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Anno VIII n° 2 aprile - giugno 2008 - Studi Cassinati

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130termine molto caro alla storiografia dominante, e per tutto il decennio post-unitario, dauna miriade di capibanda, ognuno dei quali ha la sua storia da raccontare. Una storiafatta quasi sempre di miseria, di povertà, di analfabetismo, di ignoranza, di violenza.Non è possibile, ovviamente, seguire passo passo le vicende di questi personaggi neiquali, bisogna dire, è difficile scorgere un barlume di sentimenti politici o di rivendicazionidi carattere ideologico. Si può dire, insomma, briganti tanti o quasi tutti, eroi pochio niente. E tale affermazione trova puntuale conferma in quella gran mole di documentiche affiora, ormai a getto continuo, dai nostri archivi per tanto tempo trascurati.I vari Luigi Alonzi, alias Chiavone, il ‘selvarolo’ di Sora, Luigi Andreozzi di Pastena,Bernardo Colamattei di Colle San Magno, tanto per restare ai nomi più conosciuti, nonebbero nel loro dna sentimenti patriottici né pulsioni ideologiche. In alcuni casi i provvedimentivarati dai piemontesi, in primis la leva obbligatoria, furono la causa scatenantedella loro attività brigantesca. Essi, però, andarono avanti imperterriti per la lorostrada, senza dare prova di atti eroici o di ravvedimenti di sorta. Le loro azioni, spessodelittuose, non erano riconducibili a nobili finalità ma soltanto al desiderio di migliorarein maniera illecita la loro infima condizione sociale ed economica. E per fare ciò nontrovarono di meglio che profittare di quel periodo di grande sconvolgimento che seguìl’unificazione del nostro paese. Volendo scendere nei dettagli, l’unico brigante che inquel periodo mostrò un barlume, sia pur tenue, di ‘politicizzazione’, fu Domenico Fuoco25 , il tagliapietre di San Pietro Infine che, proprio per questo motivo, finì coll’essereemarginato dalle altre bande. Comunque, intorno al 1870 o giù di lì, tutti i briganti nostranierano stati soppressi o messi in condizione di non nuocere. Ad iniziare dal soranoChiavone 26 la cui stella si era spenta già da un bel pezzo, giustiziato dai suoi stessi25 “Domenico Fuoco, di professione ‘tagliapietre’, nasce a San Pietro Infine nel 1837. Convinto sostenitoredella monarchia borbonica entra a far parte della brigata dei volontari di Lagrange, partecipandoalla sfortunata spedizione in Terra di Abruzzo. Quindi si unisce alla banda di Chiavone.Dopo la morte del brigante sorano (1862) torna sulle montagne di casa e forma una sua banda,mettendosi a disposizione di Raffaele Tristany, legittimista spagnolo inviato dal comitato borbonicodi Roma ad organizzare i briganti lungo il confine. Ben presto dà vita ad un’intesa con le bandePace, Guerra, Tommasino, Albanese, Giordano, Colamattei nel tentativo di portare avanti unastrategia comune in un’area assai vasta di territorio che spazia dalle Mainarde, al Matese, al Massico.E’ uno dei briganti postunitari più ‘famosi’: sulla sua testa è posta una taglia cospicua allaquale la prefettura di Terra di Lavoro aggiunge un premio straordinario. La banda Fuoco si rendeprotagonista di numerose ‘imprese’ anche nello Stato Romano dove solitamente i briganti vannoa svernare. Il Fuoco si reca spesso a Roma presso la centrale legittimista borbonica, per ricevereaiuti economici e direttive. A causa però della sua eccessiva politicizzazione, ben presto si alienale simpatie degli altri capibanda che preferiscono prendere vie più semplici e redditizie. La suavita da brigante termina improvvisamente nell’agosto del 1870: il Fuoco infatti viene trucidato daalcuni possidenti che aveva sequestrato, in una grotta nei pressi di Picinisco” (Riccardi F.: “Piccolestorie di briganti”, op. cit., p. 44, nota 45). Sull’argomento cfr. Nicosia A.: “Brigantaggio postunitario:le bande Colamattei e Fuoco”, Unione di Comuni “Municipi d’Europa”, Tipografia ArteStampa, Roccasecca 2004.26 “Luigi Alonzi, alias ‘Chiavone’, nacque a Sora, in contrada La Selva, nel 1825. Suo nonno Valen-CDSC - STUDI CASSINATI - 2/<strong>2008</strong>

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