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Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni<br />
separare da quanto precede e da leggere autonomamente: dovremmo allora riconoscervi il saluto<br />
e la benedizione che i pellegrini si scambiano l’un l’altro, che tuttavia non possono essere offerti<br />
agli empi e agli ingiusti. Al di là della difficoltà costituita da questa espressione conclusiva, l’ultima<br />
immagine del salmo rimane comunque chiara. Per gli empi non c’è benedizione ma maledizione.<br />
Da intendersi nel senso originario del termine: dire bene o viceversa dire male. In senso più forte:<br />
dire il bene o dire il male. Il credente in Dio non può confondere i due piani, ma nella luce di Dio<br />
deve essere capace di un vero discernimento, che lo porta anche a denunciare il male ovunque si<br />
manifesti, senza compromessi e senza paure. Non può chiamare bene ciò che invece è male.<br />
13 Salmo 130<br />
L’ultimo salmo è probabilmente il più noto dei tre. Viene anch’esso pregato in modo particolare<br />
nella liturgia dei defunti, ma anche nei secondi vespri del Natale, in cui contempliamo la misericordia<br />
di Dio, celebrata da questo salmo, incarnarsi nella storia umana in Gesù di Nazareth. Appartiene<br />
anch’esso alla serie dei quindici canti delle ascensioni, ma la tradizione cristiana lo considera<br />
anche uno dei sette <strong>salmi</strong> penitenziali (insieme ai <strong>salmi</strong> 6, 32, 38, 51, 102, 143).<br />
Cerchiamo come sempre di cogliere il nesso che lo collega al salmo precedente e all’insieme di<br />
questi quindici <strong>salmi</strong>. Nel salmo 129 il pellegrino ha pregato ricordando una grave situazione di<br />
oppressione da cui il Signore ha liberato lui e il popolo tutto. Il Salmo 130 ci conduce ancora in una<br />
situazione di estrema angoscia e pericolo, addirittura in un abisso profondo, come recita il versetto<br />
iniziale, «dal profondo a te grido, Signore». Dall’insieme del salmo riusciamo però a intuire che<br />
questo abisso è in particolare quello in cui si è gettati a causa del proprio peccato, da questa profondità<br />
abissale si invoca perciò il perdono e la misericordia di Dio. «Se consideri le colpe, Signore,<br />
Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono, perciò avremo il tuo timore». Il <strong>salmi</strong>sta<br />
si trova ancora in preda all’angoscia, ma questa volta non a causa di pericoli esterni che lo minacciano,<br />
o di una persecuzione che lo opprime, ma a motivo del proprio peccato. Leggendo questi<br />
<strong>salmi</strong> abbiamo già avuto modo di notare questa dinamica interna che li attraversa: l’attenzione<br />
della preghiera si sposta continuamente dai pericoli esterni, quelli che possono attentare alla nostra<br />
vita provenendo dal di fuori di noi, ai pericoli interni, che si annidano, come tentazioni o addirittura<br />
come peccati, dentro il nostro cuore. C’è un grido di angoscia che sale a Dio da una terra<br />
straniera, in cui si sperimenta l’ostilità di lingue che vogliono la guerra – il Salmo 120 – ma c’è un<br />
grido che sale a Dio anche dall’angoscia del proprio peccato, come ci ricorda questo salmo. Dio veglia<br />
su entrambe le situazioni e ci libera sia dal peccato che subiamo dagli altri, sia dal nostro stesso<br />
peccato. I <strong>salmi</strong> che stiamo meditando ci offrono sempre questa visione globale, indispensabile<br />
per una fede autentica.<br />
Dopo questa prima osservazione introduttiva, gettiamo uno sguardo globale sul salmo. Possiamo<br />
facilmente suddividerlo in quattro strofe:<br />
i vv. 1-2, con l’invocazione iniziale; qui si stabilisce già il dialogo tra i due interlocutori principali del<br />
salmo: l’orante che grida e il Signore che ascolta;<br />
vv. 2-4: l’invocazione di perdono, nella quale lo sguardo si sofferma su Dio, che è il misericordioso,<br />
colui che perdona. In questa strofa il salmo ci rivela in particolare il volto di Dio, la sua identità più<br />
personale;<br />
vv. 5-6: lo sguardo si sposta sull’altro interlocutore; su colui che prega o, in termini più personali,<br />
sul mio ‘io’ che spera e attende il Signore.<br />
vv. 7-8: nell’ultima strofa, secondo una dinamica tipica di questi <strong>salmi</strong>, lo sguardo si allarga: dal<br />
dialogo tra me e Dio giunge ad abbracciare il popolo intero: come io attendo il Signore, così lo attenda<br />
Israele; come Dio perdona le mie colpe, così perdona i peccati di tutto il popolo, «egli redi-<br />
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