echeggiava un colpo di pistola.L'arabo aveva dato il segnale. Ad un tratto le urla di morte deiTuareg si cangiarono.– Addosso ai kissuri!... Liberiamo il santone <strong>del</strong> Sultanodei turchi!...I Tuareg si slanciano addosso ai cavalieri coll'yatagan inmano e sventrano gli animali i quali cadono sparando calci intutte le direzioni e mandando nitriti di dolore. I kissuri che limontano, in un baleno sono tutti a terra, coi piedi imbrogliati frale staffe, nell'impossibilità, almeno pel momento, di reagire e disottrarsi ai calci degli animali. I loro compagni però, quantunquesorpresi dalla rapidità di quell'assalto assolutamente inaspettato308


da parte di quei fanatici, che un istante prima reclamano la testa<strong>del</strong> prigioniero, abbassano i moschetti e stringono le file. Unaterribile scarica rimbomba e getta al suolo parecchi assalitoricolla testa fracassata. Quella resistenza sconcerta per unmomento i predoni, ma gli arabi accorrono da tutte le parti,facendo fuoco colle pistole, mentre i negri si rovesciano sullafolla spargendo un panico enorme. Mori, Fellata, rivieraschi <strong>del</strong>Niger, carovanieri, spaventati da quegli spari e udendo sibilarein aria i proiettili, si precipitano confusamente verso gli sbocchi<strong>del</strong>la piazza urlando, urtandosi, atterrando e calpestandosi. Lapaura ha invaso tutti. Gli arabi ed i Tuareg si sono intantoscagliati addosso alla scorta e sopra i kissuri che guardano ilpalco. Il marchese e Ben, in prima fila, bruciano le cartucce<strong>del</strong>le loro rivoltelle, poi caricano cogli yatagan, spalleggiati daEsther la quale fa fuoco colla sua piccola carabina americana edal capo arabo che tira colpi di scimitarra all'impazzata. Rocco,comprendendo che si cerca di salvarlo, non è rimasto inattivo.Con uno sforzo supremo spezza i legami, afferra pei piedi unkissuro che gli è seduto dinanzi, lo solleva come fosse unfanciullo e con un terribile molinello abbatte intorno a sé quantiuomini lo circondano. Il vigore muscolare <strong>del</strong>l'isolano produceun effetto disastroso sui guerrieri <strong>del</strong> Sultano. Vedendosi assalitianche alle spalle da quell'uomo che sviluppa una forza cosìimmensa e che maneggia un uomo come se fosse un semplicebastone, cominciano a sbandarsi.– Avanti! – grida il marchese. – Rocco è nostro.Vedendosi dinanzi il capo <strong>del</strong>la scorta, con un colpod'yatagan lo rovescia al suolo moribondo, poi respingendo glialtri, balza verso Rocco.– Vieni! – grida.Il gigante lascia cadere il kissuro, raccoglie un moschetto,lo afferra per la canna e con pochi colpi si fa largo.309


– Date il passo! – grida l'arabo.Le file dei Tuareg e degli arabi si aprono. Il marchese, Ben,Rocco ed Esther, preceduti dal capo, attraversano correndo lapiazza e fuggono, mentre la battaglia continua più aspra chemai, ma colla peggio per le guardie <strong>del</strong> Sultano. Le vie eranoingombre di fuggiaschi; nessuno quindi aveva fatto attenzione aloro. D'altronde il marchese aveva gettato sulle spalle di Roccoil suo caic e Ben gli aveva dato il suo turbante onde nonpotessero riconoscerlo. Attraversarono sempre correndo quattroo cinque vie, seguendo i fuggiaschi, e giunsero ai bastionimeridionali <strong>del</strong>la città. In lontananza si udivano ancora le urladei combattenti, colpi di fucile e verso la Kasbah tuonava ilcannone.– Ecco i mahari – disse l'arabo. – Presto, salite e fuggitesenza perder un solo istante.– E voi? – chiese il marchese.– Vado a radunare i miei uomini.– Grazie, amico.– Che Allah vi guardi – rispose l'arabo. – Io ho mantenutola mia promessa.Strinse le mani a Esther, al marchese, a Ben ed a Rocco,poi si allontanò di corsa.– In sella! – gridò il marchese. – Il Niger sta laggiù.I due schiavi di Samuele avevano condotto i mahari,quattro splendidi animali che dovevano correre come il vento.– In meno di un'ora noi saremo a Kabra – disse Ben,regalando una manata di talleri ai due negri. – Ci siamo tutti?– Tutti – rispose il marchese.– Presto, signore – disse uno dei due schiavi. – Vedo unanuvola di polvere levarsi verso la porta d'oriente. Vi sono deicavalieri laggiù!...– I kissuri forse? – chiese il marchese, impallidendo. – Che310


si siano accorti <strong>del</strong>l'inganno?– I mahari corrono più dei cavalli e giungerete a Kabraprima dei kissuri. Via!...I quattro mahari si slanciarono a corsa sfrenata in direzione<strong>del</strong> Niger, le cui acque, percosse dai raggi perpendicolari <strong>del</strong>sole, scintillavano all'orizzonte come oro fuso.311


A KABRAIl Niger, la cui esistenza fino a cent'anni or sono era quasistata messa in dubbio e le cui sorgenti non furono note che negliultimi cinquant'anni, è uno dei più grandi fiumi <strong>del</strong> continenteafricano. Se non può gareggiare col Nilo, certo può stare afronte, pel volume <strong>del</strong>le sue acque e per la sua lunghezza, alloZambese ed al Congo.Questo giovane <strong>del</strong>l'Africa occidentale nasce sui pendìisettentrionali dei monti Kong, ma più precisamente sui montiLorna, all'est <strong>del</strong>la Sierra Leone, al 23° di latitudine Nord ed al45° di longitudine Ovest, e descrivendo un immenso arco va agettarsi nel golfo di Guinea per tre bocche ben distinte: il Nuovoe Vecchio Calabar ed il Nun. Dove nasce non ha che due solipiedi di larghezza, a malapena la mole d'un torrentello, ma dipasso in passo che se ne allontana, aumenta considerevolmente erapidamente, raccogliendo le acque di numerosi affluenti chebagnano gli stati di Bammacin, di Jannina, di Sego, di Jenne,fino a raggiungere una larghezza che varia fra i quattro ed i seichilometri. Ha una profondità che supera sovente i dodici metri.Scorre dapprima sotto al nome di Timbiè, poi sotto quelloBana e Joliba, ossia di grosso fiume; sotto Tombuctu vienechiamato Bara Isse, poi finalmente Quarra. Questa immensaarteria che bagna le regioni più ricche <strong>del</strong>l'Africa occidentale eche spinge le sue acque fino al deserto di Sahara, come fu detto,non venne conosciuta che nel secolo scorso.Si sapeva che un grande fiume doveva bagnare quella parte<strong>del</strong> continente nero. Erodoto ne era stato già informato dai Grecidi Cirene ma era stato scambiato per un affluente <strong>del</strong> Nilo. Gli312


scienziati moderni avevano invece supposto che scaricasse lesue acque sul lago Tschad.Non fu che nel 1795 che si ebbero notizie positivesull'esistenza e sull'importanza <strong>del</strong> Niger.Mungo Park, un valoroso scozzese, fu il primo adaccertarsene.Partito con pochissime persone e con scarsi mezzi, arriva,dopo fatiche enormi nel Bambarra e saluta pel primo il fiumegigante.Lo rivede nel 1797 assieme al cognato Anderson Scott, male malattie decimano la sua scorta, la sua scialuppa naufraga edil disgraziato scopritore ed i suoi compagni vengonobarbaramente assassinati dai negri.Nel 1822 un altro inglese, il maggiore Laing, ritental'esplorazione, raggiungendo i monti Kong, dove si trovano lesorgenti <strong>del</strong> fiume.Ritornato cinque anni dopo, viene preso dalla tribù degliOland-Sciman e rifiutandosi di abbracciare la religionemussulmana, subisce la strangolazione.Renato Caillé, un francese, più fortunato degli altri, partealla ricerca <strong>del</strong> Niger, solo, senza mezzi, senza aiuti, masostenuto da un coraggio straordinario. Attraversa il Sahara,penetra pel primo in Tombuctu, fingendosi un mussulmano, dal1827 al 1828 esplora il Niger e ritorna in patria riattraversando ildeserto e guadagnando le 10.000 lire promesse dalla Societàgeografica di Parigi.Nel 1829 il capitano Clipperton, incoraggiato dai successidi Caillé rimonta il Niger, attraversa il Benin dove viene fattoprigioniero dai negri di Sacheatan e muore fra le braccia diSander, un compagno devoto.Suo fratello Riccardo, guidato da un servo che aveva presoparte alla prima spedizione, nel 1831 risale a sua volta il Niger,313


e colpito da una palla sparatagli contro da un negro sconosciuto,muore quasi alla foce <strong>del</strong> fiume.Anche il Niger al pari <strong>del</strong> Nilo, <strong>del</strong> Congo e <strong>del</strong>lo Zambeseaveva avute le sue vittime.***I quattro mahari, incessantemente aizzati dai loro cavalieri,divoravano la via, con lena crescente, col collo teso come struzziin corsa, le nari dilatate, gli occhi animati. Pareva avesserocompreso che la salvezza dei loro cavalieri dipendeva dalle lorogambe e si slanciavano innanzi con furia incredibile, sollevandoturbini di polvere che li avvolgeva tutti. Il marchese che eral'ultimo, si voltava di frequente per vedere se i cavalieri cheerano usciti dalla porta orientale di Tombuctu, guadagnavanovia. Era ormai certo che lo inseguivano, perché avevano presoanche essi la direzione di Kabra. Erano una ventina per lo menoe bene montati, e non rimanevano molto indietro, quantunque imahari corressero come il vento.– Che qualcuno ci abbia traditi? – pensava. – O chequalche kissuro di guardia sui bastioni abbia riconosciuto Roccoe abbia dato l'allarme? Fortunatamente abbiamo un paio dichilometri di vantaggio e giungeremo a Kabra molto prima diloro. Se la scialuppa è pronta, siamo salvi.Con una strappata spinse il suo mahari verso quello di Ben.– Dunque, c'inseguono marchese? – chiese l'ebreo.– L'hanno con noi – rispose il signor di Sartena. – Avevoprima creduto che eseguissero qualche manovra; ora sonoconvinto che ci danno la caccia.– La cosa è grave, marchese. Quei kissuri possono darcimolto fastidio.– Appena imbarcati attraverseremo il fiume e ci metteremo314


in salvo a Koromeh.– Le scialuppe non mancano a Kabra e quei kissuri cifaranno inseguire anche colà. No, bisogna andare più lontani,almeno fino a Ghergo. In quest'ultimo villaggio l'autorità <strong>del</strong>Sultano è quasi nulla. Udite ancora fucilate a Tombuctu?– No, Ben.– Allora la battaglia è finita.– I Tuareg saranno fuggiti per non trovarsi addosso tutte leguardie <strong>del</strong> Sultano. Non so però come se la caveranno gli arabi.– Il Sultano non oserà importunarli, essendo assai numerosie costituendo il nerbo <strong>del</strong>la popolazione.– Dobbiamo essere riconoscenti al loro capo.– Manderò a lui un regalo – disse Ben.– E da chi?– Volete imbarcare anche i beduini?– No, Ben – rispose il marchese. – Anzi contavo di regalarea loro i nostri cammelli come premio <strong>del</strong>la loro fe<strong>del</strong>tà. Nonprenderemo con noi che El-Haggar, il quale ormai ci è moltoaffezionato.– Sì – disse l'ebreo – e quando giungeremo nel Marocco locompenserò come si merita. Senza di lui, forse mia sorella sitroverebbe nell'harem <strong>del</strong> Sultano.– E non mi sarei giammai consolato d'una tale disgrazia –rispose il marchese, guardando Esther che cavalcava a fianco diRocco. – Ah!... Un colpo di cannone!... Che cosa puòsignificare?– Che sia qualche segnale? – chiese Ben, con apprensione.– Toh! Un altro ancora!– Vediamo – disse il marchese.Si alzò sulla sella e guardò verso il nord, in direzione diTombuctu.I kissuri continuavano a galoppare nella pianura sabbiosa315


