Ordine dicembre 2000 - Ordine dei Giornalisti

Ordine dicembre 2000 - Ordine dei Giornalisti Ordine dicembre 2000 - Ordine dei Giornalisti

10.07.2015 Views

OrdinedeiGiornalistidellaLombardiaAssociazione “Walter Tobagi” per la Formazione al GiornalismoIstituto “Carlo De Martino” per la Formazione al GiornalismoAnno XXXIn. 10, dicembre 2000Direzione e redazioneVia Appiani, 2-20121 MilanoTelefono: 02 63 61 171Telefax: 02 65 54 307http://www.odg.mi.ite-mail:odg@galactica.itSpedizione in a.p. (45%)Comma 20 (lettera b)dell’art. 2 della legge n. 662/96Filiale di MilanoAppello di Franco Abruzzo ai direttori perché sostengano la riforma concordata con il ministro della Giustizia FassinoTempi strettissimi: il Parlamentoha ancora quattro mesi di vita.La pubblicazione della rettificaridurrà il risarcimento.Scompare la riparazione.Le testate on-line registrateobbligatoriamentedi Franco AbruzzoMilano, 4 dicembre. Appello di Franco Abruzzoai direttori responsabili delle testate giornalisticheitaliane, perché sostengano la riformadella legge sulla stampa così come è uscitadall’incontro del 17 novembre tra il ministrodella Giustizia, Piero Fassino, e i vertici dellacategoria (tra i quali lo stesso Abruzzo). Eccoil testo della lettera:“Cari colleghi, il Senato è sulla strada di ripristinarel’appello rispetto alle sentenze penalidi condanna per il reato didiffamazione a mezzostampa. Le modificheall’articolo 593 del Cpppresto andranno in Aula enell’Aula sono possibiliagguati. Poi l’argomentopasserà all’esame dellaCamera.Tutto potrebbe essere piùfacile se decidessero leCommissioni Giustizia deidue rami del Parlamentoin sede legiferante.I vertici della categoria,nelle giornate del 13 e del 17 novembre,hanno discusso, con il ministro della GiustiziaPiero Fassino, la riforma della legge sullastampa, trovando un punto di compromessoa mio modo di vedere accettabile. Il ministroha depositato le modifiche come emendamentialla “proposta Anedda”.La Camera dovrebbe cominciare a discuterne.La posta in gioco è altissima come si evincedalla lettura degli emendamenti alla propostan. 7292. Serve una mobilitazione dellacategoria e serve soprattutto che i giornaline parlino. I tempi sono strettissimi: ilORDINE 10 2000Cambia la legge sulla stampa:danno contenuto in 50 milioniParlamento ha appena 4 mesi di vita.Queste le novità:On-line, diffamazione, risarcimento (tettodi 50 milioni) e riparazione (che scompare).Le testate on-line dovranno essere registratecome i quotidiani, i periodici, i giornaliradiofonici e televisivi; il reato di diffamazione(coordinato con il 595 Cp) prevederà alternativamentecarcere (da 6 mesi a 3 anni) omulta (non inferiore a un milione), mentreattualmente, quando nell’articolo c’è l’attribuzionedi un fatto determinato, abbina carcere(da 1 a 6 anni) e multa (non inferiore a500mila lire); scompariràl’istituto della riparazione(l’entità della somma èdeterminata oggi “in relazionealla gravità dell’offesae alla diffusione dellostampato”); il danno liquidato“con valutazioneequitativa” non potràsuperare i 50 milioni dilire.La «proposta Anedda».An ha chiesto e ottenuto,sfruttando un articolo delregolamento della Camera,che la proposta di legge firmata da alcunisuoi deputati (il primo è Gianfranco Anedda)in materia di diffamazione avesse la precedenzanell’esame da parte della CommissioneGiustizia. Questo progetto in sostanzaabolisce il reato di diffamazione a mezzostampa. La proposta (soprattutto quandoparla di non punibilità) appare suggestiva, magli esperti ritengono che la stessa sia inpotenziale conflitto con la Costituzione.Gli emendamenti del ministro della Giustizia.Negli emendamenti viene stabilito unprincipio nuovo, che recupera il contenutodell’articolo 1227 del Cc: «Il risarcimento nonè dovuto per i danni che il danneggiato avrebbepotuto evitare formulando, ove possibile,la richiesta di pubblicazione della rettifica,quando la pubblicazione della risposta o dellarettifica nelle forme e nei termini previsti dallalegge avrebbe concorso a ridurre le conseguenzedannose».Si porrà per i direttori dei giornali la sfida didare piena attuazione all’articolo 8 della leggesulla stampa che impone la pubblicazionedelle rettifiche (contenute entro le 30 righe) “intesta di pagina e nella stessa pagina del giornaleche ha riportate la notizia cui si riferiscono”nonché “con le medesime caratteristichetipografiche”. Il giudice potrà valutare se lapubblicazione della rettifica abbia coperto ildanno per intero o solo in parte. Dal pagamentodel danno non sono esclusi gli editori.L’interdizione temporanea. Il ministro dellaGiustizia precisa che, in caso di condanna(anche a una multa), al giornalista possaessere inflitta l’interdizione temporanea dell’eserciziodella professione «per un periodonon inferiore a due mesi e non superiore a12». L’interdizione, comunque, è già prevista,quando emerge una violazione grave dei«doveri», dagli articoli 30 e 31 del Cp per tuttele professioni e può abbracciare un periododa un mese a 5 anni. Fassino, invece, hacoordinato la pena accessoria con la legge n.69/1963 sulla professione giornalistica, cheprevede, in sede disciplinare, la sospensioneper un periodo non inferiore a due mesi e nonsuperiore a 12, “quando l’iscritto con la suacondotta abbia compromesso la dignitàprofessione”.La misura dell’interdizione non scatta automaticamente,ma va valutata dal giudice casoper caso.Coordinazione tra Codice penale e CodiceFeltri radiato dall’AlboMilano, 21 novembre. Vittorio Feltri, direttoredi Libero, è stato radiato dall’Albo dei Giornalistiper le immagini di bambini ricavate daun sito pedofilo pubblicate sul quotidiano il29 settembre scorso. La delibera di radiazioneè stata presa all’unanimità dal Consigliodell’Ordine dei Giornalisti della Lombardianella seduta di ieri sera ed è stata comunicataoggi. La sentenza del Consiglio dell’Ordinedei Giornalisti afferma che ‘’Vittorio Feltriha operato al di fuori del dettato costituzionalee delle norme deontologiche dalla professionegiornalistica fissate per legge’’, e ‘’meritala massima sanzione, quella della radiazione,avendo, con la sua condotta, gravementecompromesso la dignità professionalefino a rendere incompatibile con la dignitàstessa la sua permanenza nell’Albo’’.(ANSA)Servizi alle pagine 4, 5, 6 e 7.Il ministro Ortensio Zecchino ha firmato il 28 novembre il decreto che completa la riforma dell’UniversitàRoma, 28 novembre. Dalle biotecnologieagrarie, industriali e mediche alle scienzedell’universo; dalle scienze della nutrizioneumana, delle religioni, dello sport alla teoriadella comunicazione e al giornalismo. Sono104 (due in più rispetto a quelle comunicatenei giorni scorsi) le lauree specialistiche definitenel decreto che, con la firma del ministroOrtensio Zecchino, completa oggi la riformadell’Università italiana. Questo è il decreto n.2, mentre il decreto n. 1 (sulla determinazionedelle 42 classi di laurea) è stato già pubblicatosulla “Gazzetta Ufficiale” il 19 ottobre 2000.Ora è atteso il terzo decreto, quello relativoOra è atteso il terzo decreto, quello sugliesami di abilitazione all’esercizio professionaledopo i decreti sulle lauree triennali e quellosulle lauree specialistiche. Il comma 18dell’articolo 1 della legge n. 4/1999 conferisceal ministero dell’Università, di concerto conquello della Giustizia, il potere di “modificaree integrare”, con regolamento, la disciplinadell’esame statale di abilitazione “con esclusivoriferimento alle attività professionali per ilcui esercizio la normativa vigente già prevedeA pagina 2 l’opinionedi Antonio DuvaSentenze penalidi condannae diritto all’appello:tutelare difesae giustiziaLe lauree specialistiche sono 104(tra le quali quella in giornalismo)all’esame pubblico per l’abilitazione all’eserciziodelle professioni intellettuali. Nel nuovosistema, dunque, si realizzano due percorsiformativi, quello che conduce fino alla laureadi base e un biennio successivo che porta adapprofondire la specializzazione. Un affinamentodella qualità degli studi che si basa,spiega il ministro, sul criterio della “meritocrazia”,visto che le condizioni di accesso sono“rigorose”. “Non si tratta di una prosecuzioneautomatica degli studi – spiega Zecchino – madi un itinerario di affinamento delle conoscenzeche va riservato a chi ha motivazioniadeguate. Anche se la valorizzazione delCambierà l’esame d’abilitazionel'obbligo di superamento di un esame diStato”. Il regolamento fisserà anche “la disciplinadel relativo ordinamento dei connessialbi, ordini o collegi nonché dei requisiti perl'ammissione all'esame di Stato e delle relativeprove”. La norma prevede che gli Ordininazionali “siano sentiti”.Il terzo decreto abolirà, quindi, gli articoli 32,33 e 34 della legge n. 69/1963, che oggi regolanola prova di idoneità professionale, il registrodei praticanti e la pratica giornalistica.merito non va disgiunto dall’impegno a sostenerei più bisognosi”. Per accedere ai corsi dilaurea specialistici occorrerà insomma lalaurea di base, ma non basterà. Ciascunauniversità è chiamata a definire i requisiti curricolari(sotto forma di crediti attribuiti per dueterzi in base a indicazioni del ministero e per ilresto per scelta autonoma dell’ateneo) necessariper il passaggio al percorso specialistico.Inoltre, il ‘candidato’ sosterrà un esame per lavalutazione dell’adeguatezza della preparazione,che sarà, sottolinea il ministro, “la veragaranzia di qualità”. L’autonomia delle singoleuniversità è uno dei principi della riforma.Dopo 72 anni scompare il tirocinio fatto neigiornali come titolo per sostenere l’esame diabilitazione. Scompare anche la pratica alternativaespletata nelle attuali scuole createdagli Ordini professionali. Un vecchio mondova in pensione: gli editori perdono il diritto di“creare” i giornalisti. Solo metà dei commissarid’esame saranno giornalisti (oggi sono 5 su7: gli altri due sono magistrati). Nelle commissionientreranno i professori universitariaccanto a magistrati e giornalisti.civile. Il cittadino, che si ritiene diffamato, puòagire in sede penale entro tre mesi, mentre insede civile tale termine è di 5 anni, che puòaumentare quando è “più lunga” la prescrizionedel reato attribuibile al giornalista (3°comma dell’articolo 2947 Cc). Anedda suggeriscedi contenere tale termine entro i 12 mesi,mentre l’Ordine dei Giornalisti chiede untermine di 6 mesi. La modifica suggeritadall’on. le Anedda è da salvare.In sostanza il ministro Fassino ha accolto tuttii suggerimenti, che gli sono stati espostidall’Ordine di Milano in una memoria del 28settembre 2000”.“Sappiamo che l’autonomia è anche unrischio, ma è necessario scommettere sullacapacità degli atenei di realizzare la riforma,garantendo da parte nostra il necessariosostegno”, dice Zecchino, che sottolinea i fondiinseriti a questo proposito nella finanziaria, paria 725 miliardi l’anno per il prossimo triennio.Una quota (già ridotta di 25 miliardi l’anno allaCamera, che il governo intende “sostenerecon forza” nell’esame del Senato). La laureabiennale specialistica in giornalismo occupa ilnumero 13/S tra le classi delle lauree specialistiche(editoria, comunicazione multimediale egiornalismo). Una volta pubblicato il decreto n.2 sulla “Gazzetta Ufficiale”, Ordine dei Giornalistidella Lombardia e Università statale riprenderannoi colloqui per concludere la convenzionesul futuro dell’Istituto “Carlo De Martino”per la Formazione al Giornalismo. Dall’ottobre2001, in sostanza, il corso di laurea specialisticoin giornalismo sostituirà il corso biennale dipraticantato alternativo. Iniziato nel 1997, ilpercorso normativo per definire il quadrodell’autonomia didattica degli atenei è statocosì completato. Si tratta di 104 “contenitori”che fissano gli obiettivi e le attività formativeper i titoli di secondo livello attraverso i settoriscientifico-disciplinari, all’interno dei quali leuniversità – con i regolamenti didattici diateneo e dei corsi di studio – “sceglieranno” lediscipline dei curricula. Con la riforma, a partiredal 2001, “tramonteranno” i percorsi distudio uguali in tutto il territorio nazionale: ufficialmentegli atenei potranno determinare inautonomia il 34% dei crediti (in tutto 180 per lalaurea e 300 per la laurea specialistica), inrealtà gli spazi di libertà saranno amplificati dalgran numero di discipline appartenenti a ognisettore scientifico-disciplinare.1

<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong><strong>Giornalisti</strong>dellaLombardiaAssociazione “Walter Tobagi” per la Formazione al GiornalismoIstituto “Carlo De Martino” per la Formazione al GiornalismoAnno XXXIn. 10, <strong>dicembre</strong> <strong>2000</strong>Direzione e redazioneVia Appiani, 2-20121 MilanoTelefono: 02 63 61 171Telefax: 02 65 54 307http://www.odg.mi.ite-mail:odg@galactica.itSpedizione in a.p. (45%)Comma 20 (lettera b)dell’art. 2 della legge n. 662/96Filiale di MilanoAppello di Franco Abruzzo ai direttori perché sostengano la riforma concordata con il ministro della Giustizia FassinoTempi strettissimi: il Parlamentoha ancora quattro mesi di vita.La pubblicazione della rettificaridurrà il risarcimento.Scompare la riparazione.Le testate on-line registrateobbligatoriamentedi Franco AbruzzoMilano, 4 <strong>dicembre</strong>. Appello di Franco Abruzzoai direttori responsabili delle testate giornalisticheitaliane, perché sostengano la riformadella legge sulla stampa così come è uscitadall’incontro del 17 novembre tra il ministrodella Giustizia, Piero Fassino, e i vertici dellacategoria (tra i quali lo stesso Abruzzo). Eccoil testo della lettera:“Cari colleghi, il Senato è sulla strada di ripristinarel’appello rispetto alle sentenze penalidi condanna per il reato didiffamazione a mezzostampa. Le modificheall’articolo 593 del Cpppresto andranno in Aula enell’Aula sono possibiliagguati. Poi l’argomentopasserà all’esame dellaCamera.Tutto potrebbe essere piùfacile se decidessero leCommissioni Giustizia <strong>dei</strong>due rami del Parlamentoin sede legiferante.I vertici della categoria,nelle giornate del 13 e del 17 novembre,hanno discusso, con il ministro della GiustiziaPiero Fassino, la riforma della legge sullastampa, trovando un punto di compromessoa mio modo di vedere accettabile. Il ministroha depositato le modifiche come emendamentialla “proposta Anedda”.La Camera dovrebbe cominciare a discuterne.La posta in gioco è altissima come si evincedalla lettura degli emendamenti alla propostan. 7292. Serve una mobilitazione dellacategoria e serve soprattutto che i giornaline parlino. I tempi sono strettissimi: ilORDINE 10 <strong>2000</strong>Cambia la legge sulla stampa:danno contenuto in 50 milioniParlamento ha appena 4 mesi di vita.Queste le novità:On-line, diffamazione, risarcimento (tettodi 50 milioni) e riparazione (che scompare).Le testate on-line dovranno essere registratecome i quotidiani, i periodici, i giornaliradiofonici e televisivi; il reato di diffamazione(coordinato con il 595 Cp) prevederà alternativamentecarcere (da 6 mesi a 3 anni) omulta (non inferiore a un milione), mentreattualmente, quando nell’articolo c’è l’attribuzionedi un fatto determinato, abbina carcere(da 1 a 6 anni) e multa (non inferiore a500mila lire); scompariràl’istituto della riparazione(l’entità della somma èdeterminata oggi “in relazionealla gravità dell’offesae alla diffusione dellostampato”); il danno liquidato“con valutazioneequitativa” non potràsuperare i 50 milioni dilire.La «proposta Anedda».An ha chiesto e ottenuto,sfruttando un articolo delregolamento della Camera,che la proposta di legge firmata da alcunisuoi deputati (il primo è Gianfranco Anedda)in materia di diffamazione avesse la precedenzanell’esame da parte della CommissioneGiustizia. Questo progetto in sostanzaabolisce il reato di diffamazione a mezzostampa. La proposta (soprattutto quandoparla di non punibilità) appare suggestiva, magli esperti ritengono che la stessa sia inpotenziale conflitto con la Costituzione.Gli emendamenti del ministro della Giustizia.Negli emendamenti viene stabilito unprincipio nuovo, che recupera il contenutodell’articolo 1227 del Cc: «Il risarcimento nonè dovuto per i danni che il danneggiato avrebbepotuto evitare formulando, ove possibile,la richiesta di pubblicazione della rettifica,quando la pubblicazione della risposta o dellarettifica nelle forme e nei termini previsti dallalegge avrebbe concorso a ridurre le conseguenzedannose».Si porrà per i direttori <strong>dei</strong> giornali la sfida didare piena attuazione all’articolo 8 della leggesulla stampa che impone la pubblicazionedelle rettifiche (contenute entro le 30 righe) “intesta di pagina e nella stessa pagina del giornaleche ha riportate la notizia cui si riferiscono”nonché “con le medesime caratteristichetipografiche”. Il giudice potrà valutare se lapubblicazione della rettifica abbia coperto ildanno per intero o solo in parte. Dal pagamentodel danno non sono esclusi gli editori.L’interdizione temporanea. Il ministro dellaGiustizia precisa che, in caso di condanna(anche a una multa), al giornalista possaessere inflitta l’interdizione temporanea dell’eserciziodella professione «per un periodonon inferiore a due mesi e non superiore a12». L’interdizione, comunque, è già prevista,quando emerge una violazione grave <strong>dei</strong>«doveri», dagli articoli 30 e 31 del Cp per tuttele professioni e può abbracciare un periododa un mese a 5 anni. Fassino, invece, hacoordinato la pena accessoria con la legge n.69/1963 sulla professione giornalistica, cheprevede, in sede disciplinare, la sospensioneper un periodo non inferiore a due mesi e nonsuperiore a 12, “quando l’iscritto con la suacondotta abbia compromesso la dignitàprofessione”.La misura dell’interdizione non scatta automaticamente,ma va valutata dal giudice casoper caso.Coordinazione tra Codice penale e CodiceFeltri radiato dall’AlboMilano, 21 novembre. Vittorio Feltri, direttoredi Libero, è stato radiato dall’Albo <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>per le immagini di bambini ricavate daun sito pedofilo pubblicate sul quotidiano il29 settembre scorso. La delibera di radiazioneè stata presa all’unanimità dal Consigliodell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> della Lombardianella seduta di ieri sera ed è stata comunicataoggi. La sentenza del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> afferma che ‘’Vittorio Feltriha operato al di fuori del dettato costituzionalee delle norme deontologiche dalla professionegiornalistica fissate per legge’’, e ‘’meritala massima sanzione, quella della radiazione,avendo, con la sua condotta, gravementecompromesso la dignità professionalefino a rendere incompatibile con la dignitàstessa la sua permanenza nell’Albo’’.(ANSA)Servizi alle pagine 4, 5, 6 e 7.Il ministro Ortensio Zecchino ha firmato il 28 novembre il decreto che completa la riforma dell’UniversitàRoma, 28 novembre. Dalle biotecnologieagrarie, industriali e mediche alle scienzedell’universo; dalle scienze della nutrizioneumana, delle religioni, dello sport alla teoriadella comunicazione e al giornalismo. Sono104 (due in più rispetto a quelle comunicatenei giorni scorsi) le lauree specialistiche definitenel decreto che, con la firma del ministroOrtensio Zecchino, completa oggi la riformadell’Università italiana. Questo è il decreto n.2, mentre il decreto n. 1 (sulla determinazionedelle 42 classi di laurea) è stato già pubblicatosulla “Gazzetta Ufficiale” il 19 ottobre <strong>2000</strong>.Ora è atteso il terzo decreto, quello relativoOra è atteso il terzo decreto, quello sugliesami di abilitazione all’esercizio professionaledopo i decreti sulle lauree triennali e quellosulle lauree specialistiche. Il comma 18dell’articolo 1 della legge n. 4/1999 conferisceal ministero dell’Università, di concerto conquello della Giustizia, il potere di “modificaree integrare”, con regolamento, la disciplinadell’esame statale di abilitazione “con esclusivoriferimento alle attività professionali per ilcui esercizio la normativa vigente già prevedeA pagina 2 l’opinionedi Antonio DuvaSentenze penalidi condannae diritto all’appello:tutelare difesae giustiziaLe lauree specialistiche sono 104(tra le quali quella in giornalismo)all’esame pubblico per l’abilitazione all’eserciziodelle professioni intellettuali. Nel nuovosistema, dunque, si realizzano due percorsiformativi, quello che conduce fino alla laureadi base e un biennio successivo che porta adapprofondire la specializzazione. Un affinamentodella qualità degli studi che si basa,spiega il ministro, sul criterio della “meritocrazia”,visto che le condizioni di accesso sono“rigorose”. “Non si tratta di una prosecuzioneautomatica degli studi – spiega Zecchino – madi un itinerario di affinamento delle conoscenzeche va riservato a chi ha motivazioniadeguate. Anche se la valorizzazione delCambierà l’esame d’abilitazionel'obbligo di superamento di un esame diStato”. Il regolamento fisserà anche “la disciplinadel relativo ordinamento <strong>dei</strong> connessialbi, ordini o collegi nonché <strong>dei</strong> requisiti perl'ammissione all'esame di Stato e delle relativeprove”. La norma prevede che gli Ordininazionali “siano sentiti”.Il terzo decreto abolirà, quindi, gli articoli 32,33 e 34 della legge n. 69/1963, che oggi regolanola prova di idoneità professionale, il registro<strong>dei</strong> praticanti e la pratica giornalistica.merito non va disgiunto dall’impegno a sostenerei più bisognosi”. Per accedere ai corsi dilaurea specialistici occorrerà insomma lalaurea di base, ma non basterà. Ciascunauniversità è chiamata a definire i requisiti curricolari(sotto forma di crediti attribuiti per dueterzi in base a indicazioni del ministero e per ilresto per scelta autonoma dell’ateneo) necessariper il passaggio al percorso specialistico.Inoltre, il ‘candidato’ sosterrà un esame per lavalutazione dell’adeguatezza della preparazione,che sarà, sottolinea il ministro, “la veragaranzia di qualità”. L’autonomia delle singoleuniversità è uno <strong>dei</strong> principi della riforma.Dopo 72 anni scompare il tirocinio fatto neigiornali come titolo per sostenere l’esame diabilitazione. Scompare anche la pratica alternativaespletata nelle attuali scuole createdagli Ordini professionali. Un vecchio mondova in pensione: gli editori perdono il diritto di“creare” i giornalisti. Solo metà <strong>dei</strong> commissarid’esame saranno giornalisti (oggi sono 5 su7: gli altri due sono magistrati). Nelle commissionientreranno i professori universitariaccanto a magistrati e giornalisti.civile. Il cittadino, che si ritiene diffamato, puòagire in sede penale entro tre mesi, mentre insede civile tale termine è di 5 anni, che puòaumentare quando è “più lunga” la prescrizionedel reato attribuibile al giornalista (3°comma dell’articolo 2947 Cc). Anedda suggeriscedi contenere tale termine entro i 12 mesi,mentre l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> chiede untermine di 6 mesi. La modifica suggeritadall’on. le Anedda è da salvare.In sostanza il ministro Fassino ha accolto tuttii suggerimenti, che gli sono stati espostidall’<strong>Ordine</strong> di Milano in una memoria del 28settembre <strong>2000</strong>”.“Sappiamo che l’autonomia è anche unrischio, ma è necessario scommettere sullacapacità degli atenei di realizzare la riforma,garantendo da parte nostra il necessariosostegno”, dice Zecchino, che sottolinea i fondiinseriti a questo proposito nella finanziaria, paria 725 miliardi l’anno per il prossimo triennio.Una quota (già ridotta di 25 miliardi l’anno allaCamera, che il governo intende “sostenerecon forza” nell’esame del Senato). La laureabiennale specialistica in giornalismo occupa ilnumero 13/S tra le classi delle lauree specialistiche(editoria, comunicazione multimediale egiornalismo). Una volta pubblicato il decreto n.2 sulla “Gazzetta Ufficiale”, <strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>della Lombardia e Università statale riprenderannoi colloqui per concludere la convenzionesul futuro dell’Istituto “Carlo De Martino”per la Formazione al Giornalismo. Dall’ottobre2001, in sostanza, il corso di laurea specialisticoin giornalismo sostituirà il corso biennale dipraticantato alternativo. Iniziato nel 1997, ilpercorso normativo per definire il quadrodell’autonomia didattica degli atenei è statocosì completato. Si tratta di 104 “contenitori”che fissano gli obiettivi e le attività formativeper i titoli di secondo livello attraverso i settoriscientifico-disciplinari, all’interno <strong>dei</strong> quali leuniversità – con i regolamenti didattici diateneo e <strong>dei</strong> corsi di studio – “sceglieranno” lediscipline <strong>dei</strong> curricula. Con la riforma, a partiredal 2001, “tramonteranno” i percorsi distudio uguali in tutto il territorio nazionale: ufficialmentegli atenei potranno determinare inautonomia il 34% <strong>dei</strong> crediti (in tutto 180 per lalaurea e 300 per la laurea specialistica), inrealtà gli spazi di libertà saranno amplificati dalgran numero di discipline appartenenti a ognisettore scientifico-disciplinare.1


L’OPINIONE di Antonio DuvaSentenze penali di condannae diritto all’appello:tutelare difesa e GiustiziaÈ stata calcolata in circa 3500 miliardi la cifracomplessiva alla quale ammontano le richiestedi risarcimento avanzate, in occasioni diquerele, nei confronti di giornalisti italiani nelcorso degli ultimi due anni. È una sommaenorme, spesso derivante da iniziative strumentali,che si traduce in una indiretta eindebita pressione sulla libertà di giudiziodegli organi di informazione.È un segnale di grande disagio <strong>dei</strong> rapporti frastampa, pubblica opinione e giustizia. Non ètuttavia l’unico: la severa, ma rigorosa, decisionerecentemente assunta dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistidella Lombardia sul caso Feltri ha postoin evidenza il tema, spesso trascurato, delladeontologia, mentre altre vicende indicanoquanti limiti vi siano nelle norme sulla rettificao in quelle sulla registrazione delle testate online.Questioni complesse e controverse allequali spesso molti reagiscono riproponendo,con sbrigativa superficialità, la logora ricettadella soppressione dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti.In realtà le vicende recenti dimostranoproprio il contrario: e cioè che solo l’esistenzadell’<strong>Ordine</strong> - pur con tanti limiti e vincoli -rappresenta un estremo presidio a tutela nonsolo della professionalità <strong>dei</strong> giornalisti maanche <strong>dei</strong> diritti del lettore. Ma indubbiamenteproblemi di riforma profonda si pongonoper l’<strong>Ordine</strong> professionale, affinché, essopossa esercitare al meglio la sua funzione,così come appaiono necessarie consistentimodifiche delle normative sulla stampa.Fra queste - per le ragioni ricordate all’inizio- presenta un carattere di particolare urgenzaquella relativa al diritto di appello controle sentenze di condanna, per diffamazione,per le quali sia stata prevista la sola penapecuniaria.“Parlamento contro giornalisti” ha titolatoil n. 9 di Tabloid. Le cose non stanno propriocosì.L’allarme ha un suo fondamento ed è giustificatonon solo per i giornalisti ma per tutti icittadini.Le ripetute modifiche avvenute nel corsodegli ultimi anni della legislazione processualepenale hanno infatti prodotto conseguenzenon sempre opportune dal punto divista della funzionalità del sistema e dellegaranzie.Nel caso specifico, tuttavia, la ricerca di unasoluzione al problema è già avviata.La Commissione giustizia di Palazzo Madamaha recentemente approvato un disegnodi legge (primo firmatario il senatore GiovanniRusso) che propone un rimedio a mioavviso tanto equilibrato quanto valido.Come sottolinea la stessa relazione all’A.S.n. 4771: “La modifica dell’articolo 593 delcodice di procedura penale - divenuta operativacon l’entrata in vigore della legge 24novembre 1999 n. 468 - ha suscitato talunecritiche e preoccupazioni, con riferimento aquei delitti (si pensi, ad esempio, alla diffamazionea mezzo stampa o alle lesionicolpose) il cui accertamento si accompagna,se vi è costituzione di parte civile, allacondanna dell’imputato al risarcimento deldanno, o comunque fa stato nel giudizio civileo amministrativo di danno o in altri giudizi.In effetti, la ratio della innovazione sta nelmodesto “peso” che assume l’inflizione diuna pena soltanto pecuniaria, rispetto allaquale non fa sostanziale differenza che essaconsista nell’ammenda… o nella multa; matale ratio certamente non ricorre nei casi incui la condanna penale costituisce la baseVice presidente del Gruppo DS-L’Ulivo del Senatoper una contestuale o successiva condannaal risarcimento del danno, poiché in tali casile conseguenze civilistiche della sentenza dicondanna ‘pesano’ assai di più di quanto nonpeserebbe l’inflizione di una modesta penadetentiva, condizionalmente sospesa”.Di qui la proposta di un intervento correttivo- qual è appunto quello prospettato dal Ddln. 4771 - che riapra la via dell’appellabilità,come risorsa per l’imputato, in tutti i casi disentenza di condanna in cui la pena pecuniariasia accompagnata anche dalla previsionedel risarcimento dal danno a favoredella parte civile.Si tratta insomma di tutelare meglio i dirittidella difesa senza appesantire inutilmente lafunzionalità - già così limitata - del sistemaprocessuale come appunto prevede il Ddl n.4771 che è stato approvato il 14 novembrescorso dalla Commissione giustizia in sedereferente.C’è ora da augurarsi che questo provvedimentoconcluda nel più breve tempo possibileil suo iter a Palazzo Madama e che, subitodopo, possa ricevere il consenso anchedalla Camera <strong>dei</strong> Deputati. Se così saràalmeno uno <strong>dei</strong> punti di frizione fra stampa egiustizia sarà stato rimosso in modo appropriato.A questo fine il pur poco tempo disponibileprima della conclusione della legislaturaappare sufficiente.Occorre però che sia forte e decisa la sollecitazionedi quei cittadini, come i giornalisti, chesono interessati a un simile esito e occorreche sia coerente, in questo senso, l’impegnodelle forze politiche: difesa della libera informazionee tutela della giustizia mai come inquesto caso coincidono.Santaniello:“La Carta Ueha non pochidiritti nuovi”Roma, 16 novembre. La carta europea <strong>dei</strong>diritti è un “documento politico-giuridico chediventa il presupposto di una vera e propriacittadinanza europea”. Lo afferma in un’intervistaal “Messaggero” il vicepresidente dell’ufficiodel Garante per la privacy, GiuseppeSantaniello, che respinge le critiche mossecontro il documento comunitario. “Bastaleggerlo - afferma - per constatare che contienenon pochi diritti nuovi. Quali la protezione<strong>dei</strong> dati di carattere personale, il riconoscimentodel giusto processo, il riconoscimento<strong>dei</strong> principi e <strong>dei</strong> valori della bioetica e dellabiomedicina, della qualità della vita, dellamultireligiosità e della libertà di coscienza.Della non discriminazione culturale e linguistica,<strong>dei</strong> diritti del bambino e degli anziani”.In particolare, afferma Santaniello, un principioinserito nella Carta, ma che non è presentenelle Costituzioni degli Stati, è quello deldiritto alla protezione <strong>dei</strong> dati personali, che “èinquadrata nel titolo libertà. Un fatto estremamenteimportante. Questa è la visione piùmoderna della privacy, in quanto non è isolamentodella persona, ma espressione dellasua dignità e, soprattutto, della sua libertà”.(ANSA)A Pino Rea(Ansa) il premioGhinettiSan Miniato (Pisa), 16 novembre. È statoassegnato a Pino Rea, redattore della sedeAnsa di Firenze, il premio giornalistico intitolatoa Roberto Ghinetti, il giornalista delquotidiano “Il Tirreno” morto a 32 anni nelgiugno del 1993. La decisione di assegnareil riconoscimento è stata presa dalComune di San Miniato che ogni annoorganizza il premio. Rea, 56 anni, all’ Ansadal 1982, ha lavorato in passato per i quotidiani“Il Nuovo” e “Paese Sera” ed è statoper anni il primo corrispondente dallatoscana di “Repubblica”. Presidente dell’Astdal 1997 è tra i promotori di Isf, Informazionesenza frontiere, che si occupa dellasituazione <strong>dei</strong> giornalisti in Paesi nei quali ildiritto all’informazione viene negato o èconsiderato “a rischio”.(ANSA)Cartellino rosso dall’<strong>Ordine</strong> al direttore e a un inviato di “Panorama”Qual è il limite del dirittodi cronaca garantito ai giornalisti?Pubblichiamo integralmente l’articolo di Alberto Papuzzi, apparso su “ La Stampa” del 27 luglio, che commentauna deliberazione dell’<strong>Ordine</strong> di Milanodi Alberto PapuzziQual è il limite del diritto di cronaca garantitoai giornalisti? Una sentenza dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong>giornalisti della Lombardia ha riapertoquesto problematico interrogativo, che haalle spalle una storia in cui s’intrecciano ilprincipio costituzionale della libertà di stampae i diritti delle persone coinvolte nell’universodelle notizie. La sentenza è stataemessa dopo un procedimento disciplinareper un articolo apparso su “Panorama” del 2marzo: al direttore Roberto Briglia è statacomminata la sanzione della censura, l’inviatoMarcella Andreoli è stata sospesa per 2mesi dalla professione. Entrambi respingonola sentenza, con la solidarietà della redazione:“Decisione inaccettabile” ha scritto Brigliain una nota ai colleghi: “È un precedentepericolosissimo”. Quanto alla Andreoli, sidifende ricordando il proprio impegno: “Hosempre fatto un giornalismo di denuncia. Perme il giornalismo è smascherare i mascalzoni”.Oggetto del caso, che certamente rinfocoleràle polemiche sulla legittimità di un<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, un articolo intitolato Ilsacco, la carota e altre storie di “nonni”, incui si raccontavano le violenze subite da unaviere di leva nella base missilistica diBagnoli di Sopra in provincia di Padova.Punto cruciale la cruda descrizione di unepisodio di sevizie, non portate a termine.L’articolo faceva nome e cognome della vittimadi questi atti di nonnismo, indicandoanche il luogo di provenienza. Secondo lagiornalista, i dati si potevano considerarepubblici essendo pendente un procedimentopenale contro un maresciallo e tre avieri,accusati delle violenze, che aveva dato luogoanche a una udienza preliminare. Ma i genitoridella vittima si sono appellati alla leggesulla privacy e al codice deontologico <strong>dei</strong>giornalisti, approvato due anni fa, che vietadi rendere nota l’identità di chi è oggetto diabusi sessuali.Marcella Andreoli è conosciuta come unagiornalista di valore. Professionista dal 1973,iniziò la sua carriera all’“Avanti!”, seguendoper anni le piste del terrorismo nero e rosso.Ha fatto parte di una pattuglia di cronisti chenegli anni settanta cercarono di mettere anudo i retroscena dello stragismo italiano. Altelefono ricorda quando un foglio dell’estremasinistra, il “Quotidiano <strong>dei</strong> lavoratori”,dedicò il titolo Ecco i quattro giornalisti killera Marco Nozza del “Giorno”, Giulio Obici di“Paese Sera”, Ibio Paolucci dell’“Unità” eappunto a lei, “perché non scrivevamo che iterroristi erano compagni che lottavano”.Però, dall’altra parte, c’è un giovane poco piùche ventenne che ha visto resa pubblica unasua dolorosa storia. Perché pubblicare nomee cognome? Erano fondamentali ai finidell’informazione? “Perché c’era già unprocesso, perché c’erano degli atti pubblici -risponde Andreoli -. Io non ho trafugato nulla,non ho raccolto indiscrezioni. E ancheperché ho pubblicato tutti i nomi degli accusati,che pure si presumono innocenti fino algiorno della condanna”. Aggiunge Briglia: “Èvero che la vittima ha subito un danno, mava tenuto conto che è stato lui a promuovereil processo penale. E l’articolo sosteneva lasua denuncia”.Così il giornalismo si trova di fronte a un anticoconfronto, che ne ha segnato l’interastoria: la natura della notizia, che è plasmatadi dati, di elementi materiali come quellisintetizzati nelle celebri cinque W (Who,When, Where, What, Why), e le vite, ladignità, i sentimenti, l’immagine delle personeche si trovano ad essere coinvolte nellamacchina dell’informazione, trasformate inuna merce che si chiama notizia. Negli anninovanta i giornalisti italiani, sotto la pressioneanche di vicende come l’inchiesta di Manipulite, si sono dati una serie di regole, conuna Carta <strong>dei</strong> doveri e un codice deontologico,perché la notizia non passi sui diritti dellepersone come un rullo compressore.Una di queste regole è il divieto di rendereidentificabili le vittime di violenze a caratteresessuale (prevista anche dal codice penale).Nella vicenda di “Panorama”, la violazione èinnegabile. Lo stesso Briglia mette in discussionepiù l’entità della sanzione che il procedimentodisciplinare: “Quell’articolo - dice - ècronaca, cronaca, e ancora cronaca. MarcellaAndreoli è una professionista di conclamatoimpegno e rigore. Se l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistisi assume la responsabilità di sospenderlaper due mesi, penso che si debba metterein discussione la capacità di giudizio diquesto organismo. Dico che tutti possiamosbagliare, ma questa sentenza è unamazzata che può pregiudicare un’interacarriera”.Perciò il direttore di “Panorama” ha inviatouna lettera ai presidenti di Camera e Senato,per sollevare la questione del diritto di cronaca,collegato anche alle querele ai giornalisti.Franco Abruzzo, presidente dell’<strong>Ordine</strong>della Lombardia, sostenitore di una lineasevera, si limita a dire che le regole deontologichesono un grande fatto di civiltà. Ma ilconfine tra il valore dell’informazione e idanni che può arrecare non è quasi mai facileda tracciare.2 ORDINE 10 <strong>2000</strong>


