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I salmi dell'ascensione - Decanato

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Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni<br />

Il comportamento di Dio è dunque esattamente capovolto rispetto a quello dei gaudenti e dei superbi:<br />

costoro, che sono in basso come noi e come tutti, si innalzano nella loro superbia per opprimere,<br />

deridere, curvare gli altri nella loro umiliazione; al contrario Dio, il solo che siede nell’alto<br />

dei cieli, è proprio colui che si curva su di noi, e soprattutto su coloro che vivono una condizione di<br />

umiliazione, per avvicinarsi, prendersi cura della loro sofferenza, infine rialzarli e farli sedere accanto<br />

a sé, nell’altro dei cieli, tra i principi del suo popolo, come canta il Salmo 113.<br />

Se Gerusalemme è la casa del Signore lo è proprio perché Egli, che pure abita i cieli, anzi, che i cieli<br />

neppure possono contenere, come prega Salomone nel giorno della dedicazione del tempio da lui<br />

costruito, si china e scende ad abitare in mezzo a noi, per fare pietà ai suoi figli che lo invocano. E<br />

lo fanno in questo modo molto bello, perché sa coniugare insieme l’insistenza e la discrezione,<br />

nell’atteggiamento tipico di chi confida e si affida.<br />

Il gruppo degli umiliati rivolge a Dio un’invocazione pressante (l’imperativo «abbi pietà» è<br />

ripetuto due volte), ma al tempo stesso rispettoso e discreto. Non pretendono che Dio subito<br />

si chini, non gli fissano il tempo. Restano con gli occhi rivolti a lui, in attesa «finché abbia<br />

pietà di noi»25.<br />

6.3 In attesa<br />

Può apparire un dettaglio, ma è importante osservare che si dice non “affinché”, ma “finché”: non<br />

c’è l’affinché della domanda ma il finché dell’attesa. Ancora una volta, come abbiamo visto in altri<br />

testi, la preghiera non rimane solo invocazione, diventa relazione, un modo cioè di stare davanti a<br />

Dio. Il modo giusto di rimanere al cospetto di Dio è quello dell’attesa del suo dono, in un’umile dipendenza<br />

dalla sua mano. Questa mano che, come ci ricordano tanti altri testi biblici, crea, benedice,<br />

protegge, costruisce, dona, libera, rialza.. Lo sguardo fisso alla sua mano è una silenziosa invocazione<br />

di soccorso, ma anche, direi soprattutto, affermazione di una dipendenza. La servitù<br />

non viene percepita come schiavitù, ma come dipendenza. Perché appunto si conosce il volto di<br />

Dio non come quello di uno che si innalza per dominare, ma al contrario si curva per servire il nostro<br />

bene e la nostra vita. Chi prega sa di dipendere nella sua vita da quella mano, sapendo che è<br />

la mano di un Signore che libera e non di un padrone che tiranneggia. Anche questo è un aspetto<br />

fondamentale in ogni nostra preghiera. Il modo con cui ci rivolgiamo a Dio e rimaniamo in relazione<br />

con lui dipende tutto da come conosciamo il suo volto.<br />

Inoltre, fissare la mano del Signore significa rinunciare a usare la propria per farsi giustizia. È attendere<br />

giustizia dalla sua mano senza confidare nell’agire della propria. Il salmo ripropone in un<br />

tipico passaggio biblico, proprio in particolare all’esperienza dell’esodo: dalla schiavitù al servizio.<br />

Non più schiavi degli uomini ma servi di Dio, perché questa dipendenza libera. Il vero problema è<br />

quale signore vogliamo servire? Gli idoli che ci schiavizzano, o l’unico Signore che davvero ci libera?<br />

7 Il Salmo 124<br />

Non abbiamo ora più tempo per leggere e commentare il terzo salmo, il 124. Una sola osservazione<br />

su questo testo. In esso si ricorda l’esperienza di una liberazione di cui si può fare memoria.<br />

Questa esperienza di cui si parla con i verbi al passato, perché la si sa ricordare, fonda la fede nel<br />

presente, espressa nell’ultimo versetto: «il nostro aiuto è nel nome del Signore, che ha fatto cielo<br />

e terra».<br />

Sottolineo soltanto l’importanza della collocazione di questo salmo proprio qui, a questo punto dei<br />

25 B. MAGGIONI, Davanti a Dio, p. 216.<br />

26

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