seguendo sempre la via presa dai mahari. Avevano però perdutoun altro chilometro, non potendo i loro cavalli competere cogliagili corsieri <strong>del</strong> deserto.– Temo che questi colpi di cannone siano un segnale per leautorità di Kabra – disse il marchese, aggrottando la fronte.– Che c'impediscano d'imbarcarci? – disse Ben. –Marchese, non sono tranquillo.– E nemmeno io. Fra dieci minuti però saremo sulle rive<strong>del</strong> Niger e se quei negri vorranno arrestarci non risparmieremole cartucce. Ben, preparate il vostro fucile.– È carico.– Avanti!Kabra, che è il porto naturale di Tombuctu, non si trovavaormai che a qualche chilometro. Non è che una cittaduzza dipoche migliaia di abitanti, situata su un canale artificiale, ilquale non diventa navigabile che in certe epoche <strong>del</strong>l'anno, mache pure è <strong>del</strong>la massima importanza per Tombuctu,approdandovi numerose flottiglie provenienti da Mopti, daDjenne, da San, da Ghergo e anche da Bamba. È a Kabra che siaccumulano le mercanzie e soprattutto i viveri necessari perapprovvigionare Tombuctu, il cui territorio non produce che unpo' di tabacco. Ivi si trovano infatti enormi quantità di viveri,soprattutto riso, miglio, burro, montoni, thè e zucchero chevengono dai paesi meridionali: ed anche stoffe, filati,passamanerie, fucili a pietra, calicot e altre mercanzie cheprovengono dalla colonia francese <strong>del</strong> Senegal. Se il porto diKabra cessasse di venire frequentato, Tombuctu correrebbe ilpericolo di rimanere senza viveri e di vedere il suo immensocommercio arenarsi. Ed infatti nel 1885 i Tidiani, perrappresaglia, hanno affamato la Regina <strong>del</strong>le Sabbie senza averbisogno di armare i guerrieri e di sparare un solo colpo di fucile.Presso i terrapieni di Kabra si vedeva una certa animazione che316


destava molte apprensioni nell'animo <strong>del</strong> marchese. Dei gruppidi negri armati di lance apparivano, poi scomparivano pertornare poi a mostrarsi e dei cavalieri percorrevano la pianuradirigendosi verso i kissuri <strong>del</strong> Sultano. Quei colpi di cannonedovevano aver allarmato le autorità <strong>del</strong>la cittaduzza, le quali sierano certo affrettate a mandare dei corrieri verso Tombuctu.– Amici, – disse il marchese – carichiamo alla disperata ese quei negri cercano di chiuderci la via, passiamo al galopposui loro corpi. Rocco, mettiti presso di me; Esther dietro di noi evoi Ben, alla retroguardia. Non risparmiate le cartucce e al miocomando fate fuoco.I mahari in pochi minuti superarono l'ultimo tratto dipianura e giunsero addosso ad alcuni negri armati di vecchifucili a pietra e di lance che si erano collocati fra due terrapienisemidiroccati.Il comandante <strong>del</strong> drappello, un negro muscoloso, che sipavoneggiava in un caic rosso e che teneva in mano un lungobastone col pomo d'argento, si fece innanzi gridando:– Alt! Di qua non si passa!– Sgombra! – tuonò il marchese, alzando il fucile.– Senza ordine <strong>del</strong> Sultano non si passa!– Amici! Alla carica!I quattro mahari piombano in mezzo al drappello, il qualesi divide precipitosamente, salvandosi sui terrapieni. Il capo, chenon ha avuto il tempo di imitarli o che credeva che queglistranieri non osassero tanto, viene travolto fra le zampe deimahari e rimane in mezzo alla polvere <strong>del</strong>la via malconcio e colsuo fiammante caic a bran<strong>del</strong>li.– Avanti! – urla il marchese, minacciando i negri col fucile.I quattro mahari passano come un uragano fra i dueterrapieni e si slanciano fra le vie <strong>del</strong>la cittaduzza, dirigendosiverso il fiume. L'allarme però è stato dato e nuove bande di317


negri accorrono da tutte le parti per chiudere il passoagl'invasori. Un secondo drappello tenta di arrestare il marchesesulla piazza <strong>del</strong> Mercato. Si compone d'una trentina di negristraccioni, che indossano caic sbrin<strong>del</strong>lati e scoloriti, armati difucili quasi inservibili e di scimitarre arrugginite, dalla lamalarga e pesante.– Largo! – gridò il marchese, puntando il fucile.Urla assordanti s'alzano fra il gruppo e tre o quattromoschettoni lo prendono di mira. Rocco scaglia il suo maharifra l'orda e maneggiando il fucile sopra le teste degli assalitori,abbatte col calcio scimitarre e archibugi. Quell'ercole, chesembra deciso a fare una marmellata di tutti quei crani lanosi,spaventa i negri, i quali si affrettano a scappare gettando perfinole armi per correre più velocemente.– Vedo il fiume! – gridò Ben.– Ed io vedo El-Haggar – disse Esther. – Eccolo che cicorre incontro.Il moro sbucava allora da una viuzza. Era inseguito daalcuni brutti negri i quali gli urlavano dietro come botoliringhiosi. Essendo però armato di fucile, non avevano ilcoraggio di assalirlo.– Signore! – gridò, vedendo il marchese. – Accorrete!Stanno per saccheggiare la scialuppa!– Ci portano via le casse!– Stanno per sbarcarle.– Amici! Salviamo il tesoro! – grida il marchese.Fa fuoco contro i negri che inseguono il moro, spezzandouna gamba al più accanito, poi si slancia sulla viuzza, mentreRocco, Ben ed Esther scaricano le loro armi verso gli angoli<strong>del</strong>la piazza dove stanno radunandosi altri avversari. In pochiistanti il drappello, seguìto da El-Haggar, che correva comeun'antilope, percorre la viuzza e sbocca sulla riva <strong>del</strong> canale.318


Una zuffa si era già impegnata fra i due beduini ed i battellierida una parte e una banda di negri, proprio dinanzi alla scialuppala quale era stata ormeggiata presso la gettata. I selvaggi figli <strong>del</strong>deserto non risparmiavano le busse. Impugnati per la canna iloro lunghi moschetti, percuotevano furiosamente a destra ed amanca, mentre i due barcaiuoli arruolati dall'arabo, liappoggiavano distribuendo all'impazzata colpi di remo. I negriperò, dieci volte più numerosi, stavano per sopraffarli edavevano già cominciato a saccheggiare la scialuppa.Vedendo sopraggiungere quei quattro cavalieri guidati dalmoro, i predoni esitano, poi abbandonano le casse e si salvano atutte gambe inseguiti dai beduini per un breve tratto.– A terra! – grida il marchese.Aiutato da Rocco, da Ben e da El-Haggar trasporta le cassenella scialuppa.– Presto, Esther – disse Ben.– Eccomi – rispose la giovane, balzando nella barca,mentre i due battellieri afferrano i remi.I beduini in quel momento ritornavano.– Dove sono i cammelli? – chiese il signor di Sartena.– Presso un nostro amico, signore – rispose uno dei due.– Sono vostri.– Signore! – esclamarono i beduini, non potendo credere atanta fortuna.– Sì, ad una condizione però.– Parlate, signore.– Che riconduciate ad un vecchio chiamato Samuele iquattro mahari. Fuggite, non lasciatevi sorprendere dai kissuriche c'inseguono.– Che Dio vi guardi, signore – dissero i beduini, balzandoverso i quattro cammelli corridori.– Al largo! – comandò il marchese.319


La scialuppa si scostò dalla riva e filò lungo il canale,mentre i negri, vedendo sfuggire la preda, accorrevano da tuttele parti urlando:– Fermatevi o facciamo fuoco! Ordine <strong>del</strong> Sultano!– Sì, prendeteci ora – disse il marchese caricando il fucile.– Il Sultano non ci avrà più mai.320


L'INSEGUIMENTOLa scialuppa, spinta da quattro remi, essendosi messi adarrancare anche Rocco ed El-Haggar, scendeva rapidamente ilcanale, poggiando verso l'opposta riva onde tenersi fuori diportata dai moschettoni dei nemici. Era una solida barca,costruita con tavole grossissime, che le palle dei pessimi fucilidei rivieraschi non potevano attraversare, lunga sette metri e conla prora assai rialzata e adorna d'un enorme cranio diippopotamo. Il marchese aveva fatto sdraiare Esther fra i forzierionde metterla al riparo dalle palle, poi si era collocato a proradinanzi ad una cassa di cartucce, aperta, mentre Ben si eramesso a poppa. I negri non avevano ancora osato fare fuoco.Erano in due o trecento ma pochissimi possedevano <strong>del</strong>le armida fuoco e poi il canale era così largo, da dubitare assai che leloro palle potessero giungere fino alla scialuppa. Si sfogavanointanto urlando e minacciando, senza però spaventare ifuggiaschi. L'arrivo dei kissuri decise i negri a tentare qualchecosa. Gli uomini <strong>del</strong> Sultano erano una ventina e tutti armati difucili meno antiquati di quelli dei negri. Vedendo la scialuppapassare a meno di quattrocento passi, si schierarono sulla gettatae senza nemmeno fare l'intimazione <strong>del</strong>la resa, aprirono unviolentissimo fuoco.– Lasciate i remi e nascondetevi dietro il bordo! – gridò ilmarchese, udendo sibilare in aria alcuni proiettili. – La correnteci trascinerà egualmente.– Se prendessimo terra sulla riva opposta? – chiese Ben.– Non fidatevi – disse El-Haggar. – Vi sono anche là degliabitanti e udendo questi spari non tarderebbero ad accorrere.321


– Allora proviamo a calmare quei dannati – rispose ilmarchese. – Badate alle vostre teste! Grandina!Le palle cominciavano a fioccare, se non quelle dei negri,pessimi tiratori, almeno quelle dei kissuri. L'acqua rimbalzavaattorno alla scialuppa e si udiva anche il piombo a cacciarsi, consordo rumore, nelle grosse tavole <strong>del</strong> bordo. Il marchese, Ben eRocco approfittando d'un momento di sosta, puntarono i fucili efecero una scarica in mezzo ai kissuri, gettandone a terra due.Un altro, che si teneva ritto sulla riva, cadde nel fiume, colpitoda una palla mandatagli da El-Haggar. Spaventati dallaprecisione di quei tiri, i negri si affrettarono a nascondersi dietrole capanne che si prolungavano lungo la riva. I kissuri però, piùcoraggiosi e più risoluti a prendere i fuggiaschi o almeno ametterli fuori di combattimento, si sparpagliarono dietro glialberi, continuando il fuoco. Le loro palle non giungevano quasipiù fino alla scialuppa, perché la corrente trascinava i fuggiaschicon notevole velocità.– Fra qualche minuto potrete riprendere i remi – disse ilmarchese a Rocco ed a El-Haggar.– Non illudetevi signore – disse il moro. – I kissuri non cilasceranno tranquilli e andranno ad attenderci allo sbocco <strong>del</strong>canale. I negri hanno già dato l'allarme per attirare su di noil'attenzione di tutti i rivieraschi. Non udite i tamburi a battere?– Li odo perfettamente.– Anche a Koromeh odo rullare i noggara.– È un grosso villaggio?– No, signore ma si trova sulla riva destra e verremo presifra due fuochi. Avremo i kissuri da una parte e gli abitanti diKoromeh dall'altra.– Per centomila diavoli! – esclamò il marchese, diventandoassai preoccupato. – Che questi dannati negri riescano aprenderci? Cosa ci consigliano di fare i due barcaiuoli?322