Due giornate di sciopero dopola rottura del negoziato.La posta in gioco è la dignitàdi chi lavora nei giornali,nei periodici, nelle emittenti radiotve in Internet o come freelance<strong>Giornalisti</strong> uniti contro la Fiege nella difesa della professioneRoma, 28 novembre. Il 29 e 30 novembre igiornalisti della carta stampata hanno incrociatole braccia, seguiti da quelli delle emittentiradiotelevisivi. Il 28 l’incontro Fnsi-Fiegera naufragato. Il colloquio, come avevaannunciato la Fnsi in una nota, era considerato“l’estremo tentativo di dialogo prima didecidere azioni di lotta della categoria”. Silegge nel comunicato stampa diramato dallaFnsi il 28 novembre: “L’interruzione delle trattativeper il rinnovo del contratto <strong>dei</strong> giornalistiavviene dopo 14 mesi dall’avvio del negoziatoed appare quindi particolarmentegrave. La commissione contratto della Fnsiha già sottolineato con forza i positivi avanzamentirealizzati nel lungo confronto-scontrocon gli editori ma ha giudicato improponibilialcune delle più importanti ipotesi diconclusione formulate dalla Fieg, mentre haconfermato i punti irrinunciabili propostianche nell’incontro di ieri dal Sindacato <strong>dei</strong><strong>Giornalisti</strong>.Siamo consapevoli della rilevanza delle decisioniche abbiamo assunto la cui responsabilitàva attribuita alla posizione degli editoriche permane intransigente su alcuni aspettifondamentali per il presente ed il futuro dellaprofessione giornalistica. La Federazionedella Stampa ha accettato la sfida dellamodernizzazione e della flessibilità, conl’obiettivo però di far avanzare i confini dellatutela e della rappresentanza <strong>dei</strong> giornalistinei settori finora privi di regolamentazionecontrattuale. E ciò, evidentemente, senzastravolgere il meccanismo del lavoro giornalisticobasato sull’autonomia delle redazionie <strong>dei</strong> singoli giornalisti”.Questi i punti sui quali si è determinata l’interruzionedel negoziato:On line: la possibile intesa, per la primavolta nel sistema delle relazioni sindacali, peruna regolamentazione del lavoro giornalisticonel Web è ostacolata dalla posizionenegativa degli editori su alcune questionieconomiche e normative di grande rilievo. LaFnsi non può accettare che le redazioni conmeno di sei giornalisti, molto diffuse nell’online, siano lasciate senza rappresentanzasindacale. Occorre che sia garantito il ripososettimanale ed il pagamento dell’eventualelavoro domenicale, festivo e notturno. Si trattadi conquiste storiche per tutti i lavoratori enon solo per i giornalisti. Non si può insommaaccettare una ipotesi di contratto di serieB nel quale, per esempio, sia previsto undiverso regime degli scatti di anzianità rispettoai colleghi degli altri settori produttivi.Lavoro autonomo: la regolamentazione dellavoro <strong>dei</strong> giornalisti freelance sarebbe limitata,secondo la posizione Fieg, alle solecollaborazioni coordinate e continuativeescludendo così tutte le collaborazioni autonomeprofessionali. Gli editori voglionoescludere regole minime di comportamentoper centinaia di giornalisti collaboratori chevivono della professione e contribuiscono inmaniera determinante alla realizzazione delprodotto. Gli editori rifiutano inoltre forme dirispetto del lavoro <strong>dei</strong> freelance come il dirit-I punti irrinunciabiliRoma, 22 novembre. La commissionecontratto della Fnsi il 22 novembre avevaconsiderato “improponibili” alcune ipotesiformulate dalla Fieg, ipotesi che nulla hannoa che fare con la flessibilità e con la modernizzazionedel lavoro giornalistico, e chepuntano a minare alla base la struttura e l’autonomiadella professione, nonché la qualitàdel prodotto. Si legge nel comunicato diramatoal termine della riunione della stessaCommissione: “La commissione respingeogni tentativo di smantellare diritti e garanziefondamentali, di creare redattori di serie B,di snaturare le esigenze di flessibilità attraversoun uso artatamente squilibrato <strong>dei</strong>contratti a termine, di indebolire la funzionee l’autonomia <strong>dei</strong> quadri con un eccessivoricorso all’impiego temporaneo, di introdurreforme autoritarie nell’esercizio della professione.La commissione ritiene possibile stringerela trattativa, in tempi rapidissimi, acondizione che vengano garantiti in primoluogo i seguenti punti, che sono di primariaimportanza anche e specialmente per lenuove generazioni di giornalisti:On line: va garantito il riposo settimanale, larappresentanza sindacale, il pagamentodell’eventuale lavoro domenicale; freelance:ampliare l’ambito di applicazione dell’accordonazionale.Giornalista trasferito: accolto il ricorso di Fabio MorabitoFlessibilità: estensione <strong>dei</strong> contratti a terminema solo per la creazione di nuove redazionie di nuovi inserti. La quantità va proporzionataal numero <strong>dei</strong> nuovi addetti. A parteil caso delle nuove iniziative, capiservizio ecapiredattori vanno esclusi dai contratti atermine relativi alle qualifiche gerarchiche.Mantenimento dell’indennità di inviato occasionale.Retribuzione per il prodotto multimedialee destinato a più testate della stessa aziendaeditoriale, fermo restando che questoimpegno non può essere sostitutivo rispettoa quello per la testata di appartenenza.No all’annullamento <strong>dei</strong> permessi sindacali.E no a codici disciplinari che snaturinola professione.Un adeguato aumento retributivo chetenga conto dell’accresciuto impegno professionale<strong>dei</strong> giornalisti, dell’ottimo andamentodel mercato dell’informazione e dell’andamentoreale dell’inflazione.La commissione giudica che questi elementisiano pienamente funzionali allo sviluppo delsettore e anzi ne favoriscano una crescitasana, come dimostra il fatto che queste soluzionisiano per larga parte già presenti, conpiena soddisfazione delle parti e con unbuon esito per i bilanci, nei gruppi più importantie innovativi dell’editoria italiana”.to alla firma e all’integrità degli articoli, névogliono recepire la normativa europea cheprevede il pagamento entro trenta giornidalla consegna <strong>dei</strong> pezzi.Flessibilità: la Fieg vuole aumentare lapossibilità di stipulare contratti a termine finoal 30% degli organici redazionali oltre cheper le nuove iniziative anche nei casi diaumento di foliazione, realizzazione di nuovecronache e di edizioni locali, supplementisettimanali, numeri speciali. Gli editori chiedonoanche di avere libertà di utilizzare icontratti a termine per assumere capiservizioe capiredattori, oltre che le qualifichesuperiori, nella misura del 20% degli organiciredazionali complessivi. In sostanza laFieg vuole il controllo assoluto delle gerarchieredazionali che sarebbero sottoposte al“ricatto” della contrattazione a termine. Ilsistema proposto dagli editori renderebbeinoltre possibile una espansione pressochèsenza limiti del precariato sottoposto a fortipressioni aziendali.Infine la Fieg vuole cancellare dal contrattola figura dell’inviato occasionale e utilizzarel’opera del giornalista oltre che per la testataper la quale è stato assunto anche per qualsiasialtra testata dell’azienda compresequelle multimediali.Grafici: nella utilizzazione <strong>dei</strong> sistemi editorialie nel processo di videoimpaginazione,specie nel settore <strong>dei</strong> periodici, si vuolecancellare la figura del giornalista graficospostando le sue competenze su professionalitàtecniche.Roma, 28 novembre. È illegittimo e “sembra sottendereuna finalità ritorsiva”, il trasferimento dalla sede centralealla redazione di Pescara del giornalista del “Messaggero”Fabio Morabito. Lo ha deciso il giudice del lavoro di Roma,Elisabetta Mariani, che ha sospeso il provvedimento, rilevandoche il trasferimento “non appare sorretto da adeguateragioni tecnico- produttive”. La vicenda di Morabito, conquella del collega Umberto La Rocca (destinato a Macerata),è al centro di una vertenza. Morabito, assistito dall’avvocatoDomenico D’Amati, ha avuto anche il sostegnodell’Associazione stampa romana, il sindacato locale <strong>dei</strong>giornalisti.Rapporti sindacali: la Fieg insiste nel volerannullare i permessi sindacali retribuiti pergli organismi dirigenti delle istituzioni dellacategoria e per i componenti della commissioned’esame professionale. Gli editori, inoltre,continuano a perseguire l’obiettivo di uncodice disciplinare inserito nel contratto i cuicontenuti rischiano di snaturare il ruolo e lafunzione del giornalismo.Aumenti retributivi: la Federazione dellaStampa ha chiesto aumenti retributivi almenopari a quelli ottenuti recentemente daaltre categorie del pubblico impiego, <strong>dei</strong>servizi e dell’industria ed ha sottolineato ilmomento molto favorevole dell’andamento<strong>dei</strong> conti delle aziende del sistema dell’informazione.Il tentativo della Fieg di spostaregran parte degli aumenti salariali nellacontrattazione aziendale rischia di favorire leaziende più forti per penalizzare i giornalistidelle testate medio piccole e rivela il tentativodegli editori di indebolire la contrattazionenazionale di categoria.“Il Sindacato <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> sottolinea che isei elementi di scontro sopra descritti impedisconola conclusione positiva del negoziato.La Fnsi ha già compiuto numerosi sforzidi adeguamento del contratto alle trasformazionidel mondo della comunicazione e ritienedi aver avanzato proposte compatibili conuno sviluppo sano del settore che ponga alcentro la qualità dell’informazione. Se glieditori saranno disposti ad ulteriori avanzamentisui punti sopra descritti la Fnsi saràpronta a riprendere il confronto contrattuale”.Nuovi scioperi in vistaRoma, 1 <strong>dicembre</strong>. ‘’Dopo 14 mesi di negoziato,cinque interruzioni e altrettante ripresedelle trattative - afferma la Fnsi in una nota -resta intatta la capacità di mobilitazione e dilotta contro la volontà degli editori di stravolgerele redazioni e il lavoro giornalistico’’.‘’Ancora una volta, purtroppo, si segnalano icomportamenti scorretti, antisindacali eprovocatori di alcuni editori e direttori che,pur in presenza di una consistente astensionedal lavoro <strong>dei</strong> giornalisti delle loro testate,si sono adoperati per far uscire i loro giornali.Al gruppo Riffeser i direttori, d’accordo conl’editore, hanno scritto lettere fotocopia aigiornalisti per invitarli a devolvere in beneficenzaparte del loro salario. Una propostagiustamente respinta dalle redazioni chehanno scioperato con una percentuale diadesione di oltre il 95%.I giornali sono usciti con il lavoro <strong>dei</strong> gruppi didirezione, di alcuni redattori con contratto atermine e di diversi giovani stagisti. In altretestate si sono ripetuti inviti al crumiraggio evere e proprie intimidazioni fermamenterespinte dai giornalisti. Nel settore dell’on-linela partecipazione allo sciopero è stata elevatissima,ad eccezione di alcune nuove iniziativeinformative, come ‘Il Nuovo.it’, i cui direttorihanno ricercato ragioni pretestuose einaccettabili per indurre i colleghi a lavorare’’.“La Fnsi - prosegue la nota - ricorda che lamobilitazione proseguirà nei prossimi giorniin tutti i settori produttivi. Il giornalismo italianovive una fase difficilissima nella suastoria, sottoposto a continui assalti, a ristrutturazionie a tagli occupazionali che hannodevastato realtà editoriali storiche del Paese(come l’Unità).La Federazione esprime solidarietà ai giornalistilicenziati e cassaintegrati da giornalied emittenti radiotelevisive private (comeAntenna 1 e Rete 7 di Bologna e le radiolocali di RTL-102.5) ed ai colleghi trasferiticon inaccettabili prassi autoritarie (comeall’ADNKronos e al ‘Messaggero’)”.“La Giunta della Federazione Nazionaledella Stampa - continua la nota - ha decisodi confermare gli scioperi dell’emittenza televisivanazionale per l’11 e il 12 <strong>dicembre</strong>, diconfermare le astensioni dal lavoro <strong>dei</strong> periodici,che stanno iniziando in questi giorni, edi attuare altri scioperi <strong>dei</strong> uotidiani le cuidate e modalita’ saranno comunicate dallaSegreteria.La conferenza nazionale <strong>dei</strong> cdr si riunirà neiprossimi giorni per esaminare la grave situazioneche sarà anche discussa dal ConsiglioNazionale convocato per il 20 <strong>dicembre</strong>”.(ANSA)Beppe Giulietti (ds) chiede la mediazione del GovernoMILANO. Il sindacato <strong>dei</strong> giornalisti andrà avanti negli scioperiper la vertenza del rinnovo del contratto di lavoro, per ilquale “gli editori devono mettere in campo soluzioni diverseda quelle prospettate”. Paolo Serventi Longhi, segretariodella Fnsi, continua per la sua strada. “Il risultato dello sciopero”ha detto intervenendo al Forum della comunicazionelocale a Frascati (Roma) è “stato molto positivo: abbiamo giàin previsione le due giornate di sciopero dell’emittenza perl’11 e il 12 <strong>dicembre</strong> e dobbiamo decidere gli altri scioperi<strong>dei</strong> quotidiani”. Ragioniamo in una situazione di grandeadesione, ma anche di qualche problema che ha riguardatol’informazione che fa riferimento a una parte politica. E non“ha tenuto a precisare” perché la Fnsi faccia riferimento,come dice Vittorio Feltri, all’ala bolscevica della società italiana,ma perché qualunque sia la parte politica danneggiata èevidente che le azioni sindacali in qualche modo vanno adinterferire”.Giuseppe Giulietti, responsabile informazione Ds, sollecita ilGoverno a intervenire. “Dovrebbe verificare almeno in viainformale se esistono margini di una possibile mediazioneper la vertenza del rinnovo del contratto <strong>dei</strong> giornalisti”, hadetto a margine del convegno romano.Giulietti non ha nascosto la preoccupazione per la “delicatascadenza elettorale che si avvicina: i black-out dell’informazionediventano sempre più rischiosi per una evidente sceltapolitica della destra di boicottare gli scioperi <strong>dei</strong> giornalisti” edi “approfittare degli scioperi per organizzare campagne distampa coordinate”.Intanto ai sindacati arriva una frecciata: lo sciopero <strong>dei</strong> giornalisticolpisce pesantemente gli editori della carta stampatamentre non pesa granché su quelli tv. A lanciarla è ErnestoAuci in un convegno a Milano. Un’osservazione, ha precisatolo stesso direttore del “Sole-24 Ore”, che vuole essere spuntodi riflessione e in nessun modo un attacco al diritto di sciopero.Gli editori della carta stampata “ci rimettono totalmente incaso di sciopero” ha detto Auci “ma quelli televisivi in realtà ciguadagnano potendo mandare qualche spot in più e forseannoiando meno i telespettatori con i telegiornali”.(da “Il Sole 24 Ore” del 3 novembre <strong>2000</strong>)ORDINE 10 <strong>2000</strong>3


DELIBERAZIONELettera alle autorità dello Stato, ai parlameAssoltootto volteIl Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> della Lombardianella sua seduta del 20 novembre <strong>2000</strong>;sentito il consigliere istruttore, Sergio D’Asnasch (articolo 6della legge 7 agosto 1990 n. 241);visti gli articoli 2 e 48 della legge 3.2.1963 n. 69 sull’ordinamentodella professione giornalistica con riferimento agli articoli2 e 21 (comma 6) della Costituzione; 15 della legge n.47/1948 sulla stampa;lette la sentenza n. 11/1968 della Corte costituzionale secondola quale l’<strong>Ordine</strong> «....con i suoi poteri di ente pubblico vigila,nei confronti di tutti e nell’interesse della collettività, sullarigorosa osservanza di quella dignità professionale che sitraduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai allalibertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioniche possano comprometterla» e la sentenza n. 7543del 9 luglio 1991 (Mass. 1991) della Cassazione civile secondola quale «la fissazione di norme interne, individuatrici dicomportamenti contrari al decoro professionale, ancorchénon integranti abusi o mancanze, configura legittimo esercizio<strong>dei</strong> poteri affidati agli Ordini professionali, con la consequenzialeirrogabilità, in caso di inosservanza, di sanzionedisciplinare»;espletate le sommarie informazioni di cui all’articolo 56 dellalegge 3.2.1963 n. 69;tenuto conto della sentenza 14 <strong>dicembre</strong> 1995 n. 505 dellaCorte costituzionale;visti altresì gli atti del procedimento;considerato quanto segue:1. Fatti e avviso disciplinareIn data 29 settembre <strong>2000</strong> il presidente di questo Consiglioha notificato al giornalista professionista Vittorio Feltri questoavviso disciplinare:«Nell’ambito <strong>dei</strong> poteri attribuitimi dagli articoli 4, 5 e 6 dellalegge n. 241/1990, informo che, anche su segnalazione diuna iscritta all’Albo, la segreteria del Consiglio ha acquistatouna copia di “Libero” di oggi 29 settembre <strong>2000</strong>.Nella pagina 3 hai pubblicato sette fotografie, ricavate da un“sito pornografico reso disponibile dai pedofili russi”, e una apagina 4 (raffigurante “una scena di violenza tratta dal videodi pedofilia sequestrati dalla magistratura”) che appaionocontrarie al buon costume e tali, “illustrando particolari raccapricciantie impressionanti”, “da poter turbare il comune sentimentodella morale e l’ordine familiare”. La pubblicazionedelle 8 fotografie integra la violazione degli articoli 2 e 48della legge sull’ordinamento della professione giornalistica.Il tuo comportamento potrebbe essere inquadrato a questedue massime giurisprudenziali:1) In assenza di tipizzazione <strong>dei</strong> comportamenti illeciti sulpiano disciplinare, la rilevanza deontologica <strong>dei</strong> comportamentidel giornalista va teleologicamente valutata in rapportoall’obbligo di comportarsi in modo conforme al decoro edalla dignità professionale e tale da non compromettere lapropria reputazione o la dignità dell’<strong>Ordine</strong> sancito dall’art.48 1. n. 69 del 1963 nonché al dovere di lealtà e buona fedeed all’obbligo di promuovere lo spirito di collaborazione tracolleghi, la cooperazione tra giornalisti ed editori e la fiduciatra la stampa ed i lettori sanciti dall’art. 2 della legge medesima.(App. Milano, 18 luglio 1996; Foro It., 1997, I, 919)2) Oltre all’obbligo del rispetto della verità sostanziale <strong>dei</strong>fatti con l’osservanza <strong>dei</strong> doveri di lealtà e di buona fede, ilgiornalista, nel suo comportamento oltre ad essere, deveanche apparire conforme a tale regola, perché su di essa sifonda il rapporto di fiducia tra i lettori e la stampa. (App. Milano,18 luglio 1996; Riviste: Foro Padano, 1996, I, 330, n.Brovelli; Foro It., 1997, I, 938)»;2. Sommarie informazioni, capo d’incolpazionee comunicazioni alle partiVittorio Feltri non ha raccolto l’invito di fare pervenire alConsiglio una sua nota difensiva entro 15 giorni dal ricevimentodell’avviso disciplinare. La pubblicazione di fotografieimpressionanti e raccapriccianti è espressamente proibitadall’articolo 15 della legge n. 47/1948 sulla stampa e contrastacon i principi fissati negli articoli 2 e 21 (VI comma) dellaVittorio Feltri radiato<strong>dei</strong> bambini (usati daiCostituzione e negli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963sull’ordinamento della professione giornalistica. Pertanto ilConsiglio, nella seduta del 16 ottobre, ha deliberato l’aperturadel procedimento disciplinare, con riferimento agli articoli2 e 48 della legge n. 69/1963 in relazione agli articoli 21(comma 6) della Costituzione e 15 della legge n. 47/1948, acarico di Vittorio Feltri, direttore di “Libero” (ex articolo 6 delvigente Cnlg e articolo 7 della legge n. 633/1941) con lacontestazione del seguente addebito: «Aver disposto, nellasua qualità di direttore di “Libero”, la pubblicazione alla pagina3 dell’edizione del 29 settembre <strong>2000</strong> del quotidiano disette fotografie impressionanti e raccapriccianti di bambiniricavate da un “sito pornografico reso disponibile dai pedofilirussi”, e di una ottava fotografia a pagina 4 (raffigurante “unascena di violenza tratta dal video di pedofilia sequestrati dallamagistratura”), fotografie che appaiono tutte contrarie albuon costume e tali, “illustrando particolari raccapriccianti eimpressionanti”, “da poter turbare il comune sentimento dellamorale e l’ordine familiare”. La pubblicazione delle 8 fotografieintegra la violazione degli articoli 2 e 48 della legge m.69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica inrelazione all’articolo 21 (VI comma) della Costituzione eall’articolo 15 della legge n. 47/1948 sulla stampa. Il Consiglio,che ha fatto notificare il provvedimento ai controinteressati,ha sottolineato in quella occasione quanto affermato daisupremi giudici: “Il provvedimento con il quale il Consigliodell’<strong>Ordine</strong> deliberi l’apertura del procedimento disciplinarenon implica, neppure implicitamente, alcuna pronuncia sullacolpevolezza del professionista, ma costituisce mero attopreliminare della decisione» (Cass. sez. un. 25 ottobre 1979n. 5573).3. Audizione dell’incolpatoVittorio Feltri ha rinunciato a comparire, non ha nominato undifensore di fiducia, non ha risposto, come già riferito,all’«avviso» disciplinare del 29 settembre <strong>2000</strong>. Appareopportuno, per inquadrare la vicenda, riportare l’articolo difondo di “Libero” del 29 settembre <strong>2000</strong> con il quale VittorioFeltri spiega e giustifica le ragioni che lo hanno spinto apubblicare “quelle” immagini. Ecco il testo dell’articolo che haquesto titolo Scandalo necessario per svegliare le nostrecoscienze:“Non hanno capito niente o hanno finto di non aver capito.Da Torre Annunziata arriva una notizia da infarto: migliaia dipedofili scovati in vari siti Internet e sottoposti a indagine,alcuni già finiti in galera e altri in procinto di andarci. Sequestratomateriale da brividi, documenti inequivocabili, fotografie,filmini: bimbi violentati, umiliati, usati come bambolegonfiabili, poi torturati, tagliuzzati, uccisi. Scoperto uncommercio laido e miliardario, scambio di indirizzi, compravenditadi carne infantile. Gli italiani sentono ma non credonoai propri orecchi, vedono e non credono ai loro occhi. Succedetutto questo e sapete che cosa fanno loro, quelli della sinistrae quelli Polo? Se la pigliano con i direttori del Tg1 GadLerner e del Tg3 Rizzo Nervo. Che hanno combinato i giornalisti,sono gli organizzatori della macelleria e dello spaccio?Nossignori. Hanno commesso un reato molto più grave:si sono permessi di raccontare lo schifo della pedofilia conservizi forti, forse troppo, in cui si getta in pasto ai cittadini larealtà. Una realtà cruda, da togliere il sonno a chi la guarda,un pugno nello stomaco, d’accordo, ma che colpa hanno icronisti se in giro per il Paese accadono cose ripugnanti?Dovevano sfumare. Sfumare è la specialità del giornalismonostrano, che dinanzi alle notizie brutte si volta, ignora, lasciaperdere. Ecco, secondo gli ipocriti (costituiscono la base delconformismo nazionale) anche ora bisognava lasciar perdere.D’accordo, ci sono i pedofili, sono tanti, affollano Internet, siscambiano i bambini come fossero figurine, se il piccolocrepa sulla scena il prezzo naturalmente sale, ovvio, la mercerara costa di più. Però gli italiani sono scemi ed è meglio chescemi rimangano: non diciamogli nulla. Anzi, diciamogli purequalcosina, senza esagerare altrimenti si turbano; diciamogliche le migliaia di indagati sono sì pedofili, ma appena appena,roba piccola. Date retta: cambiate canale che c’è su lapartita. Questo sarebbe piaciuto ai vertici della Rai. Che ilTg3 e il Tg1 fossero stati così gentili da evitare certe informazioni.E siccome gentili non sono stati, giù legnate. Minacciatidi sanzioni gli autori materiali <strong>dei</strong> servizi, e i responsabilisono stati dimessi. Dato che una tantum hanno fatto il lorodovere, vanno cacciati, additati al volgo quali disturbatoridella quiete e delle coscienze.È una storia incredibile. Lerner, dopo la trasmissione delleagghiaccianti immagini circolanti su Internet senza freni néostacoli, è andato personalmente in video e ha chiestoscusa. Scusa di che? Il direttore di un Tg sarebbe obbligatoa scusarsi se nascondesse le notizie per opportunità (anzi,opportunismo). Ma quando, vincendo il ribrezzo e la voglia dicestinare registrazioni e documenti, fornisce al pubblico leprove <strong>dei</strong> fatti, inclusi i più indigesti, è da applaudire. Come sifa a non mostrare il vizio osceno di cinquemila pedofili chehanno agito indisturbati fino a ieri, comunicando tra loro,consigliandosi sulla merce più preziosa da acquistare? Carilettori, qui non siamo di fronte a ordinarie perversioni, a formeun po’ stravaganti di sessualità, a porcelloni qualunque, ma agente che adopera e favorisce l’utilizzo <strong>dei</strong> bambini, bambinitrattati come vuoti a perdere, seviziati, ammazzati. Per godere.O si sbatte la faccia contro questa realtà o non la sicomprende fino in fondo e si tende a minimizzare. Quantepersone ho udito dire: massì, cose sempre esistite, unacarezza non ha mai ucciso una ragazzina e poi, va’ là, checerte ragazzine sono più puttane delle adulte. Sicuro, è un’opinionecorrente. Ed è questa mentalità il brodo di culturadella pedofilia. Un brodo in cui si sviluppano l’indifferenza el’omertà, addirittura la complicità della moglie del pedofiloche violenta la figlia: conviene tacere, nascondere per nonrovinare la famiglia.Guai adattarsi all’ipocrisia bigotta e codina di quelli che preferisconofare spallucce e seguitare a vivere nell’ignoranzad’un fenomeno più diffuso di quanto si immagini. Così il fenomenonon si stronca. Bisogna creare, viceversa, allarme eriprovazione sociale. E l’unico mezzo idoneo è lo scandalo:toh, guardate che fanno ai bambini, forse anche ai tuoi. Lecoscienze per ribellarsi devono essere offese. E le scenebestiali mandate in onda dai Tg forse hanno raggiunto loscopo, speriamo. Altro che licenziare i giornalisti, i direttori,accusarli di aver scherzato coi bambini, come ha detto MarioLandolfi, presidente della vigilanza Rai. Non Lerner, nonRizzo Nervo hanno scherzato coi bambini, ma i pedofili. Ècontro i pedofili che occorre scagliarsi, non contro chi ne hadenunciato e documentato i misfatti. Se la realtà fa orrore,non è colpa dello specchio che la riflette. Lo specchio inquesto caso è l’informazione.Tg3 e Tgl hanno ecceduto? È vero. Sarebbe stato più saggioattenuare la violenza di alcune scene. Discutiamone pure.Ma non confondiamo l’involucro con il contenuto. E nondimentichiamo che prima viene la tutela delle vittime e lanecessità di bloccare il tritacarne, poi provvederemo al resto,alle pecette sul volto e sui genitali <strong>dei</strong> ragazzini torturati affinchésorridano per la gioia <strong>dei</strong> pedofili.Ultima nota. Nell’ambito di un programma di informazione,quale il Tg1, non solo è lecito ma conveniente ricorrere adocumenti per incrementare la credibilità delle notizie, e soloun deficiente può sospettare che tali documenti venganodiffusi con compiacimento. Ai dirigenti Rai e ai politici ches’azzuffano disputandosi un paio di poltrone da assegnareagli amici ai fini propagandistici, diciamo una sola parola:vergognatevi. Chi sfrutta i bambini per giochi di potere èpeggiore del pedofilo”.4. Valutazioni conclusiveLe accuse sono fondate e va, quindi, affermata la responsabilitàdisciplinare di Vittorio Feltri. Il direttore di “Libero”, conle sue scelte collegate alla pubblicazione di immagini da luistesso definite “agghiaccianti” e “bestiali” (che vengono unitein copia a questo provvedimento) nel fondo del 29 settembresopra riportato, si è messo fuori dalla Costituzione e, quindi,dall’<strong>Ordine</strong> professionale, che, in linea con il dettato dellacarta fondamentale della Repubblica, vuole la professioneesercitata in conformità ai doveri della correttezza e delrispetto della persona umana nonché del rispetto della reputazionedel singolo iscritto all’Albo e della dignità dell’<strong>Ordine</strong>stesso al quale Feltri appartiene dal 16 <strong>dicembre</strong> 1971.In via preliminare va osservato che Vittorio Feltri è direttoredi “Libero”, mentre direttore responsabile è il pubblicista FrancoGarnero, iscritto all’Albo tenuto dall’<strong>Ordine</strong> di Torino.Feltri svolge non solo le funzioni di direttore (ex articolo 6 del4 ORDINE 10 <strong>2000</strong>


