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Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni<br />
Ho presentato il dorso ai flagellatori,<br />
la guancia a coloro che mi strappavano la barba (50,6)<br />
Il dorso diventa come un campo da arare con la violenza dei flagelli e delle fustigate. Oltre la sofferenza<br />
è chiaro che queste immagini vogliono suggerire l’oltraggio, il degrado, il non essere più riconosciuti<br />
nella propria dignità umana. Non si è altro che suolo, terra da calpestare. Forse è proprio<br />
questo l’aspetto più doloroso della schiavitù e della persecuzione. Lo conferma un’altra possibile<br />
lettura che possiamo dare di questa stessa immagine, non alternativa, ma complementare con<br />
questa prima interpretazione. Lo schiavo spesso era costretto ad arare il campo del proprio padrone,<br />
trascinando lui l’aratro, al posto del bue o di un altro animale da tiro. Perché lavori con più<br />
lena, le frustate gli cadono con violenza sulle spalle. Anche qui emerge l’aspetto oltraggioso e degradante:<br />
l’uomo viene trattato come o peggio di un animale. Ma il Signore è giusto, afferma il<br />
versetto 4: ha spezzato il giogo degli empi. Un giogo imposto sugli schiavi come su buoi o asini. Il<br />
testo ebraico potrebbe essere tradotto più esattamente: ha spezzato le giuntoie dei malvagi, o le<br />
funi che legano all’aratro e che simboleggiano i duri legami della schiavitù.<br />
Prima di giungere a questo intervento liberatore di Dio, dobbiamo osservare che il salmo parla nello<br />
stesso tempo di un’esperienza personale e collettiva. «Dalla giovinezza molto mi hanno perseguitato»,<br />
si dice nel primo versetto, ma subito dopo si aggiunge: «lo dica Israele». Quello che può<br />
dire un “io personale” lo può dire tutto il popolo, l’intero Israele. L’esperienza personale e quella<br />
del popolo sembrano fondersi insieme, l’una richiama l’altra e vi si riconosce. Anche Israele è stato<br />
perseguitato sin dalla sua giovinezza, quando, agli inizi della sua vicenda storica di popolo<br />
dell’alleanza, è stato schiavo e perseguitato in Egitto.<br />
Condividere la sofferenza di un popolo, sapere che la propria oppressione non è isolata ma si fonde<br />
con quella di una intera comunità, è esperienza decisiva di fede, perché la solidarietà nel dolore<br />
e nell’oppressione si apre immediatamente alla confessione di fede nel Dio che è già intervenuto<br />
nella storia del popolo, e dunque interverrà anche nella mia storia personale. Dall’altra parte significa<br />
scoprire che ogni segno di salvezza che mi è donato di assaporare nella mia vita personale non<br />
è mai solamente per me, ma per la vita del popolo e per la più ampia storia degli uomini. Nella<br />
tradizione biblica ed ebraica è avvertita in modo accentuato questa solidarietà, in cui il destino del<br />
singolo non è mai separabile da quello della più ampia comunità degli uomini. Rabbi Natan insegna<br />
che chi mantiene in vita anche una sola persona, la Scrittura glielo accredita come se facesse sussistere<br />
il mondo intero. Viceversa, chi sparge il sangue di un solo uomo è come se spargesse «i sangui»<br />
di tutti gli uomini, perché un solo uomo vale quanto tutta la creazione. Nell’ebraico biblico il<br />
termine sangue, quando si riferisce sia al sangue violentemente sparso, sia al sangue mestruale da<br />
cui viene generata una nuova vita, non viene declinato al singolare, ma sempre al plurale: «i sangui».<br />
La vita e la morte di una sola persona riguardano non solo il suo destino individuale, ma quello<br />
della storia tutta degli uomini. È anche quanto nella tradizione cristiana intendiamo parlando<br />
della comunione dei santi, o della solidarietà nel peccato. Ciò che nel bene o nel male vivo non riguarda<br />
mai solamente me. La misericordia con cui il Signore mi benedice non è solo per me e per<br />
la mia famiglia, ma per la prosperità di Gerusalemme e la pace di Israele, come ci ha ricordato il<br />
salmo precedente; così come il male che subisco o che posso provocare si ripercuote nella storia in<br />
modo molto più ampio di quanto possa immaginare. Questo comporta anche che la sofferenza di<br />
cui posso fare esperienza, non può e non deve mai chiudermi in me stesso, ma aprirmi a una più<br />
ampia compassione.<br />
Il ricordo di questa persecuzione umiliante, secondo una dinamica tipica della preghiera biblica<br />
che abbiamo già potuto riconoscere nei <strong>salmi</strong> precedenti, si apre tanto al rendimento di grazie<br />
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