– Di nasconderci fra i canneti e di aspettare la notte.– Prima di giungere a Koromeh?– Sì, marchese.– Troveremo un luogo deserto?– I barcaiuoli me lo hanno detto.– Andiamoci.Il fuoco dei kissuri da qualche minuto era cessato e la barcaaveva raddoppiata la sua corsa sotto i colpi di remo di Rocco,<strong>del</strong> moro e dei due negri. La città ormai era stata oltrepassata esulla riva non si scorgeva più alcuna abitazione. Si vedevanoinvece alberi bellissimi, d'aspetto imponente; cedri, ebani acajù,platanieri, cotonieri e sicomori giganteschi dal cupo fogliame.Negri e kissuri erano scomparsi, tuttavia nessuno si sentivarassicurato. Quei bricconi dovevano essersi cacciati nelleboscaglie per sorprendere più tardi i fuggiaschi e fucilarli inqualche punto più stretto <strong>del</strong> canale o <strong>del</strong> fiume. La scialuppa siteneva verso la riva opposta e raddoppiava la velocità. Però ilmarchese, Ben ed Esther si tenevano in guardia e sorvegliavanoattentamente il margine <strong>del</strong>la foresta, temendo ad ogni istanteuna sorpresa. Intanto in lontananza, ad intervalli, si udivanosempre a rullare fragorosamente i noggara ed echeggiare leconche da guerra.Dopo d'aver percorso circa tre miglia, la scialuppa si trovòquasi improvvisamente dinanzi ad un fiume immenso, dalleacque torbide, che correvano verso l'est.– Il Niger? – chiese il marchese.– Sì, signore – rispose El-Haggar. – Il canale di Kabra èterminato.– Ed i kissuri?– Non so dove siano andati. Temevo che ci aspettasseroqui.– Che abbiano rinunciato a inseguirci?323


– Lo vedremo più tardi, signore.– Tu dunque non ci credi?– Ho i miei dubbi.– Dove andiamo?– Verso la riva sinistra; sulla destra abbiamo Koromeh.– Non siamo ancora troppo vicini a Kabra?– Vi ho detto che ci nasconderemo.– Avanti dunque – concluse il marchese.Il Niger, quantunque prima di Kabra divida la sua correnteformando due bracci ben distinti, era ricchissimo d'acqua e lasua larghezza sorpassava, in quel luogo, i tre chilometri.Scorreva lento come il Nilo, fra due rive assai basse e moltoboscose, trascinando un gran numero d'isolette galleggianti e ditronchi enormi, i quali si urtavano rumorosamente, orasommergendosi ed ora tornando bruscamente a galla. Le sueacque torbidissime, forse in causa di qualche recenteacquazzone, formavano qua e là dei larghi gorghi, tuttavia nientepericolosi per la scialuppa. Nessuna barca in quel momento loattraversava e nessun villaggio si scorgeva sulle sue rive.Abbondavano invece gli uccelli acquatici, specialmente inmezzo ai canneti che crescevano numerosissimi lungo le spondee sugli isolotti. Si vedevano stormi immensi di pellicani, difenicotteri, di gru, di ibis bianche e nere e di tantali, mentre sulleisole galleggianti passeggiavano gravemente dei balaenicepsrex, stravaganti uccellacci, alti più d'un metro, rassomiglianti unpo' ai marabù <strong>del</strong>l'India, con gambe lunghe e la testa grossafornita d'un becco mostruoso, assolutamente sproporzionato alcorpo. I due battellieri negri osservarono attentamente la rivasinistra <strong>del</strong> fiume, ascoltarono per qualche minuto, poi, nonudendo più a rullare i tamburi, spinsero la scialuppa da quellaparte, tagliando vigorosamente la corrente. Un quarto d'oradopo, attraversato un banco coperto di canne, spingevano324


l'imbarcazione entro una piccola cala circondata da enormialberi, i quali proiettavano un'ombra così fitta da intercettarecompletamente i raggi <strong>del</strong> sole.– Dalla luce accecante siamo piombati quasi fra le tenebre– disse Rocco, deponendo il remo e tergendosi il sudore chegl'inondava il viso. – Ci fosse almeno un po' di frescura sottoqueste piante! Pare invece di essere entrati in una serra calda.– Udite nulla voi? – chiese il marchese.– No – risposero tutti.– Tuttavia non mi fido e proporrei di fare un giro sotto lepiante. Vi pare, Ben?– Sono pronto a seguirvi, marchese.– Ah! Diavolo! – esclamò in quel momento Rocco, il qualestava rimuovendo le casse. – Ohe, El-Haggar, vi sietedimenticato dei nostri ventricoli.– Non vi comprendo – disse il moro, con sorpresa.– Ed i viveri? Non vedo nulla che possa surrogare il nostrobiscotto.– Sono stati rubati dai negri! – esclamò il moro. – Avevofatto imbarcare <strong>del</strong> pesce secco, <strong>del</strong>le frutta e <strong>del</strong>la manioca.– Non vi sono che le casse ferrate e una di cartucce.– Non inquietarti per la colazione, mio bravo Rocco – disseil marchese. – Le rive <strong>del</strong> Niger abbondano di selvaggina.– È da ieri che io non mangio, signore. Quei bricconi dicarcerieri si erano dimenticati di me.– Un uomo che doveva morire non ne aveva bisogno –rispose il marchese, ridendo.– Ma sono ancora vivo.– Allora venite a guadagnarvi la colazione – disse Ben.– Ed io? – chiese Esther.– Non esponetevi – rispose il marchese. – Forse fra questepiante vi sono dei negri imboscati e le palle non sempre vanno325


perdute.– Sì, rimani sorella – disse Ben. – Quando ci saremoaccertati che non v'è alcun pericolo, potrai sbarcare.Il marchese, l'ebreo ed il sardo, presi i fucili, balzarono frale piante, facendo fuggire uno stormo di pappagalli cheschiamazzava sulla cima di alcuni cespugli. La forestacominciava lì, una vera foresta africana in tutto il suo piùesuberante splendore. Tutte le ricchezze <strong>del</strong>la flora tropicalepareva che si fossero riunite intorno a quel piccolo seno. Ecco igiganteschi sicomori, gli splendidi banani dalle foglie immense,gli enormi manzanillieri, i cui fiori rossi spiccano superbamentefra il verde cupo <strong>del</strong>le foglie; i palmizi nani ed i datteri spinosi ele acacie fistulose, cinte da convolvoli arrampicanti il cui foltofogliame s'intreccia in pergolati naturali; ecco le bauninie, lepalme <strong>del</strong>eb, le dûm, ed ecco gli enormi baobab, i re deivegetali, che da soli bastano a formare una piccola foresta ed icui tronchi sono così enormi che venti e anche trenta uomini nonsarebbero sufficienti per abbracciarli. Da tutte le parti fuggononubi di volatili dalle penne variopinte, pappagalli verdi, gialli erossi; sciami di tordi dalle penne azzurre, di sberegrig (merops)colle piume d'un verde azzurro sotto il ventre, più fosche sopra epiù chiare presso la coda, di leggiadre ortygometre, di anastomie di pivieri bellissimi. Sulle cime dei più alti alberi invece,numerose scimmie si divertono a fare una ginnasticaindiavolata, balzando come palle di gomma e urlando a pienagola. Sono dei cercopiteco verdi, non più alti di mezzo metro,col pelame verdognolo ed i musi adorni di barbe bianche chedanno a quei quadrumani un aspetto comicissimo.– Non sarà difficile a procurarci una <strong>del</strong>iziosa colazione –disse Rocco, il quale aveva adocchiata una splendida ottarda chepasseggiava gravemente in mezzo alle enormi radici deivegetali.326


– Ma non ora – rispose il marchese. – Voglio primaassicurarmi se questa boscaglia sia deserta. I negri non sonosciocchi e avranno notato la nostra direzione.– Eppure non odo più i tamburi a rullare per le campagne.– È appunto questo silenzio che non mi rassicura, mio caroRocco.– Che i kissuri abbiano seguìta la riva <strong>del</strong> fiume?– Avevano dei buoni cavalli e non ci avranno perduti divista.– Che ostinati!– Le nostre teste saranno state messe a buon prezzo – disseBen.– E noi ci prenderemo quelle dei kissuri e le manderemo alSultano – rispose Rocco.– In pacco raccomandato? – chiese il marchese, ridendo.– Già, mi dimenticavo che i negri non conoscono il serviziopostale. Che barbari! – disse il sardo, con disprezzo.Pur chiacchierando, s'inoltravano cautamente sotto queglialberi i quali diventavano sempre più folti, rendendo la marciamolto difficile. Migliaia di piante parassite avvolgevano itronchi, salivano fino ai più alti rami poi ricadevano in festoniincrociandosi in mille guise, mentre le radici, non trovandoterreno sufficiente, sorgevano dovunque, serpeggiando pel suolocome mostruosi rettili. Già non distavano che due o trecentometri, quando improvvisamente udirono alcune scariche, cheprovenivano dalla parte <strong>del</strong> bacino, seguìte da urla orribili. Ilmarchese si era fatto pallidissimo.– Chi fa fuoco?– Alla scialuppa! – gridò Rocco, slanciandosi innanzi. –Odo la voce di El-Haggar!Infatti si udiva il moro urlare:– Aiuto! Rapiscono la signora Esther!327


Il marchese ed i suoi compagni si erano lanciati fra lepiante, correndo disperatamente. I colpi di fucile erano cessati,ma si udiva in lontananza il moro gridare sempre.– Aiuto! La portano via!In dieci secondi il marchese giunse presso la scialuppa.Non vi erano che i due battellieri rannicchiati sotto i banchi etremanti ancora di spavento. Un grido di disperazione proruppedalle labbra <strong>del</strong> signore di Sartena:– Esther! Esther! L'hanno rapita! El-Haggar!La voce <strong>del</strong> moro rispose subito.– Qui, signore! Fuggono!Poi seguì un colpo di fucile sparato probabilmente da lui.I tre amici, guidati da quel lampo, si erano ricacciati nellaforesta, gridando:– Veniamo, El-Haggar! Tieni fermo!Trovarono il moro a trecento passi dalla riva, presso iltronco d'un baobab, in preda ad un vero accesso di disperazione.– I miserabili! L'hanno portata via e sono scomparsi! Ah!Povera signorina Esther!Il marchese, che era fuori di sé, lo afferrò per un braccioscuotendolo ruvidamente.– Dimmi... parla... chi è stato a portarla via?– Dei negri, signore – singhiozzò il moro.– Molti?– Erano in venti per lo meno.– Sei certo che non erano kissuri? – chiese Ben, chepiangeva come un fanciullo.– No, signore, erano dei negri. Ci sono piombati addossoimprovvisamente, hanno preso la signorina Esther, che era scesaa terra per venirvi incontro e l'hanno portata via. Io non hopotuto oppormi. Ho fatto fuoco due volte, ne ho uccisi due; magli altri sono fuggiti senza abbandonare la signorina.328


– Inseguiamoli – disse Rocco. – Non devono essere lontani.– Sì, diamo addosso a quei bricconi prima che escano dallaboscaglia – gridò Ben.– Un momento – disse il marchese, che aveva riacquistatoil suo sangue freddo. – Che El-Haggar torni alla scialuppa e chevegli sui due battellieri. Vi è il vostro tesoro, Ben, e non dovetelasciarlo nelle mani di quei due negri.– Torno all'istante – rispose il moro.– E noi, – disse il marchese – in marcia! E guai ai rapitori!329