ntari e agli altri Ordini professionaliMilano, 22 novembre. Franco Abruzzo hatrasmesso alle autorità dello Stato, aiparlamentari e agli altri Ordini professionalila “sentenza Feltri”. Questo il testodella lettera di accompagnamento:«Trasmetto la decisione (di 11 pagine) diquesto Consiglio relativa a Vittorio Feltri, direttoredi “Libero”, radiato dall’Albo. Il Consigliodell’<strong>Ordine</strong> della Lombardia ha assolto inpassato Feltri per ben 8 volte: era stato accusatoa causa di commenti molto severi. Abbiamodifeso la sua libertà di critica, aiutati inquesto (e molto) dalla nostra Costituzione eda alcune sentenze della Corte europea <strong>dei</strong>diritti dell’uomo. Da questa circostanza affioraevidente l’ingiustizia di alcune affermazionirilasciate dal direttore di “Libero”. Confessoche è duro far comprendere (soprattutto aigiornalisti e ai... direttori) che esiste un problema(grave) di legalità deontologica. Moltedichiarazioni, lette ieri sulle agenzie, mi sonoapparse stupefacenti per l’ignoranza totale divarie norme contenute nella nostra Costituzionee in diverse leggi. Non esiste nell’ordinamentola libertà di pubblicare tutto e neppurela libertà di pubblicare foto choc di bambiniusati dai pedofili oppure nomi <strong>dei</strong> cittadiniviolentati. Ho colto nelle dichiarazioni la preoccupazione<strong>dei</strong> direttori di adeguarsi a comportamenti“virtuosi”. Tanti ignorano che l’<strong>Ordine</strong>,ente pubblico, è “giudice” di natura amministrativa(articolo 2229 Cc; articoli 1 e 20, puntod, della legge n. 69/1963; sentenza n.505/1995 della Corte costituzionale).Giorgio Bocca scrive che “per essere un <strong>Ordine</strong>rispettabile bisognerebbe per cominciareche avesse un codice morale da difendere maquesto codice l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti non selo è mai dato”. Giorgio Bocca ignora che leregole deontologiche della professione sonoscritte negli articoli 2 e 48 della legge professionale(n. 69/1963) e nel “Codice di deontologiasulla privacy”, emanazione della leggen. 675/1996 (e pubblicato sulla Gazzetta Ufficialedel 3 agosto 1998). Quel Codice ènorma. Giudici delle violazioni di quel Codicesono solo i Consigli dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>.Ho provato amarezza nello scorrere oggi ilfondo di Bocca su “Repubblica” e tanta penaper lui. Bocca scrive molto, ma legge poco.Nella stessa seduta in cui abbiamo giudicatoFeltri - che non è il direttore responsabile di“Libero” - abbiamo adottato altre due decisionidi una certa gravità: una radiazione e unasospensione per 6 mesi. Vengo accusato daFeltri - giornalista distratto perché non hacontrollato quanto ha scritto - che, conquesta “sentenza”, ho cercato di uscire dal“grigiore della mia vita professionale”. SappiaFeltri che io sono orgoglioso di aver svolto inpassato le funzioni di redattore capo centralede “Il Sole 24 Ore” (massimo grado “tecnico”raggiungibile da un giornalista) e di occuparmioggi sullo stesso prestigioso quotidianodi problemi della Giustizia.Non posso esprimermi sulla mia attività di“giudice” dell’<strong>Ordine</strong>. Ma ho la fierezza di direche svolgo le mie funzioni pubbliche conpassione, con impegno civile e con trasportoverso i problemi, che via via emergono. Qualchevolta ho pagato prezzi salati per averfatto solo il mio dovere».dall’Albo per le immaginipedofili) pubblicate su “Libero”vigente Cnlg e articolo 7 della legge n. 633/1941), ma di fattoanche quelle di direttore responsabile (articolo 5 della leggen. 47/1948 sulla stampa-articolo 46 della legge n. 69/1963sulla professione giornalistica - articolo 57 Cp).Secondo l’articolo 7 della legge n. 633/1941 “il giornale èopera collettiva dell’ingegno di cui il direttore è autore”. Ilruolo del direttore è fissato, però, dal Contratto nazionale.Dice l’articolo 6 del Contratto nazionale di lavoro giornalistico(Cnlg): “È il direttore che propone le assunzioni e, per motivitecnico-professionali, i licenziamenti <strong>dei</strong> giornalisti. Tenutepresenti le norme dell’articolo 34 (Comitato di redazione), ècompetenza specifica ed esclusiva del direttore fissare edimpartire le direttive politiche e tecnico-professionali del lavororedazionale, stabilire le mansioni di ogni giornalista, adottarele decisioni necessarie per garantire l’autonomia dellatestata, nei contenuti del giornale e di quanto può esserediffuso con il medesimo, dare le disposizioni necessarie alregolare andamento del servizio e stabilire gli orari (di lavoro)”.L’articolo 7 della legge e l’articolo 34 del Cnlg parlanodel “direttore”, ma non di direttore responsabile. Le due figuresono disgiunte, anche se coincidenti nella stragrandemaggioranza <strong>dei</strong> casi. Il direttore responsabile opera nell’ambitodell’articolo 57 del Cp e della legge professionale n.69/1963 (firmando, ad esempio, le dichiarazioni di cui agliarticoli 31, 34 e 35).Il direttore in conclusione attua la linea politica concordatacon l’editore, garantisce l’autonomia della testata (e <strong>dei</strong>redattori) e anche la qualità dell’informazione. Secondo l’articolo2 della legge n. 69/1963 (sull’ordinamento della professionegiornalistica) la stessa libertà di informazione e di critica,diritto insopprimibile, «è limitata dall’osservanza dellenorme dettate a tutela della personalità altrui».In base all’articolo 57 del Cp, il direttore risponde di “omessocontrollo” quando non impedisce che “con il mezzo dellapubblicazione siano commessi reati”. “La responsabilità deldirettore di giornale ex art. 57 Cp presuppone la concretapossibilità di impedire che col mezzo della stampa sianocommessi reati, e cioè che siano da lui esigibili particolaricomportamenti realizzativi degli obblighi strumentali di diligenzae di vigilanza tali che, attuati, il fatto sarebbe evitato orealizzato in guisa da essere penalmente indifferente” (Trib.Roma, 10 marzo 1989; Parti in causa: Scottoni; Riviste: ForoIt., 1990, II, 137).Vittorio Feltri, con la pubblicazioni delle 8 immagini di cui nelcapo d’incolpazione, ha sicuramente violato l’articolo 21 dellaCostituzione, che, al comma 6, vieta “le pubblicazioni a stampacontrarie al buon costume”. È l’unico limite che l’articolo21 pone alla libertà di manifestazione del pensiero. L’articolo15 della legge n. 47/1948 sulla stampa recita: “Le disposizionidell’art. 528 del Cp si applicano anche nel caso di stampatii quali descrivano o illustrino, con particolari impressionantio raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi oanche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comunesentimento della morale e l’ordine familiare o da poterprovocare il diffondersi di suicidi o delitti”. “Per la sussistenzadel reato di pubblicazioni a contenuto impressionanteo raccapricciante previsto e punito dall’art. 15 dellalegge 8 febbraio 1948 n. 47 deve ritenersi sufficiente, sulpiano oggettivo, l’idoneità delle immagini pubblicate adoffendere il comune sentimento della morale, nel cuiconcetto non può non essere ricompreso il sentimentodella pietà verso i defunti, e sul piano soggettivo, il dologenerico, consistente nella cosciente volontà di pubblicareimmagini impressionanti e raccapriccianti recantiin astratto detta idoneità, mentre è irrilevante lo scopoperseguito dall’autore di mantenere viva l’esecrazione ela condanna per il fatto cui le immagini si riferiscono”(Trib. Roma, 3 febbraio 1995; Parti in causa Minerbi e altro;Riviste Dir. Informazione e Informatica, 1996, 43; Rif. legislativiL 8 febbraio 1948 n. 47, art. 15). La sentenza citata smontala tesi, annunciata dal titolo (Scandalo necessario persvegliare le nostre coscienze) sostenuta da Feltri nel fondodel 29 settembre: “Guai adattarsi all’ipocrisia bigotta e codinadi quelli che preferiscono fare spallucce e seguitare avivere nell’ignoranza d’un fenomeno più diffuso di quanto siimmagini. Così il fenomeno non si stronca. Bisogna creare,viceversa, allarme e riprovazione sociale. E l’unico mezzoidoneo è lo scandalo: toh, guardate che fanno ai bambini,forse anche ai tuoi. Le coscienze per ribellarsi devono essereoffese. E le scene bestiali mandate in onda dai Tg forsehanno raggiunto lo scopo, speriamo. Altro che licenziare iORDINE 10 <strong>2000</strong>giornalisti, i direttori, accusarli di aver scherzato coi bambini,come ha detto Mario Landolfi, presidente della vigilanza Rai.Non Lerner, non Rizzo Nervo hanno scherzato coi bambini,ma i pedofili. È contro i pedofili che occorre scagliarsi, noncontro chi ne ha denunciato e documentato i misfatti. Se larealtà fa orrore, non è colpa dello specchio che la riflette. Lospecchio in questo caso è l’informazione. Tg3 e Tg1 hannoecceduto? È vero. Sarebbe stato più saggio attenuare laviolenza di alcune scene. Discutiamone pure. Ma nonconfondiamo l’involucro con il contenuto. E non dimentichiamoche prima viene la tutela delle vittime e la necessità dibloccare il tritacarne, poi provvederemo al resto, alle pecettesul volto e sui genitali <strong>dei</strong> ragazzini torturati affinché sorridanoper la gioia <strong>dei</strong> pedofili”.È il caso di sottolineare una sentenza <strong>dei</strong> supremi giudiciamministrativi sul comma 6 (o ultimo) dell’articolo 21 dellaCostituzione: “Il principio contenuto nell’art. 21, comma ultimocost. - secondo cui sono vietate le pubblicazioni a stampa,gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie albuon costume - è applicabile anche alle espressioni artistichecinematografiche, senza contraddire il principio di libertàdell’arte (art. 33 Cost.), tenuto conto della complementaritàdegli art. 21 e 33 Cost. Deve escludersi pertanto, che il riconosciutovalore artistico di un’opera cinematografica importidi per sé la sua libera ed incondizionata visione al pubblico”(Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 1996, n. 139; Riviste VitaNotar., 1996, 184; Giur. Costit., 1996, 1249, n. Marchetti). Sulrovescio si può affermare: “Deve escludersi che il riconosciutovalore costituzionale del diritto di cronaca importi di per séla libera ed incondizionata pubblicazione di immagini contrarieal buon costume”.L’articolo 15 della legge sulla stampa è stato valutato con lasentenza 293/<strong>2000</strong> dalla Corte costituzionale. Secondoquesta norma le sanzioni previste dall’art. 528 del Codicepenale per le pubblicazioni oscene “si applicano anche nelcaso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolariimpressionati o raccapriccianti avvenimenti realmente verificatisio anche soltanto immaginari, in modo da poter turbareil comune sentimento della morale o l’ordine familiare o dapoter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”. La difesa diun giornalista ha sollevato la questione di legittimità costituzionaledell’articolo 15 della legge sulla stampa, sottolineandoche, in base all’articolo 25 (II comma) della Costituzione,“nessuno può essere punito se non forza di una legge chesia entrata in vigore prima del fatto commesso”. La normacostituzionale - ha sostenuto la difesa – deve essere interpretatanel senso che la legge penale deve stabilire criterioggettivi per la determinazione <strong>dei</strong> fatti punibili, mentre ilparametro del “comune sentimento della morale” previstoInfanzia,il diritto alla tutelaprevale su quellodi cronacaROMA. Il diritto <strong>dei</strong> minori può diventare prevalentepersino sul diritto di cronaca. Questa, in sostanza, la filosofiadell’articolo 11 del ddl 1138, in via di approvazionealla Commissione Lavori pubblici e Comunicazione delSenato. L’articolo 11 (38 gli emendamenti presentati, 31quelli già esaminati) riconosce, nel sistema delle comunicazioni,“il diritto prevalente alla tutela dello sviluppofisico, psichico e morale <strong>dei</strong> minori” e vieta la diffusionedi “produzioni e di programmi che lo possano ledere”.Si vietano nel provvedimento la diffusione e la produzionedi programmi che possano ledere i minori perchétroppo violenti o pornografici, o contenenti incitamentiall’odio o all’intolleranza basati su differenze di razza,sesso, religione o nazionalità. In più si introduconosanzioni.dall’articolo 15, per la sua genericità, finisce per rimettere avalutazioni soggettive l’individuazione del fatto punibile. LaCassazione ha ritenuto la questione non manifestamenteinfondata e, con ordinanza del 17 febbraio 1999, ha promossoil giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 15 percontrasto non solo con l’articolo 25, ma anche con gli articoli21 (libertà manifestazione del pensiero) e 3 (principio diuguaglianza) della Costituzione.La Corte Costituzionale, con sentenza n. 293 del 17 luglio<strong>2000</strong>, ha dichiarato non fondata la questione sollevata dallaCassazione, in quanto ha ritenuto che le pubblicazioni vietatedall’articolo 15 della legge sulla stampa siano quelle lesivedella dignità umana e perciò avvertibili dall’intera collettività.La persona umana – ha precisato la Corte Costituzionale –è tutelata dall’articolo 2 della Costituzione, in base al qualedeve essere interpretato l’articolo 15 della legge sulla stampa;la descrizione dell’elemento materiale del fatto-reato,indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici,trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì cheappare escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie,risultando quindi infondate le censure di genericità eindeterminatezza.Quello della dignità della persona umana – ha affermato laCorte - è, infatti, valore costituzionale che permea di sé ildiritto positivo e deve dunque incidere sull’interpretazione diquella parte della disposizione in esame che evoca il comunesentimento della morale.La violazione del principio fissato nell’articolo 15 della leggesulla stampa costituisce anche violazione deontologica inquanto l’articolo 2 della legge professionale pone come limiteal diritto insopprimibile della libertà di informazione e dicritica il rispetto della persona umana, cioè il valore-cardinerappresentato dall’articolo 2 della Costituzione.Conseguentemente Vittorio Feltri, avendo operato al di fuoridel dettato costituzionale e delle norme deontologiche dellaprofessione giornalistica fissate per legge, merita la massimasanzione, quella della radiazione, avendo, “con la suacondotta gravemente compromesso la dignità professionalefino a rendere incompatibile con la dignità stessa la suapermanenza nell’Albo”;PQMil Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia, ritenutala sussistenza <strong>dei</strong> fatti addebitati,delibera1) di sanzionare con la radiazione (articolo 54 legge n.69/1963) il giornalista professionista Vittorio Feltri. Dice l’articolo54: “La radiazione può essere disposta nel caso in cuil’iscritto con la sua condotta abbia gravemente compromessola dignità professionale fino a rendere incompatibile conla dignità stessa la sua permanenza nell’Albo, negli elenchio nel registro”.2) di trasmettere la presente deliberazione all’<strong>Ordine</strong> di Torino,perché esamini la posizione del pubblicista FrancoGarnero, direttore responsabile del quotidiano “Libero”.Avverso la presente deliberazione (notificata ai controinteressatiex legge n. 241/1990) può essere presentato (dall’interessatoe dal Procuratore generale della Repubblica) ricorsoal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> (Lungotevere<strong>dei</strong> Cenci 8, 00186 Roma) ai sensi dell’articolo 60della legge n. 69/1963 nel termine di 30 giorni dalla notificadel provvedimento stesso e secondo le modalità fissate dagliartt. 59, 60, e 61 del Dpr 4 febbraio 1965 n. 115.La presente deliberazione, “di immediata efficacia in quantoatto di natura amministrativa” (Cass., sez. un. civ., sentenzan. 9288/1994), si intende sospesa in caso di impugnazionecon istanza cautelare volta alla “paralisi” della sua esecutivitàallorché possano derivare al ricorrente danni gravi e irreparabilidall’esecuzione dell’atto medesimo (così il parere 10novembre 1999 del prof. avv. Franco Gaetano Scoca alCnog, trasmesso all’OgL in data 13 <strong>dicembre</strong> 1999, prot,5998/1999).Il presidente dell’OgL-estensore(dott. Franco Abruzzo)5


Vittorio Feltri, in nome della vecchia amicizia, mi perdonerà lamalignità. Quando ho saputo che era stato radiato dall’<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong> giornalisti, ho provato a immaginarmi quale potesse esserestata la sua reazione. La sola che mi è venuta in mente èstata questa: «Peccato che non ci sia la liquidazione». Se nonlo è stata, sono certo che si rammaricherà di non avercipensato e che, alla prima occasione, con il solito paradossalerealismo, mi ringrazierà di avergliela attribuita. Feltri è untalento naturale. <strong>Giornalisti</strong>co e, diciamo così, affaristico.Riesce a curare giornali malati (“L’Europeo”, “L’Indipendente”,“Il Giornale”, “Il Borghese”), passando dall’uno all’altro con iltempismo e le parcelle di un grande clinico, a dirigernecontemporaneamente tre (“Il Giorno”, “Il Resto del Carlino”,“La Nazione”), abbandonandoli, altrettanto tempestivamentee proficuamente, alle ambizioni direttoriali del loro editore, afondarne, infine, un ottavo (“Libero”), scommettendoci la reputazionein vista di altri potenziali guadagni.Caro Vittorio, non te la prendere col tuo vecchio direttore cheti aveva (ri)assunto al Corriere una quindicina di anni fa. Ma,al tuo confronto, certi direttori-imprenditori di giornali, attaccatialla professione e allo scoop ai limiti del cinismo e a costo difar perennemente scandalo raccontati dalla cinematografiaamericana, sembrano <strong>dei</strong> frati fancescani...Sotto il profilo giornalistico, il talento di Feltri consiste nelfregarsene anche di quello che lui stesso pensa. Probabilmente,della Lega egli ha, più o meno, la stessa opinione cheho io: che è rozza, populista, tendenzialmente xenofoba. LaVittorio Feltriradiato dall’Alboper le immagini<strong>dei</strong> bambini(usati dai pedofili)pubblicatesu “Libero”“Corriere della Sera”, 25 novembreFeltri, un anarchicoche ama fare scandalodifferenza fra me e lui è che io sarei del tutto incapace, prigioniero<strong>dei</strong> miei pregiudizi culturali e ideali, di fare un giornale cheappoggiasse il movimento di Bossi; lui ne ha fatti più di uno.Riuscendo, con ciò, in un’impresa apparentemente disperata:imporre alle forze politiche e far circolare fra la gente comune larumorosa presenza del solo partito che davvero voleva cambiarequalcosa. Se l’Italia e gli italiani avranno uno straccio di federalismo,che piaccia o no, lo devono a quel rozzo demagogo diBossi e a chi ha avuto lo stomaco di sostenerne le stralunateragioni (Feltri). La radiazione dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, per averpubblicato otto fotografie di bambini ricavate da un sito di pedofilirussi e da un video porno, è l’ultimo scoop di questo giornalistache ha trasformato la professione in un continuo scandalo.Nell’ottica anarcoide di Feltri, la vera notizia è, infatti, questa;non la pubblicazione, a suo tempo, delle foto incriminate. LeFoto Corriere della Seradi Piero Ostellinomotivazioni del provvedimento, che lo accusano di aver violatola Costituzione e la legge sulla stampa, sono, in realtà,legalmente fondate. In queste cose, il presidente dell’<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia, Franco Abruzzo, è un maestro.Il guaio è che, in mancanza di un codice, che peraltro nonsarebbe neppure facile individuare, redigere e poi applicaresenza sollevare un mare di obiezioni, le motivazioni di caratterestrettamente deontologico lo sono assai meno. Doveincominciano e dove finiscono, rispettivamente, la violazionedel rispetto della persona umana e del comune senso delpudore e la libertà di stampa? E perché la sanzione per VittorioFeltri e non per Gad Lerner, il direttore dimissionario delTg1 che trasmise immaigni analoghe, come ha insinuatomaliziosamente Giorgio Forattini nella sua quotidiana vignettasulla “Stampa”? L’imbarazzo col quale, pur solidarizzandocon Feltri, ma prendendone al tempo stesso le distanzesull’opportunità della pubblicazione delle foto, la maggioranzadella corporazione ha commentato il caso e disapprovato ilprovvedimento dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti è la testimonianzapiù diretta delle difficoltà di trovare regole del gioco facilmentecondivisibili. Stampare e diffondere un giornale pornografico,ha sentenziato la Corte suprema degli Stati Uniti, facendoriferimento al primo emendamento della Costituzione nellacausa “Larry Flint”, rientra nella libertà di manifestazione delpensiero. Dal caso fu tratto persino un film, proiettato ancheda noi. A quando un film su Vittorio Feltri, cui, manco a dirlo,andrebbero i diritti di immagine?“Il Sole 24 Ore”, 22 novembre - commenti e inchiesteI torti di Feltrie i dubbisull’<strong>Ordine</strong>di Vincenzo Zeno-ZencovichVittorio Feltri radiato dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti. La notiziasuscita scalpore anche in chi non ama particolarmente igiornalisti e ancor meno l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti e sarebbeincline a liquidarla come una tipica baruffa in famiglia. Essatuttavia impone alcune riflessioni meno epidermiche chetengano conto <strong>dei</strong> diversi punti di vista.In primo luogo quello dell’<strong>Ordine</strong> che ha emesso il provvedimento.Non mancano certo disposizioni di Costituzione, (l’articolo2 sui diritti fondamentali della persona), di legge (l’articolo15 della legge sulla stampa che fa divieto di pubblicareimmagini raccapriccianti) e deontologiche (l’articolo 2 dellalegge professionale e le varie “carte” <strong>dei</strong> doveri <strong>dei</strong> giornalisti)che giustificano la decisione di considerare disciplinarmenteillecita la pubblicazione di fotografie raffigurantibambini sottoposti a violenze sessuali. L’articolo 15 dellalegge sulla stampa è poi uscito rafforzato da una recentissimasentenza della Corte Costituzionale (il caso era quellodella pubblicazione delle foto della “scientifica” su un notoomicidio di una nobildonna in una villa romana) e posto apresidio della dignità essenziale cui ogni persona, anchese defunta, ha diritto.Né può dirsi che la decisione dell’<strong>Ordine</strong> lombardo sia fruttodi una improvvisa alzata d’ingegno: non solo la sua giurisprudenzasi connota da circa un ventennio per un maggiore(e sicuramente non disprezzabile) rigore, ma essa trovaconforto anche in decisioni di altri ordini regionali e del Consiglionazionale, in particolare con riguardo alla pubblicazionedell’identità di minori vittime di violenze sessuali.Sorge dunque un primo dubbio: se una pubblicazione cosìdisdicevole fosse stata opera di uno sconosciuto cronista alla“la Repubblica”, 22 novembre - prima paginaFalsi censoriveri scandalidi Giorgio Boccaricerca di notorietà (e non di un famoso direttore), ci si interrogherebbesulla sua eventuale radiazione? Probabilmenteno.Ma anche dal punto di vista del “radiato” la decisione lasciaperplessi. La legge professionale prevede quattro tipi disanzioni: l’avvertimento (per mancanze di lieve entità), lacensura (per mancanze di grave entità), la sospensione(quando la condotta abbia compromesso la dignità professionale),la radiazione (quando la permanenza dell’iscrittoè incompatibile con la dignità dell’<strong>Ordine</strong> stesso). Si consideriche tale sanzione non ha trovato grande applicazione:direttori di riviste pornografiche, iscritti alla P2, autori di reaticomuni. Era proprio solo questo un caso da radiazione?Qui sorge un secondo dubbio: che la gravità della sanzionesia stata commisurata alla (voluta) provocatorietà delladecisione di pubblicare le foto <strong>dei</strong> bambini <strong>dei</strong> minori violentati.Dubbio per risolvere il quale occorrerebbe addentrarsinel processo mentale del giornalista e <strong>dei</strong> suoi (colleghi)giudici. Il punto di vista che però interessa tutti è però ancoraun altro: in Italia, per dirigere un giornale occorre essereiscritti all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti. La radiazione dall’Albocomporta, ovviamente, la impossibilità di esercitare laprofessione. Ha senso un sistema del genere nell’anno<strong>2000</strong> ed in un mondo nel quale l’informazione costituisceun bene al tempo stesso essenziale e realizzabile da tutti?L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia ha espulso VittorioFeltri, fondatore e direttore di “Libero”, per aver pubblicatodelle fotografie di bambini vittime della pedofilia. Accusa edifesa sono note.Dice l’accusa: Feltri ha violato il codice professionale pur difar crescere le vendite del suo giornale che stenta a decollaree in cui ha impegnato la sua fama e il suo denaro.La difesa: il codice professionale è inesistente, il giornalismod’assalto non può ignorare le notizie anche se scandalose,nell’ informazione contemporanea della carta stampatacome di quella informatica, “on line” come la si chiama,le violazioni della morale corrente (ma anche su diesse in questo travolgente libertinismo commerciale nonc’è più un criterio comune) sono la normalità, gran partedelle televisioni commerciali, passata l’ora fatale dellamezzanotte trasmettono servizi da bordello, negli Stati Unitici sono produttori di spettacoli porno che hanno fatto econtinuano a fare miliardi servendoli su Internet al prezzodi uno o due milioni. Il voyeurismo dilaga, la grande invenzionetecnica della rete, del Web è frequentatissima da riciclatoridi denaro sporco, da mafiosi, da truffatori internazionali.A noi l’avventurismo di Feltri non è mai piaciuto e non soloper ragioni moralistiche; per noi Feltri rientra in quella stranagenia di persone che pur provviste di un talento che glipermetterebbe ottime carriere sentono il bisogno dell’azzardoe delle scorciatoie. Ma sono fatti così e pensare dicambiarli è una pura illusione, è come consigliare a unfanatico della roulette di mettersi a giocare a tombola con ifagioli.Ma di fronte a questo avventurismo che gioca sui giornalicome sui cavalli c’è la decisione di un <strong>Ordine</strong> cui si addiceil titolo di Calvino, il cavaliere inesistente. Per essere un<strong>Ordine</strong> rispettabile bisognerebbe per cominciare che avesseun codice morale da difendere ma questo codice l’<strong>Ordine</strong><strong>dei</strong> giornalisti non se lo è mai dato perché <strong>Ordine</strong> e laprofessione che rappresenta mancano della autonomianecessaria per dare lezioni di comportamento. Questo<strong>Ordine</strong> è una sorta di fantasma burocratico che si svegliasolo se c’è da fare una difesa corporativa, ma che halasciato passare senza risposta tutte le violazioni e i condizionamentiche la economia pubblicitaria, il potere politico,le arroganze e lo strapotere della rivoluzione tecnica glihanno imposto. Pubblicare delle fotografie indecenti epenose di bambini è certo una violenza inaccettabile mache sta nella folla di notizie e di propagande che appoggianole speculazioni più irresponsabili.In questi ultimi anni la politica elettoralistica ha colpito amanca e a destra senza alcun ritegno: ha diffamato tutti ifondamenti del nostro Stato, la democrazia, la Resistenzaal nazifascismo, la magistratura, la morale del padre difamiglia, il rispetto delle persone dando via libera a diffamazionisenza ritegno. La diffamazione, fra le altre, checontinua nei confronti <strong>dei</strong> nostri maggiori uomini di culturae di democrazia come Norberto Bobbio, diffamazioni cherientrano nella anarchia generale voluta, premeditata percreare questo crepuscolo sociale in cui tutti i gatti sono bigi.Di Vittorio Feltri si potrebbe dire: chi è causa del suo malpianga se stesso. Gli è arrivato addosso il boomerang diun giornalismo violento e spazzatura a cui ha dato il contributodel suo talento professionale. Che è un’aggravante.6 ORDINE 10 <strong>2000</strong>


Un volume ricorda i trent’anni dalla scomparsa di Angelo Rizzolidi Gino Banterla“Il giorno più bello della mia vita di bambinofu il 10 febbario 1895, quando entrai nell’orfanotrofiomaschile <strong>dei</strong> Martinitt. Mi ricordoche io e le mie sorelle partimmo alla mattinapresto alle sette e andammo a piedi fino incorso di Porta Vittoria dove c’era l’istituto.Quando entrai lì finalmente mi sentivo feliceperché ero un povero tra i poveri, non più unbambino solo nella scuola <strong>dei</strong> ricchi, ma unouguale a tutti gli altri. Se penso a tutta la mialunga vita, in fondo, posso dire che ho subitodelusioni, a volte anche profonde, ma vereumiliazioni mai: tranne quel breve periodoche passai nella scuola <strong>dei</strong> ricchi, io bambinopoverissimo, di una miseria nera che nonsi può neanche immaginare”.Il vecchio Angelo Rizzoli si commuovevaquando negli ultimi anni di vita si lasciavaandare alle confidenze, lui uomo un po’burbero ma anche capace di improvvisetenerezze, e rievocava la sua straordinariaavventura imprenditoriale e umana. Dall’orfanotrofio,dove frequentò le elementari eapprese le prime nozioni del mestiere di tipografo,alla creazione di uno <strong>dei</strong> più importantigruppi editoriali d’Europa, la storia del“Commenda” - come familiarmente e insiemerispettosamente lo chiamavano i suoidipendenti - fu tutta un susseguirsi di successi.Inventò collane popolari che fecero conoscerea generazioni di giovani i classici dellaletteratura italiana e straniera; diede vita aperiodici autorevoli, palestra di tante firmecelebri del giornalismo italiano, e a rotocalchia larga tiratura che arrivarono in tutte lecase; intuì l’importanza del cinema e fececonoscerere a un’Italia aperta alla speranzadopo i lutti della guerra il De Sica di “UmbertoD”, il Rossellini di “Francesco giullare diDio”, il Fellini di “Otto e mezzo” e della “Dolcevita”.In possesso della sola licenza elementare,Rizzoli fu per oltre mezzo secolo un protagonistaassoluto della vita culturale italiana.Sono i paradossi della storia. Oggi, in tempidi esasperate concentrazioni editoriali nellequali conta molto più il mercato che la cultura,sembra decisamente lontana questa figuradi imprenditore che seppe coniugare congrande sensibilità le esigenze della culturacon le leggi del mercato, come fece anche ilsuo amico-antagonista Arnoldo Mondadori.Chi ricorda più questi mitici pionieri dell’industriaeditoriale, soprattutto tra i giovanicresciuti con Internet? Del resto, immersi inuna società dai ritmi sempre più convulsi, noisiamo ormai abituati a dimenticare in fretta.Ma le ricorrenze, di tanto in tanto, diventanoun’opportunità di recupero della memoriacollettiva. Così, per celebrare i trent’annidalla morte del “Commenda”, avvenuta aMilano il 24 settembre 1970, la Rcs pubblicaun volume che raccoglie bellissime fotografiee le testimonianze di Gaetano Afeltra, GiulioAndreotti, Manuela Berto, Silvio Bertoldi,Enzo Biagi, Oriana Fallaci, Carlotta e AlbertoGuareschi, Indro Montanelli, Paolo Occhipinti,Michele Prisco. Il libro ci offre l’occasioneper ripercorrere le tappe di una vita cheha il sapore della leggenda.Angelo Rizzoli nacque a Milano il 31 ottobre1889 da una famiglia poverissima. Il padre,operaio, era morto tre mesi prima e lamadre, quando il figlio compì sei anni,dovendo tirar su anche due bambine nonpoté fare altro che mandarlo all’orfanotrofio.Tra i “Martinitt” Angelo rimase una decinad’anni, e quando uscì andò a fare l’apprendistapresso un tipografo nela zona di PortaVittoria.Qualche anno più tardi si mise in proprio eaprì una piccola tipografia in via Cerva. Conun anticipo di 500 lire aveva comprato da untedesco macchine tipografiche per seimilalire, impegnandosi a pagare la differenza incinque anni. Fu un periodo di lavoro duro.“Quando stampavo i cartoncini Manila per lecassette del mercato ortofrutticolo”, si divertivaa raccontare, “qualcuno mi prendeva peril fattorino e alla consegna <strong>dei</strong> pacchi miallungava un ventino di mancia. Io naturalmentelo accettavo”.Il potere di carta dell’exFabbrica di periodici e di giornalistiPartito per la guerra, nel 1915, Rizzoli fu costretto a sospendere l’attività.Negli anni successivi al conflitto riuscì via via a sviluppare l’azienda, a costodi enormi sacrifici e tante cambiali. Finché nel 1927 diventò editore. Acquistato,con l’aiuto di Ugo Ojetti, un gruppo di riviste mensili e quindicinali sconosciuteche vivacchiavano con poche migliaia di copie di tiratura, le trasformònella grafica e nei contenuti. Una di queste si chiamava “Novella”, che di lì apoco, diventata settimanale, si sarebbe rivelata il cavallo di battaglia del giovaneeditore. Un’altra era “Il Secolo Illustrato”. “Fu quello il momento più importantedella mia vita”, ricordava. “Dissi tra me e me: vi faccio vedere io.E portai in Italia la prima macchina a rotocalcoche si fosse vista da noi. Perché lofeci? Non lo so: alcuni dicevano che sarebbestato il sistema di stampa dell’avvenire,ma eravamo negli anni Venti e per uno cheavesse guardato soltanto ai quattrini queltipo di avvenire non era molto allettante”.Invece il futuro premiò quell’intuizione e ilrotocalco ebbe un rapido sviluppo. “Novella”raggiunse in poco tempo tirature record.Ormai nessuno poteva più fermare Rizzoli,che nel frattempo, nei primi anni Trenta, aprìla prima ampia sede in piazza Carlo Erba,dove rimase fino al 1961. Ai successi diquelle riviste ne seguirono altri a ruota: “IlBertoldo” di Giovanni Mosca, “Omnibus”diretto da Leo Longanesi, “Oggi”, poisoppresso per alcuni anni, e infine “Annabella”e “Settegiorni”. Negli stessi anni fu lostampatore dell’Enciclopedia Treccani.Dopo la guerra, che nell’agosto 1943 glicostò la distruzione dello stabilimentodurante un bombardamento aereo, diedevita a “Il Candido” di Giovannino Guareschi e fece rinascere “Oggi”. L’elencodelle pubblicazioni si allungò negli anni successivi con altri settimanali emensili: “L’Europeo”, “Annabella”, “Sorrisi e Canzoni”, “Sogno” e altri ancora.Tra questi merita di essere ricordato “Concretezza” un quindicinale divulgativosui problemi della vitapubblica nato da un incontronel 1954 tra Rizzoli e ungiovane Giulio Andreotti,che ne fu poi direttore. Larivista uscì per 22 anni evalse a Rizzoli, ricevuto inVaticano, i complimenti diPaolo VI che ne era assiduolettore. Ricorda il senatore avita: “Non era certo un affareper la casa editrice, abituataalle grandi tirature, ma almenopotei dargli quella occasionalesoddisfazione”.Parallela a quella <strong>dei</strong> periodicisi sviluppò nel dopoguerrala pubblicazione di libri, unsettore nel quale Rizzoli siimpegnò con la stessapassione. L’iniziativa più fortunatafu indubbiamente, apartire dal 1949, quella della Biblioteca Universale Rizzoli, una colossale operazionedi divulgazione <strong>dei</strong> classici attraverso volumi a basso prezzo. “Ho fatto laBur con l’idea di diffondere la cultura e la conoscenza in un Paese distrutto”,diceva Rizzoli, “ma non avrei mai immaginato di poterne fare anche un affareeconomico”. Poi arrivarono le monografie d’arte, le grandi opere come l’EnciclopediaRizzoli-Larousse, le coproduzioni letterarie internazionali.L’attività cinematografica, iniziata a metà anni Trenta con la produzione di pellicoleminori, si affermò dopo la guerra sotto il marchio Cineriz con la fortunatissimaserie di Peppone e don Camillo e con la “scoperta” di registi quali VittorioDe Sica, Roberto Rossellini, Federico Fellini.AngeloRizzoliapprendistatipografoagli inizidel secolo.AngeloRizzoliconFedericoFellinidurantele ripresedi un film.Cinema e un fuoco d’artificio di iniziativeTra le molteplici realizzazioni dell’editore sono da ricordare la costruzionedelle cartiere di Marzabotto, la trasformazione di Lacco Ameno a Ischia in ungrande centro alberghiero e termale, l’apertura del Centro Rizzoli nella QuintaStrada di New York per la diffusione sul mercato americano di libri, rivistefilm di produzione italiana.Ma era l’editoria il settore trainante del suo impero costruito giorno per giornocon un lavoro tenace, con una volontà ferrea e anche - su questo sonotutti concordi quanti lavorarono con lui - con il rispetto <strong>dei</strong> suoi dipendenti,dall’ultimo fattorino al grande direttore. Nelle redazioni <strong>dei</strong> periodici si formaronocentinaia di giornalisti, molti <strong>dei</strong>quali diventati “grandi firme”. Con loroRizzoli amava scherzare con un po’ dicivetteria: “Voi siete gente intelligente,ma siete anche un po’ carogne, in sensobuono, sia chiaro, e non vi fate incantareda un ometto come me...”.Alla morte di quell’ometto, avvenuta il 24settembre 1970, dal nuovo stabilimentoaperto nel 1961 in via Civitavecchia(oggi via Angelo Rizzoli) uscivano ognimese venti milioni di copie di riviste. Vitrovavano lavoro, tra giornalisti, impiegatie tipografi, quasi cinquemila persone.Nonostante l’enorme ricchezza accumulataRizzoli non dimenticò mai le sueumili origini. Scrive Silvio Bertoldi nellibro ora pubblicato: “Il successo, laricchezza, l’ossequio <strong>dei</strong> potenti a cuiaveva dovuto abituarsi erano la scorza;oltre la quale era rimasto con i suoisentimenti di ex-povero, allevato nelbisogno, abituato al rispetto del lavoro(proprio e altrui) e dunque legato a certivalori <strong>dei</strong> suoi tempi, l’onestà, il dovere, la solidarietà, la capacità di farsicoinvolgere, l’orgoglio per il proprio Paese. Non era personaggio da frasistoriche, ma ne ricordouna che era il miglioreritratto di sé: i soldi bisognafarseli perdonare”.Questo ritratto spiega laprofonda amicizia che lolegò per molti anni a PietroNenni, di umili origini eorfanello anche lui, comelui formato alla scuoladella vita avendo frequentatosoltanto le elementari.L’amicizia tra i due, chenegli ultimi anni si materializzavaspesso in interminabilipartite a bocce e inlunghe chiacchierate, fumolto criticata negliambienti industriali.Le stesse critiche andaronoal leader socialista daparte di esponenti del Pci.Rizzoli con semplicità spiegava:“Per me non esiste un uomo rispettabile come Nenni. È un galantuomo,un vero socialista che ha sempre vissuto in modo coerente con le sueidee. È l’unico politico con cui vada d’accordo”.Come è stata possibile una simile intesa?, chiese Oriana Fallaci a Nenni inlacrime davanti alla bara del “Commenda”. Rispose: “Non è difficile capirlo.Lui vedeva in me la continuazione di Filippo Turati, io vedevo in lui una personaperbene che faceva i suoi interessi senza schiacciare i piedi a nessuno.Non aveva idee politiche, ma aveva una tal comprensione <strong>dei</strong> grandi problemiumani...”.Rizzoli conil “rivale”ArnoldoMondadori.Rizzoliin Vaticanoricevutoda papaPaolo VI.8 ORDINE 10 <strong>2000</strong>


