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Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni<br />
anche al v. 4, da alcuni traduttori viene letta in modo diverso rispetto alla traduzione Cei, e probabilmente<br />
in modo più fedele all’intenzione del testo ebraico. La Cei traduce “quando il Signore ricondusse<br />
i prigionieri di Sion”. È possibile leggere diversamente: “quando il Signore cambiò le nostre<br />
sorti”. Analogamente, l’invocazione del v. 4: «cambia, Signore, le nostre sorti, come i torrenti<br />
del Negheb». “Cambiare le sorti” è un’espressione tipica del linguaggio biblico, che quasi sempre<br />
fa riferimento alla liberazione dall’esilio babilonese e al ritorno nella terra dei padri. La usa in particolare<br />
Geremia nei capitoli dal 29 al 33 del suo libro, in cui profetizza il ritorno dall’esilio. Cito solamente<br />
due testi tra tutti: «mi lascerò trovare da voi – dice il Signore – cambierò in meglio la vostra<br />
sorte e vi radunerò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho disperso…vi ricondurrò nel<br />
luogo da dove vi ho fatto condurre in esilio» (Ger 29,14); al capitolo successivo, con cui inizia il cosiddetto<br />
“libro della consolazione” per il popolo in esilio: «ecco, verranno giorni – dice il Signore –<br />
nei quali cambierò la sorte del mio popolo, di Israele e di Giuda – dice il Signore –; li ricondurrò nel<br />
paese che ho concesso ai loro padri e ne prenderanno possesso» (Ger 30, 3)36.<br />
È chiaro dunque che l’espressione iniziale «quando il Signore cambiò le nostre sorti», se leggiamo<br />
così il v. 1, fa comunque riferimento all’esperienza del ritorno degli esiliati dalla cattività babilonese;<br />
è però altrettanto chiaro che rimane una formula ampia, non troppo definita, che può applicarsi<br />
a ogni altra situazione in cui abbiamo bisogno che Dio cambi la nostra sorte. L’immagine stessa<br />
dei torrenti del Negheb conferma questa lettura. Qui dobbiamo immaginare i torrenti del deserto,<br />
i cosiddetti wadi, che sono per lo più aridi. Ma quando arrivano le pioggie, si riempiono di acqua,<br />
in un modo improvviso, quasi insperato, o comunque inatteso. Il loro letto asciutto si riempie sorprendentemente<br />
di acqua che scorre in modo quasi torrenziale, con grande irruenza. L’immagine<br />
del wadi rende così più chiara la preghiera di questo versetto: cambia la nostra sorte così come un<br />
wadi che da arido diventa ricco di acqua impetuosa. Questa immagine dunque evoca anzitutto un<br />
cambiamento improvviso e insperato, che non dipende da noi, che è fuori della nostra portata<br />
come un sogno, e che solo Dio può realizzare. Ma c’è anche un secondo aspetto che viene evocato,<br />
perché l’acqua, specialmente nell’aridità di un deserto, significa vita. Quindi c’è un secondo capovolgimento<br />
più importante del primo: dalla morte alla vita. Dio cambia le nostre sorti in questo<br />
modo: dall’aridità alla fecondità, dalla morte alla vita. La vita di Dio è vita feconda: non solo ci fa<br />
vivere, ma genera nuova vita e ci rende a nostra volta fecondi per la vita di altri.<br />
Anche se la fecondità della vita di Dio segue sempre la logica pasquale di una vita che fiorisce nel<br />
deserto e nell’aridità, persino nell’aridità della morte. Questa è la logica che il salmo evoca nella<br />
sua ultima immagine, quando parla di una gioia che non ignora, ma passa attraverso l’esperienza<br />
delle lacrime e le trasforma dal di dentro in un giubilo. «Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo».<br />
Si semina nelle lacrime perché, nel contesto agricolo in cui il salmo nasce, seminare significava<br />
rinunciare a parte della semente, cioè al cibo per la propria fame, in attesa di un raccolto futuro<br />
e perciò incerto. Significava rinunciare a mangiare oggi nella speranza, ma anche nel rischio di<br />
avere un raccolto più abbondante domani, o a volte dopodomani, in un giorno comunque incerto.<br />
Dunque, qui si parla della gioia che nasce dalle lacrime di un sacrificio, di una rinuncia, di un saper<br />
perdere per poter guadagnare. Davvero è la gioia pasquale di cui parla Gesù nei vangeli sinottici:<br />
«chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del<br />
vangelo, la salverà» (Mc 8, 35). Oppure, con il linguaggio dell’evangelo di Giovanni, ancora più esplicito<br />
e coerente con l’immagine della semina: «se il chicco di grano caduto in terra non muore,<br />
rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Subito dopo Gesù aggiunge: «Chi ama la sua<br />
vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 24-25).<br />
La gioia del raccolto dipende dalle lacrime della semina, ma la vera semina, ci ricorda Gesù, quella<br />
36 Cfr. anche 30,18; 31,23; 32,44; 33,7.11.26.<br />
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