LA CACCIA AI RAPITORIUn momento dopo, il marchese ed i suoi due compagni sislanciavano attraverso la tenebrosa foresta, risoluti ad affrontareanche i kissuri se si fossero trovati sui loro passi. I rapitori nondovevano avere molto vantaggio. Non erano trascorsi nemmenodue minuti dalle prime scariche e la boscaglia non permetteva diavanzare molto velocemente, tanto più per degli uomini carichid'una persona. Il marchese s'avanzò a casaccio per cinque oseicento metri, aprendosi faticosamente il passaggio fra tuttequelle fronde e quelle radici, che intralciavano ad ogni istante lamarcia; poi si arrestò improvvisamente, dicendo:– I rapitori ci sono più vicini di quanto crediamo. Ho uditoun leggero fischio risuonare a poca distanza.– Anch'io – disse Rocco.– Che siano i rapitori, od altri? – chiese Ben,angosciosamente.– Spero che siano i negri che hanno rapito Esther – risposeil marchese. – Avanziamo con prudenza e cerchiamo disorprenderli.Si trovavano allora nella parte più folta <strong>del</strong>la foresta.Tronchi colossali, appena visibili in causa <strong>del</strong>laprofondissima oscurità, si rizzavano intorno a loro, mescolati adun numero infinito di piante arrampicanti, che cadevano informa di enormi festoni. I tre amici, dopo aver ascoltato qualcheistante ancora, colla speranza di udire qualche nuovo segnaleche meglio indicasse loro la direzione presa dai negri, sirimisero in cammino, smuovendo con precauzione le foglie e leliane, e gettandosi di quando in quando al suolo per passare330


attraverso le molteplici radici che si allungavano in tutte ledirezioni. Un sussurrìo lievissimo, che pareva prodotto dalloscrosciare di qualche foglia secca, li arrestò nuovamente. Quelrumore si era fatto udire vicinissimo.– Vi è qualcuno che cammina dinanzi a noi – disse ilmarchese agli orecchi di Ben.– E non è lontano più di otto o dieci passi – rispose l'ebreo.– Se potessimo sorprenderlo ed atterrarlo prima che abbia iltempo di gettare un grido!– Lasciate fare a me, marchese – disse Rocco, che avevaudito il loro dialogo. – Con un pugno lo accoppo.– Non ammazzarlo. Ci occorre vivo per sapere dove hannocondotto Esther. Mi immagino che ci sia qualche villaggio inquesti dintorni.– Lo accopperò solamente a metà – rispose il sardo. –Rimanete qui, voi, tenete il mio fucile che mi sarebbe più diimpaccio che di utilità ed aspettatemi. Se grido, accorrete.– Va', mio bravo Rocco – disse il marchese.Il sardo si sbarazzò <strong>del</strong> fucile, fece cenno ai compagni dinon muoversi e scomparve fra i cespugli, senza produrre alcunrumore. Lo scricchiolìo <strong>del</strong>le foglie si udiva sempre adintervalli. Il negro, che era forse uno dei rapitori, lasciatoindietro per proteggere la ritirata, sicuro di non aver nulla datemere, si avanzava senza prendere troppe precauzioni. Roccoche scivolava lestamente fra i tronchi degli alberi e fra le radici,tastando prima il suolo per non calpestare <strong>del</strong>le foglie secche,guadagnava rapidamente via. Il rumore diventava sempre piùdistinto. Ad un tratto però cessò bruscamente.– Che quel briccone si sia accorto di essere seguìto? – sichiese Rocco. – In tutti i casi non mi sfuggirai.Rasentò una macchia di piccoli banani, le cui foglie giàimmense proiettavano una ombra cupa, e giunto all'estremità,331


guardò a destra ed a sinistra. Essendovi in quel luogo unosquarcio nella vôlta di verzura, l'oscurità era meno fitta, e sipoteva scorgere senza fatica un uomo, fosse pure nero come ilcarbone, scivolare fra le piante. Con sua viva sorpresa, Roccoinvece non riuscì a vedere nulla.– Non sarà già scomparso sottoterra – mormorò. – Che siainvece nascosto fra queste macchie?Si era alzato in piedi, quando si sentì piombarsi addossouna massa pesantissima, e stringere il collo da due manipoderose. Un altro uomo sarebbe certamente caduto; ma nonl'erculeo isolano, il quale se aveva spalle solide, possedeva pure<strong>del</strong>le gambe che non si piegavano facilmente. Allungò le bracciaindietro e sentì il corpo nudo d'un uomo.– Ah! Credi di strangolarmi! – esclamò con voce strozzata.Si lasciò cadere pesantemente al suolo, in modo chel'avversario rimanesse sotto. Un ahu di dolore lo avvertì che ilnegro doveva aver trovato lo scherzo di pessimo gusto. Lastretta si era subito allentata. Rocco, con una mossa fulminea, sivolse, ed a sua volta afferrò il negro pel collo, stringendolo cosìviolentemente da fargli uscire tanto di lingua fuori <strong>del</strong>la bocca,poi, con un pugno ben applicato sul cranio lanoso e con forzamoderata per non farlo scoppiare, lo stordì.– Il piccino è mio! – disse.Il piccino! Si trattava d'un negro colossale invece, più alto<strong>del</strong> sardo, uno di quei splendidi campioni dei rivieraschi <strong>del</strong>Niger, che sono i più belli ed i più robusti negri <strong>del</strong> continenteafricano.Rocco, colla fascia di lana che portava ai fianchi, loimbavagliò, gli legò le mani dietro il dorso, poi se lo cacciò sullespalle e tornò verso il luogo ove aveva lasciato il marchese eBen.– Ecco fatto – disse, gettando a terra il prigioniero, come se332


fosse un sacco di stracci. – Come ben vedete l'impresa non èstata troppo difficile.– Non lo avrai accoppato <strong>del</strong> tutto almeno? – chiese ilmarchese.– Oh no! L'ho solamente guastato un po'. Ecco guardateche comincia a muovere le gambe. Hanno la vita dura questinegri.Il prigioniero, tornato in sé, faceva sforzi disperati perliberarsi dai legami e dal bavaglio che lo soffocava.Vedendo però un fucile puntato sul suo petto e sentendo ilfreddo <strong>del</strong>la canna, credette miglior cosa starsene cheto.– Parli l'arabo? – gli chiese il marchese.Il negro fece col capo un cenno affermativo.– Allora ti avverto che al primo grido che mandi, ti fucilocome un cane. Mi hai ben compreso? Rocco, levagli il bavaglio.Il sardo si affrettò ad obbedire. Il prigioniero respiròlungamente, indi guardò i tre uomini, roteando i suoi occhiaccinei quali si leggeva un profondo terrore.– Eri solo in questa boscaglia? – chiese il marchese.Il negro scosse la testa senza rispondere.– Parla – disse il signor di Sartena, appoggiando il dito sulgrilletto <strong>del</strong> fucile. – Se fra un minuto non avremo saputo tuttoquello che desideriamo, tu non tornerai più vivo al tuo villaggio.La tua vita è appesa ad un filo, e noi non siamo uomini daprendersi a gabbo. Eri solo?– Sì – rispose il negro.– Dove sono i tuoi compagni?– Quali?– Quelli che hanno rapito la donna.– Sono già lontani.– Molto.– Sì, perché correvano all'impazzata temendo di venire333


assaliti da voi.– Perché hanno rapito la donna?– Per paura dei kissuri e per guadagnare il premiopromesso dal Sultano di Tombuctu.– Dove sono i kissuri ora?– Non lo so. Erano giunti stamane al nostro villaggio peravvertirci <strong>del</strong> vostro passaggio, e minacciando di trucidarci tuttise non concorrevamo alla vostra cattura.– Perdinci! – esclamò Rocco. – Come preme al Sultano diriaverci nelle sue mani!– Dove si trova il tuo villaggio? – chiese il marchese alnegro.– A due miglia da qui.– È là che hanno portata la donna?– Sì.– Per consegnarla poi ai kissuri?– Certo.– Vuoi salvare la vita?– Ditemi che cosa devo fare.– Servici da guida fino al tuo villaggio. Ricordati però chese tu cerchi di tradirci io ti fucilerò. In marcia e dinanzi a noi!Tu, Rocco lo terrai per la fascia e non gli slegherai le mani.– Questo galantuomo non mi scapperà, siate sicuro.Il negro, comprendendo che ogni tentativo di resistenzasarebbe stato vano, e forse troppo contento di essere sfuggito aduna morte che riteneva certa, si era prontamente alzato, dicendo:– Seguitemi.– Potremo fidarci di quest'uomo? – chiese Ben al marchese.– Non è un kissuro e poi, quale interesse potrebbe avere atradirci? Se ha detto il vero, i negri <strong>del</strong> villaggio sono staticostretti ad agire contro di noi per salvare le loro famiglie.– Ci riconsegneranno Esther?334


– Se si rifiuteranno, gliela riprenderemo per forza. I negrihanno sempre temuto gli uomini di razza bianca.Il negro, sempre tenuto per la fascia da Rocco, procedevacon passo abbastanza rapido attraverso la foresta, tuttavia diquando in quando mostrava qualche titubanza e lo si vedevacurvarsi innanzi, come se cercasse di raccogliere qualchelontano rumore. Il marchese, che non lo perdeva di vista un soloistante, aveva notato quelle irresolutezze.– Che cos'hai? – gli chiese, avvicinandogli. – Tu non seitranquillo. Cerchi forse d'indovinare dove sono i tuoi compagniper attirarci in qualche imboscata?– No, signore.– Che cosa temi, dunque?– I kissuri.– Tanta paura hai di loro?– Chi disobbedisce al Sultano di Tombuctu, viene fattoschiavo e la sua casa distrutta. I kissuri non ischerzano.– Che siano già tornati al tuo villaggio?– Non lo saprei.– Dove si erano diretti stamane?– Verso levante. Andavano ad avvertire i capi degli altrivillaggi <strong>del</strong> vostro imminente arrivo, e di preparare barche ecanotti per impedirvi di scendere il fiume.– Che ci diano battaglia più tardi? – chiese Ben.– La accetteremo – rispose il marchese. – Per ora nonoccupiamoci che <strong>del</strong>la liberazione di Esther.Erano allora giunti presso il margine <strong>del</strong>la foresta. Dinanzia loro si estendeva una pianura pantanosa, interrotta da enormimazzi di canne.– Avete il piede solido? – chiese il negro.– Perché ci domandi ciò?– Saremo costretti ad attraversare questi terreni paludosi e335


non vi è che un sentiero strettissimo.– Sono pericolosi i pantani?– Chi vi cade dentro non tornerà più alla superficie.– Allora cammina innanzi.Il negro ebbe un'ultima esitazione, poi si decise. Vi era unpiccolo sentiero che tagliava la palude, formato, a quantopareva, dalla costa d'una roccia, ed era così stretto che amalapena vi si potevano posare i piedi.– Badate di non cadere – disse il marchese. – Vi sonosabbie mobili a destra ed a sinistra. Attento al negro tu, Rocco.– Non lo lascio, signore.Il prigioniero osservò prima i due lati <strong>del</strong> sentiero, poi vi siavventurò. Aveva fatti dieci o quindici passi, quando si volseverso Rocco che gli veniva dietro, dicendogli:– È impossibile che io possa avanzare se non mi scioglietele mani.– Devo scioglierlo, signore? – chiese il sardo al marchese.– Non può scapparci. Anche se lo tentasse, le nostre pallelo raggiungerebbero.Rocco tagliò il nodo.Il negro si strofinò le braccia per far riacquistare la loroelasticità, poi si avanzò con passo più sicuro sul sentiero e cosìrapidamente che Rocco ed i suoi compagni penavano a tenerglidietro. Percorsero un mezzo chilometro, giungendo in un luogoove, invece <strong>del</strong> pantano, si trovavano ai due lati <strong>del</strong> sentiero dueampi stagni ingombri di macchie di canne molto fitte e di erbeacquatiche.– Guardate dove posate i piedi! – gridò il negro.Mentre il marchese ed i suoi compagni, credendo che vifosse un passaggio pericolosissimo, guardavano il suolo, ilnegro, con un salto improvviso, balzò in acqua, scomparendo ailoro occhi. Rocco aveva mandato un grido ed una bestemmia.336