“Tabloid”, rivista di godibile letturaRiceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di Saverio Barbati, già presidentedell’<strong>Ordine</strong> nazionale <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>:Caro presidente, ho appena finito di leggere l’ultimo numero di “Tabloid” e avverto il bisognodi scriverti - come desideravo da tempo - poche righe di felicitazioni e di ringraziamento.Di felicitazioni, perché il giornale è interessante, contiene informazioni, dati e commentiutili non soltanto per chi fa il nostro mestiere ma per tutti coloro che seguono i problemidella informazione nel nostro paese.Di ringraziamento, perché grazie al tuo appassionato e disinteressato impegno l’<strong>Ordine</strong>della Lombardia - a mio avviso - è l’unico organismo di categoria a produrre una rivistanon fredda, non ufficiale, non burocratica, non “sindacalese”, ma viva, attraente e soprattuttodi godibile lettura.Buon lavoro, caro presidente. Continua a darci un foglio, che ci arricchisce tutti.Cordialmente Saverio Barbatix-martinitt“Oggi”, il quotidiano di domani mai uscitoFra tanti successi nel campo <strong>dei</strong> periodici, nella storia imprenditoriale diRizzoli c’è un sogno mai realizzato: il quotidiano. Lavorò a questo progettoper un lungo periodo. “Oggi, il quotidiano di domani”, come già annunciavanoi cartelloni pubblicitari agli inizi degli anni Sessanta, doveva esssere il suofiore all’occhiello. C’erano già direttore e condirettore, rispettivamente GianniGranzotto e Gaetano Afeltra.C’erano le rotative e le linotype. Doppia redazione a Milano e a Roma. Decinedi colloqui per l’assunzione <strong>dei</strong> redattori. Viaggi a Parigi e a Londra peresplorare i metodi di lavoro <strong>dei</strong> più importanti giornali di quelle capitali. Provea non finire. Era stato predisposto un progetto ambizioso e avveniristico.“Tutto era kolossal”, ricorda Afeltra nelvolume. “Il piano era ambizioso e per itempi che correvano addirittura rivoluzionario.Anticipava di almeno un decennioquello che poi nella grande editoria giornalisticasarebbe diventata regola comune:vale a dire le edizioni simultanee teletrasmessecon pagine aggiunte di cronacalocale”.Alla fine non se ne fece nulla: “Noi cheavevamo creduto nell’impresa cominciavamoa sentirci come il tenente GiovanniDrogo del ‘Deserto <strong>dei</strong> tartari’”, scriveamaramente Afeltra. “Eravamo anche noiin una fortezza editoriale, facevamoanche noi turni di guardia rigidi e complicati,ma il nostro avamposto restava inerte.Ogni giorno un menabò, un fondoscritto in fretta, centinaia di titoli vivacima, come nel libro di Buzzati, senza fareun passo avanti”.E spiega: “Il Commenda scalpitava, main famiglia serpeggiavano i malumori. Ilfiglio, la figlia, il genero non erano d’accordo. Il momento non sembrava ilmigliore: la verità è che non credevano all’impresa. Il Commenda non cedeva.Ma intanto si continuava a rimandare. Di fronte a quest’incertezza lanostra resistenza cominciava a vacillare. Dopo un po’ scoppiammo e ce neandammo, lasciandodue lettere molto dure”.Quei malumori eranoforse l’avvisaglia divicende che si sarebberosviluppate dopola morte del fondatore.Era certamente fiduciosonel futuro il vecchioCommenda quando,facendo un bilanciodella sua vita, disse:“Quello che soprattuttomi interessava si èavverato. Mio figlio haavuto successo, hamantenuto in pieno lesperanze e oggi comandalui, come volevo;non solo, ma i figli<strong>dei</strong> miei figli mostranole stesse inclinazioni,si sono già inseriti nellacasa editrice, promettonobene e mi dannoil conforto di vedere assicurata la discendenza”. Le cose come sappiamoandarono assai diversamente. Anche il “rivale” Arnoldo Mondadori non potevacerto immaginare che cosa sarebbe accaduto, dopo la sua scomparsa, alsuo impero di carta.Strana la beffa parallela giocata dal destino a questi due grandi dell’editoria.Ma questa è un’altra storia.ORDINE 10 <strong>2000</strong>L’editore aNew Yorkcon WalterChiari nel1964 all’inaugurazionedellalibreriaRizzoli.Rizzolicon SophiaLoren eCarlo Ponti.25 volumi, 250 autori, 315 saggiStoria della societàitaliana (Teti Editore)di Mario GeymonatConfesso di aver provato perplessità primadi accettare di presentare un’opera cosìvasta e impegnativa come la “Storia dellasocietà italiana” con i suoi 25 volumi, i suoi315 saggi e i suoi 250 autori, a un pubblicocolto come quello <strong>dei</strong> “colleghi” giornalisti(sono solo pubblicista, ma da oltre 30 anni)di cui moltissimi hanno all’attivo opere storichedi grande pregio e di grandissimosuccesso. Ma ho superato l’indugio di dovertessere gli elogi di un’opera alla quale sonofiero di aver dato la mia collaborazione (IVvolume) sia perché confortato dai giudiziautorevoli di Paolo Mieli (“Continuerà adessere strumento di approfondimento econsultazione anche per le generazioni future.Per questo si può dire che è un’opera chefa onore alla storiografia italiana”) e da “IlSole-24 Ore” (“La Storia della società italiananon è né dogmatica né tantomeno “chiusa”,e non potrebbe essere altrimenti vistol’elevato numero di collaboratori provenientida aree culturali e geografiche - gli stranierisono oltre 20 - diversissime tra loro. D’altraparte le scelte <strong>dei</strong> 250 autori sono stateguidate dal principio della competenza e nonda quello dell’appartenenza ideologica”.Paolo Wilhekm), per restare nell’ambito giornalistico,e sia per dare un contributo alsuperamento del gap esistente tra i grandimeriti dell’opera e la sua scarsa notorietà.Detto questo, mi limito a ricordare sinteticamentele caratteristiche peculiari della “Storiadella società italiana”. Nel momento in cuiinfuria la polemica sui libri di testo (e delComitato scientifico Giovanni Cherubini,Franco Della Peruta, Giuliano Procacci eRosario Villari sono autori di testi largamentediffusi nelle scuole) va detto che l’opera traeispirazione dall’insegnamento gramsciano(“La storia riguarda gli uomini viventi e tuttociò che riguarda gli uomini, quanti più uominiè possibile, in quanto si uniscono tra loroin società e lavorano e lottano e migliorano”);ma - come ha sottolineato “Il Sole-24 Ore” -è frutto <strong>dei</strong> contributi di specialisti di ognitendenza storiografica. Cito per tutti FrancoCardini.4.000 anni di storiaA differenza di opere analoghe la “Storiadella società italiana” prende l’avvio dalla piùprofonda antichità nella convinzione che l’Italia,sebbene ricomposta a unità politica da140 anni, presenta sostanziali caratteri dicontinuità materiali e culturali <strong>dei</strong> 4.000 annidella sua evoluzione storica.Basterà pensare ad alcuni fenomeni di incredibilecontinuità: il tracciato della rete stradale,fino alle autostrade moderne, i capoluoghidi provincia che noi abitiamo sono quasitutti di origine romana (pochissime sonoSTORIA DELLA SOCIETÀ ITALIANA(dalla preistoria al 1990).Teti Editore.25 volumi rilegati, 250 autori, 315 saggi,12.538 pagine£. 1.875.000.Per i lettori di Tabloid £. 1.400.000quelle che non vantano origini romane: Latina,Venezia, Ferrara, La Spezia, Alessandria);e il territorio conserva evidenti tracceromane della centuratio.Una storia globaleI venticinque volumi della “Storia dellasocietà italiana” per offrire un’indagine storicaa 360 gradi, dilatano la propria ricercaall’ambiente e alle sue trasformazioni aopera dell’uomo; all’appropriazione dellerisorse della natura e alle loro utilizzazioni;all’economia e alle strutture produttive; allacircolazione <strong>dei</strong> beni, ai rapporti sociali diproduzione e alle vicende delle classi e <strong>dei</strong>ceti sociali; alla scienza, alla tecnica e aimodi della produzione materiale; alla demografia,alle epidemie e alle malattie ad andamentopiù o meno ciclico; al panorama degliinsediamenti rurali e urbani; alle infrastrutturee alle basi della vita materiale; agli assettiistituzionali e amministrativi e alle moltepliciforme di aggregazione e di organizzazionedella vita associata; alle strutture mentali ealle ideologie; ai comportamenti e al costume;alla cultura nelle sue diverse espressionie al linguaggio artistico e insieme agli aspettireligiosi, diplomatici e militari, alla filosofia,alla letteratura e al teatro, alle arti e al costume,alla tecnologia, all’agricoltura, all’industria,al commercio, ai movimenti sindacale,cooperativo e d’emancipazione della donna,alle condizioni materiali di vita, alle migrazioni,alle organizzazioni del lavoro, alle istituzionie alla gestione del potere.Una storia organicaTutte le discipline intervengono a ricondurrea unità le varie storie settoriali, fino a fornireun quadro completo <strong>dei</strong> piccoli e grandiproblemi storici. Rifiutando ogni giustapposizionedi elementi distinti la “Storia dellasocietà italiana” costituisce l’ampia e articolatasintesi <strong>dei</strong> multiformi aspetti della ricercastorica, accessibile per esemplare chiarezzad’esposizione, globale per tematica, interdisciplinareper metodo.Tutti i settori della ricerca vengono trattatinon con saggi giustapposti, non con “storieparallele”, ma nella loro interconnessione,nella loro funzione di componenti dinamichee dialettiche della nostra società.Da quanto accennato risulta evidente cheuna simile opera nessuno finora l’avevarealizzata ma per una valutazione piùcompleta e obiettiva invito ad esaminarel’opuscolo illustrativo contenente oltre allarassegna stampa, gli indici completi di tutti i25 volumi. Per concludere mi permetto di farpresente che la “Storia della società italiana”non può mancare nella biblioteca di ognipersona colta, ma vorrei sottolineare chesoprattutto i 12 volumi dedicati all’età contemporaneacostituiscono uno strumento dilavoro indispensabile per ogni giornalista.L’ETA’ CONTEMPORANEAdella Storia della società italiana(1815-1990).Teti Editore.12 volumi (gli ultimi - XIV-XXV) ribrossurati107 autori, 131 saggi,2 cronologie, 5.490 pagine£. 660.000.Per i lettori di Tabloid £. 450.000A richiesta vengono forniti l’opuscolo illustrativo e il modulo per l’acquisto rateale <strong>dei</strong> 25 volumirilegati. Teti Editore, via Rezia 4 - 20135 Milanotel. 02/55015575-84 - fax 02/55015595 - e-mail: teti@teti.it9


LIBRERIA DI TABLOIDel giornalistaIn definitiva tale Raccomandazione cerca diporre i presupposti per una protezioneadeguata del diritto <strong>dei</strong> giornalisti di non rivelarele proprie fonti al fine di assicurare lalibertà del giornalismo ed il correlativo dirittodel pubblico ad essere informato dai media.Con riguardo all’importanza ed alla delicatezzadell’esercizio di tale diritto, altresì, si notiche la stessa Corte Europea <strong>dei</strong> Diritti dell’Uomoha più volte evidenziato come la protezionedelle fonti giornalistiche sia una delle pietreangolari della libertà di stampa, poiché “l’assenzadi una tale protezione potrebbe dissuaderele fonti giornalistiche dall’aiutare la stampaad informare il pubblico su questioni diinteresse generale”.Conseguentemente la “stampa potrebbenon essere in grado di giocare il suo ruoloindispensabile di «cane da guardia» e la suaidoneità a fornire informazioni precise edaffidabili potrebbe essere ridotta. Tenutoconto dell’importanza che la protezione dellefonti giornalistiche riveste per la libertà distampa in una società democratica e dell’effettonegativo sull’esercizio di tale libertà cheun’ordinanza di divulgazione rischia diprodurre, simile provvedimento può conciliarsicon l’art. 10 della Convenzione solo seè giustificato da un preponderante imperativodi interesse pubblico” (così, testualmente,Corte europea Diritti dell’Uomo, sentenza sulcaso Goodwin c. Regno Unito, emessa il27.03.1996).In questa prospettiva, l’obbligo di rivelare lafonte impedisce alla stampa di svolgere la suafunzione di fornire informazioni precise ed affidabili,posto che ogni rivelazione di una fontepuò avere un effetto inibente per le future fontiche così saranno meno desiderose di comunicareinformazioni ai giornalisti.Per tornare alla legislazione del nostro Paesevediamo come da più parti sia stata sottolineatala limitatezza di una interpretazionestrettamente letterale dell’art. 21 Cost., rivendicandonela necessità di “ampliarne e specificarneil contenuto nelle nuove formule:libertà di informazione, diritto all’informazione”(Barile e Grassi, Informazione, in App.nuoviss. dig. it, 200).In particolare, sia da parte della dottrina cheda parte della giurisprudenza, è stata effettuataun’operazione di ridefinizione dell’art. 21Cost., che ha portato ad ipotizzare l’esistenzadi un vero e proprio diritto all’informazione, cuifa da corollario la libertà di “dare e divulgarenotizie, opinioni, commenti” (C. Cost.,15.06.1972, n. 105, in Giur. cost. 1972, 1196),libertà che trova una sua garanzia fondamentalenel diritto di segretezza delle fonti riconosciutoal giornalista.In ogni caso è bene ricordare che invocandoil segreto professionale il giornalista nonsi ripara da eventuali responsabilità per notiziefalse o diffamatorie da lui diffuse, potendougualmente incorrere nel reato di diffamazioneo di divulgazione di segretoprocessuale.ORDINE - TABLOIDperiodico ufficiale del Consigliodell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della LombardiaMensile / Spedizione in a. p. (45%)Comma 20 (lettera B) art. 2 legge n. 662/96 -Filiale di Milano - Anno XXXI - Numero 10,<strong>dicembre</strong> <strong>2000</strong>Direttore responsabile FRANCO ABRUZZOCondirettore BRUNO AMBROSIDirezione, redazione, amministrazioneVia Appiani, 2 - 20121 MilanoTel. 02/ 63.61.171 - Telefax 02/ 65.54.307Segretaria di redazioneTeresa RiséConsiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistidella LombardiaFranco Abruzzo, presidente;Brunello Tanzi, vicepresidente;Gabriele Moroni, consigliere segretario,Sergio D’Asnasch, consigliere tesoriereORDINE 10 <strong>2000</strong><strong>Ordine</strong>/TabloidPer saperne di piùGRILLI Luigi, La pubblicazione degli atti e ilsegreto professionale del giornalista, in Giust.pen., 1990, III, 565BIAGIONI Luca, Note sul riconoscimentodel segreto professionale ai giornalistiprofessionisti nel nuovo c.p.p., in Giur. it.,1991, IV, 477RAFARACI Tommaso, Segreto del giornalistae processo penale, in Cass. pen., 1991, I, 919DI CAMILLO Massimo, Segreto giornalisticoe diritto di cronaca nel diritto sostanziale eprocessuale alla luce della riforma del ritopenale del 1988, in Giur. merito, 1990, 668GRILLI Luigi, La pubblicazione degli atti e ilsegreto professionale del giornalista, in Documentigiustizia, 1990, fasc. 4, 81LETTA Guido, Il punto sul segreto professionaledel giornalista, in Dir. e società, 1986, 759CALDERONE C. Renato, Segreto del giornalistaed essenzialità della giustizia, in Quadernigiustizia, 1986, fasc. 58, 27FAVINO Luigi, Segreto giornalistico edesigenze della giustizia, in Riv. pen., 1985,1041FORTUNA Ennio, Segreto <strong>dei</strong> giornalisti esegreto istruttorio nel processo accusatorio, inCass. pen., 1985, 1740GREGORI Giorgio, Informazione e segretoprofessionale: tutela del giornalista e del cittadino,in Dir. radiodiffusioni, 1984, 505PIETRONI Nazzareno, Il segreto professionaledel giornalista, in Giur. merito, 1985, 495BARBUTO Mario, Il segreto professionalenon è uguale per tutti: i diversi gradi di impenetrabilitàdel segreto degli avvocati, <strong>dei</strong>consulenti del lavoro, <strong>dei</strong> dottori commercialisti,<strong>dei</strong> giornalisti, in Impresa, 1985, 1565NEPPI MODONA Guido, Profili contraddittoridel rapporto tra giustizia e informazione: ilsegreto professionale del giornalista e ilsegreto istruttorio, in Questione giustizia,1983, 543FERRATO Dino, Il segreto giornalistico nelleprospettive della riforma, in Riv. pen., 1983,737MASTRONE Angela, Il “segreto giornalistico”nel processo penale, in Arch. giur., 1983, 75PISA Paolo, Il “segreto giornalistico” nelprocesso penale: spazi stretti per una prospettivadi riforma (Nota a Corte costit., 28gennaio 1981, n. 1, Massa), in Riv. it. dir. eproc. pen., 1982, 291CONSO Giovanni, Il segreto giornalisticodopo la sentenza della corte costituzionale(Nota a Corte costit., 28 gennaio 1981, n. 1,Massa), in Giur. costit., 1981, I, 8LONARDO Filippo, Il segreto professionaledel giornalista (Nota a Corte costit., 28gennaio 1981, n. 1, Massa), in Giust. civ.,1981, I, 676CRESPI Alberto, Il segreto <strong>dei</strong> giornalisti nelresponso della corte costituzionale e nelleprospettive di riforma del processo penale(Nota a Corte costit., 28 gennaio 1981, n. 1,Massa), in Riv. dir. proc., 1981, 351.Consiglieri:Bruno Ambrosi, Annibale Carenzo,Letizia Gonzales, Cosma Damiano Nigro,Domenico Tedeschi.Collegio <strong>dei</strong> revisori <strong>dei</strong> contiAldo Borta Schiannini,Davide Colombo, Rino Felappi (presidente);Coordinamento grafico di <strong>Ordine</strong> - TabloidFranco MalagutiStampa Stem Editoriale S.p.A. Via Brescia, 2220063 Cernusco sul Naviglio (Mi)Iscritto al n. 983/ 1983del Registro nazionale della StampaComunicazione e PubblicitàComunicazioni giornalistiche AdvercoopVia G.C.Venini, 46 - 20127 MilanoTel. 02/ 261.49.005 - Fax 02/ 289.34.08La tiratura di questo numero è statadi 20.100 copieChiuso in redazione il 2 <strong>dicembre</strong> <strong>2000</strong>Lorenzo Del BocaIl dito dell’anarchicoFranco FucciNovecento. Morte di un SavoiaEnzo MagrìI fucilati di Mussolinidi Gigi SperoniIl filo rosso dell’anarchismolega tre libri firmati da colleghigià autori di successo.Anarchico era GaetanoBresci, che il 29 luglio del1900 uccise a Monza, contre colpi di pistola, UmbertoI: un’occasione colta daFranco Fucci in “Novecento.Morte di un Savoia”, perraccontare il tragico avvenimentoe, soprattutto, tratteggiarela personalità del reinquadrandola nel suotempo. In Italia la pena dimorte era stata abolita da 12anni e Bresci finirà all’ergastolo,ma soltanto per diecimesi, sin quando non verràtrovato impiccato in unacella del carcere di SantoStefano. Suicidio di Stato?Nel 1926 Gino Lucetti,protagonista del libro diLorenzo Del Boca “Il ditodell’anarchico”, maldestramenteattenterà alla vita diMussolini gettando unabomba verso l’auto su cuiviaggiava il Duce, diretto aPalazzo Chigi. È l’undicisettembre del 1926: innovembre il regime varerà le“leggi fascistissime” con lequali sarà reintrodotta lapena di morte “per gli attentatial Re, al Reggente, allaRegina, al Principe Ereditarioe al Capo del Governo”.Per due mesi Lucetti lascampò: condannato atrent’anni ne sconterà 17,sino alla caduta del fascismo.Liberato nel 1943,verrà ucciso a Ischia da unoshrapnel sparato, forse,dall’ultimo tedesco rimastosull’isola o, probabilmente,da un incrociatore inglese.Di venerdì 17.Infine Angelo PellegrinoSbardella, l’anarchico sorpresoa Roma, il 4 giugno1932, con due bombe destinateal Duce è uno de “I fucilatidi Mussolini”, nel librodove Enzo Magrì narra lestorie di quattro tra i 32condannati alla pena capitaleeseguita dal 1926 al 1943dal “Tribunale speciale per ladifesa dello Stato”.Se, dunque, Bresci, Lucetti,Sbardellotto, sono il filorosso dell’anarchismo, sinda queste brevi note appare,però, chiaro che le treopere hanno un taglio metodologicoe letterario bendiverso, rispondente allepersonalità <strong>dei</strong> loro autori.Ognuno è godibile di suo,insomma.Per Fucci “Non si può giudicarel’atto di Gaetano Brescise prima non si prendeconoscenza degli avvenimentidel quarto di secoloche lo precedette”. Cheprodussero “«l’atmosfera»nella quale maturò il regicidio”.Fucci scava nei fatti, lianalizza nel loro contestostorico, arricchisce il raccontocon corpose note a piededi ogni capitolo. Sedici capitolibrevi, (accorta decisioneper facilitare la lettura) chegià nei titoli tracciano ilpercorso del volume:“Il re, l’anarchico, la tragedia”;“Un Paese in crisi dicrescita”; “Ritratto di un reguerriero”; “Il Re, le donne,la Regina”; “Un destinocrudele”; “Un Paese allasvolta”… e poi: “«La protestadello stomaco», che passa“Dal malcontento al furore”.Comprensibile, in un Paesedove “numerosi erano idisgraziati che dovevanovivere con il salario di unalira al giorno, il che volevadire la catastrofe se il prezzodel pane aumentavaanche di pochi centesimi alchilo. ... Nell’Italia umbertinala gente lavorava dodici eanche quindici ore al giorno;in mansioni umilissime espesso pericolose eranoimpiegati i bambini. ... Sovranoe vertice politico respingonoogni ipotesi di compromessocon le nuove forzeemerse nel Paese e vedonol’unica soluzione possibilenei «governi della sciabola»che tanto piacciono aUmberto (e ancor più aMargherita)...”.Così a Milano il “furore”sfocerà nei “primi tumulti”, inuna “città in stato d’assedio”dove “la repressione trionfa”con i cannoni del generaleFiorenzo Bava Beccaris.È il maggio di sangue del1899 segnato da 80 morti e450 feriti. “Numeri raccapricciantise si pensa che le 5Giornate del 1848 avevanoprovocato in tutto 350 morti;eppure allora contro gliinsorti era schierato un esercitostraniero; nel 1898,cinquant’anni dopo, controcoloro che «scioperavanoper la fame» c’erano solopoliziotti e soldati italiani”…E via sino all’ultimo capitolo:“Un «processo» un «suicidio»”,entrambi tra virgolette,visto che Bresci vennecondannato dopo una giornatadi dibattimento, e restail fondato dubbio che incarcere sia stato suicidato.Fucci, dunque, racconta laStoria con rigore ineccepibilee nello stesso stile coinvolgentegià esercitato in“Radetzky a Milano”. Il suo èun classico esempio di divulgazioneche mi ha ricordatouna lettera a “La Stanza” del“Corriere della Sera”. A unlettore che si rammaricavacon Montanelli perché si “siapersa una grande occasionedi avere un “testo del giornalista/scrittoreadottato nellenostre scuole”e gli domandava“se le sia mai venutal’idea di dedicarsi a unaopera così socialmente utilee nel caso cosa possa averladissuaso” Montanelli harisposto: “Avrebbe potutodissuadermi il fatto chenessun insegnante ha maipermesso a un mio libro divarcare la porta della suascuola. Ma conosco parecchiragazzi che avendotaciuto la grave colpa diaverla studiata sui miei libri,hanno brillantemente superatol’esame di Storia. Ed èper questo che continuo ascriverli”. Chiusa la digressione.Umberto I conferirà a BavaBeccaris la Croce di GrandeUfficiale dell’<strong>Ordine</strong> militaredi Savoia “per rimeritare ilgrande servizio che Ellarese alle istituzioni e allaciviltà e perché Le attesti lariconoscenza mia e dellaPatria”, e nella lontanaAmerica questa decisionerafforzerà in Bresci l’idea diuccidere il sovrano pervendicare i morti di Milano.Il re venne assassinato il 29luglio 1900. Un mese dopo il31 agosto nasceva ad Avenza,nel comune di Carrara,terra di cavatori di marmo,“uomini contro”, Gino Lucetti,il protagonista del libro diLorenzo Del Boca, Il ditodell’anarchico, “l’uomo chesognava di uccidere Mussolini”.Lucetti “brillava di una scintillaperennemente trasgressivache non poteva confondersicon un potere, qualunqueesso fosse. Volevaun’insistita anormalità. Eraun ribelle esistenziale… divoratoda una malinconiacreativa che, con i suoi languori,gli impediva di accettarel’ineluttabile e lo spingevaa partecipare.A indicargli la strada, anzi, aimporgli la scelta, più che iriferimenti teorici, fu la suanatura visceralmente ribelle.La pratica dell’azione direttalo mantenne anarchico e, inqualche modo, lo condannò”.In queste poche righe c’è ilDel Boca dallo stile personalissimo,carico di colore e vispolemica, l’autore del tranciante“Maledetti Savoia”,11


LIBRERIA DI TABLOIDdove già il titolo spiegava ilpensiero di uno scrittore che«usa» i fatti e le persone pervestirli da romanzo. Si puòcapire perché Del Bocaabbia scelto un personaggiocome Gino Lucetti, un anarchicoche non amava “i riferimentiteoretici”, più che unintellettuale era un uomodalle semplici e radicateconvinzioni, un sognatore inpolitica, “viscerabilmente ribelle”,ma, anche, un sognatorein amore nel timido,puro rapporto con la cuginaNella, una sartina. “La lorostoria sentimentale fu unintrecciarsi di sospiri, di attesee di solitarie fantasie chearchitettavano un futuroimpraticabile. Pochi baci epochissime carezze… Rievocarele estasi e i languori idisinganni e le ambasce èimpossibile sulla base diresoconti documentati, masarebbe banale trascurarlisoltanto perché non se netrova traccia negli archivi diStato. Per questo la storiadegli storici è una scommessapersa in partenza. Loronon si occupano – non ce lafanno – degli uomini e delledonne come sono, con tutti iloro intrecci e i misteri delleloro sensazioni. Non cercanole stramberie caratteriali,gli umori momentanei e –magari – i capricci istintividel loro temperamento. Allafine, gli stati d’animo noncontano e si procede perschemi fissi, rincorrendo lacertezza delle date, il rigoredella carta autografa e laverità <strong>dei</strong> documenti riproducibiliin fotocopie”.Comunque il Del Boca romanziereè anche un accuratoricercatore: lo testimonianole corpose “Note altesto” e lo scrupolo con cuilo scrittore rivisita Porta Pia,dove l’anarchico gettò sconsideratamentela bombaverso l’auto del Duce senzamanco scalfirlo, descrivendoil luogo sin nei minimi particolari:…“è andata distruttal’edicola di legno con il tettoa punta come se fosse unpiccolo minareto ed è statasostituita da un abitacolo dimaniera che assomiglia a uncontainer bislungo. Comedisposizione è un po’ piùvicina al marciapiede ma iproprietari sono gli stessi:adesso ci lavora il nipotedella persona che vendeva igiornali nel 1926”.Al processo “Lucetti abbandonòi suoi pensieri quandoil presidente del tribunaleSanna gli chiese che cosaaveva fatto la mattina dell’11settembre. Che domanda…?!tagliò corto, limitandosia ciò che – immaginava– era di interesse per i giudici.«Mi recai in via Nomentana,nei pressi di Porta Pia. Elanciai una bomba control’automobile del signorMussolini».Un attentato contro un signore.Non si riferì al capodel Governo perché ritenevache quell’incarico fossestato usurpato con la violenza”.Condannato a 30 anni, liberatodopo la caduta del fascismo,ucciso nel modo chesappiamo “al momento dellatraslazione, mentre si stavariesumando la salma, siruppe la falangetta del ditomignolo della mano sinistradi Lucetti. Nella Menconi, lafidanzata, raccolse quelbrandello d’osso e lo tenneper sé. “Il dito dell’anarchico”,per l’appunto, con cui“tentò di fermare il treno incorsa del fascismo”.L’anarchico Angelo PellegrinoSbardellotto è uno <strong>dei</strong>quattro protagonisti de I fucilatidi Mussolini, che EnzoMagrì ha scelto tra i 32giustiziati nei 17 anni in cuioperò il Tribunale specialeper la difesa dello Stato,voluto nel 1926 dal Ducedopo aver subito quattroattentati andati a vuoto,anche fortunosamente, eaffrontati con freddezzatanto da fargli dire «Lepallottole passano, Mussoliniresta» e «Il mio cuore nonha accelerato i suoi battiti».Quattro vicende da realtàromanzesca: “Le storie d’ unoperaio comunista disoccupato,d’un anarchico imbranato,d’un industriale dinamitardoper soldi, d’unsottufficiale che vendette laMarina italiana alla Francia,mandati davanti al plotoned’esecuzione fascista tra il’28 e il ‘33”. Scelte dall’autoreperché “drammatiche,alcune così toccanti eavventurose da sembrareinverosimili, ma tutte tragicamentevere, ricavate dallepagine <strong>dei</strong> processi”.Raccontate dallo stessoautore del fortunato “Pitigrilli”.Con un Magrì dove l’avvincentescrittura fa da vetrina,da supporto, allo scrupolodel ricercatore. Storie chevanno godute anche neglianeddoti, nei particolari eche rimandiamo al lettoreper non incartarci in descrizioniaffrettate, troppo sintetiche.Qui ci limitiamo ad accennarea Sbardellotto, minatoreesule in Belgio, sconsideratamenteinviato a Romadalla concentrazione antifascistacon due bombe nellavaligia e l’incarico di uccidereMussolini. “Sprovvisto dicognizioni circa la città chevisita per la prima volta,privo d’una base di informatorie sfornito anche d’unpiano per l’attentato, Sbardellottoaffida la sua missioneall’improvvisazione. Damezzogiorno alle 16, gironzolacon le bombe addossoe la pistola in tasca tra piazza<strong>dei</strong> Cinquecento e viaNazionale. Per perdere unaltro po’ di tempo, sempreimbottito d’esplosivo, si recaa visitare l’Esposizione coloniale”….Gironzola a vuoto,non riesce ad avvicinarsi alDuce, ritira la sua valigia allastazione Termini e sconsolatoriprende la via del Belgio”.Siamo alla fine d’ottobre del1931.Depresso, ma determinato,l’anarchico ritorna a Romanell’aprile del 1932, gli vaancora buca e ritenta duemesi dopo. Ma stavolta qualcosasuccede. “Sono le15.40 del 4 giugno 1932.Una voce gli ordina: «Favoriscai documenti» Sbardellottoha un passaporto falsointestato a “Gavini Angelo fuLuigi, di Bellinzona,commerciante” ma non ilfoglio di soggiorno, e “senteche la fiducia nella suacapacità di recitare connaturalezza sta venendomeno e che è sul punto diessere preso dal panico”.Arriva un secondo poliziotto,il “sospetto” viene perquisito,gli agenti scoprono lebombe. “Quando vienefermato il veneto ha solo l’intenzionedi uccidere il dittatore.Che dopo otto mesi etre missioni a Roma non erariuscito neppure a vedere dalontano. Ma per i giornali ècome se Mussolini fossescampato allo scoppio diuna bomba”. E anche per igiudici che lo condannano amorte “mediante fucilazionealla schiena” dopo unprocesso durato 2 ore e 15minuti. Aveva 26 anni.Il presidente del Tribunalespeciale, tramite l’avvocatodifensore consiglia alcondannato di presentare ladomanda di grazia, dichiarandosipentito. L’anarchico,altero, sconcerta i giudici«Ma che pentito e pentito»replica al legale d’ufficio, «Iorimpiango solo di non averloammazzato». Rifiuterà l’assistenzareligiosa delcappellano “«Non credo innulla» gli rispose, respingendolo”.Suo fratello, Olivo, di anni necontava 17. Cinque mesidopo la fucilazione di Angelo,per la precisione “un giornodella metà di novembredel 1932 in casa Sbardellottosi presentò un incaricatodel federale di Belluno.Rivolgendosi a Olivo l’ospiteordinò: «Preparati. Prestoché dobbiamo fare un viaggetto».Così il giovanotto siritrova nella sala del Mappamondo,a Palazzo Venezia,sull’attenti davanti al capodel governo. “«Come stai?»chiese il dittatore. «Beneduce», rispose il ragazzo.«Coraggio», lo esortòMussolini. E spiegò al giovaneche «era stato fatto ciòche doveva essere fatto».Assumendo il tono del padresevero, ma buono, gli parlòper parabole spiegandogliche «a volte è necessariopotare <strong>dei</strong> rami dannosi perfare crescere meglio unapianta e per far sì che essadia buoni frutti»… Oltre chealla coscienza di Mussolini,quella visita si rivelò utileanche agli Sbardellotto.Meno ingenuo di quantopotesse apparire, il giovaneOlivo, ritornato a Mel, diffuseuna studiata bugia . A tuttiquelli che gli chiedevano checosa gli avesse detto il duce,egli rispondeva: «Al ma dit,ricordati: se ghe ne qualchedunche te dà fastidio, famesaver a mi, che me interessimi».Non tutti probabilmentecredettero a quelle parolepronunciate dal capo delgoverno. Ma la frase si rivelòugualmente un provvidenzialesalvacondotto per tuttala famiglia.Gran Paese, l’Italia.Lorenzo Del Boca,“Il dito dell’anarchico”,Piemme,pagg. 229,lire 30.000.Franco Fucci,“Novecento.Morte di un Savoia”,Mursia,pagg. 272,lire 26.000.Enzo Magrì,“I fucilati di Mussolini”,Baldini & Castoldi,pagg. 305,lire 32.000.Mobbing, insidiadi Luisella Nicosia, avvocato in MilanoMobbing, il termine è ormai entrato nell’uso comune. E se ne parla diffusamente. Talvolta asproposito, attribuendo a quella parola (derivante dal verbo inglese to mob, aggredire) unsignificato non sempre corretto dal punto di vista medico e legale. Di cosa si tratta? La scienzamedica definisce mobbing “quella forma di violenza o molestia psicologica, ripetuta inmodo iterativo, con modalità polimorfe, con caratteri di intenzionalità, per un tempo determinato,dai sei mesi in su, con ampia variabilità dipendente dalle modalità e dalla struttura dipersonalità <strong>dei</strong> soggetti”. In altre parole, una violenza morale, esercitata da superiori (cosiddettomobbing verticale) o da pari grado (mobbing orizzontale) con sistematica frequenza. Eseppure meno praticata, esiste una terza variante, quella esercitata dai subalterni singolarmenteo in gruppo, mediante attacchi contro la persona, con la finalità di screditare il suolavoro, di immiserirne il ruolo e lo status professionale.L’offesa viene prolungata nel tempo e sustanziata con umiliazioni costanti, con continuideprezzamenti e critiche rivolte alla qualità e alla finalità del lavoro svolto, attuata con reiteratisabotaggi, con emarginazioni e svuotamento di mansioni impedendo o vanificando ognicontributo lavorativo, al punto di rendere evidente la sindrome che si definisce “della scrivaniavuota”. O, ancora, con continue forme di aggressioni sanzionatorie, con eccessivo ricorsoalle visite fiscali, alle contestazioni disciplinari, al trasferimento in sedi lontane, al rifiuto immotivatodi concessione di permessi o di ferie, al mancato riconoscimento di legittime gratificazioni,a uno stato di obbligata inedia lavorativa, a costanti e reiterate angherie.A chi non è mai capitato di vedersi criticare o di vedersi negare un sacrosanto riconoscimentodi merito conquistato sul campo?Certo non è storia solo <strong>dei</strong> giorni nostri (anche se l’organizzazione del lavoro, basata oggisull’eccessiva competitività e sul ricorso massiccio alla tecnologia, esaspera il fenomeno,La scienza classifica il maleLa giustizia garantisce tutelaNel mirino del “mobber” più numerose le donne“Lo stillicidio quotidiano di offese, umiliazioni,ritorsioni, intimidazioni, vessazionipsicologiche e un generalizzato e costanteclima di tensione comportano un’alterazionedella sfera neuropsichica – aggiunge ilprofessor Gilioli, che è stato relatore a unconvegno recentemente tenutosi a Milanosull’argomento – il soggetto colpito damobbing, spesso, cade in depressione,talvolta perde il posto di lavoro e in ognicaso intacca il proprio menage familiare”.Quando un soggetto diventa il capro espiatorioall’interno di un’azienda per fronteggiarel’accresciuta concorrenza <strong>dei</strong> colleghi,il fantasma della disoccupazione resoancora più preoccupante dalla crisi cronicadi posti di lavoro, il montante stress, di lì abreve dovrà far fronte ad insonnia, paura,debolezza generalizzata, si sentirà crollareaddosso il mondo, in una forma di isolamentosistematico o di attacchi più o menodiretti alla propria persona.“Nel nostro Centro finora abbiamo esaminatocirca mille casi – spiega ancora ilprofessor Gilioli – si tratta di personeprovenienti da tutta Italia, di entrambi isessi, anche se con una lieve prevalenzafemminile, con un’età media tra i 35-44anni e 44-55 anni, con un livello di scolaritàmedio-alta (diploma superiore oltre adun’elevata presenza di laureati), che rivestonoqualifiche di impiegati, quadri e dirigenti(solo in minima parte operai) sia nelsettore privato sia nel pubblico, costrette asubire queste forme di abuso di potere perperiodi anche molto lunghi, dai due ai quattro,cinque anni e oltre, talvolta. Questepersone manifestano i primi disagi consintomi di allarme psicosomatico: si vadalle cefalee ai disturbi dell’equilibrio, daiproblemi gastrici ai dolori ostearticolari.Ma non solo. Spesso a questo quadroiniziale si associano nel tempo disturbi dinatura emozionale, quali ansia, tensione,attacchi di panico, disturbi del sonno edell’umore, e di natura comportamentale,quali anoressia, bulimia, farmacodipendenza,fobie.Difficile la diagnosi per l’omertà <strong>dei</strong> colleghiNon sempre risulta facile la diagnosi dellesituazioni lavorative di mobbing e dellemalattie correlate proprio per una scarsacollaborazione dell’ambiente di lavoro;perciò diventa importante il ruolo svoltoall’interno dell’azienda dai responsabilidelle risorse umane e dal medico del lavoro,anche ai sensi di quanto previsto dall’attualenormativa in materia, in primo luogoil D.L. 626/94”. Ma tant’è. I problemi dellepersone perseguitate cadono nell’indifferenzae spesso suscitano un diffuso sensodi fastidio nell’ambiente di lavoro. È unmale, quello <strong>dei</strong> mobbizzati, che, ancoraoggi, l’Inail non riconosce ufficialmente eche spesso anche a livello sindacalerichiama scarsa attenzione per la sua stessanatura.Se poi il mobbing è strategicamente miratoin ragione di un preciso disegno di esclusionedi un lavoratore (al fine di creare lecondizioni ottimali per un licenziamento oper le dimissioni, una sorta di morbidoammortizzatore sociale, come viene vistoda molti) o è solo un mobbing cosiddettoemozionale, perché deriva da un’esaltazione<strong>dei</strong> comuni sentimenti di ciascun individuo,quali gelosia, rivalità, antipatia, ambizione,questo non cambia la sostanza delproblema.E dal punto di vista giuridico cosa s’intendeper mobbing? Esiste una legge ad hoc?Come si sono orientati finora i giudici?Finalmente qualcosa si muove, occorredirlo, sia pure a fatica comincia a farsi strada,da qualche anno, una maggiore attenzionealla portata del fenomeno e una piùprecisa presa di coscienza da parte delleistituzioni.Diversi disegni e progetti di legge sonostati portati all’esame del Parlamento (ilprimo cronologicamente parlando risaleaddirittura al 1996), con lo scopo di produrreil varo di leggi specifiche, con linee guidacomuni anche se con profonde differenze,aventi finalità preventive e di informazionema anche repressive (si prevedono infattisanzioni penali per chi pone in essere attidi violenza psicologica nei confronti di individui“costretti a subire tali atti a causa diuno stato di necessità”). Il mobbing,dunque, comincia ad essere consideratocome violenza o persecuzione psicologica,una sorta di vero e proprio terrorismopsicologico contro il quale si rendononecessari provvedimenti di tutela di e difesa<strong>dei</strong> lavoratori impiegati in tutte le tipologiedi lavoro “pubblico e privato, compresele collaborazioni”, con sanzioni notevolmenteaumentate se la condotta illegittimacomporta per la persona offesa anchedanni psico-fisici o danni materiali edeconomici o sanzionando espressamentela condotta di strategia societaria illecita oistituendo uno sportello unico contro gliabusi nei posti di lavoro.12 ORDINE 10 <strong>2000</strong>


