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Anno VIII n° 2 aprile - giugno 2008 - Studi Cassinati

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119plessità del fenomeno che assunse caratteristiche diverse a seconda del contesto ambientalee dei protagonisti della rivolta. Si possono individuare, comunque, delle categoriesociali nell’ambito delle quali il brigantaggio andò a pescare generosamente. Inprimo luogo i soldati borbonici che, di punto in bianco, si trovarono disoccupati e senzalavoro. L’esercito napoletano, nel 1860, poteva contare all’incirca su 90.000 effettivi.Alla fine delle ostilità, dopo la caduta di Civitella del Tronto (20 marzo 1861), ultimobaluardo della resistenza borbonica, i piemontesi tentarono in tutti i modi di inquadrarenelle loro fila gli ufficiali e i soldati partenopei. I risultati, però, furono deludenti.“La Marmora era rimasto negativamente colpito da una ispezione ad un campo diprigionieri ‘napoletani’ presso Milano: su 1.600, soltanto cento si erano detti pronti ariprendere servizio nell’esercito italiano; alcuni altri ‘con arroganza’ avevano dichiaratoche non erano tenuti ad un nuovo giuramento, essendo legati al giuramento di fedeltàprestato a Francesco II, e quindi avevano diritto a tornarsene a casa. Suo parerefu, perciò, che dei vecchi soldati bisognasse ‘disfarsene al più presto’. Cavour accolsesenza obiezioni il suo suggerimento e insisté vivamente presso Farini in Napoli, perchéFanti, ministro della guerra, adottasse misure adeguate” 3 . Tra di esse anche la ‘soluzionefinale’, poi fortunatamente tramontata, di trasferire gli ex soldati borbonici in bagnipenali da allestire in una sperduta isola dell’Oceano Atlantico o in Patagonia 4 . Moltissimidi quei militari, una volta tornati a casa, non sapendo come fare per sbarcare illunario, si diedero alla macchia schierandosi con i briganti.E poi una gran massa di contadini e di braccianti agricoli che se prima si trovavanomale, con i Piemontesi stettero peggio. Proprio sui contadini e sul loro odio atavico controi ‘galantuomini’, faceva affidamento la centrale legittimista borbonica per metterein piedi ed alimentare il fuoco della rivolta che avrebbe dovuto portare, come già accadutoin passato, al ripristino del vecchio stato di cose.E poi ancora piccoli artigiani, commercianti, possidenti terrieri, aristocratici di provincia,ex funzionari del regno, tutti molto legati al passato ‘regime’, sui quali si abbattécon la forza di un ciclone la prepotente ascesa della classe borghese favorita in sommogrado dai governanti sabaudi.Un ruolo importante lo giocarono anche i rappresentanti del clero (preti, sacerdoti,frati, canonici, abati) i quali non si limitarono a fornire assistenza spirituale ma spessosi aggregarono alle bande, non disdegnando di imbracciare lo schioppo e il pugnale.Un capitolo a parte, poi, merita quel pittoresco e variegato stuolo di ‘legittimisti’ giuntida ogni parte d’Europa per assicurare il proprio sostegno a quelli che i Piemontesichiamavano briganti. Rampolli di famiglie altolocate, nobili squattrinati, militari di ogni3 Molfese F.: “Storia del brigantaggio dopo l’Unità”, Nuovo Pensiero Meridiano, IV edizione, Madrid1983, p. 31.4 Sulla vicenda cfr. Riccardi F.: “Il calvario dei prigionieri napoletani dopo il 1860. Una pagina dimenticatadella nostra storia” in “Annali del Lazio Meridionale”, anno VII, n. 2, dicembre 2007,Tipografia Fabrizio, Itri 2007, pp. 73/82.CDSC - STUDI CASSINATI - 2/<strong>2008</strong>

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