– Ce l'ha fatta quel brigante!Il marchese aveva armata precipitosamente la carabina, inattesa che il traditore rimontasse a galla per fargli scoppiare latesta. Anche Ben aveva preso il fucile e, per essere più sicuro <strong>del</strong>suo colpo, si era inginocchiato sullo stretto passaggio. Passaronoperò quindici, poi trenta secondi senza che il negro tornasse agalla. Era sprofondato nel fango <strong>del</strong> fondo o approfittando<strong>del</strong>l'oscurità e <strong>del</strong>la sorpresa degli uomini bianchi si era nascostofra i canneti?– Ebbene, Rocco? – chiese il marchese.– Alla malora tutti i negri <strong>del</strong>l'Africa! – rispose il sardo chesi torceva i pugni. – Sono tutti traditori.– È caduto o si è gettato in acqua? – chiese Ben cheessendo l'ultimo non aveva potuto vedere il salto <strong>del</strong> negro.– È fuggito – disse Rocco. – Io non l'ho veduto scivolare.Quel birbante ci ha condotti qui per farcela! E noi che gliavevamo sciolte le mani! Ora comprendo l'astuzia di quelbriccone!– Può essersi annegato – disse il marchese. – L'avremmoveduto tornare a galla.– Io sono certo <strong>del</strong> contrario – rispose Rocco. –Scommetterei che si trova a pochi passi da noi e che staascoltando i nostri discorsi. Ah! Se potessi almeno vedere unpezzetto <strong>del</strong>la sua testa!– Orsù – disse il marchese, dopo aver atteso qualcheminuto ancora. – È inutile rimanere qui e perdere <strong>del</strong> tempo cheper noi è troppo prezioso.– Dobbiamo tornare? – chiese Ben.Il marchese stava per rispondere, quando udì in lontananzaun gridìo, accompagnato da alcuni colpi di fucile; poi vide, allaestremità <strong>del</strong>la pianura pantanosa, brillare dei fuochi.– Mi pare che vi sia un villaggio laggiù – disse. – Che i337


negri abbiano condotta là, Esther? Che cosa ne dite, Ben?– Che preferirei andare innanzi, piuttosto che tornare –rispose l'ebreo.– Anch'io sono <strong>del</strong> vostro parere – disse Rocco. – Che quelmaledetto negro vada all'inferno! Provi però a capitarmi sotto leunghie che gli darò il conto suo.Le grida erano cessate; i fuochi invece continuavano adardere, lanciando in aria nuvoloni di fumo dai riflessi rossastri, enembi di scintille, che il venticello notturno spingeva fin soprala pianura pantanosa. Che un villaggio dovesse trovarsi in quelladirezione, non vi era alcun dubbio. Anzi, forse quelle gridasalutavano il ritorno dei rapitori.– Avanti! – disse il marchese con tono risoluto. – Il cuoremi dice che Esther è là.– Continuerà poi questo sentiero? – chiese Rocco cheormai diffidava di tutto.– Non disperiamo.Gettarono un ultimo sguardo verso i canneti per vedere seil negro si mostrava, poi ripresero le mosse, tastando prima ilsuolo pel timore di sentirselo improvvisamente mancare sotto ipiedi. Ogni dieci passi però Rocco, vendicativo come tutti i suoicompatrioti, si voltava indietro, maledicendo al traditore. Ilsentiero non accennava a cessare. Di quando in quando però,quella costa di roccia diventava così stretta che i tre uominierano obbligati a reggersi l'un l'altro per non cadere. Era veroche non vi erano più pantani pericolosi. A destra ed a sinistra idue stagni si prolungavano e pareva che fossero abitati daanimali acquatici. Infatti di quando in quando si udivano deitonfi e anche la coda d'un coccodrillo era stata scorta da Roccoche era sempre dinanzi a tutti gli altri.Una mezz'ora dopo videro il sentiero allargarsiimprovvisamente, poi si trovarono su di un terreno solido,338


cosparso di gruppi di banani, e di cespugli foltissimi.I fuochi si trovavano lontani soltanto qualche miglio, esullo sfondo illuminato si vedevano <strong>del</strong>inearsi certe cupole assaiaguzze, che dovevano essere tetti di capanne.– Il villaggio – disse Rocco. – Dobbiamo andare innanzi oattendere l'alba?– Domani potrebbe essere troppo tardi – rispose ilmarchese. – I kissuri non devono essere lontani, e potrebberogiungere prima che spunti il sole.– Sarà popolato quel villaggio? – chiese Ben. – Non siamoche in tre, marchese.– Ci avvicineremo con precauzione e non lo assaliremo senon quando ci saremo assicurati <strong>del</strong>la probabilità <strong>del</strong>la vittoria.– Silenzio, signore – disse, in quel momento Rocco.– Che cosa c'è ancora?– Ah! Per mille negracci!Rocco aveva fatto un salto innanzi, verso lo stagno.– Dove corri, Rocco? – chiese il marchese.– Eccolo! Fugge! A me, signore!Un'ombra era sorta fra le canne che coprivano la riva <strong>del</strong>lostagno e fuggiva disperatamente in direzione <strong>del</strong> villaggio.– Il nostro negro! – esclamò Ben.– Addosso, Rocco! – gridò il marchese mettendosi pure acorrere.L'ombra fuggiva con fantastica rapidità, saltando a destraed a manca per impedire che lo prendessero di mira.Rocco, risoluto ad impedirgli di giungere al villaggio ondenon spargesse l'allarme, aveva alzato il fucile.– Non sparare, Rocco! – gridò il marchese.Troppo tardi.Una detonazione aveva rotto il silenzio che regnava sullariva <strong>del</strong>lo stagno ed il negro, dopo d'aver spiccato tre o quattro339


salti, era caduto come un albero sradicato dall'uragano.– Ecco pagato il conto – aveva detto il vendicativo sardo. –Ora non tradirai più nessuno!340


LA LIBERAZIONE DI ESTHERAllo sparo, il cui rumore doveva essersi propagato fino alvillaggio distintamente, era tenuto dietro un breve silenzio; poiurla acutissime erano echeggiate in lontananza, mentre i fuochisi spegnevano bruscamente. Il marchese ed i suoi due compagni,immobili, ascoltavano ed aguzzavano gli occhi credendo diveder accorrere gli abitanti <strong>del</strong> villaggio, i quali dovevano esserestati allarmati da quel colpo di fucile.– Ho commesso una sciocchezza – disse Rocco.– Meno grossa di quello che tu credi – rispose il marchese.– Se quel negro fosse giunto al villaggio chissà se noi avremmopotuto salvare Esther.– E se i negri vengono?– Ci nasconderemo.– Avete ucciso poi veramente il negro che ci ha traditi? –chiese Ben. – Potrebbe essere un altro.– Vado ad assicurarmene – rispose Rocco.L'uomo era caduto cinquanta passi più innanzi, presso unbaobab che s'alzava isolato sulla vasta pianura. Il sardo chediffidava sempre, cacciò prima una nuova cartuccia nel fucile,poi si avanzò verso l'albero cercando cogli sguardi il cadavere.– Per Bacco! – esclamò un po' sorpreso. – L'erba non ètroppo alta qui e si dovrebbe già vedere. Che sia caduto dall'altraparte <strong>del</strong> tronco?Si spinse innanzi facendo il giro <strong>del</strong>l'enorme tronco, poitornò rapidamente verso i compagni cogli occhi strambuzzati.– Che fosse il diavolo costui! – esclamò con voce rotta.– Non è ancora morto? – chiese il marchese.341


– Non c'è più, signore!– Se l'ho veduto io cadere!– Eppure vi dico che il suo cadavere è scomparso!– Non l'avrà già divorato un leone senza che noi lovedessimo? – chiese Ben, con inquietudine.– Rocco, che tu l'abbia mancato?– A cinquanta passi! Voi sapete che io abbatto un uomoanche a cinquecento metri.– Questa sparizione ha <strong>del</strong> soprannaturale – disse Ben. –Cerchiamolo, se è stato solamente ferito non può essere andatomolto lontano.Si avviarono tutti e tre verso il baobab, girando e rigirandointorno al tronco e allargando sempre più le ricerche. Nulla! Ilnegro era veramente scomparso!– Possibile che l'abbia sbagliato! – borbottava Rocco chenon riusciva a convincersi, lui, valente e vecchio bersagliereitaliano, di aver mancato il suo uomo. – Che quel diavolo dinegro sia fuggito egualmente con una palla in corpo? Sarebbegrossa!Tuttavia, dopo d'aver battuti tutti i dintorni <strong>del</strong> baobab,dovettero convincersi che il negro non si trovava più là, né vivo,né morto.– Corriamo al villaggio prima che quel furfante vi giunga –disse il marchese. – Se riesce ad avvertire gli abitanti <strong>del</strong>villaggio <strong>del</strong>la nostra presenza, saremo noi i sorpresi.– Povera sorella! – sospirò Ben. – Se dovessimo perderla!...Mi si stringe il cuore ad una simile idea.– Tacete, Ben – disse il marchese con voce strozzata. – Nonscemate il mio coraggio con simili timori. No, vivaddio!Dovessi bruciare il villaggio e far saltare tutti gli abitanti, Esthernon cadrà nelle mani dei kissuri. Avanti, amici! Confidiamonella nostra buona stella e nella nostra audacia.342


Si erano messi a correre attraverso la pianura tenebrosa. Ifuochi, che poco prima erano stati spenti, illuminavanonuovamente il villaggio. Si capiva che i suoi abitanti nondovevano essersi troppo allarmati per quel colpo di fucile.Correvano da dieci minuti, quando Rocco, che da verobersagliere precedeva i compagni, urtò contro una massa chestava stesa al suolo e piombò innanzi facendo un capitombolo.– Per l'Argentaro e le Bocche di San Bonifacio! – esclamò,risollevandosi prontamente. – Ho calpestato qualche animale?L'idea che potesse essere un leone od un leopardo inagguato, gli agghiacciò il sangue.– Attenzione, signor marchese! – gridò retrocedendorapidamente e puntando il fucile.– Chi ti ha atterrato? – chiese il signor di Sartena,arrestandosi.– Non so... una bestia... badate!Una massa oscura giaceva fra le erbe, ma quantunque fossestata urtata dal sardo, conservava una immobilità assoluta.– Dunque, Rocco? – chiese il marchese che s'impazientiva.– Non si muove, signore.– Che cos'è infine?– Ora vedremo.Il sardo, tenendo il fucile imbracciato, per essere pronto afar fuoco, si avanzò cautamente fino a due passi da quellamassa, poi mandò un grido di trionfo.– Mi pareva impossibile d'averlo sbagliato a così brevedistanza! – esclamò.– Ma chi? – chiesero ad una voce Ben ed il marchese.– Chi?... Chi? Quel maledetto negro che ritroviamo ancoratra i piedi.– Ancora lui!– Ma è morto, ve l'assicuro!343


Rocco si era curvato su quella massa e l'aveva voltata perguardarla bene. Era proprio il negro che li aveva guidatiattraverso la palude e che era loro così abilmente sfuggito. Ildisgraziato era stato colpito dalla palla di Rocco un po' più sopra<strong>del</strong> cuore; pure, robusto e forte come era, aveva potuto scivolareancora fra le erbe e sottrarsi per la seconda volta ai loro sguardi.La morte tuttavia non aveva tardato a sorprenderlo ed era cadutoa tre o quattrocento passi dal luogo ove era stato ferito.– Questa volta sono ben sicuro che sia proprio morto –disse Rocco – e che non ci darà più alcun fastidio. Ora, signormarchese, possiamo accostarci al villaggio senza tema di veniresorpresi. Rendetemi il mio onore, signori!– Non aveva mai dubitato <strong>del</strong>la tua valentia, mio bravoRocco – disse il marchese.– Ora che ci siamo sbarazzati di questo pericolosoindividuo, potremo avvicinarci con maggior sicurezza alvillaggio – disse Ben. – Avremo da superare però una grossadifficoltà.– Quale? – chiese il marchese.– Ho udito raccontare che tutti i villaggi di questa regionesono cinti di altissime palizzate.– La supereremo, – disse Rocco – se apriremo un buco. Sesiamo fuggiti dalla prigione <strong>del</strong> Sultano di Tombuctu, non citroveremo imbarazzati ad aprirci un passaggio attraverso unapalizzata.Essendovi qua e là dei gruppi di banani, i due isolani el'ebreo vi si gettarono dietro e s'avanzarono verso il villaggio.Questo ormai si distingueva nettamente alla luce dei falò cheardevano nelle vie e nella piazza. Era un attruppamento di uncentinaio di capanne di paglia, a punta conica, cinto da unapalizzata alta tre o quattro metri, e difesa da un fossato, chedoveva essere probabilmente pieno di spine, ostacolo344


insormontabile pei piedi dei negri. Pareva che gli abitantifossero in preda ad una sfrenata allegria. Si udivano a suonaredei flauti, muggire <strong>del</strong>le trombe d'avorio e tintinnare deicampanelli, accompagnati da grida rauche e stonate. Lasorveglianza non doveva essere certo rigorosa. Un negro cheode un istrumento qualsiasi a suonare non può più star fermo. Ladanza ha per lui un fascino irresistibile e vi si slancia con fogaindiavolata, finché cade completamente esausto. Nessunpericolo e nessun dovere allora lo trattiene. Fosse anche certo divenire sorpreso da un momento all'altro, non rinuncia a queldivertimento, dovesse costargli la vita o la libertà. Era quindiprobabile che anche le sentinelle incaricate <strong>del</strong>la sorveglianza<strong>del</strong>la cinta, avessero abbandonati i loro posti per prendere partealla festa. I due isolani e l'ebreo, sempre strisciando erano giuntiinosservati sull'orlo <strong>del</strong> fossato che s'apriva dinanzi alla cinta.Come avevano preveduto, era pieno di rami spinosi, che seerano un ostacolo insuperabile per i negri, non lo erano affattoper loro, che avevano dei buoni stivali e <strong>del</strong>le uose altissime digrossa pelle.– Adagio – disse il marchese. – Vediamo prima se vi èqualche sentinella sulla cima <strong>del</strong>la cinta.– Non vedo alcuno, signore – disse Rocco.– Scendiamo con precauzione.Tenendosi per mano, si calarono nel fossato. La massa deirami spinosi cedette sotto il loro peso, cosicché la traversata fucompiuta con poche scalfitture di nessun importanza e conqualche strappo alle vesti. Giunti sull'orlo opposto, siappoggiarono contro la cinta. Era formata da grossi tronchid'albero, uniti da solide traverse e vi erano qua e là dei pertugi e<strong>del</strong>le feritoie destinate al lancio <strong>del</strong>le frecce. Il marchese avevaaccostato il viso ad una di quelle aperture. Alcuni enormi falòardevano su d'un piazzale, ed intorno ballavano furiosamente al345