Le persone colpite, costrette a subire violenze psicologiche, cadono vittime, sovente, di gravi patologie di tipo psichiatrico. Un male insidiosoche mette a rischio anche la salute <strong>dei</strong> congiunti. Si calcola che in Italia siano oltre un milione e mezzo i prestatori d’opera assoggettatiad attacchi sistematici durante l’attività lavorativa. Il fenomeno studiato e classificato dalla scienza medica. Quale tutela legislativa?Sono in atto iniziative parlamentari, ma l’ordinamento è già in grado di sanzionare le responsabilità accertate. Dai tribunali sonorecentemente venute significative sentenze.mortale ma occorrono le proverendendo in taluni casi secondaria l’importanza del fattore uomo). Il mobbing è sempre esistito.Ma è solo negli ultimi anni che il fenomeno, che ha assunto pesantissimi costi sociali e sanitari,ha richiamato l’attenzione degli operatori. Tanto da rappresentare una materia di studi interdisciplinari,avviati con sistematicità e con rigore scientifico.È bene, tuttavia, tenere presente che perché si possa parlare, non a sproposito, di mobbing(termine importato dalla Svezia, dove per la prima volta ne è stata individuata la rilevanteportata sociale), occorre la ripetitività, la reiterazione per mesi e anni da comportamenti di offesaperpetrati nei confronti <strong>dei</strong> soggetti interessati.Secondo le definizioni mediche, in pratica, si tratta di un rischio lavorativo cosiddetto “relazionale”o “interpersonale” che va sempre più diffondendosi, al punto che, secondo uno studiocondotto e reso noto dall’European Foundation for the Improvement of Living and WorkingConditions, in Italia interesserebbe attualmente il 4,2% della forza lavoro, vale a dire circa1.000.000 di persone (dati da riferirsi agli anni dello studio 1996-97, mentre per quest’anno sifanno già proiezioni oltre 1.500.000), con conseguente grave perdita di efficienza per le aziende.Dunque, una vera e propria emergenza.“Il mobbing – afferma il professor Renato Gilioli, responsabile del Centro per il disadattamentoLavorativo, istituito da due anni presso la Clinica del Lavoro di Milano, unico centro pubblico inItalia ad occuparsi in modo specifico del problema – comporta effetti devastanti sulla salute dellavoratore e <strong>dei</strong> suoi congiunti (che sono vittime secondarie del fenomeno) provocando situazionipatologiche, il più delle volte di tipo psichiatrico, con disturbi post-traumatici da stress edisturbi dell’adattamento.Ciò spesso provoca, nel soggetto colpito, ferite psichiche non più rimarginabili nel tempo, indipendentementedalla personalità individuale del mobbizzato”.Solo la certificazione medica può dare sostanza all’accusaVi è da dire però che, a tutt’oggi, già esistononel nostro ordinamento gli strumentivalidi per configurare il mobbing e per tutelareil lavoratore che da esso viene colpitoe vi sono state le prime pronunce di meritosul problema, applicando in modo organicola normativa in vigore, con disposizionisparse nel sistema. Con la particolarità,tuttavia, che nel caso del mobbing vienecompletamente ribaltato, per il giurista, ilpiano di studio del fenomeno: normalmente,in ambito giuridico, se un comportamentoè giuridicamente rilevante in quantoposto in essere in violazione di una norma,cioè contra legem, se ne studiano gli effettie le conseguenze di carattere risarcitorio,in questo caso, il punto di partenza è lapatologia accertata dal medico e solo in unsecondo tempo se ne individuano le causee i possibili rimedi; in buona sostanza, selo psichiatra dichiara il lavoratore ammalato,se la causa trova origine nell’ambientedi lavoro, allora si può parlare, dal punto divista degli operatori del diritto, di mobbing.E, in questa ottica, una definizione giuridica,anche se ancora eccessivamentegenerica, di mobbing si può già ricavare,dalle due pronunce di merito rese dal Tribunaledi Torino (16.11.1999; 30.12.1999),che hanno sanzionato espressamente ilfenomeno: “spesso nelle aziende il dipendenteè oggetto ripetuto di soprusi da parte<strong>dei</strong> superiori e, in particolare, vengonoposte in essere nei suoi confronti pratichedirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro e,nei casi più gravi, ad espellerlo; pratiche ilcui effetto è di intaccare gravemente l’equilibriopsichico del prestatore d’opera,menomandone la capacità lavorativa e lafiducia in sé stesso e provocando catastrofeemotiva, depressione e talora persinosuicidio”. Si deve quindi trattare di comportamentiintenzionalmente mirati a unapressione psicologica e morale sul lavoratore,non occasionali e sporadici, mapredeterminati. Nel caso specifico, tuttavia,il Tribunale ha assolutamente dimenticatodi esaminare in quante occasioni e perquanto tempo la ricorrente ha subito trattamentiincivili tali da configurare una condottamobbizzante, trascurando in toto di darerilievo a quegli elementi di ripetitività eCondanna esemplare <strong>dei</strong> responsabilioltre a un congruo risarcimentoCerto, i problemi, dal punto di vista dellatutela <strong>dei</strong> diritti del lavoratore, si fanno piùrilevanti quando la difesa, anziché di frontea un licenziamento (in presenza del qualepuò sempre reagire, con l’impugnazione),si trova a dover riparare a una situazionedi dimissioni forzose, alle quali il soggettomobbizzato è stato costretto al culmine dianni di vessazioni e ritorsioni.Cosa fare, come reagire? Se si prova ilmobbing e quindi una giusta causa, vafrequenza necessari a dare sostanza almobbing.Va anche detto che, al momento, la giurisprudenzaancora non si è pronunciata supossibili forme di mobbing perpetrate dacolleghi di pari livello o, addirittura, dasubalterni.E occorre poi sottolineare come già inpassato i giudici in realtà si siano occupatidi fattispecie configurabili come mobbing,pur senza che lo si classificasse come tale.Non è episodico, infatti, il caso di reiteratedistorsioni createsi nell’ambito lavorativo,con conseguenti negative incidenze sull’individuocolpito, anche non necessariamenteda parte di un gruppo, ma semplicementead opera di un solo soggetto: si vadalle molestie sessuali (importante sulpunto la recentissima sentenza 8.1.<strong>2000</strong>nella quale la Corte di Cassazione ribadiscecome tali atti “costituiscono uno <strong>dei</strong>comportamenti più detestabili fra quelli chepossono ledere la personalità morale e,come conseguenza, l’integrità psico-fisica<strong>dei</strong> prestatori d’opera subordinati”, facendosorgere a carico del datore di lavoro “unavera e propria responsabilità contrattualeper l’inadempimento dell’obbligo previstodall’articolo 2087 codice civile”), esercitateabusando molto spesso di una posizionedi potere, fino alla negazione completadella professionalità lavorativa, con relativoridimensionamento e dequalificazione,oltre che con una mortificazione nelleaspettative professionali e un mancatoconseguente riconoscimento della qualificazioneprofessionale, con una paleseviolazione del dettato legislativo (articolo2103 codice civile).In tali ipotesi, ovviamente, oltre all’obbligoin capo al datore di lavoro alla reintegrazionedel dipendente nelle mansioni spettantigli,sussiste quello del risarcimento deldanno alla professionalità globalmenteintesa, danno che viene liquidato in viaequitativa dal giudice. E tale danno, per lanegazione della professionalità di una lavoratricein seguito a comportamenti distorsivimirati a un demansionamento, è statoriconosciuto e liquidato anche nella succitatasentenza del Tribunale di Torino30.12.99.riconosciuto un risarcimento, oltre al preavviso.E, ancora, si può chiedere la reintegrazione,provando (con un onere probatoriopesante a carico del lavoratore, soprattuttoin considerazione delle omertà fisiologicheed inevitabili <strong>dei</strong> colleghi di lavoro),che le dimissioni non sono state frutto diuna scelta consapevole ma determinate daun comportamento illegittimo, ai sensidell’articolo 1434 codice civile.Trasferimenti ingiustificati ma anche pesanti carichidi lavoroSpesso il Giudice, chiamato ad accertarela sussistenza di condotte e comportamentimobbizzanti, si trova a dover valutare seil datore di lavoro non abbia nel caso dispecie inciso con propri atti (trasferimenti,valutazioni, assegnazione di mansioni inferioria quelle per le quali si è stati assunti,licenziamenti) sulla posizione del lavoratore,mosso da intenti discriminatori, di ritorsioneo punitivi o per motivi irragionevoli edilleciti, anche in considerazione <strong>dei</strong> principicardine di buona fede e correttezza. Se dauna valutazione complessiva <strong>dei</strong> comportamentireiterati emergono connotazionipersecutorie, il giudice ha il dovere disanzionare tali condotte.Ma anche l’impegno eccessivo richiesto aun prestatore d’opera a causa di una cattivaorganizzazione del lavoro all’internodell’azienda (ad esempio, dover lavorareininterrottamente, senza poter godere delriposo settimanale o dover lavorare coneccessivi carichi di lavoro giornalieri), vastigmatizzato, come ha ribadito la SupremaCorte in una sua recente pronuncia:l’eccessivo sovraccarico di lavoro, tale daeccedere la normale tollerabilità secondole regole di comune esperienza, oppure uncarico sproporzionato di lavoro usurante,configura una violazione degli articoli 32(che tutela il diritto primario ed assolutoalla salute, con una norma immediatamenteprecettiva) e 41, comma 2 della Costituzione(che pone un limite all’iniziativaeconomica privata, laddove ne vieta l’eserciziocon modalità tali da pregiudicare sicurezzae dignità umana), dell’articolo 18dello Statuto <strong>dei</strong> Lavoratori, nonché uninadempimento dell’articolo 2087 codicecivile (che contempla la responsabilitàcontrattuale del datore di lavoro e che intale ambito va intesa come norma di chiusuradell’ordinamento a protezione dellavoratore), posto che il datore di lavoro hal’obbligo di organizzare al meglio i carichidi lavoro e di adottare tutte le misure voltea tutelare l’integrità fisica e la personalitàmorale <strong>dei</strong> prestatori di lavoro (Cassazione5.2.<strong>2000</strong> n. 1307).Risulta chiaro, perciò, quale tipo di responsabilitàincomba sul datore di lavoro. Perlui non esiste solo un generico obbligoall’adozione di tutte le misure di prudenzae diligenza necessarie al fine di tutelarel’incolumità e l’integrità psico-fisica dellavoratore, ma anche un espresso divietodi compiere direttamente qualsiasi azionelesiva dell’integrità del dipendente e unobbligo specifico di prevenire e scoraggiarela realizzazione di condotte potenzialmentelesive nell’ambito del rapporto dilavoro. In sostanza, se il datore di lavoroviene a conoscenza di condotte illegittimetenute da alcuni suoi collaboratori o dipendentinei confronti di un altro suo dipendenteha l’espresso obbligo di intervenire atutela del soggetto vessato, anche con illicenziamento in tronco <strong>dei</strong> “mobber”,come ha riconosciuto più di una volta lagiurisprudenza.Se poi, il mobbing presenta deprecabiliconnotazioni di maltrattamento verbale edi aggressione ingiuriosa a danno del lavoratore,lo stesso ha diritto al risarcimentodel danno patrimoniale alla professionalitào all’immagine professionale, del dannobiologico per i danni alla salute e alla vitadi relazione, del danno esistenziale di piùrecente creazione dottrinale e giurisprudenziale(da intendersi come somma diripercussioni relazionali di segno negativo,che si concreta nella rinuncia a un facere)e del danno morale, ex articoli 2043 e 2059codice civile, oltre a sconfinare addiritturanel reato di ingiurie.Tra le più recenti pronunce, in merito, sisegnala, tra le altre, la sentenza n. 11727del 18.10.99 nella quale i giudici hannoriconosciuto un danno esistenziale conseguentea un ipotesi accertata di demansionamentodel lavoratore. In questa letturacombinata delle disposizioni del nostroordinamento, bisogna tenere presentianche gli articoli 1175 e 1375 codice civile,che prevedono i principi fondamentali dellabuona fede e correttezza, nonché tutte lenorme antidiscriminatorie, in particolare gliarticoli 2, 3, 4, 13, 35 ultimo comma, 37,comma 1, 39, 46 della nostra carta costituzionale,gli articoli 8, 15 e 19 dello Statuto<strong>dei</strong> Lavoratori, le leggi 903/1977,125/1991, 135/1990 e tutte le norme internazionalie comunitarie in tema di divietodi discriminazione sul luogo di lavoro. Inpratica, laddove si accerta un nesso dicausalità tra condotta mobbizzante e lesione,il relativo danno psichico (che dal puntodi vista medico non è mai effetto di unasola causa, ma di una serie di concause ofattori di rischio), va riconosciuto comemalattia professionale.Sul piano penale, d’altra parte, i reati direttamentecollegati al mobbing e ravvisabilinei diversi casi, possono ricomprenderemolte fattispecie: dalle lesioni personali allemolestie sessuali, dall’abuso di ufficio allaviolenza privata, spesso con l’aggravantedi aver commesso il fatto con abuso diautorità, di relazioni d’ufficio o di prestazioned’opera.Attenti: se manca la prova si rischia il licenziamentoÈ bene, altresì, rilevare, che, accanto acondotte tipiche, configurabili già comecomportamenti tenuti in violazione di benprecise disposizioni di legge, e quindi giàimmediatamente stigmatizzate dal nostroordinamento (licenziamenti, demansionamenti,mancata osservanza <strong>dei</strong> comportamentidi reintegra del giudice), esiste ancorauna serie numerosissima di condottecosiddette atipiche, più subdole e striscianti,non immediatamente sanzionate e difficilmentesanzionabili, se non accompagnateda altre condotte tipiche, per la difficoltàstessa per il giudice di accertare ildanno effettivamente arrecato al lavoratore(ad esempio, l’eccessivo numero di visitefiscali richieste, il controllo esasperato deltempo trascorso alla macchina del caffè oal telefono etc.); queste ultime, difficilmenteconnotabili giuridicamente, oltre adessere certamente espressione dell’autoritàdel datore di lavoro, possono ancheessere tenute da colleghi pari grado oaddirittura subalterni e possono comunquecausare gravi danni al lavoratore, setrascendono la normale tollerabilità e sevengono protratte con una certa frequenzae un’esasperata ripetitività. Solo in talmodo, un comportamento atipico conconnotati persecutori e/o vessatori,espressione fisiologica di ogni aggregazionesociale, può acquisire rilevanza giuridica.Ma, se oggi in tanti rivendicano di esserestati mobbizzati per lungo tempo daldatore di lavoro, la Corte di Cassazioneavverte: sono da evitare in ogni caso leesasperazioni e le accuse infondate; infatti,“un’accusa non provata di mobbing giustificala comminazione di un licenziamentoper giusta causa, per violazione dello stessorapporto di fiducia lavoratore-datore dilavoro” (Cassazione 8.1.<strong>2000</strong> n. 143). Inbreve, muovere un’accusa di mobbing,significa essere in grado “per il lavoratoredi provare gli elementi essenziali della fattispecie.Al punto che, pur non potendosi escludereche il reperimento delle varie fonti di provapossa risultare particolarmente difficoltosoa causa di eventuali sacche di omertàsempre presenti, o per altre ragioni, non èchi non veda che la mancata acquisizionedella prova in questione, riguardo allecause che hanno determinato la lesionededotta e gli effetti che si asserisce esserederivati, impedisce al giudice l’accoglimentodella domanda” (Cassazione citata). Inbuona sostanza, attenzione: un’accusanon provata di mobbing costituisce unmotivo legittimo di risoluzione del rapportodi lavoro.Luisella Nicosia, avvocato in MilanoORDINE 10 <strong>2000</strong>13 (21)


Il disegno di legge concernente“Delega al governo in materiadi professioni intellettuali”approvato il 10 novembredal Consiglio <strong>dei</strong> ministriIl provvedimento in pilloleCRITERI GENERALI• Delega a realizzare la riforma delle professioni intellettualientro diciotto mesi• Accesso libero alle professioni, senza predeterminazionenumerica• Garantire un’adeguata tutela del cliente e degli interessipubblici• Possibilità di attività pubblicitaria• Assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile delprofessionista o della società professionalePROFESSIONI REGOLAMENTATE• Esame di Stato, iscrizioni in Albi o elenchi, vigilanza da partedi Ordini e Collegi• Attività professionali riservate nei soli casi di legge• Nuova disciplina per il tirocinio e per l’esame di Stato in mododa garantire l’uniforme valutazione su base nazionale <strong>dei</strong>candidati• Previsione di corrispettivi minimi e massimi per la prestazioneentro i quali viene fissato il costo effettivo• Ammissione della pubblicità con carattere informativo• Mantenimento dell’organizzazione in Ordini o Collegi connotaticome enti pubblici non economici dotati di autonomiapatrimoniale• Prevedere che il potere disciplinare sugli iscritti sia esercitatoda organi nazionali e locali con competenza distrettuale• Delega per l’emanazione di Testi unici di riordino delle professioniGli Ordini (compreso il nostro)e i Collegi salvati dal Governo,ma non ne nasceranno di nuoviPer i professionisti ammessa la pubblicitàArt. 1 - (Delega al Governo in materia di professioni intellettuali)1. Il Governo è delegato ad emanare, entro diciotto mesidalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piùdecreti legislativi aventi ad oggetto la disciplina delle professioniintellettuali e delle rispettive forme organizzative, incoerenza con le direttive comunitarie e nel rispetto <strong>dei</strong> principie <strong>dei</strong> criteri direttivi della presente legge.2. Gli schemi di decreti legislativi di cui al comma 1, nonchédi regolamenti previsti dalla presente legge, sono emanatisentiti gli ordini e collegi professionali interessati e le associazionidelle professioni non regolamentate rappresentatenel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, nonchéprevio parere delle competenti commissioni parlamentari. Gliavvisi ed i pareri sono resi nel termine di trenta giorni dallaricezione degli schemi stessi, decorso il quale i decreti legislativied i regolamenti sono comunque emanati.3. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno<strong>dei</strong> decreti di cui al comma 1 possono essere emanati decreticorrettivi e integrativi di questi ultimi con le modalità di cuial comma 2, nel rispetto <strong>dei</strong> medesimi principi e criteri direttiviindicati nella presente legge.4. Per l’adozione delle disposizioni di attuazione <strong>dei</strong> decretilegislativi di cui al comma 1, nonché delle disposizioni volte acoordinare con detti decreti la normativa già vigente, il Governoè autorizzato ad emanare regolamenti anche ai sensidell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400,con le modalità di cui al comma 2.Art. 2 - (Principi e criteri generali di disciplina delleprofessioni intellettuali)1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1 il Governodisciplina le modalità generali di esercizio delle professioniintellettuali e di accesso alle medesime, con le diversificazioninecessarie in relazione alla specificità delle singole tipologieprofessionali, nel rispetto <strong>dei</strong> seguenti principi e criteridirettivi e fatti salvi i criteri specifici riguardanti le professioniregolamentate, di cui agli articoli 3 e 4:a) prevedere che l’accesso sia libero, in conformità al dirittocomunitario, senza vincoli di predeterminazione numerica senon per le professioni aventi quale oggetto caratterizzantel’esercizio di funzioni pubbliche;b) assicurare, qualunque sia il modo o la forma, anche associativa,di esercizio della professione, un’adeguata tutela delcliente e degli interessi pubblici connessi al corretto e legaleesercizio della professione medesima, la correttezza e laqualità delle prestazioni, il rispetto delle regole deontologiche,la salvaguardia dell’autonomia del professionista nellescelte inerenti lo svolgimento della propria attività, la diretta epersonale responsabilità del professionista incaricato perl’adempimento della prestazione professionale nonché per ildanno ingiusto derivante dalla prestazione stessa;c) dare attuazione ai principi del pluralismo e della libertà discelta del cliente, distinguendo la disciplina dell’eserciziodella professione da quella dell’attività di impresa, comunquenel rispetto <strong>dei</strong> principi nazionali e comunitari a tutela dellaconcorrenza, come affermati dagli articoli 81 e seguenti deltrattato istitutivo della Comunità europea e successive modificazioni;d) consentire la pubblicità;e) prevedere che il corrispettivo della prestazione professionalesia fissato con determinazione consensuale delle parti,garantendo il diritto del cliente alla preventiva indicazione <strong>dei</strong>criteri di determinazione;f) prevedere l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria perla responsabilità civile del singolo professionista ovvero dellasocietà professionale, conseguente ai danni causati nell’eserciziodell’attività professionale, tale da assicurare l’effettivorisarcimento del danno, anche in caso di attività professionalesvolta da dipendenti professionisti;g) introdurre, al fine di assicurare la corretta informazione delcliente e tutelarne la buona fede, l’obbligo per il professionistadi specificare la situazione aggiornata del proprio statocon riferimento all’appartenenza ad ordini o collegi ovveroad associazioni di cui all’articolo 9.Art. 3 - (Principi e criteri generali speciali per l’accessoalle professioni intellettuali regolamentate)1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il Governodisciplina le specifiche modalità di accesso alle professioniintellettuali attualmente regolamentate, nel rispetto <strong>dei</strong>seguenti principi e criteri direttivi e con le diversificazioninecessarie in relazione alla specificità delle singole tipologieprofessionali:a) prevedere l’esame di Stato per l’abilitazione professionale,l’iscrizione in Albi o elenchi, la vigilanza su questi ultimi diOrdini o collegi professionali di cui all’articolo 6, nei limiti enella misura in cui tali requisiti sono previsti dalle disposizionivigenti alla data di entrata in vigore della presente legge,senza che dalla natura di professione regolamentata deriviuna riserva di attività professionale a favore degli iscritti agliOrdini o collegi, se non nei casi di cui alla lettera b);b) nell’ambito delle professioni regolamentate limitare le attivitàprofessionali riservate a determinati professionisti ai solicasi in cui tale riserva è prevista dalle disposizioni di leggevigenti alla data di entrata in vigore della presente legge;c) disciplinare l’esame di Stato per l’abilitazione professionalein modo da garantire l’uniforme valutazione <strong>dei</strong> candidatisu base nazionale e la verifica oggettiva del possessodelle competenze tecniche necessarie, tenendo conto dellaspecificità delle singole professioni; prevedere che lecommissioni giudicatrici siano composte secondo canoni diimparzialità e di adeguata qualificazione tecnica, limitando lapresenza di membri designati dagli Ordini e collegi professionalia non oltre la metà <strong>dei</strong> componenti e garantendo, incaso di esami in sede locale, che detti membri, se iscritti allostesso <strong>Ordine</strong> o collegio, siano iscritti ad Albi o elenchi territorialidiversi da quelli di riferimento dell’esame di Stato;d) disciplinare il tirocinio professionale, ove previsto, secondomodalità che garantiscano effettività e flessibilità dell’attivitàformativa, un equo compenso commisurato all’effettivoapporto del tirocinante all’attività dello studio professionale,forme alternative di tirocinio, di carattere pratico o con lafrequenza a corsi specialistici riconosciuti dal Ministerocompetente, assicurandone una durata omogenea; possibilitàdi effettuare il tirocinio, anche in parte, all’estero e nelleeventuali forme alternative, contemporaneamente agli studinecessari per il conseguimento del titolo professionale,garantendo in ogni caso lo studio <strong>dei</strong> fondamenti teorici edeontologici della professione.Nei testi unici la nuova mappa degli OrdiniArt. 4 - (Principi e criteri speciali relativamente ad alcuniaspetti dell’esercizio di professioni intellettuali regolamentate)1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1 il Governo,con riferimento alle professioni regolamentate di cui all’articolo3, disciplina la materia <strong>dei</strong> corrispettivi e della pubblicità,tenendo conto delle disposizioni e delle decisioni comunitarieadottate in materia e del diritto del cliente ad una prestazioneprofessionale qualitativamente adeguata nonché attenendosiai seguenti principi e criteri specifici rispetto a quantoprevisto dall’articolo 2:a) prevedere che il corrispettivo della prestazione professionalesia fissato con determinazione consensuale delle parti,ai sensi del comma 1, lettera e), dell’articolo 2, salvo quantoprevisto dalle lettere b) e c) del presente articolo;b) individuare i casi in cui, a tutela del cliente, sono fissati icorrispettivi massimi delle prestazioni professionali, chedevono essere rispettati dalle parti;c) individuare i corrispettivi minimi che devono essere rispettatidalle parti per le prestazioni professionali, nonché i corrispettiviche devono essere applicati dalle parti per le prestazioniimposte, in modo tale che i predetti corrispettivi sianorapportati al costo della prestazione, comprensivo dellespese e del compenso del professionista;d) affidare a decreti del Ministro competente, adottati suproposta di commissioni istituite dal Ministro medesimo, conla partecipazione in percentuale minoritaria di esperti designatidagli Ordini e collegi professionali interessati, la fissazione<strong>dei</strong> casi e <strong>dei</strong> corrispettivi di cui alle lettere b) e c);e) prevedere che la pubblicità abbia carattere informativo,con riferimento alle oggettive caratteristiche delle prestazioniofferte ed al percorso formativo e professionale, anche dispecializzazione, del professionista.2. In via transitoria e fino all’adozione <strong>dei</strong> decreti di cui allalettera d), restano applicabili le disposizioni, vigenti alla datadi entrata in vigore della presente legge, che prevedono tariffeprofessionali.Art. 5 - (Principi e criteri in materia di società di professionisti)1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il Governoprevede che le professioni intellettuali possano essere esercitateindividualmente ovvero in associazione ovvero insocietà, queste ultime costituite come segue:a) relativamente alle professioni non regolamentate, secondoi tipi di cui all’articolo 2249 del codice civile o secondo iltipo di società professionale di cui al comma 3;b) relativamente alle professioni regolamentate, secondo iltipo di società professionale di cui al comma 3.2. È comunque consentita la costituzione di società ai sensidell’articolo 2249 del codice civile, anche con soci che conferisconomero capitale, per l’esercizio di servizi, come definitidalla direttiva 92/50/CE o da altre disposizioni comunitarie,implicanti prestazioni professionali regolamentate di cui all’articolo3, salvi i limiti derivanti dalla disciplina delle attivitàriservate e salvo il disposto del comma 5.3. La società professionale di cui al comma 1 lettera b) èdisciplinata, come tipo autonomo e distinto da quelli previstidall’articolo 2249 del codice civile, nel rispetto <strong>dei</strong> principidella presente legge e secondo i seguenti criteri:a) prevedere l’obbligo dell’uso della denominazione “societàprofessionale”, con la precisazione in essa dell’attività professionaleesercitata;b) limitare l’oggetto sociale all’esercizio di attività professionaleo multiprofessionale, con i limiti derivanti dalle attivitàriservate, e riservare la partecipazione societaria nonché lecariche sociali a soci professionisti;c) prevedere che il conferimento <strong>dei</strong> soci professionisti possaconsistere nella prestazione professionale ovvero in dettaprestazione unitamente a capitale, anche sotto forma diapporto di clientela;d) prevedere che la quota sociale possa essere rappresentata,quando sussistano specifiche esigenze in tal senso,anche da titoli partecipativi;e) prevedere che delle prestazioni contratte dalla societàprofessionale risponda illimitatamente il socio professionistache ha eseguito la prestazione professionale o che ha agito innome della società nonché, in solido, la società professionale;f) prevedere la sottoposizione della società, nei casi disocietà aperta a soci esercenti professioni intellettuali diverse,alle disposizioni riguardanti le diverse professioni rilevanti,con modalità tali da coordinare le norme sostanziali eprocedimentali che regolano i diversi profili di responsabilità,anche disciplinare;g) prevedere limitazioni alla partecipazione alle societàprofessionali ove detta partecipazione porti a situazioni diconflitto di interessi o di elusione delle incompatibilità fissatedalla legge;h) disciplinare l’iscrizione, con gli opportuni adattamenti e apena di scioglimento, delle società professionali, in appositesezioni degli Albi professionali relativi alle professioni intellettualiesercitate e prevedere specifica responsabilità disciplinaredelle società stesse per i profili loro ascrivibili, fermerestando l’iscrizione e la responsabilità disciplinare, ancheconcorrente, <strong>dei</strong> singoli professionisti;14 (22) ORDINE 10 <strong>2000</strong>


