Anno VIII n° 2 aprile - giugno 2008 - Studi Cassinati

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124non fecero che alimentare il fuoco della rivolta e della protesta popolare. Ma perché, allora,furono varate queste leggi? Per incamerare ‘sic et simpliciter’ un patrimonio di indiPisa, mons. Corsi, che venne arrestato il 13 maggio del 1860 per essersi rifiutato di celebrare il‘Te Deum’ in onore del re Vittorio Emanuele II di Savoia. Drammatica la situazione nelle diocesidell’ex Regno delle Due Sicile. Il vescovo di Amalfi, mons. Domenico Ventura, morì a Napoli dopoaver subito indicibili patimenti. Il vescovo di Benevento, il cardinale Carafa, fu costretto ad abbandonarela sua sede diocesana e a rifugiarsi a Roma. La stessa cosa fece mons. Filippo Cammarota,vescovo di Gaeta. A Napoli il cardinale Riario Sforza fu espulso per ben due volte ed andòesule a Roma. Il vescovo di Reggio Calabria, mons. Mariano Ricciardi, si rifugiò prima in Franciae poi a Roma. Il vescovo di Salerno, mons. Salomone, “per non aver voluto secondare le pretensionidei rivoluzionari, questi gli aizzarono contro il popolaccio, e la notte seguente all’arrivo diGaribaldi in Napoli dovette fuggire travestito. Riparò in Napoli. Qui fu assalito da 30 ladri, che simulandoessere guardie di pubblica sicurezza, preceduti da tamburi, invasero il suo alloggio, e legatil’Arcivescovo, col fratello sacerdote e cameriere, rapinarono tutto che v’era di prezioso, finola biancheria. Di là dovette riparare in luoghi diversi per aver salva la vita. Ora si trova in Napoli”(Pellicciari A.: “Risorgimento anticattolico”, Piemme Edizioni, Asti 2004, p. 198). Il vescovo diSorrento, mons. Saverio Apuzzo, fu prima incarcerato, poi esiliato in Francia e quindi a Roma.Mons. Bianchi-Dottola, vescovo di Trani, espulso dalla sua diocesi dalla “marmaglia prezzolata”,fu costretto a vivere in clandestinità perché minacciato d’arresto. Il vescovo di Avellino, mons. FrancescoGallo, “fu arrestato dal Generale Tupputi il 22 febbraio 1861 e fu deportato da un capitanodei carabinieri in Torino, ove tuttora si trova” (Pellicciari A., op. cit., p. 199). Il vescovo di Caiazzo,mons. Luigi Riccio, venne aggredito e cacciato dalla diocesi. La medesima sorte subì il vescovodi Caserta, mons. De Rossi. Il vescovo di Foggia, mons. Bernardino Maria Frascolla, fu espulsodalla diocesi, im-prigionato e poi inviato in domicilio coatto a Como. Mons. Michelangelo Pieramico,vescovo di Potenza, espulso dalla diocesi, morì di stenti e di crepacuore. Il vescovo di Vallo,mons. Giovanni Siciliani, espulso dalla diocesi, fu trattenuto per molti mesi in prigione a Napoli.“Il rigore un tempo usato contro i malviventi viene riservato ai cattolici; monaci, e monache,frati e suore gettati sul lastrico; sacerdoti sbeffeggiati, incarcerati, uccisi; il patrimonio artistico eculturale della nazione finito nelle case dei liberali o semplicemente distrutto; smantellato il tessutodi sicurezza sociale rappresentato dalle opere pie; irrise la fede, la cultura e la tradizione dellapopolazione. Con tutto ciò ai preti si impone di cantare il Te Deum in onore della nuova civiltàe della nuova moralità” (AA.VV.: “La storia proibita. Quando i Piemontesi invasero il Sud”, EdizioniControcorrente, Napoli 2001, p. 155). Anche il vescovo di Sora, mons. Giuseppe Maria Montieri,non volle piegarsi al nuovo ordine di cose e “quando le truppe garibaldine entrarono a Napoli…non volle permettere nelle sue diocesi il canto del Te Deum reclamato come nel ’48 dai liberalie talvolta imposto al clero con la forza” (Marsella C.: “I Vescovi di Sora”, Tipografia VincenzoD’Amico, Sora 1935, pp. 250/251). Con l’avvento dei Piemontesi nel Lazio meridionale, ilvescovo, nei cui confronti era stato emesso un mandato di cattura, preferì rifugiarsi a Roma dove,prostrato e afflitto, venne a mancare il 12 novembre del 1862. Dopo la morte di Montieri la diocesisorana rimase vacante per un lungo decennio. Soltanto nel 1872, infatti, poteva insediarsi il nuovovescovo mons. Paolo De Niquesa. Fu però soprattutto nella seconda metà del decennio post-unitarioche il governo sabaudo assestò il colpo di grazia. La legge n. 3036 del 7 luglio 1866 negavail riconoscimento e la capacità patrimoniale a tutti gli ordini, le corporazioni e le congregazioni religiose.I cospicui beni di tali enti furono incamerati dal demanio statale. Venne altresì sancita l’incapacitàper ogni ente morale ecclesiastico, ad eccezione delle parrocchie, di possedere beni immobili.Nello stesso anno il primo ministro Giovanni Lanza estese l’esproprio dei beni ecclesiasti-CDSC - STUDI CASSINATI - 2/2008

