I salmi dell'ascensione - Decanato

I salmi dell'ascensione - Decanato I salmi dell'ascensione - Decanato

20.11.2012 Views

Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni ci ha condotto in un orizzonte molto quotidiano – la casa con le relazioni familiari; la città con le relazioni più pubbliche e sociali; il lavoro; i figli – per ricordarci che anche in queste situazioni feriali dell’esistenza umana è indispensabile vivere un sincero e intenso affidamento al Signore. Senza di lui invano fatichiamo, mentre se ci affidiamo a lui, quasi addormentandoci nelle sue braccia, possiamo sperimentare il suo dono, nel modo con cui il Signore da il pane ai suoi amici nel sonno. Se il Salmo 127 insiste pertanto sul tema dell’affidamento, attirando l’attenzione in particolare sul suo versante per così dire “negativo”, cioè su quella fatica vana vissuta senza il Signore (per tre volte, quasi con insistenza ostinata, il Salmo 127 ripete “invano”), il Salmo 128 ci fa indugiare invece sul versante positivo di questo affidamento, mostrandoci qual è invece la benedizione e la beatitudine che il Signore destina a coloro che confidano in lui. Beatitudine e benedizione che sono come il vero pane che egli dona ai suoi amici nel sonno. Questo è un primo aspetto con cui il Salmo 128 completa il salmo precedente. Possiamo subito coglierne anche un secondo: il Salmo 127 ci ha parlato degli amici del Signore, di coloro che vivono nella dipendenza confidente dalla sua mano. Il Salmo 128 ora approfondisce che cosa significhi vivere questa confidenza, o in altri termini chi siano i veri amici del Signore. E risponde a questo interrogativo affermando che sono tutti coloro che «temono il Signore» – in un senso che dovremo capire bene – e «camminano nelle sue vie». Questa infatti è l’immagine con cui il salmo si apre nel suo primo versetto, subito dopo il titolo: «Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie». Possiamo infine evidenziare un terzo aspetto in cui i due salmi si integrano reciprocamente, sul quale ho già detto qualcosa commentando il Salmo 127, ma che ora, alla luce del Salmo 128, diventa più chiaro ed evidente. Affidarsi al Signore non significa abdicare alle proprie responsabilità; al contrario ci dona una libertà vivace e moltiplica le nostre energie, sapendo che, se non fatichiamo da soli ma ci affatichiamo con lui, la sua stessa possibilità viene ad abitare e a trasformare la nostra impossibilità. Se il Salmo 127 ci rendeva vigilanti su un lavoro vano perché vissuto in modo autonomo e autosufficiente, il Salmo 128 precisa questa prospettiva, ricordando che il lavoro è anche benedizione e, se vissuto nel Signore, diviene motivo di gioia e ragione di vita, come prega il v. 2: «Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d’ogni bene». Vivrai del lavoro delle tue mani e attraverso di esse darai vita alla tua famiglia, alla città, all’intero popolo di Dio, perché il salmo, dalla dimensione domestica si amplia sino a raggiungere Gerusalemme, al v. 5, e poi l’intero Israele, su cui si torna a invocare la pace, al v. 6. La prosperità di Gerusalemme e la pace di Israele dipendono dal dono di Dio che passa però anche attraverso l’impegno delle nostre mani che sanno confidare in lui. Questo sguardo globale fa già emergere i temi principali del salmo: la beatitudine e la benedizione che Dio dona ai suoi amici e che fruttifica nella famiglia, nella città, nel popolo tutto. Riprendiamo adesso in modo più puntuale questi tre aspetti del testo. 11.1 Beatitudine e benedizione Il salmo inizia con un augurio di felicità, espresso nella tipica forma biblica della beatitudine: «beato l’uomo…». Questa felicità più che augurata è annunciata, o rivelata: la parola di Dio ci rivela cioè quali siano le condizioni per una vita autenticamente felice e realizzata. La prima condizione, quella da cui scaturiscono tutte le altre, non consiste in ciò che noi possiamo o dobbiamo fare, ma in ciò che Dio fa per noi. Infatti questo versetto iniziale del salmo va letto insieme al v. 4, in cui si parla della benedizione di Dio: «Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore». In entrambi questi versetti risalta come protagonista l’uomo che teme il Signore, che è beato e benedetto. In lui beatitudine e benedizione coincidono. È chiaro allora che per il salmo l’esperienza umana giunge alla beatitudine e alla felicità piena perché benedetta da Dio e, reciprocamente, che la felicità consiste appunto nella capacità di accogliere, gustare, custodire nella propria vita la benedizione di Dio. Questa beatitudine che nasce dalla benedizione di Dio è per l’uomo che “teme il Signore”. Il timore 39

Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni non è da intendersi come paura, ma come una delle forme della fede. Esso consiste in quel senso vivo di adorazione che viene da una vera conoscenza di Dio, dall’accoglienza della sua rivelazione, la cui essenza è costituita dalla sua onnipotenza misericordiosa. Il rispetto ammirato e l’affetto adorante nei confronti del Dio dell’alleanza conducono ad un’obbedienza libera e convinta, conducono cioè all’osservanza alla sua parola, all’impegno nel «camminare sulle sue vie».41. L’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie non lascia inattivo il dono di Dio, la sua Parola, la sua benedizione, ma li fa fruttificare. La beatitudine che sperimenta infatti non è solo per sé, ma si allarga e si espande a cerchi concentrici, fino a raggiungere realtà sempre più vaste attorno a lui. Il salmo ne ricorda alcune, non per stilare un elenco completo ed esaustivo, ma per esemplificare quale sia il dinamismo e la potenza feconda della benedizione di Dio in colui che la accoglie. In particolare ricorda quattro realtà: il lavoro; la famiglia, con la propria moglie e i propri figli; la città di Gerusalemme l’intero popolo di Israele. 11.2 Il lavoro Il salmo insiste anzitutto sull’idea di un lavoro fecondo, di cui l’intera famiglia possa godere i frutti. Un lavoro sterile è una maledizione, certo una delle delusioni più cocenti della vita. Come pure un lavoro di cui godono altri, non la tua famiglia: per esempio, quando i frutti della tua fatica ti sono tolti da un padrone che ti sfrutta42. C’è un secondo aspetto ricordato da questo versetto 2: «vivrai del lavoro delle tue mani». Nel salmo rimane un po’ implicito, ma è salutare per noi portarlo alla luce: si lavora per vivere, ma questo significa anche che non si vive per lavorare. Il lavoro deve essere ciò di cui si vive, non ciò per cui si vive. Anche il lavoro può e deve diventare, se vissuto nella relazione con Dio, luogo di beatitudine e di felicità, di realizzazione di sé. Le condizioni che impediscono al lavoro di essere tutto questo sono molteplici, e il salmo ce ne ricorda alcune: la prima; non confidare nella benedizione di Dio, ma solo in se stessi; la seconda: condizioni insopportabili di lavoro che altri ci possono imporre, oppure logiche mondane e disumane che ne fanno ambito si sfruttamento, di oppressione, di schiavitù. C’è però anche una terza tentazione: quella di sacrificare tutto al lavoro, dimenticando che il lavoro è fecondo non solo se ci dona di che vivere, ma anche se fiorisce e matura nel più vasto orizzonte delle relazioni umane, a cui è finalizzato e che non può pretendere di sacrificare a se stesso. 11.3 La famiglia e l’intimità domestica Di fatti il salmo proietta subito il lavoro su questo sfondo relazionale, colto nell’orizzonte domestico di una famiglia: «la tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa». Un versetto ricco di immagini, che insistono tutte sulla famiglia. Però di per sé il tema non è la famiglia, ma il senso dell’esistenza. La famiglia – certamente una delle situazioni più importanti e decisive della vita – è qui utilizzata come un esempio illustrativo: 41 Pierantonio Tremolada, ? 42 B. MAGGIONI, Davanti a Dio. I salmi 76-50, Vita e Pensiero, Milano 2002 (= Sestante, 18), p. 227. 40

Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni<br />

non è da intendersi come paura, ma come<br />

una delle forme della fede. Esso consiste in quel senso vivo di adorazione che viene da una<br />

vera conoscenza di Dio, dall’accoglienza della sua rivelazione, la cui essenza è costituita dalla<br />

sua onnipotenza misericordiosa. Il rispetto ammirato e l’affetto adorante nei confronti<br />

del Dio dell’alleanza conducono ad un’obbedienza libera e convinta, conducono cioè<br />

all’osservanza alla sua parola, all’impegno nel «camminare sulle sue vie».41.<br />

L’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie non lascia inattivo il dono di Dio, la sua Parola,<br />

la sua benedizione, ma li fa fruttificare. La beatitudine che sperimenta infatti non è solo per sé, ma<br />

si allarga e si espande a cerchi concentrici, fino a raggiungere realtà sempre più vaste attorno a lui.<br />

Il salmo ne ricorda alcune, non per stilare un elenco completo ed esaustivo, ma per esemplificare<br />

quale sia il dinamismo e la potenza feconda della benedizione di Dio in colui che la accoglie. In particolare<br />

ricorda quattro realtà:<br />

il lavoro;<br />

la famiglia, con la propria moglie e i propri figli;<br />

la città di Gerusalemme<br />

l’intero popolo di Israele.<br />

11.2 Il lavoro<br />

Il salmo insiste anzitutto<br />

sull’idea di un lavoro fecondo, di cui l’intera famiglia possa godere i frutti. Un lavoro sterile<br />

è una maledizione, certo una delle delusioni più cocenti della vita. Come pure un lavoro di<br />

cui godono altri, non la tua famiglia: per esempio, quando i frutti della tua fatica ti sono tolti<br />

da un padrone che ti sfrutta42.<br />

C’è un secondo aspetto ricordato da questo versetto 2: «vivrai del lavoro delle tue mani». Nel salmo<br />

rimane un po’ implicito, ma è salutare per noi portarlo alla luce: si lavora per vivere, ma questo<br />

significa anche che non si vive per lavorare. Il lavoro deve essere ciò di cui si vive, non ciò per cui si<br />

vive. Anche il lavoro può e deve diventare, se vissuto nella relazione con Dio, luogo di beatitudine<br />

e di felicità, di realizzazione di sé. Le condizioni che impediscono al lavoro di essere tutto questo<br />

sono molteplici, e il salmo ce ne ricorda alcune: la prima; non confidare nella benedizione di Dio,<br />

ma solo in se stessi; la seconda: condizioni insopportabili di lavoro che altri ci possono imporre,<br />

oppure logiche mondane e disumane che ne fanno ambito si sfruttamento, di oppressione, di<br />

schiavitù. C’è però anche una terza tentazione: quella di sacrificare tutto al lavoro, dimenticando<br />

che il lavoro è fecondo non solo se ci dona di che vivere, ma anche se fiorisce e matura nel più vasto<br />

orizzonte delle relazioni umane, a cui è finalizzato e che non può pretendere di sacrificare a se<br />

stesso.<br />

11.3 La famiglia e l’intimità domestica<br />

Di fatti il salmo proietta subito il lavoro su questo sfondo relazionale, colto nell’orizzonte domestico<br />

di una famiglia: «la tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti<br />

d’ulivo intorno alla tua mensa». Un versetto ricco di immagini, che insistono tutte sulla famiglia.<br />

Però di per sé il tema non è la famiglia, ma il senso dell’esistenza. La famiglia – certamente una<br />

delle situazioni più importanti e decisive della vita – è qui utilizzata come un esempio illustrativo:<br />

41 Pierantonio Tremolada, ?<br />

42 B. MAGGIONI, Davanti a Dio. I <strong>salmi</strong> 76-50, Vita e Pensiero, Milano 2002 (= Sestante, 18), p. 227.<br />

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