ASSOCIAZIONI• Possibilità di costituire libere associazioni di professionisti subase volontaria, di natura privatistica e nel rispetto della liberaconcorrenza• Possibilità di rilascio di attestati di competenza• Previsione di una registrazione presso il ministero dellaGiustizia delle associazioni professionali che rilasciano attestatidi competenzai) prevedere il diritto di prelazione a favore <strong>dei</strong> soci professionistie di gradimento da parte di una maggioranza qualificatadi questi ultimi nei confronti del nuovo socio in caso di cessionedi partecipazioni nella società professionale, nonché deldiritto di riscatto a favore degli altri soci della partecipazionesocietaria del socio escluso o deceduto;l) disciplinare l’attività della società professionale in modoche, in caso di affidamento dell’incarico a quest’ultima, sianogarantiti il diritto del cliente di scegliere il professionista incaricatodella prestazione professionale e la responsabilitàdiretta di quest’ultimo; prevedere che, in caso di mancatascelta del professionista, sia comunicato al cliente, primadell’esecuzione della prestazione, il nominativo del professionistaincaricato, con conseguente responsabilità disciplinaredella società, in difetto di idonea comunicazione; assicurarecomunque l’individuazione certa del professionistaautore della prestazione;m) qualificare, ai fini tributari e previdenziali, il reddito <strong>dei</strong>professionisti, derivante dalla partecipazione all’attività dellasocietà professionale, con riguardo alla natura del conferimentonella società;n) individuare le informazioni che il professionista, anche inderoga alla normativa sul segreto professionale, è tenuto afornire alla società alla quale partecipa sullo svolgimento <strong>dei</strong>propri incarichi;o) disciplinare in maniera autonoma le situazioni di insolvenzadella società professionale con esclusione della sottoposizionea fallimento.4. Sono fatte salve le disposizioni vigenti in materia di societàdi ingegneria di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, esuccessive modificazioni, e le disposizioni emanate in attuazionedelle direttive comunitarie ed in particolare dell’articolo19 della legge 21 <strong>dicembre</strong> 1999, n. 526.5. Il professionista che a qualunque titolo svolge attivitàprofessionale intellettuale per conto delle società di cui alpresente articolo è soggetto alla disciplina propria dell’attivitàprofessionale medesima. Questa ultima e gli atti in cui essasi estrinseca sono direttamente imputabili al professionistache ne è autore e ne risponde in solido con la società.6. Eventuali disposizioni, necessarie ai fini del coordinamentotra le norme emanate sulla base del presente articolo ealtre normative già vigenti, sono adottate ai sensi del comma4 dell’articolo 1 della presente legge.Art. 6 - (Principi e criteri in materia di ordini e collegiprofessionali)1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1 il Governoprovvede a disciplinare l’organizzazione degli Ordini e collegiprofessionali, sulla base <strong>dei</strong> seguenti principi e criteri direttivi:a) mantenere, per le professioni regolamentate di cui all’articolo3, l’organizzazione in Ordini o collegi professionali cuispetta la tenuta degli Albi o elenchi, la disciplina degli iscritti,nonché la tutela degli interessi pubblici connessi all’eserciziodelle professioni stesse;b) connotare gli Ordini e collegi professionali come entipubblici non economici dotati di autonomia patrimoniale,finanziaria e di autorganizzazione, soggetti alla vigilanza delMinistero competente, nel rispetto <strong>dei</strong> principi fissati dallapresente legge e dai decreti legislativi di attuazione, nonchédalle altre leggi dello Stato;c) prevedere che l’obbligo di versamento da parte degli iscritti<strong>dei</strong> contributi determinati dagli Ordini e collegi, nazionali elocali, di appartenenza, sia limitato alla misura necessariaall’espletamento delle funzioni specificamente demandateall’<strong>Ordine</strong> o al collegio;d) disciplinare, anche con rinvio a regolamenti ministeriali, imeccanismi elettorali per la nomina a cariche degli Ordini ecollegi professionali, intesi a garantire la trasparenza delleprocedure, la tutela delle minoranze, nonché l’individuazione<strong>dei</strong> casi di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza, il dirittodi voto e l’elettorato attivo e passivo degli iscritti, la duratatemporanea delle cariche ed i limiti di rinnovo delle stesse;e) prevedere l’articolazione territoriale degli Ordini e collegiprofessionali in organi nazionali e locali, secondo criteritendenzialmente uniformi, tenuto conto delle specifichenecessità delle singole professioni e ferma restando l’estensionedell’abilitazione all’esercizio della professione a tutto ilterritorio nazionale, salve le limitazioni volte a garantirel’esercizio di funzioni pubbliche;f) prevedere l’attribuzione agli Ordini e collegi professionalinazionali, della vigilanza sugli organi locali, nonché del poteredi adottare atti sostitutivi in caso di inerzia di questi ultimiesclusivamente in presenza di rilevante interesse pubblicogenerale e previa diffida; demandare agli Ordini e colleginazionali l’adozione del codice deontologico nazionale,nonché l’eventuale competenza di secondo grado sui provvedimentidisciplinari dell’<strong>Ordine</strong> locale; affidare loro l’adozionedi misure idonee ad assicurare la completa informazionedel pubblico in materia di prestazioni professionali, anchemediante la diffusione delle relative norme tecniche, perpromuovere la formazione professionale, la cultura dellaqualità nonché il monitoraggio del mercato delle prestazionie la ricognizione <strong>dei</strong> contenuti tipici delle prestazioni medesime;ORDINE 10 <strong>2000</strong>SOCIETÀ PROFESSIONALI• Costituzione come società professionali o in base all’articolo2249 del Codice civile per le professioni non regolamentate• Costituzione come società professionali per le professioniregolamentate• “Salvataggio” delle società di ingegneria• La società professionale dovrà: usare la denominazione“società professionale”, riservare partecipazioni e caricheai soci professionisti, prevedere che delle prestazionirisponda il socio professionista, disciplinare l’iscrizione inapposite sezioni degli Albi professionali relativi alle professioniesercitate(da “Il Sole 24 Ore on-line”)g) demandare agli Ordini e collegi nazionali compiti di indirizzoe coordinamento degli Ordini e collegi locali ed in particolareil controllo sulle elezioni di questi ultimi;h) prevedere come compiti degli organi professionali locali,con riferimento agli iscritti: la tenuta aggiornata dell’Albo odell’elenco; l’esercizio della vigilanza disciplinare; l’adozionedi iniziative volte alla formazione e all’aggiornamento professionali;la continua verifica della permanenza <strong>dei</strong> requisiti peril corretto esercizio dell’attività professionale degli iscritti; lavigilanza sul rispetto delle regole deontologiche.Art. 7 - (Principi e criteri in materia di codice deontologicoe potere disciplinare)1. Nell’attuazione della delega il Governo di cui all’articolo 1,con specifico riferimento all’emanazione di codici deontologicidi categoria e al potere disciplinare degli ordini e colleginei confronti degli iscritti, si attiene in particolare ai seguentiprincipi e criteri generali:a) fissare criteri e procedure di adozione, da parte di ciascunodegli organi nazionali, di un codice deontologico professionale,al fine di tutelare gli interessi pubblici del correttoesercizio della professione e comunque coinvolti nell’eserciziodella professione stessa, nonché di indirizzare quest’ultimaa fini sociali, di tutelare l’affidamento e la libera scelta delcliente, di assicurare la qualità della prestazione professionale,nonché l’adeguata informazione sui contenuti e le modalitàdi esercizio della prestazione professionale;b) prevedere che il potere disciplinare sugli iscritti agli Ordinie collegi professionali sia esercitato da organi nazionali elocali con competenza distrettuale, che mantengono naturagiurisdizionale ove attualmente prevista, distinti dagli organigestionali degli Ordini e collegi medesimi e composti daprofessionisti con modalità idonee ad assicurare adeguatarappresentatività, imparzialità ed indipendenza; prevedere inparticolare che in sede locale i componenti delle commissionidisciplinari iscritti all’<strong>Ordine</strong> o collegio professionale nonLa riforma riguarda5 milioni di personeROMA, 11 novembre. IlConsiglio <strong>dei</strong> ministri haapprovato, ora la parolapassa al Parlamento per unacorsa contro il tempo: il riordinodegli Ordini professionali,messa a punto dal ministrodella Giustizia PieroFassino, potrebbe esserel’ultima grande riforma delcentrosinistra. La leggedarebbe due anni al governoche verrà per disciplinare leprofessioni.Si tratta di una riformanecessaria, attesa da molti eper molti anni che prevedeuna mini rivoluzione per 26Albi che rappresentano unmilione e mezzo di professionistie che resteranno tuttiin vita, mentre non nenasceranno di altri. Unmondo complesso attorno alquale orbitano anche tremilioni di precari, tirocinanti,giovani e meno giovani incerca di un futuro spessoblindato. Ieri il disegno dilegge proposto da Fassinoha segnato una nuova stradaper tutto il mondo dellaprofessioni. Si va dalla liberalizzazionedell’accesso,alla “adeguata tutela degliutenti e degli interessipubblici”. Nel documento siparla poi di “pluralismoprofessionale e libertà discelta da parte del cliente;trasparenza nella pubblicitàdelle caratteristiche delleprestazioni, a tutela delcliente. Sostituzione delleattuali tariffe con un sistemadi corrispettivi fondati sull’effettivocosto delle prestazioni”.Tra i punti più controversidella difficile ricerca di unequilibrio, di un accordo conil Cup, il comitato che riuniscetutti gli Ordini d’Italia,resta “la possibilità di esercitarela professione sia individualmente,sia con la costituzionedi società professionalisecondo tre modalità...”.La parte più innovativa, equella destinata a suscitarele maggiori polemiche, riguardala possibilità di formaresocietà di capitalianche con soci non professionistie senza il tetto del25% come in primo tempoipotizzato. Lo schema diFassino prevede tre soluzioni.Prima: società di soli professionistisenza capitale(potranno mettersi insiemecommercialisti, avvocati,architetti, etc.) per le attivitàregolamentate (iscrizioneall’Albo previo esame diStato) con esclusione per lesocietà di ingegneria comeprevisto dalla legge Merloniche rientrano così nel terzoschema.Seconda: società, anchecon partecipazione di capitale,per tutte le attività professionali“non regolamentate”dagli Albi ma dalle associazioni.Terza: società di capitale perl’esercizio di servizi “implicantiprestazioni professionaliregolamentate e non,salvo i limiti previsti per leattività riservate come imedici e i notai.Altri aspetti importanti sono lasostituzione delle tariffe minimecon un sistema di corrispettivibasati sull’effettivocosto delle prestazioni e stabilitida un un’autorità terza.(“Corriere della Sera”,“la Repubblica”,“La Stampa”)appartengano allo stesso <strong>Ordine</strong> o collegio locale cui appartienel’incolpato, eventualmente con lo spostamento dellacompetenza a conoscere del procedimento disciplinare;c) prevedere regole procedurali per l’efficace esercizio dell’azionedisciplinare e per favorire la celere conclusione delprocedimento, nonché la coerenza con i principi del contraddittorioe del giusto procedimento;d) consentire l’impugnazione avanti gli organi nazionali <strong>dei</strong>provvedimenti degli organi locali e l’esperibilità del ricorsoper cassazione avverso i provvedimenti degli Ordini e colleginazionali;e) prevedere l’intervento nel procedimento disciplinare delpubblico ministero o del Ministro competente alla vigilanza,rispettivamente ove si tratti di procedimento giurisdizionale omeno, nonché l’esercizio, in via sostitutiva, dell’azione disciplinareda parte del predetto Ministero nei casi in cui vi siainerzia dell’ordine o collegio competente;f) prevedere, in casi di particolare gravità o di reiterata violazionedi legge, il potere del Ministro competente di sciogliere,sentiti gli ordini nazionali, i consigli degli Ordini o <strong>dei</strong> collegiterritoriali nonché di proporre al Consiglio <strong>dei</strong> Ministri lo scioglimento<strong>dei</strong> consigli degli ordini o <strong>dei</strong> collegi nazionali;g) prevedere, anche con riferimento all’articolo 6, il rinvio aregolamenti ministeriali, le norme procedurali idonee agarantire il corretto svolgimento delle funzioni attribuite agliOrdini e collegi, nella loro articolazione sia nazionale sia locale.Art. 8 - (Principi e criteri in materia di testi unici di riordinodelle professioni regolamentate esistenti)1. Il Governo è delegato ad emanare, con le modalità previstedall’articolo 1, testi unici di riordino delle disposizionivigenti in materia di professioni regolamentate, attenendosiai principi e criteri direttivi della presente legge nonché aiseguenti:a) riordinare le attività delle singole professioni, con eventualiaccorpamenti degli Ordini e collegi interessati, tenendoconto in particolare della compatibilità con le esigenze dicircolazione <strong>dei</strong> titoli di studio presupposti all’esercizio delleprofessioni nell’ambito dell’Unione europea, nonché delledisposizioni comunitarie in materia di libere professioni;b) perseguire una tendenziale uniformità, ove non incompatibilecon il rispetto delle specificità delle singole professioni,delle disposizioni applicabili a ciascuna professione a seguitodella adozione <strong>dei</strong> testi unici stessi;c) rinviare a regolamenti da emanare a norma dell’articolo17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, la disciplinadegli aspetti organizzativi e procedimentali;d) effettuare la puntuale individuazione del testo vigente dellenorme;e) esplicitare le norme abrogate, anche implicitamente, dasuccessive disposizioni;f) procedere al coordinamento formale del testo delle disposizionivigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento,le modificazioni necessarie per garantire la coerenza logicae sistematica della normativa, anche al fine di adeguare esemplificare il linguaggio normativo;g) esplicitare quali disposizioni non inserite nel testo unicorestano comunque in vigore;h) dichiarare l’abrogazione delle rimanenti disposizioni, nonrichiamate, che regolano la materia oggetto di delegificazione,con espressa indicazione delle stesse in apposito allegatoal testo unico.2. Dalla data di entrata in vigore del testo unico sono comunqueabrogate le norme che regolano la materia oggetto didelegificazione, non richiamate ai sensi della lettera g) delcomma 1;3. Al fine di consentire una contestuale compilazione delledisposizioni legislative e regolamentari riguardanti unamedesima professione, il Governo è autorizzato, nell’adozione<strong>dei</strong> testi unici di cui al comma 1, ad inserire nel medesimotesto unico, con adeguata evidenziazione, le norme sialegislative sia regolamentari vigenti per ciascuna professione.Art. 9 - (Principi e criteri in materia di associazioniprofessionali)1. Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1 il Governoprovvede inoltre a disciplinare, ferme restando le competenzedi legge degli ordini e collegi professionali, le associazionidi esercenti professioni intellettuali sulla base <strong>dei</strong> seguentiprincipi e criteri direttivi:a) garantire la libertà di costituire libere associazioni diprofessionisti, di natura privatistica, fondate su base volontaria,senza vincolo di esclusiva e nel rispetto della liberaconcorrenza;b) prevedere la registrazione presso il Ministero della giustizia,sentito il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro,delle associazioni professionali che svolgono l’attività di cuialla lettera c), richiedendo che gli statuti e le clausole associativedelle medesime associazioni garantiscano la trasparenzadelle attività e degli assetti associativi, la dialetticademocratica tra gli associati, l’osservanza di principi deontologici,una struttura organizzativa e tecnico-scientificaadeguata all’effettivo ed oggettivo raggiungimento delle finalitàdell’associazione;c) prevedere, relativamente alle professioni intellettuali nonregolamentate, anche in riferimento alle direttive 89/48/UE e92/51/UE, che le associazioni di cui alla lettera b) possanorilasciare attestati di competenza riguardanti la qualificazioneprofessionale, tecnico-scientifica e deontologica, in ogni casoassicurando che le eventuali certificazioni richieste dallepredette associazioni per tutti o parte degli associati abbianocarattere oggettivo e provengano da soggetti terzi professionalmentequalificati;d) prevedere, nel disciplinare le associazioni di cui alla letterab), modalità idonee ad escludere incertezze in ordine allefunzioni rispettivamente attribuite dalla legge agli ordini ecollegi professionali ed alle associazioni di professionisti;e) prevedere anche per le associazioni di professioni intellettualiregolamentate, i cui statuti e le cui clausole associativerispondono ai requisiti di cui alla lettera b), la facoltà di richiederela registrazione presso il Ministero della giustizia al finedell’identificazione tecnico-professionale <strong>dei</strong> propri associati,comunque senza pregiudizio per la concorrenza e senzaeffetti restrittivi sull’esercizio della professione.15 (23)


A Bologna, confronto internazionale su presente e futuro dIl giornalista naufrago nella babeledi Gino BanterlaQuali sono le prospettive <strong>dei</strong> media alle prese con l’accelarazione del progresso tecnologicoe con la globalizzazione economico-culturale? In un momento di smarrimento collettivo i giornalisti,epigoni di quello che fu il Quarto Potere, non riescono a trovare risposta. Tantopiù sediscutono di “Informazione, conoscenza, verità”, tema altisonante e seducente sul qualeperaltro già dibattevano gli storici e i filosofi dell’antichità greca e romana, ma che dopoduemila anni (e nonostante si siano affacciati nel frattempo sul palcoscenico della storiaGutenberg, radio, televisione e Internet) lascia aperti gli stessi interrogativi.Sull’argomento si sono confrontati all’Università di Bologna, il 29 e 30 ottobre scorsi, semiologi,premi Nobel, direttori di quotidiani e telegiornali, star varie del giornalismo. Umberto Eco, ilpadrone di casa, ha provato a tirar le fila <strong>dei</strong> numerosi inteventi.Ma alla fine una risposta esaustiva alle domande non c’è stata. Anzi, dal convegno organizzatodall’Académie universelle des cultures, dalla Scuola superiore di studi umanistici e daBologna <strong>2000</strong>, è venuta la conferma che siamo immersi in una babele informativa nella qualeè sempre più difficile orientarsi. Il rischio di abdicazione da parte degli “operatori” di un serviziofondamentale per le democrazie moderne si fa sempre più concreto, proprio ora che ilprogresso mette a loro disposizione mezzi di comunicazione rivoluzionari. Proprio ora chepossiamo sapere in un istante, atraverso il suono, l’immagine, la parola, quanto accade negliangoli più remoti del pianeta.Elie Wiesel, Nobel per la pace 1986 e presidente dell’Académie, ha detto: “Oggi siamo ingrado di sapere tutto e subito. Con l’affermarsi di Internet l’individuo è esposto a una valangad’informazioni così diverse, così numerose, che è praticamente impossibile assorbirle esoprattutto gestirle. Improvvisamente l’informazione non è più una carta vincente. Esseretroppo informati significa essere male informati”.Ecco il nocciolo del problema. L’informazione non deve essere fine a se stessa, come staaccadendo ora, bensì va considerata nel complesso <strong>dei</strong> bisogni insopprimibili dell’individuo.Essa infatti è la base della conoscenza, è un mezzo, non un fine. “L’informazione tratta nomi,fatti, date, numeri, mentre la conoscenza è legata al senso che ne deriva”, ha continuatoWiesel. “L’informazione usa i criteri della comunicazione, la conoscenza quelli della metafisica.In altre parole: io mi servo dell’informazione, ma aspiro alla conoscenza. E qual è il fine diquest’ultima? Lo sappiamo tutti: è la verità”.Elie Wiesel Lucia Annunziata Eugenio ScalfariGad Lerner Furio Colombo Umberto EcoEugenio Scalfari: la verità non esisteSi scivola inevitabilmente nel campo filosofico.Dovere del giornalista è dare un’informazioneil più possibile obiettiva di un avvenimento,in modo da fornire al lettore o al telespettatoretutti gli elementi che gli consentanoperlomeno, per il tramite della conoscenza,di avvicinarsi alla verità. Anche se è vero,come ha detto Roger de Weck, direttore di“Die Zeit”, che il giornalista oggi “cerca laverità, mentre i media mettono in scena laverità. E ad averla vinta sono i media”.Provocatorio l’intervento di Eugenio Scalfari:“Questo è un problema che ci ponevanoanche dieci o vent’anni fa, prima di Internet.La verità però, va detto subito, non esiste. Mispiego. In cinquant’anni di carriera sonosempre stato portatore di una verità, la mia.In questo ero fondamentalista perché,credendo di essere io nel vero, ritenevo chechi non la pensava come me non lo fosse.Ho tentato per tutta la vita di convertire glialtri alla mia verità. In realtà esiste il verosimile,non il vero.Ciascuno di noi guarda dal suo punto divista: se io osservo un volto di profilo lo vedodiversamente da chi lo guarda di faccia, seosservo dal basso o da sinistra non vedo lastessa cosa di chi guarda dall’alto o dadestra”.Secondo il fondatore di “Repubblica” chiguida un giornale ha l’obbligo morale di direin maniera continuativa ai suoi lettori, e nonsoltanto quando firma il primo editoriale, daquale punto di vista egli osservi la realtà.Sarà poi il lettore a trarre le conclusioni e acostruirsi una sua opinione. “Purtroppo ciònon accade”, ha aggiunto Scalfari. “I maggiorigiornali, non soltanto italiani, si vantano dinon avere pregiudiziali. Il che equivale adesibire una patente di onnipotenza e di onnipresenza.Cioè: io ti vedo da tutti i punti divista, quindi sono imparziale.Questo è non solo falso, ma materialmenteimpossibile. Naturalmente, una volta scelto ilpunto di vista, cioè la linea del giornale, iogiornalista devo raccontare tutto ciò chevedo e capisco. Perché se, oltre ad esseregià in un certo senso parziale, pratico su ciòche vedo censure oppure agginte, beh, alloracado nella sfera della scorrettezza”.Oggi nel campo dell’informazione assistiamoa una sorta di mercato delle verità nel quale,secondo il poeta estone Jaan Kaplinski, cisono più risposte che domande, con laconseguenza che la libertà d’opinione siriduce “a libertà di scelta, come quando sicompila un questionario”. In questo stessomercato ci sono spesso grandi verità checontraddicono piccole verità, come ha spiegatoFurio Colombo: “No alla clonazioneumana, dice la grande verità. Neppure aquella che potrebbe salvare i grandi ustionati?,ribatte la piccola verità”.Sulle problematiche che investono il giornalistanella scelta delle tante verità messe incircolazione si è soffermato anche GadLerner: “Noi abbiamo a che fare con grandiverità che non sono affatto verificabili. Siamodi fronte a una sorta di verità rivelate cheripropongono confini e conflitti di civiltà. Sipensi per esempio a quanto è accaduto inItalia con il fenomeno di rigetto dell’Islam,che ha visto schierati insieme esponenti religiosie politici.Dobbiamo fare i conti con queste verità,comprenderne i valori, se vogliamo arrivarea una possibile convergenza”.Quando poi ci si trova a rappresentare leverità del male, soprattutto nella cronacanera ma anche nella politica, secondoLerner peccano d’ingenuità coloro chepensano di poter assolvere a una funzionedi controllo e di neutralizzazione. “Il malenon ha bisogno <strong>dei</strong> media per diffondersinella società, anzi, spesso il censurarlo dallanostra rappresentazione lo rende più potente”.Tra le altre incertezze in cui si trova adoperare il giornalista oggi, in un’epoca diaffermazione delle appartenenze, l’ex direttoredel Tg1 individua quella del rapporto trail lavoro quotidiano e la verità che ciascunosente dentro di sé. “Occorre la consapevolezzadella propria identità e della propriapersonalità”, ha sottolineato Lerner.“Il giornalismo <strong>dei</strong> polli d’allevamento, ridottoa pura scuola, senza esperienze di vitapartecipate e rielaborate al suo internodiventa soltanto marketing”. Vera o verosimileche sia, la rappresentazione della realtàfatica sempre più ad emergere dalle nebbiedella omologazione planetaria.Su questo sono tutti concordi, ottimisti epessimisti. Assistiamo all’affermaizonecrescente di un’informazione drogata disensazionalismo e di spettacolarizzazioneestrema.Nel Bel Paese, in questo senso, abbiamosaputo distinguerci. In negativo, ovviamente,anche se il direttore del “Corriere della Sera”Ferruccio de Bortoli non ha mancato dimettere in evidenza i pregi della stampaitaliana, che sa dare prova, a suo dire, diessere libera e indipendente.Il rapporto perverso quotidiani-televisionePrendiamo per esempio il perverso rapportotra i quotidiani e la televisione. Umberto Ecoha così analizzato il problema: “In Italia se unuomo politico vuole che una sua dichiarazioneappaia e sia vastamente commentatasulla stampa, deve creare una provocazionetelevisiva. Il mondo politico fissa l’agendadelle priorità giornalistiche affermando qualcosaalla tv (addirittura facendo sapere chelo affermerà), e la stampa il giorno dopo nonparla di quel che è accaduto nel paese madi quel che ne è stato detto o sarebbe potutoessere stato detto in tv. La stampa, per attirareil pubblico della televisione, ha impostola tv come spazio politico privilegiato, pubblicizzandooltre misura il proprio concorrentenaturale. La stampa che parla della televisioneè come un’automobile Fiat che porticostantemente impresso sul cofano: acquistateRenault”.E che dire della vecchia intervista, cara agenerazioni di giornalisti? “Intervistare vuoldire regalare il proprio spazio a qualcuno perfargli dire quello che vuole lui”, è il pensierodi Eco. “Pensate solo a quel che accadequando un autore pubblica un libro. Il lettoresi attende dalla stampa un giudizio e unorientamento, e si fida dell’opinione di uncritico noto o della serietà della testata. Maoggi un giornale si ritiene battuto se nonriesce ad avere prima di tutto, con quell’autore,un’intervista. Che cos’è un’intervistacon l’autore? Fatalmente, autopubblicità.Rarissimo che l’autore affermi di aver scrittoun libro ignobile. È consueto un ricatto implicitoall’autore. Se non concedi l’intervista,non faremo neppure la recensione; ma spessoil giornale, pago dell’intervista, dimenticala recensione. In ogni caso il lettore è statodefraudato; la pubblicità ha preceduto osostituito il giudizio critico e spesso il critico,quando finalmente scrive, non discute più illibro, ma quello che l’autore ne ha detto nelcorso delle varie interviste”.Altra contraddizione della stampa italiana: laricerca dello scoop ad ogni costo. “Si diceche un cane che morde un uomo non è unanotizia, mentre lo è un uomo che morde uncane”, ha detto ancora Umberto Eco. “Non èdel tutto vero, perché se improvvisamente, inuna certa zona, troppi cani mordono gliuomini, siamo di fronte a un fenomeno di cuisi dovrebbe parlare. Ma anche la notiziadell’uomo che morde il cane diventa unoscoop se è inconsueta. Troppi scoop siannullano l’un l’altro in un rumore di fondo”.Il perché di questa situazione è stato cosìillustrato da Eco: “Per far fronte alla concorrenzatelevisiva i quotidiani hanno aumentatole pagine, per aumentarle hanno lottatoper acquisire pubblicità, per avere più pubblicitàhanno aumentato ulteriormente le paginee hanno inventato i supplementi, peroccupare tutte quelle pagine dovevano purraccontare qualcosa, per raccontarlo sonostati obbligati ad andare al di là della notiziasecca (già data dalla televisione) e quindisono diventati sempre più simili ai settimanali.Il giornale ha dovuto occuparsi semprepiù di eventi sociali e di costume, di varietà,di gossip e soprattutto, se non c’erano notizie,è stato costretto a inventarle”.“Inventare una notizia”, ha concluso Eco,“non vuol dire informare su un evento chenon è avvenuto, bensì fare diventare notiziaquello che prima non lo era: la frase sfuggitaa un uomo politioc in vacanza, gli eventi delmondo dello spettacolo, gli amori fra duepersonaggi noti, persino trasformando nellanotizia di un divorzio o di un adulterio il fattoche due persone erano state casualmenteviste insieme una sera al ristorante”.Nello Ajello, saggista e giornalista già condirettoredell’“Espresso”, non vede via discampo: “Commuoversi, scandalizzarsi, indignarsi:è il motivo conduttore del giornalismodi questi anni. I giornali mimano il linguaggiotelevisivo, quasi la tv fosse la fonte stessadella verità. Ormai la stampa ha dato partitavinta all’imperialismo della televisione”.Un altro vizio della stampa italiana, ma inquesto caso anche dell’informazione televisiva,è stato messo in evidenza da FurioColombo, che ha citato come esempio l’inchiestadi Torre Annunziata sulla pedofilia: “Imagistrati hanno detto: ci potrebbero esserequattro bambini scomparsi, non identificatiné identificabili perché si tratta di un’ipotesi. Igiornalisti hanno riferito: ci sono quattrobambini italiani scomparsi. La differenza èsostanziale. Dobbiamo saper distinguere travero, falso e verosimile. Non è compito delgiornalista concludere le inchieste giudiziarie”.La lunga lista dell’“colpe” <strong>dei</strong> giornalistipotrebbe continuare. Si prenda un altroesempio: l’abitudine a riferire senza verificavoci incontrollate. “Alcune voci spacciate perinformazioni nascondono o negano la verità”,è la denuncia di Laure Adler, saggista e direttricedel canale televisivo France Culture. “Levoci si rivelano come attentati ai valori piùsacri della società. Mi chiedo se i giornalistinon siano i diretti responsabili di una nuovaincultura”.16 (24) ORDINE 10 <strong>2000</strong>


<strong>dei</strong> media nell’era di Internetdell’informazioneLa “via figiana” di Umberto EcoA questa incultura appartengono anche lecosiddette leggende metropolitane, ossianarrazioni particolareggiate di fatti a cuimanca sia una fonte sia una verifica. Hannocome protagonisti preferiti i bambini (rapimenti,traffici di organi, uccisioni rituali e chipiù ne ha più ne metta). È stato questo iltema della relazione di Furio Colombo: “Ilgiornalismo scritto e televisivo è responsabiledelle leggende metropolitane perché nefavorisce la diffusione, dato il carattere drammatico;le rende più solide e credibili, dato ilmezzo di diffusione. E poi le abbandonaperché il nulla che c’è dietro non fa notizia. Eaccade che tali leggende, trasformate nuovamentein notizie, entrino nel contesto diuomini di Stato inserite fra preoccupazionifondate che, di nuovo, attribuiscono forza allaleggenda e la rilanciano. Ciò può avvenire acausa del doppio comportamento giornalistico:grande rilievo all’annuncio, senza seguito,senza inchiesta, senza verifica, senzacontrolli, senza ricerca di esiti di storie precedenti”.In questo poco edificante quadro sifanno strada, per quanto riguarda la cartaLa Rete tra incognite e certezzeORDINE 10 <strong>2000</strong>stampata, due proposte di Umberto Eco. Laprima potrebbe intitolarsi “la via figiana”.Ricordando un suo soggiorno nelle isole Figi,una decina d’anni fa, il celebre semiologo haportato ad esempio quei giornali locali, ottododicipagine perlopiù contenenti notizied’agenzia e cronache locali e con pocapubblicità. Per ricondurre i quotidiani al lororuolo sarebbe dunque necessaria unamassiccia cura dimagrante. Ma siffatti giornalisarebbero destinati a una élite, perchéper comprendere il peso di una notizia datain modo essenziale occorre un occhio esperto.L’altra possibile soluzione potrebbe esserequella della cosiddetta “attenzione allargata”.Il quotidiano cioè rinuncia alla settimanalizzazioneper diventare attendibile minieradi notizie, inchieste, commenti su tutto quelloche accade nel mondo. Ma anche questotipo di giornale si rivolgerebbe ad un pubblicod’élite e per di più sarebbe molto costoso.E allora? Dobbiamo arrenderci all’imperversaredi un giornalismo becero svolto in barbaalle elementari regole professionali e alleleggi?A complicare le cose, in Italia come nel restodel mondo, si è aggiunto Internet, strumentoche sta rivoluzionando i nostri modi di vita eche ha spaccato le redazioni in due, da unaparte gli entusiasti del villaggio globale,dall’altra gli apocalittici. “Internet ha una grandepotenzialità, quella di far saltare la cupolainformativa oggi imperante”, ha detto LuciaAnnunziata, attuale direttore dell’Agenziad’informazione internazionale Ap-e.Biscom.“Esiste infatti un establishment informativoche ha un potere tremendo: decide di checosa parlare, di che cosa non parlare, esoprattutto di come parlarne”.“Internet nella carta stampata aggiunge maliai mali”, è il parere espresso da Enrico Mentana,direttore del Tg5, che vede una possibilitàdi superare l’attuale crisi attraverso l’azzeramentodel prezzo <strong>dei</strong> giornali. Ossia, quotidianigratis sostenuti soltanto dalla pubblicità,come già accade in alcune metropoli europee,anche a Roma e a Milano. “Ma i giornaligratuiti non saranno mai liberi”, gli ha rispostoAndrés Ortega del “Paìs”.“La Rete obbligherà la carta stampata acambiare alcune tecniche”, ha puntualizzatoEugenio Scalfari. “Ma il giornale è fattoanche di grafica, di impaginazione, di immaginiicastiche <strong>dei</strong> titoli, di fraseggio <strong>dei</strong> grandireporter. Tutto questo su Internet non ci saràmai”. E Umberto Eco: “Il quotidiano on lineha alcuni vantaggi: permette di avere subitole notizie più importanti; siccome però nonpuò completamente sostituire il rito mattutinodella lettura di molte pagine, mentre sibeve il caffè, non elimina l’acquisto del quotidianocartaceo, bensì l’incoraggia. E poi èutilissimo come archivio, perché permette diconsultare i numeri precedenti”.Ci sono poi altri aspetti fondamentali messiin luce nel corso <strong>dei</strong> numerosi interventi.Questo il punto di vista del filosofo PierreLévy: “Internet mette indiscussione le situazionidel monopolio del ‘potere di dire’ nellevecchie democrazie dell’Europa occidentalee nel Nord America. Esso dà una boccatad’ossigeno e, tra breve, una capacità digridare e di esprimersi ai popoli ancorasoggiogati dalle dittature”.(Tragica parentesi: nei Paesi privati dellelibertà fondamentali i giornalisti continuano amorire. Secondo i dati di 2 reporters sansfrontieéres resi noti da Roberto Grandi,docente di teorie e tecniche delle comunicazionidi massa all’università di Bologna, nel1999 sono stati uccisi nel mondo 36 giornalistidurante l’esercizio della loro attività o acausa delle opinioni espresse; 85 sono finitiin carcere per gli stessi motivi; 34 sono statisequestrati, 446 fermati dalla polizia, 653aggrediti o minacciati).Diversa l’interpretazione del fenomeno Internetdata da Vittorio Zambardino, responsabilegiornalistico del sito Repubblica.it: “Il suospecifico non è tanto quello di aver prodottoinformazioni e portali, ma la straordinariacapacità di aggregare individui e grupppi edi favorire lo sviluppo delle culture”.Globalizzazione e concentrazioni editorialiCon Internet però si è accentuato il processodi globalizzazione informativa avviato dallatelevisione. Franz-Olivier Giesbert, saggistafrancese già direttore di autorevoli quotidiani eperiodici, si è scagliato duramente control’uniformità dell’informazione, premessa diquello che lui chiama pensiero unico: “Il giornalistasi appasiona all’argomento delmomento, lo sbuccia freneticamente e ne ricavala polpa essenziale, prima di passare aquello successivo. Generalmente dimenticaciò che è stato detto la sera prima e non gliimporta per nulla di contraddirsi. Potremmodire che la contraddizione è il suo mestiere.Contrariamente a ciò che si sarebbe potutopensare, la globalizzazione non fa che aggravarel’istinto gregario <strong>dei</strong> mass-media. Essanon ha favorito la diversificazione <strong>dei</strong>commenti e delle informazioni. Al contrario, hacontribuito a unificare tutto”, ha insistitoGiesbert. “Le notizie sono diventate planetariee le proteste internazionali. Anche la verità el’errore sono stati globalizzati: è lo stessopensiero che guida tutti gli agenti della circolazionedell’informazione. Si assiste pertantoa questo paradosso spaventoso: quanto più imodi della comunicazione si diversificano,tanto più l’informazione diventa uniforme”.Accuse e mea culpa si sono succeduti araffica nel convegno di Bologna. Qual’è ilmessaggio finale che si può trarre da questoconfronto, mentre i media sono ridottisempre più a contenitori pubblicitari e i giornalistirinunciano alla loro identità e al lororuolo? Più di altre, forse, valgono le parole diJean-Marie Colombani, direttore di “LeMonde”, che ha lanciato un messaggio fortealla numerosa platea convenuta nell’aulamagna dell’ateneo bolognese: “Mi meravigliache qui non si sia parlato dell’unico uomo almondo che, se sarà di nuovo capo del governo,sarà di fatto in grado di controllare,proprio nel vostro Paese, la quasi totalitàdell’informazione televisiva, pubblica e privata.La chiave di lettura per quanto sta accadendonei media è pensare di più alle condizionieconomiche in cui si svolge il lavoro delgiornalista. Di fronte all’estendersi delleconcentrazioni di testate nelle mani delleholding editoriali i giornalisti devono reagirecertamente con la ricerca inesorabile dellaverità. Ma devono anche far sì che i giornaliappartengano sempre di più ai giornalisti.Dobbiamo essere in un certo senso una istituzionesovversiva”.La parola d’ordine è dunque il recupero dalpunto di vista etico, politico e professionaledella figura del giornalista. Forse è ancorapossibile evitare la disfatta della categoria.Prima che il Grande Fratello imponga il suoinvisibile e “democratico” bavaglio a tutti noi.Gino BanterlaMarco InnocentiI cannoni di settembre.La tragica estate del 1939di Gigi Speroni“I cannoni di settembre”sono quelli che iniziarono atuonare il primo settembre1939, quando Hitler aggredìla Polonia dando il via allaseconda guerra mondiale.Marco Innocenti, al suodecimo libro dedicato araccontare il come eravamo,dagli anni Trenta al 1960,stavolta si concentra sulperiodo che immediatamenteprecedette l’entrata incampo dell’Italia a fiancodella Germania nazista: l’ultimaestate “scandita dafeste e voglia di vivere”,seguita da 10 mesi di “nonbelligeranza” (perché, comeconfessò Mussolini a Ciano:«Non possiamo fare la guerra,le nostre condizioni nonce lo permettono») sino alfatale 10 giugno 1940, quandoil Duce ruppe gli indugiconvinto di poter sedere, incambio di «un pugno dimorti», al tavolo della pacea fianco <strong>dei</strong> tedeschi cheavevano messo in ginocchiola Francia.La “guerra lampo” diventeràun immane conflitto mondialecostato 50 milioni di vittimee conoscerà una pubblicisticasterminata, a cui lostesso Innocenti ha contribuitocon tre volumi dedicatiall’Italia del 1940, del 1943 edel 1945. Sempre col suostile particolare: incorniciandopoliticamente i fatti in unquadro dove tratteggia ilvivere quotidiano della gentecomune. Tratteggia, perchéalle notizie trovate con puntigliose,non facili, ricerche,unisce le pennellate d’autore.Per descriverle, meglioricorrere a qualche corposostralcio tratto da questa suaultima fatica.Il giorno in cui nazisti invadonola Polonia “in alta Italiapiove, nel resto del Paese alsole si alternano le nuvole,ma il Lido di Venezia faancora pubblicità per la finestagione e la lotteria diMerano («La fata <strong>dei</strong> nostrigiorni») è un sogno allaportata di tutti per 12 lire albiglietto… Sembra carnevale,la gente prova le maschereantigas; le Pc 38 sono invendita a dieci comode ratedi 4 lire l’una. La pubblicitàmostra una signorina sorridenteche infila la mascheraa un malcapitato barboncino.C’è chi la porta a tracolla,chi appesa al collo, ma leragazze più spregiudicate laportano alla cintola, comeun trofeo, «come uno scalpo»direbbe uno <strong>dei</strong> tantipersonaggi <strong>dei</strong> feuilletond’avventura… Un commercianteche sa il fatto suooffre carte speciali per oscurarei vetri, e i bimbi, incambio di un soldino da infilarenel salvadanaio di terracotta,aiutano i nonni a incollarlealle finestre”… Per oraniente guerra. E gli italianirespirano. È la lieve ebbrezzadel malato quando sisente risanato e riprendeLIBRERIA DI TABLOIDtimidamente l’esistenza diprima. La non belligeranza,presso la gente, è una brillantetrovata del Duce. Lavita ricomincia, è una liberazione,la paura è passata…Luci riaccese, negozi aperti,cinema e teatri pieni, aria difesta dopo il grande incubo.File di biciclette di studentinel mite autunno italiano. Sulpiatto del grammofono, nellefeste private, Polvere di stellee Tornerai. … I treni popolariviaggiano per l’ultimavolta a fine settembre, l’orarioferroviario d’autunno èdrasticamente sfoltito. È l’ultimaavventura che travolgela domenica italiana, su queivagoni di terza classe, l’elasticoa tenere su le manichedelle camicie, un fiasco divino a fare buon sangue”.Dieci mesi ancora, poianche gli italiani vivrannouna ben altra avventura:tragica, sette giorni su sette.Per ora la guerra la leggonosui giornali che “sparano lefoto <strong>dei</strong> biondi eroi tedeschisorridenti che avanzanovittoriosi verso Varsavia”.Hitler “si illude che tuttopossa risolversi con unapasseggiata nella pianurapolacca”, ma la Francia “tirataper i capelli” e l’Inghilterra,hanno dichiarato guerra allaGermania. “Parigi ha unaspetto leggermente trasandato,come una donna sorpresasenza trucco… Il Paeseè fiacco, senz’anima.Disorientato, disarmato, trascinatodagli avvenimenti,sta preparando, senza saperlo,la propria disfatta.L’opinione pubblica è divisa,non c’è entusiasmo, non c’èvoglia di rischiare. C’è unacalma rassegnata, forse lasperanza segreta che siaancora possibile far tornareindietro gli orologi e gli eserciti”.A Londra “centinaia dimigliaia di vecchi e di bambinivengono sfollati su treni,ambulanze, auto, e battellilungo il Tamigi. Gli inglesi,anche nell’emergenza, nonsi smentiscono.Viene messo in salvo ancheil prezioso zoo, ma, annunciacosternato il direttore, «abbiamodovuto uccidere 40serpenti che non potevanoessere trasportati, due ragnie uno scorpione». Dappertuttovolontari riempiono sacchettidi sabbia per rinforzarele difese degli edifici”.Queste pennellate ci spieganoperché la Francia subiràuna disfatta e la Gran Bretagnaterrà duro sino alla vittoriafinale. Per l’inglese LloydGeorge «di fronte a un attodi brigantaggio il Governonon poteva fare che quelloche ha fatto», per il generalissimofrancese Gamelin«ci si può battere solo conuomini che vogliono battersi».Nel quadro di Innocentiappaiono anche tutti i protagonistidell’epoca (ed è unpeccato che al libro manchiun indice <strong>dei</strong> nomi). “Gli«uomini del ’39» sono profondamentediversi comeestrazione, come percorsodi vita, come backgroundumano e professionale… Cisono artisti mancati egraduati di truppa comeHitler, venditori di champagneche si fregiano di un«von» cui non hanno dirittocome Ribbentrop, assidell’aviazione e seduttori dibelle donne come Goering,avvocati di provincia comeChamberlain, discendenti diuna vecchia famiglia nobiliarecome lord Halifax, autodidatti,giornalisti d’assalto ecomizianti come Mussolini,figli di papà, amanti del golfe sottanieri di classe comeCiano, spie come Beck,insegnanti di scuola medianella Francia profonda comeDaladier, cospiratori e rivoluzionaricome Stalin e Molotov.Quando si incontrano –cosa che avviene spessonel concitato ’39 – nonrappresentano soltanto interessinazionali divergenti,ma diverse ideologie e filosofie,diverse concezioni delmondo, diversi retroterraculturali e morali”.Ciò non toglie che Hitler eStalin non trovino un puntod’incontro, in linea con lostesso freddo, feroce, pragmatismoche li ha portati alpotere. Il primo vuol garantirsida un intervento sovieticoalla vigilia d’invadere laPolonia, il secondo vuoleapprofittare dell’occasioneper ritagliarsi una fetta diterritorio polacco. Così il 23agosto 1939, “a notte fonda,in una sala del Cremlino, ilpatto di non aggressione e iprotocolli per la spartizionedell’Est sono cosa fatta.«Brindo alla salute del Fuehrer»dice un euforico Stalinalzando l’ennesimo calice dichampagne e definendoHitler «un uomo per cui hasempre avuto una straordinariavenerazione». Molotove Ribbentrop prendono unagrossa carta geografica etracciano i nuovi confinidell’Europa centrale”. È lafine delle vacanze, la finedell’estate. Copertosi a Est ilFuehrer è pronto a colpire”.Poi sappiamo com’è andata.L’opera di Marco Innocentiqui è doppiamente meritoria:oltre a donarci, come nelpassato, uno spaccato originaledi un mondo e di un’epocaben determinata, oraha scelto di approfondire laconoscenza di un periodonormalmente sorvolato daglistorici, concentrati sugli annidella guerra. Come vennevissuto l’anno fatale in cui ilconflitto maturò è un preziosotassello che mancava almosaico di questo appassionatoe originale autore. E ailettori.Marco Innocenti,“I cannoni di Settembre.La tragica estatedel 1939”,Mursia, pagg. 147,lire 24.000.17 (25)