125genti proporzioni che andava a rimpinguare le esangui casse del governo sabaudo chegià prima del 1860 non versavano certo in condizioni di grande prosperità 11 .Analogo discorso va fatto per il carico fiscale. Il metodo della tassazione era pressochésconosciuto alla popolazione meridionale. Con l’avvento dei governanti sabaudi pagarele tasse diventò obbligatorio. L’onere andò ad incidere soprattutto sulle spalle deicontadini e dei braccianti agricoli che già a stento riuscivano a mettere insieme il pranzocon la cena. Basterà qui ricordare l’odiosa ‘tassa sul macinato’ che, introdotta nell’estatedel 1868 dal governo Menabrea per procedere al risanamento delle dissestate finanzepubbliche, fu abolita solamente nel 1880 12 . Enrico Panirossi, un settentrionale scesonel mezzogiorno da ufficiale dei Carabinieri, fu autore di un attento studio sulla realtàpolitica, amministrativa ed economica del meridione 13 . Egli così scrive: “Lungo i cinqueanni della Liberazione si triplicarono addirittura le imposte ma la terra non triplicòi suoi frutti e il suo valore” 14 . Un’affermazione chiara, al di sopra di ogni sospetto. L’ufficiale,infatti, aveva preso parte alla lunga campagna di guerra nel sud Italia militandonel campo dei vincitori. Anche la decisione di imporre una tassazione pesante e pressanterispondeva ad una logica ben precisa: il governo sabaudo voleva coprire la voragineche si era aperta nei conti pubblici per sostenere le sempre più ingenti spese militari.Non si può ignorare, d’altronde, che tra il 1860 e il 1870 nel meridione d’Italia sitrovò ad operare più della metà degli effettivi dell’intero esercito piemontese.E poi ci fu la leva obbligatoria, una misura anch’essa sconosciuta o quasi alle gentidel sud. Disertando pressoché in massa, i contadini andarono ad infoltire le fila dei briganti15 . D’altronde per le povere famiglie meridionali, tenacemente attaccate al loro esiciall’intero territo-rio nazionale. Con un’altra legge, la n. 2848 del 15 agosto 1867, fu varata la definitivasoppressione di tutti gli enti secolari considerati inutili per la vita religiosa del paese. Ormaiil perverso meccanismo si era messo in moto e niente poteva fermare il suo incedere. Basti pensareche ancora nel 1873, con una legge datata 19 giugno, il provvedimento di esproprio dei beniecclesiastici veniva esteso anche alla città di Roma entrata ormai a far parte del nuovo Regno d’Italia.11 “La capillare persecuzione anticattolica frutta un bottino ingente: circa un milione di ettari di terraper non parlare delle migliaia di edifici (conventi, romitori, cappellanie, chiese) capillarmentediffusi su tutto il territorio nazionale. Tutto questo patrimonio accumulato in più di mille e cinquecentoanni dalla popolazione cattolica passa di mano e va ad arricchire l’elite illuminata”(AA.VV.: “La storia proibita…”, op. cit., p. 155).12 Si trattava di una imposta sulla macinazione del grano e dei cereali in genere che produsse, comesuo primo effetto, un sensibile aumento del prezzo del pane. La qualcosa fu causa di disordini,tumulti e rivolte popolari sedate nel sangue dall’esercito piemontese. La ‘tassa sul macinato’ influìnotevolmente su quel violento rigurgito che il brigantaggio fece registrare negli ultimi annidel decennio post-unitario.13 Panirossi E.: “La Basilicata. Studio amministrativo, politico ed economia pubblica”, Verona 1868.14 Alianello C., op. cit., p. 128.15 Il 20 dicembre del 1860 il ministro della guerra Fanti “varò un decreto reale in base al quale vennerorichiamati alle armi, secondo le modalità della legge borbonica del 19 marzo 1834, tutti gliCDSC - STUDI CASSINATI - 2/2008

