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Anno VIII n° 2 aprile - giugno 2008 - Studi Cassinati

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120genere e grado, avventurieri in cerca di emozioni forti, artisti, scrittori, poeti, romanzierie letterati in quel drammatico decennio, fecero a gara, con encomiabile slancio, per parteciparealla lotta disperata e senza quartiere di uomini coraggiosi che non avevano piegatola testa dinanzi alla tracotanza dell’invasore sabaudo che, tra l’indifferenza generale,si apprestava ad impossessarsi ‘manu militari’ delle terre, delle ricchezze e delladignità delle genti del meridione.Tra le fila dei briganti confluì, strano a dirsi, anche un discreto manipolo di garibaldini.Si trattò, soprattutto, di contadini calabresi e siciliani attratti dalla promessa delladistribuzione delle terre fatta da Garibaldi mentre alla testa dei suoi reparti risaliva lostivale. I patti, però, non vennero rispettati. Delusi e amareggiati quei contadini, in unbatter d’occhio, diventarono briganti.Non si può negare, infine, né sarebbe giusto farlo, che vi furono anche delinquenticomuni, volgari tagliagole, assassini, grassatori e ladri di polli. Profittando del momentodi grande confusione e di estrema incertezza molti badarono soltanto a conseguire finiilleciti. Niente a che vedere con rivendicazioni di stampo ideologico.Da briganti a emigrantiLa rivolta brigantesca nell’Italia meridionale abbraccia un consistente lasso di tempo.Si inizia dalla seconda metà del 1860 e si va avanti per un decennio e anche di più.In linea di massima si è soliti distinguere, pur con tutte le cautele che il caso impone econsiderando sempre la parzialità spesso artificiosa di tali ripartizioni, due fasi distinte:la prima va dal 1860 fino agli anni 1862/63. L’altra parte dal 1863 e giunge fino al 1870.Nel primo segmento il fenomeno fu fortemente caratterizzato da motivazioni politichetanto che si parla comunemente di ‘brigantaggio di tipo legittimista’. Fu questo il periodonel quale la rivolta acquistò una connotazione più nobile: si voleva restituire il regnodel sud a Francesco II di Borbone che era stato brutalmente spodestato da Garibaldie da Vittorio Emanuele di Savoia. Una fase caratterizzata dall’atteggiamento conniventedella Chiesa: il re Franceschiello e la regina Maria Sofia di Baviera, scappati primada Napoli e poi da Gaeta, avevano trovato rifugio a Roma, graditi ospiti del ponteficePio IX, nello splendido Palazzo Farnese. I briganti, insomma, erano considerati ilbraccio armato del re Borbone e il mezzo principe con il quale procurare la riconquistadel Regno, come già accaduto nelle turbinose vicende del 1799. Del resto la presenzadelle truppe piemontesi nei pressi del Liri e della linea di confine, costituiva una gravissimaminaccia per lo stato papalino che temeva fortemente per la sua stessa esistenza.Il progetto di ripristino dell’ancien règime nel sud d’Italia, però, malgrado gli sforzi,non si concretizzò: la storia ormai marciava con il vento in poppa in tutt’altra direzione.La stessa Chiesa ben presto intuì che appoggiare palesemente le iniziative dei brigantiavrebbe negativamente deposto per il suo secolare prestigio. Comprese anche cheil progetto di restaurazione borbonica, per il quale tanto si era adoperata, era ormai definitivamentefallito. E così, con il cinico realismo che l’ha sempre contraddistinta nelcorso dei secoli, tentò di recuperare il terreno perduto e di instaurare rapporti di buonCDSC - STUDI CASSINATI - 2/<strong>2008</strong>

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