suono d'una orchestra selvaggia, un centinaio o poco più frauomini, donne e ragazzi, urlando come indemoniati, urtandosied atterrandosi. Parecchi altri, radunati attorno a <strong>del</strong>le enormizucche ed a dei vasi di argilla di dimensioni mostruose,bevevano a crepapelle, finché cadevano al suolo completamenteubriachi.Ad un tratto una sorda esclamazione sfuggì al marchese.– Che cosa avete? – chiese Ben, con ansietà.– Esther!– Dov'è?– Guardatela, Ben – disse il marchese con voce commossa,lasciandogli il posto.La giovane ebrea si trovava seduta in mezzo al cerchio deiballerini, su una soffice stuoia. Pareva tranquillissima eguardava più con curiosità che con ispavento i suoi rapitori.– Ah! Mia povera sorella! – singhiozzò Ben.– Rallegriamoci di averla trovata – disse il marchese. –Temevo che quel maledetto negro ci avesse ingannati e chel'avessero condotta in qualche altro villaggio o consegnata già aikissuri.– Non vi sono le guardie <strong>del</strong> Sultano? – chiese Rocco.– Non vedo che negri seminudi – rispose Ben.– E già tutti ubriachi per di più – aggiunse il marchese.– Allora non resisteranno ad un improvviso attacco – disseRocco. – Ah! Che splendida idea!– Parla, Rocco.– Incendiamo il villaggio, signore. Queste capanne devonobruciare in un lampo, e noi approfitteremo <strong>del</strong>lo spavento che siimpadronirà di quegli ubriachi per slanciarci sulla signorinaEsther e portarla via.– Non perdiamo tempo, marchese – aggiunse Ben. – Ikissuri possono giungere da un momento all'altro e voi sapete346


che quelli non hanno paura.Il marchese si sciolse la lunga fascia di lana e la unì aquella che già gli porgeva l'ebreo, il quale aveva subitocompreso il suo piano.– Appoggiati alla cinta, Rocco – disse.– Salite pure, marchese. Le mie spalle sono solide.Il signor di Sartena s'arrampicò sul colosso, si aggrappòalle traverse e si levò sulle punte dei piedi, sostenendosi all'orlosuperiore <strong>del</strong>la palizzata.– Ci siete, signore? – chiese il sardo.– Sì, Rocco.– A voi, signor Ben.Mentre il marchese assicurava all'estremità d'un palo lafascia di lana che doveva servire ad aiutare la scalata <strong>del</strong> sardo,Ben era salito a sua volta. Essendovi a breve distanza un niomboil quale proiettava su quella parte <strong>del</strong>la cinta una folta ombra, ilmarchese e l'ebreo rimanevano nell'oscurità. Attesero che Roccofosse salito, poi si lasciarono cadere tutti e tre dall'altra parte,precipitando in un secondo fossato pieno anch'esso di spine eche non avevano potuto scorgere.Fu un vero miracolo se non sfuggì loro un grido di dolore.Le spine erano entrate nelle loro carni facendole sanguinare invari luoghi.– Maledetti negri! – brontolò Rocco che si dibatteva perliberare le vesti e per rimettersi in piedi.– Non facciamo rumore – disse il marchese. – Possonoaccorgersi <strong>del</strong>la nostra presenza, ed uccidere prima di tuttoEsther.Con precauzione si sbarazzarono <strong>del</strong>le spine, mordendosile labbra per non lasciarsi sfuggire dei gemiti. Dopo alcuniminuti giungevano sull'orlo <strong>del</strong> fossato. Si trovavano dietro unafila di capanne, che si estendevano lungo la piazza illuminata347


dai falò.– Entriamo in qualcuna ed accendiamola – sussurrò ilmarchese. – Devono essere tutte vuote.Scavalcarono una siepe ed entrarono in un recinto, dove sitrovavano alcuni cavalli di piccola statura.Un'idea balenò nella mente <strong>del</strong> marchese.– Ve ne sono una quindicina – disse – e a noi, quattrobastano. Rocco!– Signore!– Raccogli alcune canne e legale alle code dei cavalli.Lasciane quattro per noi.– Che cosa volete fare, signore? – chiese Ben.– Giuocheremo un pessimo tiro a questi negri. AiutateRocco, amico, mentre io entro in una di queste capanne e laincendio.– E noi?– Accendete invece le canne e lasciate che i cavalli corrano.– Ho compreso il vostro progetto, marchese.– Spicciamoci.A destra <strong>del</strong> recinto si alzava una vasta capanna circolare,la cui porta immetteva in quella specie di cortile. Il marchesevedendo un cumulo di paglia, ne prese una bracciata ed entrònell'abituro, inoltrandosi a tentoni per la profonda oscurità cheregnava là dentro.Depose la paglia in un angolo, poi accese uno zolfanello,ma subito lo spense, mentre una voce di donna urlava asquarciagola:– Awah! Awah! Hou!Il signor di Sartena era rimasto per un momento immobile,poi si era gettato impetuosamente verso l'angolo <strong>del</strong>la capannada cui continuavano ad alzarsi le grida. Afferrò la donnastringendola per la gola. Fortunatamente l'orchestra dei negri e348


le urla dei ballerini avevano soffocate quelle grida; ma Rocco eBen le avevano udite. Credendo che il marchese fosse alle presecon qualche negro ed in pericolo, si erano precipitati nellacapanna coi coltelli in pugno.– Signore!– Marchese!– Aiutami, Rocco – disse il signor di Sartena. – Imbavagliaquesta donna, o colle sue grida farà accorrere tutti gli abitanti<strong>del</strong> villaggio.– Se si tratta d'una donna la faremo subito tacere – risposeil sardo, strappandosi un lembo <strong>del</strong> suo mantello. – Signor Ben,guardate se i negri giungono.– Continuano a ballare ed a bere – rispose l'ebreo che si eraaffacciato ad un pertugio che prospettava sulla piazza. – Nonhanno udito nulla.A tentoni la donna fu strettamente imbavagliata.– Portala fuori ora – disse il marchese. – Se la lasciamoqui, brucerà colla capanna. Sono pronti i cavalli?– Hanno tutti un bel fascio di canne appeso alla coda.– Accendetele, poi lasciate in libertà gli animali.In quel momento si udirono in lontananza due scariche dimoschetteria.– Demonio! – esclamò il marchese, trasalendo. – Che sianoi kissuri che tornano? Presto, Rocco! Presto Ben!L'ebreo ed il sardo, spaventati, si erano slanciati fuori,portando la donna. Il marchese accese un secondo zolfanello ediede fuoco alla paglia, gettandovi poi sopra tutte le stuoie che sitrovavano nella capanna. Rocco e Ben intanto avevano messofuoco ai fastelli appesi dietro i cavalli. Le povere bestie,atterrite, rese pazze dal dolore, spezzarono le funi che letrattenevano e si scagliarono verso la siepe, sfondandola dicolpo. Intanto il marchese, Rocco e Ben avevano inforcati gli349


altri, tenendo per la briglia il quarto.– Avanti! – gridò il signor di Sartena. – Vuotate i serbatoidei fucili e attenti a Esther.Si erano slanciati dietro ai cavalli che portavano i fastelliaccesi, mentre immense lingue di fuoco s'alzavano sullacapanna, minacciando le altre che erano vicinissime. I danzatori,vedendosi giungere addosso tutti quei cavalli che il dolorerendeva pazzi, si erano precipitati confusamente a destra ed amanca, mentre da tutte le parti risuonavano le grida di:– Al fuoco! Al fuoco!Il peggio fu quando udirono i primi spari. Il marchese ed isuoi compagni avevano aperto un fuoco accelerato contro ifuggenti, mettendoli pienamente in rotta.– Largo! – tuonava il marchese, facendo impennare ilcavallo.Mentre Rocco e Ben continuavano il fuoco, si spinse fra ifalò, conducendo l'altro cavallo e giunse presso la giovaneebrea.– Esther! – gridò. – In sella!– Marchese! – esclamò la giovane, alzando le braccia versodi lui. – Ah! Grazie! Lo sapevo che non mi avreste abbandonato!Il signor di Sartena la sollevò come se fosse una piuma, e lamise sul cavallo che conduceva, gridando:– In ritirata!Le capanne bruciavano dappertutto. Le scintille, cadendodovunque, facevano scoppiare nuovi incendi. I negri, atterriti,credendo forse di aver di fronte un grosso numero di nemici,erano già fuggiti senza tentare la menoma resistenzadisperdendosi per la pianura.I quattro cavalieri passarono a galoppo sfrenato fra lecapanne fiammeggianti e scomparvero in direzione <strong>del</strong>la palude,mentre in lontananza si udivano echeggiare urla di spavento e350


qualche colpo di fucile.– Dove andiamo, signore? – chiese Rocco. – Saràimpossibile attraversare quel pantano.– Ne faremo il giro – rispose il marchese. – Via! Spronate,battete! I kissuri stanno per giungere.I cavalli spaventati dall'incendio che proiettava sullapianura una luce intensa, correvano come daini, senza bisognodi essere aizzati. Giunsero in pochi minuti sulle rive dei primistagni e piegarono a sinistra, seguendone le rive, senza che fossenecessario guidarli.Dovevano conoscere la via che forse avevano percorsamolte volte per trasportare al villaggio i cariche <strong>del</strong>la scialuppe.In meno di venti minuti girarono la pianura pantanosa eraggiunsero il margine <strong>del</strong> bosco.– Cerchiamo di orizzontarci – disse il marchese.– Il fiume sta dinanzi a noi – disse Rocco. – Troveremosubito la scialuppa.– Ed i kissuri? – chiese Ben.– Non si ode più nulla – rispose Esther. – Ah! Fratello mio!Quale fortuna! Credevo di dover finire nelle mani <strong>del</strong> Sultano.– Quella canaglia vi aspetterà un bel pezzo, Esther – disseil marchese. – Ci imbarcheremo subito ed i kissuri non ciraggiungeranno più.Si cacciarono sotto il bosco, seguendo le rive di unruscelletto e si trovarono ben presto nella piccola laguna.La scialuppa era ancora là dove l'avevano lasciata, guardatada El-Haggar e dai due battellieri.– Esther! – disse il marchese. – Raggiungetel'imbarcazione. Noi faremo una battuta nel bosco, prima diprendere il largo.Discesero da cavallo, lasciando che gli animali se neandassero liberamente, non essendo più di alcuna utilità; poi i351


due isolani e l'ebreo fecero il giro <strong>del</strong> bacino, sia per procurarsidei viveri, sia per assicurarsi che non vi fossero altri negrinascosti fra le piante.– Non abbiamo nulla da temere – disse il marchese. – Gliabitanti <strong>del</strong> villaggio non torneranno più qui di certo, dopo lalezione che abbiamo loro inferta. Fra poco d'altronde noiusciremo sul fiume e ce ne andremo da questi luoghi pericolosi.– Credete che tutto sia finito? – chiese Ben.– Lo spero – rispose il marchese. – Che cosa possiamotemere ancora?– Hum! Io non sono tranquillo, signore. Conoscol'ostinazione dei negri, e vedrete che ci aspetteranno sul Niger.I tre esploratori fecero il giro <strong>del</strong> bacino senza averincontrato alcun negro e tornarono verso la scialuppa portandocon loro un enorme grappolo di banane e un'ottarda che Roccoaveva sorpreso in mezzo ad un cespuglio e uccisa col calcio <strong>del</strong>fucile.– Nessuno? – chiese Esther, appena li vide.– La foresta è disabitata – rispose il marchese. – Credo chepotremo divorare la nostra colazione senza venire disturbati.– Ne siete ben certo signore? – chiese il sospettoso El-Haggar, crollando il capo.– Hai udito forse qualche cosa?– Qui no, ma verso il fiume in direzione di Koromeh mi èsembrato di udire a rullare i noggara.– Quegli abitanti non possono averci veduti.– Però perlustreranno il fiume. I nostri canottieri mi hannodetto che in quella borgata vi sono moltissime scialuppe e anchegrosse.– Mi pare che siamo ben nascosti, tuttavia manderemo ibattellieri sulle rive – disse il marchese. – Al primo all'arme cigetteremo nella foresta. Rocco, prepara la colazione.352