La manifestazione sponsorizzata dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della LombardiaMilano, 24 novembre.Il prestigioso premio che ricordauna delle figure storichedel giornalismo italianoè stato assegnato all’inviatadi “Repubblica” per il serviziosulle donne sfregiatedel Bangladesh.A sinistra, Linda David Locatellicon Renata PisuComitato permanenteLinda David LocatelliLucio LamiMassimiliano DavidPresidenzaSergio Zavoli(pres. onorario)Franco Abruzzo(vice pres. onorario)La giuriaBruno AmbrosiLucia AnnunziataPiero BenetazzoMimmo CànditoGiuseppe ChisariRenzo CianfanelliVittorio Dell’UvaLucio LamiEttore MoValerio PellizzariGiorgio TorchiaI vincitoridelle passateedizioniLucio LamiEttore MoPiero AccoltiBernardo ValliFranco FerrariPiero BenetazzoFrane BarbieriVittorio ZucconiMimmo CànditoEgisto CorradiLucia AnnunziataVittorio Dell’UvaPaolo RumizVittorio FerrariValerio PellizzariAlberto Pasolini ZanelliCarmen LasorellaRenzo CianfanelliRenata PisuA Renata Pisu il “Premio Max David”di Angelo CrespiVenti anni. Non sono pochi per un premio,specie in un Paese come il nostro che scoppiadi manifestazioni di questo tipo, e nelquale una medaglia o una medaglietta nonsi nega a nessuno. Il “Max David” il premionazionale per l’inviato speciale, ormai da treanni sponsorizzato dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistidella Lombardia, ha saputo invece ritagliarsiuno spazio importante. Ed è diventato edizionedopo edizione una sorta di Pulitzer italiano:sarà per l’importanza <strong>dei</strong> vincitori, o perla serietà della giuria che evita con tenaciaogni tipo di pressione, fatto sta che la figuradi uno <strong>dei</strong> più celebri reporter del nostro giornalismo,come Max David, rimane tutt’oggi amonito ed esempio per le nuove generazioni.E a conferma di questo, l’edizione delventennale è andata a Renata Pisu della“Repubblica”, come ha sottolineato la giuria,“per le corrispondenze dal Bangladesh chehanno rivelato al grande pubblico, primaitaliano e poi occidentale, la tragedia delledonne sfigurate e ustionate per vendetta.Per i magistrali servizi dall’Indonesia e perquelli successiva dalla Cina, dedicati al Tibet,che testimoniano uno studio autentico eapprofondito, iniziato dieci anni fa, unico nelpanorama del giornalismo italiano”. Lapremiazione si è svolta venerdì 24 novembrenelle sale dell’Excelsior Hotel Gallia allapresenza di numerose personalità delmondo del giornalismo, della cultura edell’arte ed è stata l’occasione per una sentitacommemorazione di tutti gli inviati scomparsimentre svolgevano il loro lavoro.Lucio Lami, primo vincitore e oggi membrodel comitato permanente, ha ricordato gli altivalori che innervano la professione e i pericolialla quale sta andando incontro: “Agliinizi degli anni Ottanta, nessuno di noi immaginavache il Premio avrebbe indirettamenteofferto anche una difesa a una categoria,quella degli inviati speciali, destinata a essereostinatamente colpita, fino alla minacciadi estinzione, dai nuovi nocchieri; quellisecondo i quali “l’estero non interessanessuno”, “la cultura è un soporifero”, “conInternet e la Tv non c’è bisogno di buttaresoldi mandando qualcuno sul posto”, “nonc’è bisogno di controllare la notizia: se èfalsa la si smentisce il giorno dopo”. Ed èsingolare che il “Max David” festeggi i suoiquattro lustri mentre da più parti si chiedeufficialmente l’abolizione della figura dell’inviatospeciale. Per venti anni questo Premioha riconosciuto l’alta professionalità <strong>dei</strong> testimonidi qualità scelti tra i pochi giornalisti cheancora viaggiano. Indipendentemente dalleloro convinzioni politiche e resistendo al rullocompressore del grande fratello (quelloorwelliano, naturalmente), essi hannodescritto con onestà le realtà più difficili einquietanti della nostra epoca, dopo averleviste con i proprio occhi e avendo comeinterlocutore solo il lettore. Realtà che altrimentisarebbero state ignorate, sommersedall’inesauribile affabulazione <strong>dei</strong> massmedia”.Allo stesso modo, il Presidente onorario,Sergio Zavoli ha voluto, attraverso la figuradi David, puntare l’attenzione sul ruolodell’inviato. “È giusto in questo momentoSergio Zavoliricordare il numero crescente di nostri colleghimorti sul campo. Altrimenti passano legenerazioni e scompare le memoria di coloroche giorno dopo giorno hanno fatto lastoria del giornalismo. Tutto scorre velocementee non siamo più interessati a capirecosa succede intorno a noi. L’inviato alcontrario induce il sistema dell’informazionea fermarsi. E sono convinto che dopo laburiana di un giornalismo prêt-à-porter, dellacoriandolizzazione dell’informazione, verràdi nuovo il tempo di un giornalismo menofutile, più preciso, che costi fatica, che ciinduca a rallentare”.Pur assente per motivi di lavoro, la testimonianzadel presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalistidella Lombardia Franco Abruzzo, è riportatanella pubblicazione per i vent’anni delMax David, che ripercorre la storia delpremio e <strong>dei</strong> vincitori delle passate edizioni:“Avendo sede a Milano – ha scritto Abruzzo– ed essendo diventato uno <strong>dei</strong> premi giornalisticipiù importanti e seri d’Italia, il “MaxDavid” ha assunto un ruolo di tale rilievo chenon poteva non interessare l’<strong>Ordine</strong> dellaLombardia. È stato dunque per me un piacerefavorire la vita del premio, anche in terminieconomici, sapendo che l’<strong>Ordine</strong> in questomodo assicurava il futuro a una manifestazioneche riconosceva giornalisti inviati ilmerito, il talento, le capacità professionali.Sapevano anche che una giuria indipendente,formata da inviati o ex inviati, quasi tuttigià vincitori del Premio, avrebbe garantitoscelte meditate e puramente meritocratiche.Per questo il “Max David” ci consente, nonsolo di premiare i migliori testimoni di eventi,ma anche di additare modelli esclusivi diprofessionalità, cultura e deontologia <strong>dei</strong>quali c’è forte bisogno. I giornali senza inviati,sarebbero pressoché tutti uguali. Gli inviati,quindi, assicurano l’identità e la peculiaritàdelle testate”.Renata Pisu la “cinese”inviata nel mondoMa torniamo a Renata Pisu,che ha voluto ringraziare “ilmondo intero” e tutti i colleghiper il riconoscimento.Ha poi narrato, con la partecipazionescherzosa degliamici in sala, le vicende piùstravaganti o tragiche dellasua carriera, soffermandosiin special modo sul serviziodelle donne sfigurate conl’acido del Bangladesh,apparso nella pagine di “D”di “Repubblica”: “È la primavolta, almeno per quanto miriguarda – ha sottolineatoRenata Pisu – che la denunciadi un’atrocità pubblicatasulle pagine di un giornale,è servita a qualcosa, ha fattonascere qualcosa.Tre mesi fa, infatti, tramiteun’organizzazione umanitaria,la Coopi, è stato fondatoa Dhaka il primo centrograndi ustionati di tutto ilBangladesh, grazie soprattuttoai fondi raccolti in Italiacon la campagna “Un voltoper la vita” che ho seguitopersonalmente”.Ma la carriera della Pisu, èricca di altri avvenimenti esuccessi. Romana di nascita,Renata ha lasciato laMax David,l’esempio da seguireIl premio Max David, fondatonel 1980 per iniziativa delpoeta e pittore Vittorio Grotti,e in collaborazione conLinda David Locatelli, vedovadi Max David, celebrauna delle figure storiche delgiornalismo italiano. Nato aCervia il 25 <strong>dicembre</strong> del1908, Max David seguendoun istinto di avventura che loaccompagnerà in tutta lacarriera, si imbarcò giovanissimosu una nave da carico,con rotta per i mari del nord.E da allora fu instancabileviaggiatore attraverso icontinenti e le vicende chehanno fatto la storia del’900. Dalla guerra in Etiopia,la prima che seguì comegiornalista, passando per laSpagna, il Biafra, la Corea,la Tanganika, quindi laRussia, l’Iran, il Pakistan,l’India.In quarant’anni di servizio, dicittà natale nel 1958, a soliventi anni, per studiare all’Universitàdi Pechino e diventare“cinese” d’adozione. Dal1964, anno del suo rientro inItalia, ha optato in mododeciso per il giornalismo,agli inizi come è naturale,con una particolare attenzioneai problemi dell’Asiaorientale.Così da 1982 al 1987 havissuto a Tokyo come corrispondentedel quotidiano“La Stampa”, scoprendo eraccontando i mille volti delGiappone.Dalla stessa città, ha seguitoanche le vicende cinesi, equelle di paesi come le Filippine,la Corea, Taiwan,Singapore, recandosi spessoin missione durante gliavvenimenti più importanti.Nello stesso periodo, si èrecata numerose volte aPechino per seguire i contrastidel “nuovo corso” dellapolitica cinese imposto daDeng Xiaoping.Nel giugno del 1989 è poitornata in Cina per i tragicifatti di piazza Tian An Men,ultimo e appassionato reportageper il giornale torinese.Nel 1990 passa infatti a“Repubblica”, quotidiano peril quale continua a girare ilmondo, su tutti i fronti delleguerre, non dichiarate macombattute, di tutte le insurrezionipopolari, di tutte lecatastrofi: dal Kuwait alRuanda, dalla Bosnia all’Indonesia,dalla Cambogia alSud Africa, dall’India alTibet, senza mai trascurarela Cina e il Giappone dove sireca spesso per raccontarele “crisi” e le “riprese” di un’economiache ha visto scoppiarela sua “bolla” ma che èancora salda e battagliera.E arriviamo ai giorni nostri.Renata Pisu continua percorrereil pianeta per confermareil valore della testimonianzadell’inviato, come èaccaduto ancora di recentenel caso della tragedia <strong>dei</strong>marinai del Kursk, il sottomarinonucleare russo, lacui agonia ha raccontatoquesta estate con bravura eintelligenza.Ma non dobbiamo dimenticarenemmeno le sue proveletterarie: “La via della Cina”,il libro che racconta i suoianni di studentessa a Pechino,ha vinto il Premio Rapalloed è stato finalista alloStrega.Ora è in libreria, “Alle radicidel sole”, sugli anni giapponesi.cui venticinque al “Corrieredella Sera”, David interpretòin tipico stile hemingwaiano illavoro dell’inviato speciale.Innamorato della Spagna,come lo scrittore americano,arrivò perfino a cimentarsinella corrida e per questovenne soprannominato MazarinoII in onore di un famosomatador di origine italiana.Come ricordava LeonardoVergani, in un articolo del“Corriere della Sera”, in MaxDavid “c’era una vocazioneall’avventura, ma sempreun’avventura fatta per poiessere raccontata. Fu uno<strong>dei</strong> pochissimi giornalisti peresempio a seguire la ritiratadi Ciang-Kai-shek dalle posizionisulla riva sinistra delloYang-tze-kiang verso Nanchino,giù giù fino all’ultimobastione di Canton. ‘Un giornalistadeve fiutare il vento –diceva spesso – deve chiuderela macchina da scriverenel suo astuccio e mettersiin cammino lungo la direttricecontraria a quella delnemico, per raggiungere leproprie personali posizioni,da dove telefonare o telegrafareil servizio. Se vienebloccato, il suo è un lavoroinutile’. Per questo, dopoessersi salvato per miracolotra le fiamme del Cairo, erafuribondo. ‘Era la prima voltache mi capitava di bucare unservizio’”.Definito come un uomo dallospirito garibaldino, tra unacorrispondenza e l’altra riuscìa dedicarsi alla letteraturae alla saggistica, affiancandoa migliaia di articolialcuni romanzi e saggi, come“Volapié” che gli valse ilpremio Bagutta. Morì il 22marzo 1980 mentre stavascrivendo una biografia suLawrence d’Arabia.18 (26) ORDINE 10 <strong>2000</strong>


LIBRERIA DI TABLOIDDante FerrariIl grande trading italianoStorie di operatori con l’esteroLinda David Locatelli, Sergio Zavoli e Lucio LamiLa mortedel fotoreportageMa il Premio è anche l’occasioneper un approfondimentosui grandi temi legatiall’informazione nell’era diInternet e delle nuove tecnologie,tanto utili quanto pericoloseper un’informazionecorretta. Ogni anno, infatti,viene organizzato a completamentodel Premio unconvegno in collaborazionecon la professoressa AnnaLisa Carlotti, dell’UniversitàCattolica di Milano, al qualenelle scorse edizioni hannopartecipato scrittori, giornalisti,fotografi di tutto il mondo.Quest’anno il dibattito, che siè svolto nell’aula magnadella Cattolica nel pomeriggiodi venerdì 24 novembre,dal titolo “Fotoreportage?Ieri, oggi, domani” ha apertola discussione su un altroproblema molto sentito dallacategoria: quello dell’inviatofotografico, un tempo veroocchio del giornale e oggirelegato ai margini dellaredazione, soppiantato dastrumenti più moderni edalle agenzie.Uliano Lucas, fotografo estudioso, ha voluto esaminarela storia di un genere giornalistico,il fotoreportage,oggi quasi in disuso. “Inrealtà – ha spiegato Lucas –il fotoreportage in Italia nonè mai esistito. Solo duetestate come “Epoca” e“l’Europeo” hanno dedicatospazio ai grandi servizi fotografici.Oggi non produciamopiù nulla e dipendiamo al75% da materiale straniero,e anche la scuola è in ritardonel propugnare unacultura visiva che possa inqualche modo fare capire aigiovani l’importanza dellafotografia. La causa diquesta desolante situazioneORDINE 10 <strong>2000</strong>è facile da intendere: l’immagineè un fatto in sé politico,per questo motivo, si teme ilreporter in quanto uomolibero, avulso dalle logicheredazionali e spesso figurascomoda”.Un’analisi critica che peròha trovato d’accordo anchetre miti del giornalismo fotograficoitaliano, come GianniBerengo Gardin, GiorgioLotti e Gianfranco Moroldo.Berengo Gardin ha stigmatizzatol’uso che i giornalifanno della fotografia: “Testinedi politici, attrici e attricette,calendari di nudi, santiniscontornati, questo è quantosi chiede oggi al fotografo”.Giorgio Lotti ha inveceraccontato i favolosi anni,quando “Epoca” era invidiatapersino da “Life” per i suoiservizi fotografici: “Un tempoavevamo tempo, potevanofermarci, capire, poi fotografare.L’altra mattina invecesono stato costretto a scattareun ritratto in 2 minuti.Una volta facevamo ‘buone’fotografie, oggi al massimo‘orribili belle fotografie’”. E gliha fatto eco, il collega e“nemico” dell’Europeo, Moroldo:“Per avere grandiservizi è necessario che siricostruisca la fertile simbiositra giornalista e fotografo,come per esempio è accadutoa me in Vietnam conOriana Fallaci”.Infine la parola è andata algiovane Francesco Zizola,che si è soffermato sulladura professione del freelance:“Oggi non ci sono piùi servizi di un tempo, perchéi giornali hanno perso il loroscopo, quello di informare.Da molti anni non esistonopiù gli editori puri, le pubblicazionisono in mano agruppi politici o industriali,che usano i loro fogli per altrifini. Quindi non ha sensoparlare di crisi del fotogiornalismo,bensì di crisi delgiornalismo in generale. Eora, l’innovazione digitaleporta con sé altri e più gravidilemmi etici. Il pericolo dimanipolazione non soloesiste in prospettiva, ma giàè entrato stabilmente nelleredazioni. Talora solo per‘piegare’ l’immagine di cronacaalle esigenze glamoure patinate <strong>dei</strong> giornali, matalora anche per motivimeno ‘nobili’”Ȧngelo Crespidi Alberto MazzucaIeri si diceva mercante, oggisi dice trader a causa dellaprevalenza dell’inglese nellessico economico. Ma inogni caso si tratta sempre dispiriti avventurosi che, conla stessa intraprendenza, lastessa fantasia, la stessavoglia di fare di quello che èl’esempio più eclatante,Marco Polo, hanno fattodelle qualità mercantili italianeuna ricchezza conosciutanei secoli. “Il commercio,comunque lo si chiami –scrive Sergio Romanonell’introduzione al libro diDante Ferrari, “Il grandetrading italiano” – appartienealla cultura degli italiani ed èuna delle cause del prestigiodi cui hanno goduto in alcunimomenti della storia d’Europa”.Con effetti vistosiproprio negli ultimi duesecoli, noti come la culla deltrading internazionale. Nonper niente l’abbattimentodelle barriere tariffarie è del1997, appena l’altro giornoquindi.Ferrari, milanese doc, è ungiornalista con una lunghis-di Gianni de Felicesima esperienza nei quotidianieconomici. Prima “IlGlobo”, quindi “Il Sole”, infine“Il Sole-24 Ore”. Ed allibro ha dato questo illuminantesottotitolo: “Storie dioperatori con l’estero”.Storie che si inseriscono nelXX secolo, vale a dire in unperiodo molto fecondo per iltrading nonostante gli ostacolie le difficoltà chesembravano a prima vistainsormontabili.Perché commerciare conl’Unione Sovietica in unperiodo in cui la Nato e ilPatto di Varsavia si puntavanoaddosso le armi più micidialipartorite dalla tecnologiamilitare, significa averedoti, voglia di rischiare,entrature, fuori dal comune.Ed in effetti molti di questitrader sono fuori dal comune,sono davvero miti. Edognuno con una propriastoria, sempre affascinante,spesso persino incredibile. Etutte storie godibilissime.Come quella di Dino Gentili,uomo di cultura, socialistaimpegnato con un’esperienzaanche nel Partito d’Azione,intimo amico di Nenni: èlui ad aprire le porte delcommercio con la Cina nelCamillo AlbaneseLe più belle del reameConosco Napoli, perché visono nato, e penso di conoscerei napoletani, anche sevivendo a Milano da unaquarantina d’anni li ho forseun po’ persi di vista. Ma li hosubito ritrovati, e riconosciuti,fin dalle prime pagine diquesto nuovo libro di CamilloAlbanese. Delizioso narratoredi figure, fatti e fatterellistorici, che editori e libraiavevano sbadatamenteprestato per troppi anni adirigenze e management diassociazioni ed enti; e cheora si sono tardivamenteripreso, obbligandolo a recuperare– per fortuna <strong>dei</strong> suoilettori – con la fornitura diuna chicca l’anno.“Le più belle del reame” –così si intitola l’ultima chicca– non sono le donne, ma lestorie che Camillo Albaneseè andato a scavare negliarchivi più antichi e polverosidi Napoli; e che confermanoanche l’altro senso deltitolo, avendo quasi semprea protagoniste donne distraordinaria bellezza e dinon meno strabiliante disponibilità.Avventuriere, regineninfomani o lesbiche, amantivergini e “incontaminate”,suore assatanate e perfinouna pasticciera dell’800, cheha tentato – fortunatamenteinvano – di impedire al marito,don Pasquale Pintauro,d’inventare la “sfogliatella” ela “zeppola di San Giuseppe”.La sciagurata.Intorno a queste damazze simuovono principi e popolani,pittori e re, frati e bellimbusti,giovani scaltri, donzelleintraprendenti, padri severie, su tutti e tutte, scorre lastoria fatta di battaglie edinastie, assedi e rese,impiccagioni e feste a corte.Lo scenario è la Napoliangioina che si lustra erinnova, la Napoli aragoneseche si fortifica e potenzia,la Napoli stracciona, disperatae schiava del becerovice-reame spagnolo, laNapoli borbonica che rifiorisceall’inizio e si fossilizza –dopo la sanguinosa repressionedella Repubblica del1799 e la parentesi francese– nella pavida grettezzadegli ultimi decenni.Se studiassero la storia peraneddoti – come predicavaMérimée e pratica Albanese– invece che per date, igiovani ne capirebbero forsemeglio il senso e dunquel’utilità. In questa raccolta dianeddoti, apparentementeslegati, in realtà c’è unatrama, un filo conduttore.È la “napoletanità”: unconcetto vago, impalpabile,affiorante ora in senso picaresco,ora in chiave drammatica,ora in tono epico,ora in forma munifica, ora in1954 fondando prima laComet e poi la Cogis ed è luiad incontrare Fidel Castroper importare zuccherocubano in un momento didifficoltà della produzioneinterna italiana. Finendo perdiventare l’emblema delladiplomazia difficile. Comequella di Piero Savoretti,l’uomo che partito nel ’48per Londra con una 500,s’insedia nel 1956 a Moscadove organizza per la Fiatl’affare colossale di Togliattigradche ha dato all’Italia lechiavi per entrare nel mercatosovietico. Come quella diSerafino Ferruzzi, il romagnoloche diventa il re dellaBorsa di Chicago.Grande conoscitore <strong>dei</strong>mercati dell’Urss è AlbertoLevi, fratello del giornalistaArrigo: comincia in Sud Africa,quindi si sposta inArgentina operando nelcampo tessile e meccanico.Poi eccolo proiettato nell’Esteuropeo dove fa venderealla Snia Viscosa sessantaimpianti chiavi in mano. Èlegato in parte all’Urssanche il nome di GiulioTamaro il quale – tra le tantecose – importa anche cotoneuzbeko di ottima qualità,versione semplicementecialtrona e carogna. Masempre riconoscibile, egualea se stessa, immutabile,sia che i padroni del momentoparlino in francese oin castigliano, in catalano oin tedesco, o in dialettonapoletano come usavanogli ultimi re borbonici.In certe nobildonne, ho riconosciutoammiratissime signoredella borghesia dioggi. Lo sfarzo delle corti, lorivedo nella pomposità dicerti circoli o nella ricchezzaun po’ barocca di appartamentonie ville, molto esclusive,di Posilllipo. L’atmosferaun po’ sbracata delle festeall’aperto nei “casini” dicampagna, la si ritrova lesere di giugno nella piazzettaa Capri. Che sul tronosieda Federico II o il comandanteLauro, Roberto d’Angiòo Bassolino, Napoli noncambia: è la sua forza, lasua debolezza. E CamilloAlbanese ce lo dimostra conl’aria lieve di chi sta raccontandorobetta di poco conto.Tuttavia, fra tante storie, cen’è una che non può trovareriscontro ai giorni nostri:quella del San Carlo. L’appaltoviene firmato il 14marzo 1737 e il 4 novembredello stesso anno – giorno diSan Carlo, meno di ottomesi dopo – Carlo di Borboneinaugura il teatro. Il re sicomplimenta col costruttorefino a quel momento ancorasconosciuto in Italia. JackClerici, corridore automobilista,diventa uno <strong>dei</strong> traderpiù potenti nel campo dellecommodities, battendo ogniprimato nell’import di carbonee nell’armamento.Luigi Deserti, un ravennatetrapiantato a Bologna, faconoscere ai consumatoriitaliani i più raffinati marchimondiali di tè, champagne,vini, marmellate e cento altriprodotti. Aldo Bonapace,nipote del fondatore dellafamosa Magnesia San Pellegrino,diventa il più affermatotrader di specialitàmedicinali. E poi Giulio Pugliese,i Cauvin, Tito Trinca, iNoberasco, Gino Pesenti.Insomma, il top <strong>dei</strong> trader. Etutto raccontato come unromanzo in cui abbondanole testimonianze vere e incui sapientemente sonomescolati il rischio e la fantasia,le due grandi risorse delcommercio.Dante Ferrari,“Il grande trading italiano(Storie di operatori conl’estero)”,Libri Scheiwiller ,pagg. 348, s.p.Carasale, ma lamenta lamancanza di un passaggiointerno con l’adiacentereggia: alla fine della rappresentazioneil passaggio èpronto e tappezzato, fatto intre ore. Denunciato da concorrentiinvidiosi, Carasaleviene poco tempo dopocondannato per irregolaritàamministrative nell’impresa;si protesta innocente davantial sovrano, ricordandogligli elogi per la bellezza delteatro e la rapidità di costruzione;ma il re non fa unapiega, permette che vengamesso in prigione nellafortezza di Sant’Elmo e lì sialasciato fino a morte.Nell’Italia di oggi, che nonriesce a ricostruire la Fenice,anche a Napoli sarebbeimpossibile erigere un teatroin otto mesi, perforare uncorridoio regale in tre ore e,soprattutto, vedere un costruttoreimbroglione in galera.Camillo Albanese,“Le più belle del reame”,Esi <strong>2000</strong>,pagg. 187,lire 28.00019 (27)


I NOSTRI LUTTIGuido Nozzoli, un grande inviatoche veniva dalla Resistenzadi Vittorio Emiliani“Adesso mi prendo un bel caffè, faccio due otre testa-coda in Melchiorre Gioia e vado acasa a dormire”. Erano in genere le 2 di notte,e anche di più, quando Guido Nozzoli, ex ufficialedegli autieri, leggendario pilota di motoe auto, lasciava cadere questa frase paradossalesui colleghi del turno di notte al “Giorno”,nel complesso alzato fra le brume dellaMartesana, vicino alla “Cassina di pòmm”.Guido era un classico “animale notturno”,come tanti inviati della sua generazione (chedi inviati straordinari ne aveva sfornati parecchi,nel dopoguerra), ed era uno <strong>dei</strong> più godibili,inventivi, teatrali affabulatori che noigiovani di quei primi anni Sessanta avessimoavuto la fortuna di incontrare. Lui e, in mododiverso, il marchigiano Manlio Mariani eranosenza dubbio i più estrosi e folgoranti. Daromagnolo, potevo poi apprezzare in modotutto speciale anche le sfumature di queiracconti inesauribili sugli anni Trenta eQuaranta, sull’epos della nostra comuneregione d’origine (guai a chi gli avesse chiestose era “emiliano”), sulla storia degli anarchici.Non per caso la sezione italiana dellaPrima Internazionale era nata sotto il segnodi Bakunin nella sua città, Rimini, con AndreinoCosta segretario a vent’anni e CarloCafiero presidente. L’eroe delle affabulazioninotturne di Guido era soprattutto il concittadinoAmilcare Cipriani, eroe di suo per davvero,volontario a sedici anni nel 1859, poi coiMille in Sicilia, bello, alto, intrepido, combattentee disertore sull’Aspromonte, colonnellodella Comune parigina, deportato fra inumanesofferenze in Nuova Caledonia, poi tornatotrionfalmente in Italia, candidato-protestaamatissimo ma di nuovo gettato in una cella,a Portolongone, per anni. Di lui Nozzoliraccontava che dalla Nuova Caledonia l’avevanodovuto rimpatriare perché “messo aspaccare le pietre, riduceva con un colpo dimaglio la roccia in polvere: insomma, ne facevadel talco, inservibile.”Guido era giunto al giornalismo dopo lastagione, tanto dura quanto appassionante,della Resistenza vissuta insieme a “Quelli diBulow” (il titolo del suo primo bel libro, uno <strong>dei</strong>pochissimi purtroppo), cioè con l’esercitopartigiano di pianura costituito da ArrigoBoldrini nel Ravennate. Gli episodi feroci dellarepressione nazifascista si mescolavano adaltri con un lieto fine, come quando era scampatoalla fucilazione apostrofando il capomanipolorepubblichino con una frase del tipo:“Sei così vigliacco che non hai neanche ilcoraggio di sparare a me che sono disarmato”.O quando si era salvato per un pelo inbicicletta nella nebbia incombente anche seGuido Nozzoli (al centro) tra i colleghi de “Il Giorno”gli si era rotto di colpo un pedale e avevadovuto filare via azionando freneticamente unsolo piede, e qui entrava in scena il mimoNozzoli, non meno bravo del raccontatore. ARimini, nel primissimo dopoguerra, l’irromperedella libertà aveva eccitato in lui e in altri,nel futuro psicologo Gino Pagliarani peresempio, il gusto per gli scherzi più clamorosi.Una notte cambiarono quasi tutta lasegnaletica stradale cittadina e quando ilcompagno Spartaco li convocò in federazioneper una irata reprimenda, con facce serissimerisposero che avevano voluto in quelfrangente “disorientare la borghesia”. Venendocacciati all’istante dal furibondo segretariodel Pci riminese, mentre loro ridevano comematti.Federico Fellini, di due anni più giovane, eragià sceso a Roma prima della guerra e peròin quei racconti di Guido c’erano già tanti temie personaggi <strong>dei</strong> “Vitelloni” e, ancor più, infondo, di “Amarcord”. Quando questo filmuscì nelle sale, alcune figure e altrettantestorie ci erano già familiari. A cominciare dalmotociclista che all’inizio attraversa la scenasaltando sulle “focarine” della Segavecchia dimezza Quaresima, Scurèza, che ToninoGuerra aveva collocato lì pensando ad unaltro romagnolo del “Giorno” e cioè ad EnzinoLucchi, cesenate, lui pure motociclistaepico, protagonista proprio con Guido Nozzolidi una gara motoristica rimasta storica. Idue, uno comunista (Nozzoli), l’altro repubblicano(Lucchi), si misero un giorno a discuterefuribondamente su quale fosse la stradapiù breve fra Rimini e Cesena. E decisero disfidarsi. Partirono rombando dalla periferianord dirigendosi verso la città di RenatoSerra. Traguardo finale la casa della maestraLucchi, madre di Enzo. Dove questi arrivòprimo sollevando una nuvola di polvere. Simise ad aspettare il rivale seduto sugli scalinidell’ingresso. “Vuoi vedere che quel pataca diun riminese mi ha fatto uno scherzo ed ètornato indietro”. Stava pensando questoquando passò una donna che faceva l’infermieraall’ospedale civile. “Ti vedo un po’ giù,Enzino.Ti è successo qualcosa di brutto?” Luile raccontò la storia. E lei, un po’ esitante:“Guarda che all’ospedale stanno medicandouno, uno robusto, moro...”“È lui, è lui, embé ?”“No, niente di grave, solo che gli è andata lacatena della moto nei raggi della ruota didietro, è partito a volo d’angelo finendo in uncampo di canapa secca e gli stanno levandouno per uno tanti pezzetti di canapoli conficcatidappertutto”.Gli anni passati all’“Unità”, a Bologna e poi aMilano, avevano maturato un fior di giornalista,dalla scrittura serrata ed espressiva,bravo a sbozzare caratteri, a raccontare fatti,di nera, di bianca, di politica internazionale, arendere come un affresco i grandi processidell’epoca. Naturalmente teneva i colleghialzati fino a notte fonda raccontando storie sustorie e presentandosi l’indomani in aulapronto a ricominciare: a prendere appunti, adannotare, a scrivere.Col Pci e quindi con l’“Unità” i rapporti sierano fatti sempre più difficili finché non eraapprodato al “Giorno” diretto allora da ItaloPietra, anche lui uomo della Resistenza,anche lui temperamento forte, anche lui conuna vasta esperienza internazionale. Credoche si fossero conosciuti nel modo più singolare:Guido entrò nella sede del comando delFronte di Liberazione algerino, sui monti dellaKabilia, e vi scorse Pietra che era già lì, intentoa spiegare come in guerriglia si dovesseroscordare quello che avevano imparato allascuola di guerra facendo anzi il contrario.Proprio lui che, dopo la scuola di guerra diPinerolo, si era fatto dodici anni in grigioverdeprima del biennio, quasi, da partigiano, nelnatio Oltrepò. I rapporti fra i due, va detto, nonfurono <strong>dei</strong> più facili e tuttavia Nozzoli potédare sulle pagine del “Giorno” molte delle sueprove migliori. Ricordo benissimo i servizi,ricchi di fatti e di pathos, che realizzò, conFranco Nasi, subito dopo il terribile disastrodel Vajont. Rammento anche che, quando atavola l’inviato di un grande quotidiano siostinò a parlare di “calamità naturale”, Guido,che fisicamente era fortissimo, lo sollevòpraticamente di peso dalla sedia in preda aduna indignazione incontenibile. Molto bella fuanche la serie di servizi dedicati alla guerranel Vietnam, realizzati calandosi ben dentroquel dramma collettivo. Ad onor del vero, eper non farne un santino, comprese di menoquanto stava per succedere all’Est, durante ifatti di Praga e poco prima della repressionesovietica che ne seguì, nell’agosto del 1968.Quella sulla quale il Pci, segretario LuigiLongo, espresse il primo “grave dissenso”dando inizio al processo di dissociazione chesfociò più avanti nello “strappo” berlinguerianoda Mosca.Guido Nozzoli fu, ovviamente, in prima fila –come lo fu il giornale – dopo le bombe dipiazza Fontana, avvio di quella strategia dellatensione seminata di stragi, sfociata nellacatena sanguinosa di atti terroristici durantegli anni di piombo. Che colpirono anzituttoMilano seminando paura e mettendo a duraprova la resistenza di un tessuto democraticoancora forte fondato sull’antifascismo e sullefabbriche. Guido partecipò attivamente, comealtri colleghi, al Movimento <strong>Giornalisti</strong> Democraticie poi alla controinformazione, ormaivicino ai gruppi extraparlamentari di sinistra.Dal giornalismo attivo volle però uscire il giornostesso in cui compiva i 55 anni, senzasentir ragioni. La sua pensione era bassa?Era abituato a vivere con grande sobrietà.Con le sue note-spese “francescane” avevamesso in difficoltà più di un collega versatonella spesa facile. Alla direzione del “Giorno”era arrivato da poco più di un anno (eravamonel <strong>dicembre</strong> del 1973) Gaetano Afeltra e ilnostro quotidiano era oggetto di una cura“normalizzatrice” decisa e pesante. Che potevaben sintetizzarsi nel titolone del luglio 1972“La Polizia espugna la Statale”. Figuriamocise uno come Guido, allora criticamente vicinoal Movimento Studentesco, poteva continuarea lungo a lavorare in un giornale delgenere. Ero nel Comitato di redazione, cercaidi convincerlo a restare ancora, a darci una20 (28) ORDINE 10 <strong>2000</strong>