124non fecero che alimentare il fuoco della rivolta e della protesta popolare. Ma perché, allora,furono varate queste leggi? Per incamerare ‘sic et simpliciter’ un patrimonio di indiPisa, mons. Corsi, che venne arrestato il 13 maggio del 1860 per essersi rifiutato di celebrare il‘Te Deum’ in onore del re Vittorio Emanuele II di Savoia. Drammatica la situazione nelle diocesidell’ex Regno delle Due Sicile. Il vescovo di Amalfi, mons. Domenico Ventura, morì a Napoli dopoaver subito indicibili patimenti. Il vescovo di Benevento, il cardinale Carafa, fu costretto ad abbandonarela sua sede diocesana e a rifugiarsi a Roma. La stessa cosa fece mons. Filippo Cammarota,vescovo di Gaeta. A Napoli il cardinale Riario Sforza fu espulso per ben due volte ed andòesule a Roma. Il vescovo di Reggio Calabria, mons. Mariano Ricciardi, si rifugiò prima in Franciae poi a Roma. Il vescovo di Salerno, mons. Salomone, “per non aver voluto secondare le pretensionidei rivoluzionari, questi gli aizzarono contro il popolaccio, e la notte seguente all’arrivo diGaribaldi in Napoli dovette fuggire travestito. Riparò in Napoli. Qui fu assalito da 30 ladri, che simulandoessere guardie di pubblica sicurezza, preceduti da tamburi, invasero il suo alloggio, e legatil’Arcivescovo, col fratello sacerdote e cameriere, rapinarono tutto che v’era di prezioso, finola biancheria. Di là dovette riparare in luoghi diversi per aver salva la vita. Ora si trova in Napoli”(Pellicciari A.: “Risorgimento anticattolico”, Piemme Edizioni, Asti 2004, p. 198). Il vescovo diSorrento, mons. Saverio Apuzzo, fu prima incarcerato, poi esiliato in Francia e quindi a Roma.Mons. Bianchi-Dottola, vescovo di Trani, espulso dalla sua diocesi dalla “marmaglia prezzolata”,fu costretto a vivere in clandestinità perché minacciato d’arresto. Il vescovo di Avellino, mons. FrancescoGallo, “fu arrestato dal Generale Tupputi il 22 febbraio 1861 e fu deportato da un capitanodei carabinieri in Torino, ove tuttora si trova” (Pellicciari A., op. cit., p. 199). Il vescovo di Caiazzo,mons. Luigi Riccio, venne aggredito e cacciato dalla diocesi. La medesima sorte subì il vescovodi Caserta, mons. De Rossi. Il vescovo di Foggia, mons. Bernardino Maria Frascolla, fu espulsodalla diocesi, im-prigionato e poi inviato in domicilio coatto a Como. Mons. Michelangelo Pieramico,vescovo di Potenza, espulso dalla diocesi, morì di stenti e di crepacuore. Il vescovo di Vallo,mons. Giovanni Siciliani, espulso dalla diocesi, fu trattenuto per molti mesi in prigione a Napoli.“Il rigore un tempo usato contro i malviventi viene riservato ai cattolici; monaci, e monache,frati e suore gettati sul lastrico; sacerdoti sbeffeggiati, incarcerati, uccisi; il patrimonio artistico eculturale della nazione finito nelle case dei liberali o semplicemente distrutto; smantellato il tessutodi sicurezza sociale rappresentato dalle opere pie; irrise la fede, la cultura e la tradizione dellapopolazione. Con tutto ciò ai preti si impone di cantare il Te Deum in onore della nuova civiltàe della nuova moralità” (AA.VV.: “La storia proibita. Quando i Piemontesi invasero il Sud”, EdizioniControcorrente, Napoli 2001, p. 155). Anche il vescovo di Sora, mons. Giuseppe Maria Montieri,non volle piegarsi al nuovo ordine di cose e “quando le truppe garibaldine entrarono a Napoli…non volle permettere nelle sue diocesi il canto del Te Deum reclamato come nel ’48 dai liberalie talvolta imposto al clero con la forza” (Marsella C.: “I Vescovi di Sora”, Tipografia VincenzoD’Amico, Sora 1935, pp. 250/251). Con l’avvento dei Piemontesi nel Lazio meridionale, ilvescovo, nei cui confronti era stato emesso un mandato di cattura, preferì rifugiarsi a Roma dove,prostrato e afflitto, venne a mancare il 12 novembre del 1862. Dopo la morte di Montieri la diocesisorana rimase vacante per un lungo decennio. Soltanto nel 1872, infatti, poteva insediarsi il nuovovescovo mons. Paolo De Niquesa. Fu però soprattutto nella seconda metà del decennio post-unitarioche il governo sabaudo assestò il colpo di grazia. La legge n. 3036 del 7 luglio 1866 negavail riconoscimento e la capacità patrimoniale a tutti gli ordini, le corporazioni e le congregazioni religiose.I cospicui beni di tali enti furono incamerati dal demanio statale. Venne altresì sancita l’incapacitàper ogni ente morale ecclesiastico, ad eccezione delle parrocchie, di possedere beni immobili.Nello stesso anno il primo ministro Giovanni Lanza estese l’esproprio dei beni ecclesiasti-CDSC - STUDI CASSINATI - 2/<strong>2008</strong>

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