– L'ottarda è già spennata.Fu acceso il fuoco sotto un sicomoro, onde il fumo non sispandesse e venisse notato dai rivieraschi o dai canottieri diKoromeh, ed il grosso volatile fu messo ad arrostire sotto l'altasorveglianza <strong>del</strong> buon sardo.Una mezz'ora dopo tutti davano vigorosamente l'assaltoalla colazione, mentre verso l'opposta riva <strong>del</strong> fiume si udivanoa rullare cupamente i tamburi di guerra.353


L'ULTIMA BATTAGLIALa notte era calata senza che alcun altro avvenimentospiacevole avesse turbato la tranquillità <strong>del</strong> piccolo bacino.Durante la giornata i due battellieri avevano veduto parecchiescialuppe staccarsi da Koromeh e attraversare il fiume, perònessuna s'era accostata alla riva sinistra, anzi tutti si erano direttiverso oriente, supponendo forse che i fuggiaschi avesserocontinuato il loro viaggio. Anche dal canale di Kabra eranouscite <strong>del</strong>le imbarcazioni, ormeggiandosi dinanzi a Koromeh esbarcando numerosi negri armati, ma poi non avevano piùripreso il largo. Dei kissuri invece nessuna nuova. Erano tornatia Tombuctu, oppure avevano continuata la loro corsa attraverso iboschi <strong>del</strong>la riva sinistra? Nessuno avrebbe potuto dirlo.Un'umidità pesante s'alzava dal fiume, tramutandosi in nebbia,umidità molto pericolosa specialmente per gli europei, essendosatura di miasmi pestiferi e di febbre. Il marchese e Ben, dopoessersi recati sulla riva per vedere se sul fiume vi erano <strong>del</strong>lescialuppe, erano tornati recando la buona nuova che il Nigerappariva sgombro, almeno per parecchi chilometri.– Vedremo – disse El-Haggar.– Che cosa temi ancora? – chiese il côrso.– Che i negri, più furbi di noi, abbiano nascosto le loroimbarcazioni fra i canneti <strong>del</strong>le rive.– Ma tu sei un uccello di cattivo augurio – disse Rocco. –El-Haggar, tu invecchi ed invecchiando vedi pericolodappertutto.– Conosco la caparbietà di questi negri – rispose il moro. –Mi pare impossibile che abbiano rinunciato così presto a354


prenderci.– Avranno mandato a casa <strong>del</strong> diavolo il Sultano ed i suoikissuri, ecco tutto.– Andiamocene – disse il marchese.I barcaiuoli stavano per spingere al largo la scialuppa,quando in mezzo agli alberi che circondavano il piccolo seno siudì echeggiare un urlo lugubre e prolungato.– Uno sciacallo? – interrogò il marchese, un po' inquieto.– Ben imitato – rispose El-Haggar.– Tu vuoi dire?– Che non è stato uno di quegli animali a mandare questourlo.– Che vi siano dei negri nascosti nella foresta? – chieseBen.– Ragione di più per andarcene subito – disse Rocco. –Ohe! Forza alle braccia!La scialuppa, spinta dai suoi quattro remi poderosamentemanovrati, attraversò velocemente il bacino. Stava per rientrarenel fiume quando si udirono in aria alcun sibili acuti, mentre inmezzo agli alberi tornava ad echeggiare l'urlo <strong>del</strong>lo sciacallo.– Sono frecce – disse El-Haggar. – Abbassate la testa!– E saranno avvelenate – aggiunse Ben.Il marchese invece di curvarsi si era alzato col fucile inmano, tentando di scoprire, attraverso i folti vegetali, queimisteriosi arcieri. Vedendo un'ombra umana emergere fra lecanne <strong>del</strong>la riva, puntò l'arma e fece rapidamente fuoco. Si udìun grido, poi un tonfo. L'uomo era caduto e si dibattevanell'acqua, a pochi passi dalla scialuppa. Rocco, con unpoderoso colpo di remo lo sommerse e probabilmente persempre, perché l'acqua tornò tranquilla e nessun rumore più siudì. Nondimeno la situazione dei fuggiaschi non era migliorata,dopo quel fortunato colpo di fucile. Di quando in quando355


qualche freccia, scagliata forse a caso, passava sibilando soprala scialuppa che si era impegnata nello stretto passaggio cheserviva di comunicazione fra la piccola cala ed il fiume.– Ben, – disse il marchese, il quale aveva ricaricataprontamente l'arma – voi sorvegliate la riva destra mentre ioguardo quella di sinistra e se scorgete qualcuno fate fuoco.– Ed io? – chiese Esther.– Rimanete coricata fra le casse per ora. Noi duebasteremo.Rocco, il moro ed i due battellieri arrancavano con furoreper superare lo stretto che era fiancheggiato da foltissime piantefra le quali i negri potevano imboscarsi e lanciare i loro dardicon piena sicurezza. Per la terza volta l'urlo <strong>del</strong>lo sciacallo ruppeil silenzio che regnava nella foresta.– Ah! Questo urlo! – esclamò il marchese, le cuiinquietudini aumentavano. – Cosa significherà? Che sia unsegnale di raccolta?Un colpo secco sul bordo lo fece balzare indietro... Unapiccola lancia, uno di quei giavellotti che i negri usano lanciarea mano, si era piantata nel fianco <strong>del</strong>la scialuppa, a pochicentimetri da Rocco. Il marchese udendo le canne a muoversistava per far fuoco, quando una scarica di tamburi rintronò inmezzo agli alberi, seguìta da vociferazioni spaventevoli. Quasinel medesimo istante vide <strong>del</strong>le strisce di fuoco serpeggiarevelocemente fra i festoni di liane ed in mezzo ai cespugli.– Per le colonne d'Ercole! – esclamò. – S'incendia laforesta? Rocco, El-Haggar! Alle armi!Una turba di negri, muniti di rami resinosi, si eraprecipitata attraverso le piante incendiando i cespugli, poi si erarovesciata sulle rive <strong>del</strong>la piccola cala urlando come una legionedi demoni. Erano più di cento, armati di lance, di archi e dimazze, di scimitarre e di coltellacci.356


Alcuni più audaci, vedendo la scialuppa già in procinto dientrare nel Niger, si erano gettati coraggiosamente in acquasperando di raggiungerla.– Ben, – disse il marchese – noi occupiamoci dei nuotatorie voi altri fate <strong>del</strong>le scariche verso la riva. Tirate con calma enon impressionatevi. Questi negri valgono ben poco e liarresteremo subito.L'incendio <strong>del</strong>la foresta si era propagato con rapiditàincredibile. I cespugli si torcevano e scoppiettavano, mentre lefronde <strong>del</strong>le piante giganti fiammeggiavano come torcecolossali. Una luce intensa illuminava tutta la cala, proiettandosifino sulle acque <strong>del</strong> Niger le quali pareva che si fosserotramutate in bronzo fuso.– Forza i battellieri! – gridò il marchese. – Ben, Rocco,Esther, fuoco!Le frecce e le lance volavano in tutte le direzioni, senzagiungere fino alla scialuppa ormai troppo lontana. Una primascarica arrestò, poi volse in fuga i nuotatori ed una secondacalmò lo slancio dei negri assiepati sulle rive. Le palle dei fucilia retrocarica avevano gettati a terra o calato a fondo parecchiuomini e quella dura lezione aveva raffreddato il furore degliassalitori.– Approfittiamo di questo momento di sosta – disse ilmarchese. – Rocco, El-Haggar, ai remi!Mentre Ben ed Esther continuavano a sparare contro ambole rive, la scialuppa superò velocemente lo stretto e si slanciònelle acque <strong>del</strong> Niger, allontanandosi dalla sponda. Il pericolonon era però cessato, tutt'altro! Attirati dai rulli dei noggara epiù di tutto da quella luce intensa che si propagava sulla riva <strong>del</strong>fiume gigante, numerose scialuppe si erano staccate daKoromeh, montate da equipaggi armati.– Stiamo per venire presi – disse Ben, gettando uno357


sguardo disperato verso Esther. – Quelle scialuppe accorronoper tagliarci il passo.– E sono una ventina – mormorò il marchese, tormentandoil grilletto <strong>del</strong> fucile. – Che il Sultano ci deva riprendere? Ah no!Piuttosto sommergerci tutti nelle acque <strong>del</strong> Niger. Amici, forzaai remi, sfondiamo la linea e diamo battaglia! Viva la Francia!– Viva l'Italia! – urlò Rocco, con una voce così tonante dacoprire i clamori dei negri.Le scialuppe di Koromeh avevano attraversato il fiume edavevano formata una linea che si estendeva quasi da una rivaall'altra, onde chiudere completamente il passo. Erano montateda un centinaio e mezzo di negri armati per la maggior parted'archi e di coltellacci, però alcuni possedevano anche dei fucili.Continuando la foresta a bruciare, si distinguevanoperfettamente e si vedeva che si preparavano a dare battaglia aifuggiaschi.– Amici, – disse il marchese – non perdiamo un colpo.Dalla rapidità <strong>del</strong> nostro fuoco e dall'esattezza dei nostri tiridipende la nostra salvezza. Quando saremo addosso allescialuppe, tu, Rocco e tu, El-Haggar, lasciate i remi e prendete ifucili... Mille cannonate! I kissuri!– Dove sono? – chiesero tutti.– Là, guardateli! Hanno lasciato or ora la riva sinistra ecorrono in aiuto dei negri su due imbarcazioni!– Maledizione! – ruggì Rocco. – Verranno a guastare lanostra vittoria.– Marchese, – disse Esther – voi e Ben occupatevi deinegri: io apro il fuoco sui kissuri. La mia carabina ha una portatastraordinaria e prima che quei bricconi si avvicinino, neabbatterò parecchi.– Allora fuoco su tutta la linea – comandò il marchese.Le scialuppe dei negri distavano cinquecento passi, pure gli358


equipaggi avevano cominciato a lanciare frecce e a spararemoschettate, sprecando inutilmente dardi e munizioni. Ilmarchese e Ben aprirono tosto un terribile fuoco accelerato,mentre Esther, coricata fra le casse, sparava sulle dueimbarcazioni montate dai kissuri lanciando le sue palle a sei osettecento metri. Intanto i due battellieri, Rocco ed El-Haggararrancavano con furore, risoluti a sfondare la linea di battaglia epassare addosso ai negri. Il fuoco accelerato <strong>del</strong> marchese, diBen e <strong>del</strong>la giovane ebrea, diventava più terribile di passo inpasso che la distanza scemava. I negri cadevano in buon numeroe anche i kissuri subivano perdite gravissime, perché ben pochepalle andavano perdute. Erano tre formidabili bersaglieri emancava ancora Rocco, un tiratore che forse superava gli altri. Inemici nondimeno non aprivano la loro linea, anzi, le scialuppepiù lontane accorrevano per ingrossarla onde opporre maggioreresistenza ed intanto rispondevano scaricando i loro moschettonie lanciando frecce in gran numero. Né le palle né i dardi ancoragiungevano fino alla scialuppa, tuttavia il marchese cominciavaa diventare assai preoccupato per l'abbondanza straordinaria diquei proiettili.– Eleviamo una barricata! – esclamò ad un tratto. –Abbiamo, le casse e anche <strong>del</strong>le panche. Ben, Esther, continuateil fuoco voi! Non domando che due minuti.Lasciò il fucile, afferrò uno ad uno i forzieri e li accumulòa prora, legandoli insieme con una fune. Essendo pieni d'oro,potevano arrestare le palle dei moschettoni, anche a brevedistanza.– Esther qui voi – disse, quand'ebbe finito. – La barricata èsolida e non correte pericolo alcuno. Ho lasciato uno spaziosufficiente per la canna <strong>del</strong>la vostra carabina.Accumulò poi a poppa le casse contenenti i loro effetti,formando una seconda barricata e alzò le panche a babordo ed a359