Vecchio Guido, te ne seiandato anche tu. Io, ingenuoe folle, nonn vedendoti, dopoche ti eri rintanato a Rimini,pensavo saresti vissuto ineterno. Tu c’eri sempre, eri aRimini. E proprio l’altra notte,tra sabato 11 e domenica 12ti ho sognato assieme adiversi altri vecchi colleghidel grande “Giorno” (Giulio,Cisco, Marco Nozza, PierMaria Paoletti e altri vivi chenon nomino). E alzandomisorridevo, mentre mi chinavosullo zerbino della porta dicasa per raccogliere il“Corriere”. La macchinettadel caffè ha cominciato agorgogliare e io a sfogliare ilgiornale distrattamente, finoai necrologi che mia mogliemilanese mi ha abituato aguardare. Un sobbalzo:“Gaetano Tumiati piange lamorte di Guido Nozzoli”.So che se ti avessi raccontatodi questa coincidenza, maiaccadutami prima (e suepisodi così ho sempre irrisole mie vecchie sorelle delSud) tu avresti sorriso e poimagari mi avresti spiegatoperché accadono. Ma tu,Guido, non ci sei più ed ionon riesco a crederci.Passavi, di notte, finché eri aMilano, a trovarmi alla redazioneesteri, dove ero diturno. “Fuma, se permettiprendo un po’ di carta”.“Guido, quella risma è tuttatua”. Ti avrei dato tuttomano nella difesa sempre più ardua di quel“patrimonio di famiglia” rappresentato da ungiornale avanzato, aperto e progressista. Nonci fu niente da fare. Aveva esaurito la riservadi pazienza. Mi elencò i progetti di libri cheavrebbe scritto da pensionato, sui “birri” riminesi,sull’amatissimo Cipriani, su altro ancora.Purtroppo non ne ha pubblicato nemmenouno. Probabilmente ci sono appunti e provedi stesura, e però del tutto inedite. Qualcosasi era rotto dentro di lui – che pure era unnarratore dalla prosa ricca, intensa, aguzza –prima con la grave malattia della figlia Serena,impegnata nel movimento femminista, giàgiovane scrittrice, e poi con la sua precocescomparsa. Una ferita profonda che in Guidonon si rimarginò mai.Così, la sua bibliografia è rimasta purtroppoassai più scarna di quanto il Nozzoli scrittorenon meritasse. Se non vado errato, gli unicilibri di Guido sono il volume dedicato allaResistenza nel Ravennate, “Quelli di Bulow.Cronaca della 28 Brigata Garibaldi” (EditoriRiuniti), e l’altro realizzato su “I ras del regime.Gli uomini che disfecero gli italiani”(Bompiani). Il primo, finito di scrivere nel 1955e pubblicato quasi due anni dopo, gli procurògrandi amarezze e i primi seri screzi col partito:Nozzoli si era buttato a scriverlo con unimpegno totale, come sapeva lui, ed ambivaad un premio che invece venne assegnato allibretto subito dimenticato di un funzionario dipartito il quale presso la nomenklatura contavamolto più di lui sempre insofferente e inodore di eresia.A rileggerne oggi la prefazione, si coglie perintero il personaggio: “Spesso, scrivendoqueste pagine e rievocando il sacrificio diquesti compagni, la commozione mi ha fattogroppo in gola. La commozione non è unsentimento da storico; ma io non sono unostorico, sono un giornalista, cioè un cronista.E sono un romagnolo che ama la sua terra,la sua gente, la sua idea. Ovunque io vadane porto il ricordo chiuso in me come la cosapiù cara della mia vita. Non v’è viaggio chepossa cancellare in me quel paesaggio cheriposa fra i dolcissimi colli dell’Appennino e lariva dell’Adriatico, fra il Sillaro e il Marecchia”.Il secondo libro, uscito nel 1972, porta unadedica significativa: “Ai miei figli Serena eDaniele e a tutti i giovani come loro chevogliono essere liberi”. In esso erano statiraccolti e integrati gli articoli rievocativi, ampie ben costruiti, che Guido aveva pubblicatosul rotocalco domenicale del “Giorno”, colcorredo di fotografie del ventennio decisamenterare. Nella prima puntata campeggiavauna immagine di grandi dimensioni conMussolini che in auto lasciava il Quirinaledove Vittorio Emanuele III gli aveva appenaassegnato l’incarico di formare il governo,dopo la Marcia su Roma. Sul predellino dellamacchina era salito un giovanotto elegante,che sfoggiava una spiritosa paglietta ed unsorriso soddisfatto: era, ben identificabile,Francesco Malgeri che poi doveva dirigere il“Messaggero” dal 1932 al 1941 e che, altempo della rievocazione di Nozzoli, era diret-ORDINE 10 <strong>2000</strong>Le sue cronachericordavanoBrechtperché sapevo che avrestisubito cominciato a deliziarmi,affabulatore unico, sugliultimi episodi della commediapolitica italiana.Non ho mai dimenticato i tuoistrepitosi reportages. Comequello, per dirne uno solo,quando, primo inviato italianoin Vietnam, dopo averdescritto da maestro quelterribile inferno di fuoco, spiegasti:“Per capirci, gli americanicombattono i piccolivietcong come un fabbro cheper uccidere un moscerinoadopera un martello”. O letue cronache da antologiasulla tragedia e poi sulprocesso del Vajont. A mesembrava dopo aver “passato”il testo in tipografia, diaver letto Brecht, con ilsottofondo musicale di Weill,tanto era ben riprodottaanche la mimica dell’entratain scena di imputati, giudici,testimoni e avvocati.Ora, Guido, non ci sei più.Chissà dove è finito quelcinturone con cui stringevi iltuo stomaco un po’ debordante.Quando, scherzando,te lo facevo notare, mirispondevi: “Cosa vuoi, misono... imborghesito”.I ricordi galoppano. Unavolta, eri da poco arrivato al“Giorno” dall’“Unità”, mi dicesti:“Per Dio, Fuma, guarda lamia busta”. Uscivamo insiemeil giorno di “sanpaganino”dall’ufficio di Rovetti, l’ufficialepagatore. Guardai e rimasisconvolto. Io, peone,guadagnavo più di te, anchese per via degli scatti dianzianità. Ma tu mi destisubito la spiegazione. Conun ticchio del naso che incrinavail tuo stupendo accentoromagnolo, mi dicesti: “Sai,Italo Pietra mi dà il minimosindacale, perché dice cheha già fatto il miracolo di fareentrare un comunista al Giorno”.A proposito, Guido,apprendo adesso dai necrologiche tu eri un massone.Non lo sapevo. Voglio solodirti che a me, credente, nonme ne frega niente. Mi haunito a te la stima altissimache concepii man mano cheleggevo i tuoi servizi e cheaumentò quando mi confidastiil dolore che ti attanagliavaper la malattia di tua figlia,quell’angelo che io avevoconosciuto alle Acli di Milanoe che poi se ne andò giovanissima.Di te fui sempreamico e ammiratore e ticonsiderai assieme ai Nasi,ai Paoletti, ai Nozza e pochialtri un autentico giornalista.Non posso ancora credereche a Rimini non c’è piùGuido Nozzoli.Ciao Guido! TuoPeppino Fumarolatore generale al “Giorno”, incaricato dai doroteidi far fuori, con mano pesante e tuttaviasenza riuscirvi, il direttore, Italo Pietra. Lerisate e i sarcasmi al giornale si sprecarono.Malgeri, che aveva un sorriso lampeggiante,precisò a denti stretti: “Ero un giovane cronistae Mussolini mi aveva invitato a salire inauto con lui per darmi il programma di governo”.“Sì, però da quell’auto non è più sceso,per vent’anni”, commentò tagliente lo stessoPietra.Alla galleria <strong>dei</strong> gerarchi (da Arpinati a Farinacci,a Bottai, a Grandi, a Balbo, diecicomplessivamente) mancava però il ravennateEttore Muti, “Gim dagli occhi verdi”, comel’aveva battezzato a Fiume Gabriele D’Annunzio,bello e forte, tanto coraggio e pocatesta (“Muti d’accento e di pensier”, si ironizzavanel ventennio), fatto ammazzare, conogni probabilità, dal maresciallo Badoglio chene temeva la popolarità, dopo l’8 settembre1943. Fui io a convincere Guido a scriverneun ritrattone per il libro su Ravenna che stavorealizzando insieme a Tino Dalla Valle. Cosìla sua seconda e, credo, ultima opera potevadirsi completa. Le altre sono rimaste, a quelche se ne sa, un progetto, anche se Nozzoliscrisse contributi cospicui su Romagna &Romagnoli in libri antologici dedicati alla terradi origine e al concittadino Fellini, che eranogià idee di base da tradurre in volume.Quand’ero direttore del “Messaggero” glitelefonai insistentemente per chiedergli se lui,così bravo nella rievocazione storica, nonavrebbe voluto scrivermi una serie di pezzisui cinquant’anni dalla guerra d’Africa. Miringraziò amichevolmente e però fu fermissimonel sottrarsi. Non so perché.Si schermiva dicendo che, in pensione, nellasua Rimini, preferiva dedicare il tempo liberoal lavoro di “stipettaio” – come puntigliosamentesi autodefiniva – fabbricando mobili omodellini di mobili (che non avemmo maimodo di vedere).Mi raccontarono che aveva finito per occuparecol suo laboratorio gran parte della casafino a quando la moglie Anna, con lui pazientissima,non gli aveva intimato l’alt. Guidoamava la vita, la compagnia, la convivialità,anche se il temperamento romagnolo (di unavolta) lo portava spesso a dure spigolosità eanche a rotture taglienti. Lo vidi però apertamente,dichiaratamente commosso al TeatroNovelli di Rimini allorché per pochissimi votialla fine di una interminabile seduta notturnai giornalisti italiani riuniti a congresso elesseroloro presidente Paolo Murialdi, un altrodella banda del “Giorno”, un coetaneo, ilprimo presidente della Federstampa chevenisse dalla Resistenza.Corse a casa e ne tornò con un paio di bottigliedi Sangiovese che stappò in quell’alba disettembre del 1974 costringendo affettuosamentetutti noi, morti di sonno e di fatica, adalzare il bicchiere per salutare felici il singolareevento (compreso l’astemio Antonio Airò),davanti al mitico Grand Hotel di Rimini biancheggianteal primo sole mentre partivanoper la gita a San Marino e a Urbino i pullman<strong>dei</strong> turisti tedeschi.I NOSTRI LUTTIFranco Belli, rigoree senso del doveredi Emilio PozziIl rigore di Franco Belli si è manifestato ancorauna volta, quando ha avuto la sensazione,per inquietanti segnali premonitori, di nonfarcela più: prima di uscire di casa per andarein clinica, si è seduto alla scrivania e hapreparato, scrivendolo a mano, un asciuttonecrologio: “Silvana Belli annuncia conprofondo dolore la morte di….” E questo pertogliere alla moglie una dolorosa incombenza.Condensato in un aggettivo, “profondo”,c’era il senso di un’unione, quarantadue annidi vita in comune, sottolineata dalla scoperta,negli ultimi anni, di aver riimparato a ridereinsieme. Quel gesto, il necrologio scrittoda sé prima di lasciare l’appartamento di viaBigli (“in questa casa non ci tornerò più”,dirà, prima di salire sul taxi) ha stupito esconcertato molti. Non certo gli amici, che inquell’atto, freddo e lucido, hanno ritrovato unaltro segno di coerenza, di coraggio e diimmenso rispetto per gli altri.A salutare Franco, nell’area della clinica “LaMadonnina”, destinata agli ultimi adempimentimortuari (il cliente non abita più qui), cisiamo ritrovati, in un pomeriggio dell’inizio diottobre, in molti, venuti da tante parti, ciascunotestimone di una frazione della sua vita dilavoro: chi lo ricordava alla “Notte” di Nutrizio,con i suoi esordi di fotografo, chi al “Giorno”,chi al “Corriere”, chi al “Tempo”, chi a “Repubblica”dove ha guidato la pattuglia della primaredazione milanese. Guido Vergani rammentavail suo contributo al recentissimo “Dizionariodella Moda”. Nella vita di lavoro erasevero. Nessuno, <strong>dei</strong> tanti giovani che avevacontribuito a crescere (si era guadagnato iltitolo di “zio”) può dire di aver mai ricevuto unapacca sulla spalla (però a casa parlava diciascuno con affetto).Nel suo dolore era serena Silvana. A chi lestava vicino, mentre la burocrazia perdevatempo in imbarazzanti lungaggini, raccontavasommessamente di Franco: delle sue ultimegiornate in clinica, di una telefonata, alletre di notte, per dirle che si era rivestito perandarle a comprare un libro, delle raccomandazioniminuziose da dare a Piero, per lapotatura degli alberi, a Missano di Bettole.Franco amava la campagna e il mare (l’isolad’Elba gli era nel cuore), la musica, tutta, e isuoi due gatti, Biondo Romeo e Minouche.Un risvolto di vita, questo, che è giusto ricordare,lontano dalla quotidianità di giorni enotti, anni, trascorsi a obbedire alla leggedella chiarezza e della precisione, a insegnarea non tirar mai via.Le ceneri di Franco (era nato a Varese nel1927) sono ora in quella terra <strong>dei</strong> collipiacentini, tra vigne e boschi, vicino ai contadiniche lo vedevano arrivare il sabato esapevano del suo amore per le piante, ilrosmarino soprattutto, i fiori , la natura. Perloro non era il burbero “zio” e, in suo onore,hanno mangiato buone e semplici torte,ricordandolo com’era.Franco Belli non avrebbe voluto sopravviverea menomazioni fisiche o mentali che certemalattie portano con sé, spesso causa deglistress del nostro lavoro.Non sarebbero tornati i conti con la suapagella umana e professionale. Di rigore e diumiltà: quella consapevole umiltà, eccoancora una volta il rigore, che non ci fa trovare,nel suo curriculum, un libro di ricordi, disaggistica o di narrativa.Mi rendo conto di non essere certamente ioil collega più meritevole di ricordarlo inqueste nostre pagine. Lo considero, però, unprivilegio perché mi viene data la possibilitàdi testimoniare, - per un breve tempo di lavorotrascorso insieme, quand’era responsabiledelle pagine degli spettacoli al “Giorno”,un periodo non facile nei rapporti personali -la sua integrità, la sua onestà e un sensoassoluto del dovere nei confronti del nostrounico vero padrone: il lettore.Massimo Miggiano,un grafico modernoMilano, martedì 28 novembre. Sabatonotte, come di consueto, si era fermato inredazione sino alla chiusura della secondaedizione.Domenica pomeriggio, ad appena 53 anni,Massimo Miggiano ci aveva già lasciati, traditoda un cuore che mai gli aveva inviatomessaggi di cui preoccuparsi. Una mortetanto improvvisa quanto discreta, fotocopia<strong>dei</strong> tanti anni trascorsi a far quadrare i contidi una grafica con la quale giocava a rimpiattinoper la sua invidiata bravura.Massimo era arrivato al “Sole-24 Ore” il 2maggio 1975. Il giornale, a quei tempi, contavasoltanto su una manciata di redattori. Elui si era messo subito in evidenza per lavoglia di fare, di distinguersi. A cominciaredal settore normativo, che iniziava allora amuovere i primi passi e che lo aveva vistoper un certo periodo attivo protagonista. Nona caso ben presto sarebbe stato nominatocaposervizio e successivamente, con laresponsabilità dell’intero settore grafico, vicecaporedattore.In parallelo sarebbe arrivato anche il colpo difulmine, che l’avrebbe portato a sposarsi conuna “compagna di banco”, del giornale,Rosalba Luparia e ad avere un bambino,Carlo, che ora ha vent’anni. E a loro va tuttol’affetto <strong>dei</strong> colleghi, che in tutti questi annihanno avuto Massimo (il Max appassionato,veloce di computer, sempre disponibile) aloro fianco. Impossibile non volergli bene.(da “Il Sole 24 Ore”del 28 novembre <strong>2000</strong>)L’ECO DELLA STAMPAECO STAMPA MEDIA MONITOR S.R.L.Via Compagnoni 28, 20129 MilanoTel. 02 74 81 131 Fax. 02 76 11 03 4621 (29)


22 (30) ORDINE 10 <strong>2000</strong>


Cronaca e lavoro:giurisprudenzadella CassazioneAi funerali di Valentina un inviato di 11 anniPollena Trocchia (Napoli), 16 novembre. Dall’alto <strong>dei</strong> suoi 140 centimetri d’altezza Alessio,undici anni, è un inviato... molto speciale ai funerali della piccola Valentina, la bambina di dueanni uccisa domenica mattina davanti al negozio di fiori dello zio, nella cui sparatoria sonorimasti feriti anche il padre e la mamma, Raffaele Terracciano e Maria Civita, entrambi di 28anni. Il piccolo, “armato” di carta e penna, raccoglie appunti e commenta il funerale dal “suomondo dell’infanzia”. “Da grande - dice il ragazzino - voglio fare il giornalista. È la mia passioneprincipale, già da un anno scrivo e commento i fatti che accadono nel mio paese. A fineanno pubblico le mie notizie in un giornalino, con l’aiuto di mamma e papà”. Ha dato anche unnome alla testata: “Daily Planet”, il giornale di Superman, il personaggio <strong>dei</strong> fumetti che preferisce.Alessio, frequenta il primo anno della scuola media di Pollena, “Raffaele Viviani”.Il piccolo si avvicina ai numerosi inviati delle televisioni e <strong>dei</strong> giornali, presenti davanti alla chiesadi Pollena. Chiede loro per quali giornali scrivono, come si diventa giornalista, come ”nasce“la notizia.(ANSA)La critica e la satira non devono degenerare nell’insultogratuito – Va rispettato il limite della continenza nellaforma espositiva (Sezione Terza Civile n. 14485 del 7novembre <strong>2000</strong>, Pres. Iannotta, Rel. Lupo).Il settimanale l’Espresso ha pubblicato nel <strong>dicembre</strong> del 1990un articolo di Giampaolo Pansa che conteneva la frase:«Quando Forlani spedì Bruno Vespa a dirigere il TG1, qualcunomi disse: “Preparati a vederne d’ogni colore. Quello lìha lo sguardo del sicario, bovino umidoso, ma con lampi disadismo che promettono sfracelli”». Bruno Vespa ha chiestoal Tribunale di Roma di condannare il direttore del periodico,l’autore dell’articolo e l’editore al risarcimento del danno.L’azienda si è difesa sostenendo di avere correttamente esercitatoil diritto di critica e di satira. Il Tribunale, con sentenzadel febbraio del 1993, ha respinto la domanda. Questa decisioneè stata riformata dalla Corte d’Appello di Roma che,con sentenza del <strong>dicembre</strong> del 1996, ha condannato i convenutiin solido al risarcimento del danno non patrimoniale,liquidato in via equitativa in misura di 50 milioni nonché allariparazione pecuniaria prevista dall’articolo 12 della legge n.47 del 1948 in misura di 10 milioni.La Corte ha rilevato che la frase oggetto del contendere,valutata sia da sola che nel contesto dell’articolo, non si collegavadirettamente ad altri argomenti usati dall’articolista esconfinava in uno sprezzante dileggio, travalicando i limiti deldiritto di critica e di satira.La Suprema Corte (Sezione Terza Civile n. 14485 del 7novembre <strong>2000</strong>, Pres. Iannotta, Rel. Lupo) ha rigettato ilricorso proposto dai giornalisti e dal direttore dell’“Espresso”.Il requisito della correttezza della forma espositiva (cosiddettacontinenza) – ha affermato la Corte – sussiste non soloper l’informazione di cronaca ma anche per i commenti dinatura critica e per la satira. La Corte ha richiamato la suagiurisprudenza secondo cui il diritto di critica, anche politica,pur consentendo toni aspri, non può mai sconfinare nellapura contumelia e non consente l’uso di affermazioni gratuitamentedenigratorie e di mero disprezzo.Anche il diritto di satira, quale particolare forma del diritto dicritica – ha precisato la Corte – non può essere sganciatoda ogni limite di forma espositiva; l’esigenza della continenzaè stata affermata dalla Cassazione penale anche nel caso incui si adoperino vignette e caricature e quindi a maggiorragione non può essere negata quando, come nel caso dispecie, la satira si esprima in forma esclusivamente verbale.La sentenza della Corte d’Appello di Roma – ha affermato laCassazione – deve perciò ritenersi giuridicamente correttanella parte in cui ha affermato che il diritto di critica non puòessere inteso come “diritto del libero insulto”.Definire un disc jockey “sballato” può costituire diffamazione– La critica non deve trascendere nel dileggio enella contumelia personale (Cassazione Sezione QuintaPenale n. 10119 del 25 settembre <strong>2000</strong>, Pres. Lacanna, Rel.Amato)Il disc jockey E.P. ha rilasciato nel 1993 al quotidiano “Il Giornale”,un’intervista sul genere musicale denominato “technomusic” sostenendone la pericolosità per i suoi possibili effettidi induzione al consumo di droga. Riferendosi ai suoi colleghiP.G. e F.E. egli ha espresso stupore “per la pseudo-redenzione<strong>dei</strong> due deejay più sballati d’Italia”.I due lo hanno querelato per diffamazione. E.P. si è difesosostenendo di avere esercitato il diritto di critica e di non averfatto ricorso a termini ingiuriosi, in quanto il termine “sballato”,diffuso nel gergo giovanile, non ha efficacia lesiva, poichédesigna una persona euforica ovvero dotata di caratteristichestraordinarie.Il Tribunale di Monza ha ritenuto sussistente la diffamazioneL’azione per ottenere il risarcimento del danno causatoda diffamazione internazionale a mezzo stampa deveessere promossa nello Stato in cui si è verificato l’eventodannoso – Ossia dove il periodico è stato edito odistribuito (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 1141 del 27ottobre <strong>2000</strong>, Pres. Vela, Rel. Olla).L’attrice A. P. ha promosso davanti il Tribunale di Bolognaun’azione giudiziaria nei confronti della società svizzera CanPublishing, editrice della rivista Union edita in Svizzera estampata in Francia, chiedendone la condanna la risarcimentodel danno per avere pubblicato, al fine di promuovereuna “hot line” telefonica, una sua fotografia con didascalia dicontenuto estremamente offensivo.L’attrice ha sostenuto che, pur non essendo la rivista Uniondistribuita in Italia, la sua reputazione era stata danneggiataanche in questa nazione, in quanto la notizia della pubblicazioneera stata ampiamente ripresa da giornali italiani.La società svizzera ha proposto, davanti alla Suprema Corte,regolamento preventivo di giurisdizione sostenendo che inbase all’art. 5 della Convenzione di Lugano del 16.9.1988l’azione giudiziaria avrebbe dovuto essere promossa in Svizzerae non in Italia.La Suprema Corte (Sezioni Unite Civili n. 1141 del 27 ottobre<strong>2000</strong>, Pres. Vela, Rel. Olla) ha accolto il ricorso, dichiarandoil difetto di giurisdizione del giudice italiano. La Corteha rilevato che in base all’articolo 5 della Convenzione diLugano “il convenuto domiciliato nel territorio di uno Statocontraente può essere citato, in materia di delitti o quasi delitti,davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso si èverificato”.Nel caso di diffamazione internazionale a mezzo stampa –ha precisato la Corte – questa norma deve essere interpretatanel senso che la competenza giurisdizionale appartiene,oltreché al giudice dello Stato del convenuto, al giudice: a )del luogo dell’evento–generatore, ossia del luogo dove èstabilito l’editore della pubblicazione controversa; b) <strong>dei</strong>luoghi ove la pubblicazione diffamatoria è stata diffusa equindi ove si è manifestato il danno direttamente riconducibileall’azione dell’editore.Non è rilevante ai fini della giurisdizione – ha aggiunto laCorte – il luogo in cui è stato distribuito un mezzo di stampache abbia “ripreso” il fatto diffamatorio, ossia si sia limitato adare notizia che un altro giornale non collegato editorialmenteè stato pubblicato un fatto idoneo a ledere la reputazionedi una persona fisica o giuridica.Le Sezioni Unite hanno richiamato i principi affermati dallaCorte di Giustizia delle Comunità Europee nella sentenza7.3.1995 resa nella causa C-68/93, Fiona Shevill c. PresseAlliance S.A., che ha interpretato l’articolo 5 della Convenzionedi Bruxelles del 27.9.1968, identico nella formulazioneall’articolo 5 della Convenzione di Lugano.e pertanto ha condannato P.E. alla pena della multa e al risarcimentodel danno in favore della parte civile. Questa decisioneè stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, cheha ravvisato nelle espressioni usate da P.E. una violazionedel limite della continenza.La Suprema Corte (Sezione Quinta Penale n. 10119 del 25settembre <strong>2000</strong>, Pres. Lacanna, Rel. Amato) ha rigettato ilricorso dell’imputato, richiamando la sua giurisprudenzasecondo cui la critica, se anche può assumere toni vibrati,non deve trascendere nel dileggio e nella contumelia personale:sicché possono ritenersi giustificate solo le espressionistrettamente correlate alla critica e ad esse strettamentefunzionali, mentre non lo sono quelle ultronee allo scopo egratuitamente offensive della persona. Poiché il tema dell’intervistaera costituito dal possibile uso di droga da parte diappassionati della techno music – ha osservato la Corte –l’epiteto “sballato” assumeva una connotazione diffamatoria,evidenziata anche dal termine “pseudo-redenzione”.(www.legge-e-giustizia.it).Antisindacale il comportamento di un’emittente televisivache utilizza come dipendenti i soci di una cooperativaappaltatrice <strong>dei</strong> servizi giornalistici - Per mancato rispettodegli obblighi di informazione previsti dalla legge n.223 del 1991 in occasione di una riduzione del personalee per l’eliminazione di lavoratori rimasti fedeli al sindacato(Tribunale di Bari, Sezione Lavoro, ordinanza del 20ottobre <strong>2000</strong>, Est. Arbore).La Telenorba S.p.A. è titolare di due emittenti televisiveoperanti in Puglia, che diffondono, tra l’altro, informazionigiornalistiche mediante telegiornali, notiziari e rubriche. Sinoal 1982 i servizi giornalistici sono stati realizzati da dipendentidiretti di Telenorba, ai quali veniva corrisposto un trattamentoinferiore a quello previsto dal contratto nazionale dilavoro giornalistico. Successivamente, in seguito alla conciliazionedi vertenza da loro promossa per ottenere l’applicazionedel CNLG, i dipendenti della Telenorba addetti all’informazionehanno costituito la cooperativa “Comunicazione &Immagine”, alla quale Telenorba ha affidato, in appalto, larealizzazione di tutti i suoi servizi giornalistici; della cooperativasono entrati a far parte anche alcuni tecnici, in precedenzalegati all’emittente da contratti di collaborazione autonoma.Telenorba ha mantenuto alle sue dipendenze un sologiornalista, con mansioni direttive. Direttore responsabiledella testata è stato nominato, su designazione di Telenorba,il presidente della cooperativa, che per un certo periodo èstato inquadrato alle dipendenze dell’emittente al fine diconseguire l’iscrizione nell’Albo <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong>, elenco professionisti.Nel 1996 Telenorba ha deciso di por termine alrapporto con la cooperativa al fine di auto produrre i servizigiornalistici e di ottenere in tal modo le provvidenze previstedalla legge n. 422/95 a favore delle emittenti locali. Ne èseguita una vertenza sindacale, nel corso della quale il presidentedella cooperativa ha ottenuto da parte di un gruppo disoci la sottoscrizione di un documento di condanna dell’operatodel sindacato. Poiché Telenorba ha mantenuto ferma ladecisione di non utilizzare più la cooperativa, questa ha licenziatotutti i soci giornalisti e tecnici, una parte <strong>dei</strong> quali èpassata alle dipendenze di Telenorba; sono rimasti privi dilavoro coloro che non avevano firmato il documento dicondanna del sindacato. In seguito a ciò l’AssociazioneRegionale della Stampa di Puglia e il Sindacato <strong>dei</strong> Lavoratoridella Comunicazione–CGIL hanno promosso davanti alGiudice del Lavoro di Bari un procedimento per repressionedi comportamento antisindacale, in base all’art. 28 St. Lav.,nei confronti di Telenorba S.p.A. sostenendo che essa eral’effettiva datrice di lavoro <strong>dei</strong> soci della cooperativa Comunicazioneed Immagine e che pertanto, in occasione del licenziamento<strong>dei</strong> 60 giornalisti e tecnici, avrebbe dovuto rispettarela procedura prevista dalla legge n. 223/91 in materia diriduzione del personale, informando previamente il sindacatodella sua decisione; le ricorrenti hanno anche affermato cheTelenorba aveva tenuto un comportamento illecitamentediscriminatorio assumendo, dopo il licenziamento, alle suedipendenze, solo i lavoratori che si erano allontanati dalsindacato. Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Bari, dott.ssaAngela Arbore, dopo aver sentito testimoni e acquisito documenti,con provvedimento del 20 ottobre <strong>2000</strong> ha dichiaratol’antisindacalità del comportamento tenuto da TelenorbaS.p.A. e la nullità <strong>dei</strong> licenziamenti, ordinando all’azienda direintegrare tutti i lavoratori e di pagare loro la retribuzionematurata dalla data del licenziamento. Il Giudice ha applicatola legge n. 1369 del 1960, che vieta l’interposizione neirapporti di lavoro, in quanto ha accertato che i soci dellacooperativa sono stati inseriti nell’organizzazione aziendaledi Telenorba S.p.A., e vi hanno operato in condizioni di subordinazione,utilizzando impianti e attrezzature dell’emittente ericevendo disposizioni da dipendenti della medesima. IlGiudice ha ravvisato l’antisindacalità del comportamento diTelenorba nel mancato rispetto delle procedure previste dallalegge n. 223/91 e nell’avere utilizzato, quale criterio di sceltadel personale da eliminare, quello di punire chi non avevasottoscritto il documento di condanna del sindacato.Garante della privacy: “Il tribunale di Trento non può dare i nomi degli emofilici”Trento, 15 novembre. Non si possono diffondere su Internet i nomi degli emofilici parti lesenel processo per il sangue infetto, che sta per aprirsi a Trento, neppure se la scelta del tribunaleè stata dettata da esigenze organizzative basate sul costo delle procedure o sull’ onerositàdegli accertamenti. Lo sostiene il Garante per la privacy, Rodotà.Sollecitato dalla Lila (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids) e dalla Federazione delle AssociazioniEmofilici, Stefano Rodotà ha inviato una nota al ministro di Giustizia in merito allapubblicazione sul sito Internet del tribunale di Trento delle generalità di più di 1.000 personecostituitesi parte civile per aver subito la somministrazione di emoderivati infetti.La Lila di Trento ha diffuso il testo del Garante, in cui si afferma che “la tutela di dati delicati,come quelli relativi allo stato di salute, non può essere affievolita per accordare preferenzaa esigenze organizzative basate sul costo delle procedure o sull’ onerosità degli accertamenti”e si “esprime viva preoccupazione per l’inadeguata sensibilità prestata nei confrontidella riservatezza e della dignità delle persone offese, che sono state rese riconoscibili adun pubblico indeterminato di persone e all’ intera opinione pubblica la cui attenzione è statarichiamata dalla cronaca”. Il Garante “ribadisce il divieto della diffusione indiscriminata didati idonei a rivelare lo stato di salute (art. 23, legge n.675/97) e le elevate garanzie dianonimato riconosciute in particolare alle persone affette da Hiv/Aids (legge n.135/90)edeplora il fatto che ulteriori danni, derivanti dalla diffusione di dati personali e sensibili,possano derivare a persone già offese da gravi fatti-reato”.Infine Rodotà “sottolinea la necessità di integrare con urgenza le norme processuali vigential fine di tutelare con idonee misure organizzative la riservatezza e la dignità delle persone,ciò anche al fine di salvaguardare il diritto di difesa delle vittime di reato, che possono essereindotte a non difendersi proprio per evitare ulteriori danni legati ad un’ampia conoscenzadel proprio stato di salute”.(ANSA)ORDINE 10 <strong>2000</strong>23 (31)

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!