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I salmi dell'ascensione - Decanato

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Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni<br />

quanto alla supplica. Si rende grazie perché il Signore è già intervenuto: «non hanno prevalso» (v.<br />

2); «il Signore è giusto: ha spezzato il giogo degli empi» (v. 4). Il rendimento di grazie motiva e sostiene<br />

poi l’invocazione: si riconosce che il passato è stato nelle mani di Dio e si domanda che lo sia<br />

anche il futuro: «siano confusi e volgano le spalle – come chi deve battere vergognosamente in ritirata<br />

quando sconfitto in battaglia è costretto a fuggire – quanti odiano Sion». Da sottolineare<br />

l’aggettivo «giusto» riferito a Dio: egli è il misericordioso, ma la sua misericordia si esprime anche<br />

nel suo operare la giustizia nella storia, salvando gli oppressi e punendo gli oppressori.<br />

Di questo intervento di Dio potremmo mettere in luce tanti aspetti. Mi preme sottolinearne uno<br />

tra gli altri. La giustizia di Dio si manifesta innanzitutto nel suo svelare la verità profonda delle cose,<br />

degli eventi, dei cuori, degli atteggiamenti. In questo caso fa verità sul comportamento degli<br />

empi, mostrando tutta la sua inconsistenza e vacuità. La loro vittoria è solo apparente e illusoria,<br />

perché volgeranno le spalle come chi viene sconfitto in battaglia. Ma è soprattutto la seconda immagine,<br />

quella dei vv. 6 e 7, che fa risaltare questo agire vano e improduttivo. «Siano come l’erba<br />

dei tetti: prima che sia strappata dissecca; non se ne riempie la mano il mietitore, né il grembo chi<br />

raccoglie covoni». Anche se sui tetti può nascere qualche filo d’erba, ben presto dissecca da solo,<br />

non ha radice e consistenza in se stesso. La sua crescita è illusoria, non porterà frutti e non riempirà<br />

la mano del mietitore.<br />

Notiamo la coerenza poetica del salmo, molto bella e suggestiva. All’immagine dell’aratura del v. 3<br />

succede ora al v. 7 l’immagine della mietitura. Ma chi ara con violenza non mieterà con abbondanza.<br />

Se il Salmo 128 ci ricordava la beatitudine del godere dei frutti del proprio lavoro, ora il Salmo<br />

129 ci descrive la maledizione di chi invece pretende di mietere sfruttando e opprimendo il lavoro<br />

di altri.<br />

[Il salmo] sottolinea ancora di più lo sforzo inutile dell’oppressore: è come chi si affatica<br />

per mietere, ma non riesce a raccogliere nulla. Per liberare il povero dalla schiavitù<br />

occorre l’intervento del Signore, per rendere vana e deludente la fatica dell’empio non<br />

è necessario che Dio intervenga. Si affloscia da sola46.<br />

Ricordiamo anche l’immagine conclusiva del salmo 126: la condizione per mietere con abbondanza<br />

nella gioia è seminare nelle lacrime. «Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo» (v. 5; cfr. v. 6).<br />

Con le proprie lacrime, segno sempre del dono di sé, della semina che si fa della propria vita. Al<br />

contrario, chi, anziché le proprie, versa le lacrime di altri, non potrà conoscere la gioia della mietitura<br />

né la sua beatitudine, in cui si rende presente la benedizione sovrabbondante di Dio. Difatti, il<br />

salmo si chiude non con un’immagine di benedizione, ma di maledizione: «I passanti non possono<br />

dire: la benedizione del Signore sia su di voi». Negare la benedizione è come maledire. I passanti<br />

non possono benedire. I “passanti”: potremmo intendere meglio i “pellegrini”, tutti coloro che si<br />

sono recati a Gerusalemme per invocare e ricevere la benedizione di Dio, e che dopo averla ricevuta<br />

si sentono impegnati, come ci ha fatto pregare il Salmo 128, a espanderla dalla propria casa alla<br />

città di Gerusalemme, da Gerusalemme all’intero popolo di Israele. Sono chiamati a portare ad altri<br />

la benedizione di Dio, ma non possono farlo su coloro che vivono nell’empietà di una vita che<br />

opprime e sfrutta la vita di altri.<br />

L’ultimo versetto del salmo rimane un po’ oscuro e di difficile interpretazione. «Vi benediciamo nel<br />

nome del Signore». Secondo alcuni interpreti va letto anch’esso sotto la negazione iniziale: «i passanti<br />

non possono dire… “vi benediciamo nel nome del Signore”». Secondo altri invece sarebbe da<br />

46 B. MAGGIONI, Davanti a Dio, p. 229.<br />

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