tribordo in modo da riparare anche i rematori dai tiri trasversali.– È fatto – disse, riprendendo il fucile.I negri accortisi subito di quei ripari che rendevano quasiinutili le loro frecce e anche le loro palle, avevano rotta la lorolinea di combattimento per assalire la scialuppa sui due fianchi,ma le prime barche che si erano avanzate avevano dovutoretrocedere frettolosamente cogli equipaggi decimati. Ilmarchese ed i suoi compagni le avevano accolte con un fuococosì terribile, da rendere impossibile un nuovo attacco.– Coraggio amici! – gridò il marchese. – La via è aperta!Si volse e guardò le scialuppe montate dai kissuri <strong>del</strong>Sultano. Si trovavano allora a quattrocento metri e manovravanoin modo di abbordare l'imbarcazione a poppa.– Tre salve su costoro! – gridò il marchese. – Sono i piùpericolosi!Nove colpi di fucile rimbombarono. Cinque kissuri <strong>del</strong>laprima scialuppa caddero e uno <strong>del</strong>la seconda.– Eccoli calmati – disse il marchese, vedendo le dueimbarcazioni arrestarsi.– Avanti ora! Ecco, il momento di picchiare sodo! Rocco,El-Haggar lasciate i remi e prendete i fucili.– Un momento, marchese – rispose il sardo.Una scialuppa si era messa attraverso la rotta seguìta daifuggiaschi. Era montata da otto negri fra i quali alcunipossedevano dei fucili.– Animo! – gridò Rocco. – All'abbordaggio!Arrancando con lena disperata investono furiosamente lascialuppa, le fracassano il bordo e la capovolgono, mentre ilmarchese, Ben ed Esther fucilano a bruciapelo i negri.– Urrah! Avanti! – tuona il marchese.L'imbarcazione passa fra gli assalitori colla velocità d'undardo e supera la linea, ma i negri non si danno ancora per vinti.360


Incoraggiati dai kissuri, i quali si sono rimessi in caccia e, forti<strong>del</strong> numero, si riordinano prontamente ed inseguonovigorosamente i fuggiaschi, mentre altre scialuppe si staccanodalle due rive. La battaglia diventa terribile. Anche Rocco ed El-Haggar hanno impugnati i fucili e dopo d'aver rinforzata labarricata di poppa con quella di prora, diventata ormai inutile,bruciano le loro cartucce senza economia. Le canne deiretrocarica sono diventate così ardenti, che il marchese, Ben edEsther sono costretti a bagnarle nel fiume onde non bruciarsi ledita. L'orda intera, raddoppiata di numero, si è slanciata dietroalla scialuppa, tentando di circondarla. Le palle grandinano e sischiacciano contro le casse colme d'oro, mentre le freccesibilano da tutte le parti, piantandosi nei fianchi <strong>del</strong>la scialuppa.È un miracolo se i fuggiaschi non hanno ricevuto ancora <strong>del</strong>leferite. La lotta non poteva durare a lungo, malgrado il fuocoinfernale dei due isolani, dei due ebrei e <strong>del</strong> moro. I negris'accostano da tutte le parti urlando come demoni, decisi avenire all'abbordaggio. Il Niger sembra in fiamme, perchél'incendio <strong>del</strong>la foresta avvampa sempre. Le sue acque sembranodi fuoco. Il marchese e Ben si scambiano uno sguardo pienod'angoscia. Comprendono che la lotta sta per finire e che stannoper cadere vivi nelle mani dei negri e dei kissuri.– È finita – mormorò il marchese, con voce strozzata.– Sì – risponde Ben, facendo un gesto disperato.– Ci lasceremo prendere?– No!– Vi è una scure sotto il banco.– Quando i negri monteranno all'assalto sfonderemo lascialuppa.– Sì Ben.Riprendono il fuoco, fulminando i negri più vicini. Esther,pallida ma sempre risoluta, li appoggia vigorosamente, mentre361


Rocco si prepara a martellare i lanuti crani degli avversari colcalcio <strong>del</strong> fucile. Il cerchio si restringe. I negri non si trovanoche a poche decine di passi ed impugnano le lance e le mazzementre i kissuri urlano a piena gola:– Addosso ai kafir! Ordine <strong>del</strong> Sultano.Ad un tratto un fischio acuto, assordante, lacera l'aria ecopre il rombo <strong>del</strong>le fucilate, poi <strong>del</strong>le scariche regolari,stridenti, come se eseguite da una mitragliatrice, si susseguono. Inegri si arrestano stupiti e anche spaventati, mentre parecchicadono fulminati sul fondo <strong>del</strong>le piroghe. Il marchese, a rischiodi ricevere una palla nel cranio, era balzato a prora. Un urlo glisfuggì.– Siamo salvi! Coraggio! Alcune scariche ancora!Una grossa scialuppa a vapore, fornita di ponte, sbucatanon si sa da dove, fende rapidamente le scintillanti acque <strong>del</strong>fiume, fischiando e fumando. A prora balenano dei lampi erisuonano <strong>del</strong>le detonazioni. È una mitragliatrice che prended'infilata le scialuppe dei negri. Chi sono quei salvatori chegiungono in così buon punto? Nessuno si cura di saperlo pelmomento. Il marchese e tutti gli altri, vedendo la scialuppaavanzarsi a tutto vapore, raddoppiano il fuoco, bruciando ilmuso ai negri più vicini. Il cerchio s'è allargato, perché lamitragliatrice comincia a far strage. Le palle fioccano sullescialuppe decimando cru<strong>del</strong>mente gli equipaggi.Un uomo di alta statura, con una lunga barba bionda,vestito interamente di bianco, con in capo un elmetto daesploratore, sale sulla prora <strong>del</strong>la scialuppa a vapore giàvicinissima, gridando:– Vorwaertz! Pronti ad imbarcarvi! Passeremo addosso ainegri!– Dei tedeschi! – esclamò il marchese, corrugando lafronte. – Bah! In Africa tutti gli europei sono fratelli. Siano i362


envenuti! Amici, abbordiamo!La scialuppa a vapore aveva rallentata la sua marcia, ma lasua mitragliatrice continuava a spazzare il fiume con scarichesempre più formidabili. I due battellieri con pochi colpi di remol'abbordano sul babordo, mentre una scala di corda viene gettata.– Presto, salite! – grida l'uomo biondo.Contemporaneamente una quindicina di marinai salgonosulle murate di babordo e di tribordo e fanno alcune scarichequasi a bruciapelo sulle scialuppe che hanno già circondata lapiccola cannoniera. Il marchese afferra Esther e la porgeall'uomo biondo, il comandante di certo, a giudicarlo dai gradid'oro che gli orlano le maniche. Questi la solleva sopra labordatura e la depone sulla tolda, quindi levandosi galantementel'elmo, le dice in francese.– Signora, siete fra amici: ora daremo la paga a queibricconi di negri.Il marchese, Rocco, Ben, il moro ed i battellieri salgonoprecipitosamente, portando i forzieri che i marinai <strong>del</strong>lascialuppa subito prendono deponendoli dietro la murata.– Signore, – dice il marchese, volgendosi verso ilcomandante e salutandolo militarmente – grazie, a nome di tutti.Il tedesco gli porge la destra, gli dà una vigorosa stretta poigrida:– A tutto vapore! Mitragliate quelle canaglie!I negri ed i kissuri furiosi di vedersi rapire la preda quandogià credevano ormai di tenerla, si stringono addosso allascialuppa a vapore tentando di montare all'abbordaggio. Urlanospaventosamente, scaricano i loro moschettoni e lancianodovunque dardi e giavellotti.– Ah! Briganti! – brontolò il comandante. – Non voletelasciarci andare? Ebbene, la vedremo!Mentre la mitragliatrice continua a tuonare, lanciando i363


suoi proiettili a ventaglio e i quindici marinai aiutati dalmarchese, da Ben, da Rocco e da El-Haggar, respingono gliassalitori a colpi di fucile e di baionetta, la scialuppaindietreggia di cinquanta passi, poi si slancia innanzi, a tuttovapore. La sua elica morde le acque facendole spumeggiare– Avanti! – tuona il comandante. – Fuoco di bordata!La piccola cannoniera ha preso lo slancio. Si avanzafischiando, fracassa due scialuppe, passa in mezzo alle altre escompare fra una nuvola di fumo, mentre i negri urlano a pienagola bruciando le loro ultime cariche. La sconfitta dei sudditi <strong>del</strong>Sultano di Tombuctu è completa. Il fiume è ingombro di pezzi discialuppe e di corpi umani che la corrente travolge e la scialuppaa vapore continua la sua veloce fuga, lasciandosi indietro lepiroghe sulle quali i negri sfogano la loro rabbia impotente conminacce atroci. Il marchese lascia il fucile e s'avvicina alcomandante, il quale, munito d'un cannocchiale, guardasorridendo i negri che fanno sforzi indicibili per dare la cacciaalla scialuppa.– Signore, – dice – vi dobbiamo la vita. I negri stavano perprenderci.– Sono ben lieto, signore, di essere giunto in così buonmomento. Siete francese?– Il signor marchese di Sartena, un valoroso côrso che haattraversato il deserto per cercare il colonnello Flatters – disseBen, avanzandosi.– Wilhelm Von Orthen – rispose il tedesco, inchinandosidinanzi all'isolano e porgendogli per la seconda volta la destra. –Avete trovato lo sfortunato colonnello, signor marchese? Sareistato ben contento se avessi potuto salvare anche lui.– È morto, signor Von Orthen.– Ne ero quasi certo.– Ma come vi trovate qui, voi signore?364


– Avevo appreso che il tenente Caron era salito fino quicolla sua cannoniera ed ero stato incaricato, dal mio governo,d'accertarmi <strong>del</strong>la navigabilità <strong>del</strong> Niger.– E ne avete avuto una prova – disse il marchese,sorridendo.– Sì – rispose il tedesco. – Signor marchese, la miascialuppa è interamente a vostra disposizione. Io ritorno verso lacosta.– E noi vi seguiremo, signor Von Orthen, perché la nostramissione è ormai finita.365


CONCLUSIONEQuindici giorni dopo, la scialuppa a vapore giungevaindisturbata alle bocche <strong>del</strong> Niger e <strong>del</strong> vecchio Calabar, esboccava in mare arrestandosi ad Akassa una graziosa ma ancheassai insalubre cittadina <strong>del</strong> possedimento inglese. Il marcheseed i suoi compagni, dopo d'aver fatto degli splendidi regali aimarinai <strong>del</strong>la piccola cannoniera, ai quali dovevano la lorosalvezza e dopo d'aver ringraziato il valoroso comandante,s'imbarcavano su un piroscafo inglese in rotta per la liberacolonia di Liberia. Tutti avevano fretta di ritornare in Marocco,soprattutto il marchese il quale ormai aveva dato il suo cuorealla bella Esther. Il 25 febbraio <strong>del</strong> 1880 sbarcavano a Monrovia,la capitale <strong>del</strong>la repubblica negra, prendendo tosto imbarco suun piroscafo <strong>del</strong>la Woermann linie che fa il servizio fra Liberia,isole Canarie, Mogador e Tangeri. Quindici giorni più tardi ilmarchese di Sartena, nella casa di Ben Nartico, impalmava lavalorosa ebrea, che aveva imparato ad apprezzare nel deserto <strong>del</strong>Sahara fra i mille pericoli dei feroci scorridori <strong>del</strong> deserto e fra ikissuri <strong>del</strong> Sultano di Tombuctu.Il giovane marchese non ha rinunziato alle sue spalline.Egli è ancora uno dei più brillanti ufficiali <strong>del</strong>la guarnigionecôrsa e Rocco ed El-Haggar, il fe<strong>del</strong>e moro, sono le sueordinanze, come Esther è la più bella sposa <strong>del</strong>l'isola.366

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!