I salmi dell'ascensione - Decanato

I salmi dell'ascensione - Decanato I salmi dell'ascensione - Decanato

20.11.2012 Views

Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni essere pace, ora porta questa pace a Gerusalemme e a tutti coloro per i quali Gerusalemme è meta di desiderio e di incontro. 5.6 La Gerusalemme che scende Noi sappiamo che Gesù stesso, anzi, Gesù soprattutto, lui il vero uomo che può dire, molto più di noi, «io davvero sono pace», lui che porta la pace messianica del regno di Dio, lui stesso è salito a Gerusalemme per portare il suo saluto di pace, che tuttavia Gerusalemme non ha saputo accogliere. Non possiamo non ricordare qui il testo di Luca che narra il pianto di Gesù su Gerusalemme, città incapace di accogliere il suo saluto di pace. 41 Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: 42 «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. 43 Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; 44 abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Luca 19,41-44). Commenta Alonso Schökel Il Signore reca un saluto e un messaggio di pace che «la città della pace» non comprende; è un’ultima occasione che essa rifiuta. Rinnegando il suo destino di pace, che il suo amico (piangendo per essa) le porta, la città apre la strada ai nemici. Smetterà di essere la città «unita e compatta», non resterà pietra su pietra. Per i suoi «fratelli ed amici», Egli porta il saluto di pace (così come i suoi discepoli nell’evangelizzazione di «città» e nell’incontro con «figli di pace», Lc 10). Nella città i «tribunali di giustizia» si apprestano a perpetrare la grande ingiustizia, che è cecità colpevole. Potrà continuare ad essere sua dimora la «casa del Signore nostro Dio»? Pietra su pietra, lo stesso destino raggiungerà il tempio. Allora fallisce definitivamente il destino inscritto nel nome di Gerusalemme? […]Il testo di Luca ha invertito tragicamente questo destino di pace. Ma nome e destino saranno salvato in una nuova prospettiva, quando si comincerà a designare la nuova città, la Gerusalemme celeste20. In modo molto significativo il libro dell’Apocalisse, libro con il quale si conclude l’intera Bibbia, termina con la visione della Gerusalemme celeste che discende dall’alto. Il pellegrino che sale verso Gerusalemme cercandola come città della giustizia e della pace fa invece la scoperta, sorprendente e grata, di contemplare una città che dall’alto scende verso di noi, come dono gratuito di Dio. La Bibbia ebraica, che conosce una diversa disposizione dei libri rispetto al nostro Primo Testamento, si conclude con il secondo libro delle Cronache, che termina con l’editto di Ciro: «Il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e salga!» (2 Cr 36, 23). Al cammino dell’uomo che sale verso Gerusalemme, l’Apocalisse, l’ultimo libro del Nuovo Testamento, risponde con l’immagine delle Gerusalemme celeste che scende verso l’uomo. Il salire dell’uomo è simbolo di tutto il suo impegno nella storia, ma tutto ciò che l’uomo deve fare apre di fatto lo spazio all’accoglienza del dono di Dio che dall’alto discende. Attenzione: soltanto salendo si può percepire ciò che discende. Solo salendo. Il dono di Dio non consegna l’uomo a un’attesa passiva. Lo sollecita al contrario a fare tutto ciò che può e deve fare, perché solo nella sua fatica e nel suo sudore l’uomo può percepire ciò che non è frutto della sua fatica e del suo sudore, ma dono di Dio. Tutto è grazia, ma solo chi molto si affatica giunge a riconoscere che davvero tutto è grazia. 20 L. Alonso Schökel - C. Carniti, I salmi, p. 649. 23

Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni 6 Il Salmo 123 6.1 Pietà di noi Il Salmo 123 ci fa tornare, dall’esperienza della gioia celebrata dal salmo 122, a quella della supplica a motivo di una sofferenza che si patisce. «Pietà di noi, Signore, pietà di noi, già troppo ci hanno colmato di scherni, noi siamo troppo sazi degli scherni dei gaudenti, del disprezzo dei superbi»: questa è la situazione descrittaci nei vv. 3-4. La situazione di sofferenza che il salmo contempla non sembra essere quella di una particolare grave persecuzione. Non si tratta di una situazione di particolare violenza, come la persecuzione o la schiavitù. È una situazione di derisione o di disprezzo. Ma dover sopportare a lungo l’umiliazione può essere peggio della violenza21. Non è di persecuzione a morte, né di sfruttamento; è l’umiliazione costante di chi è sottomesso o subalterno. Situazione ripetibile e ripetuta22. Da questa condizione sgorga la preghiera – pietà di noi – e più ancora un atteggiamento nei confronti del Signore, insieme di fiducia e di dipendenza: «come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni; come gli occhi della schiava, alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio». Come si inserisce questo salmo nel contesto del pellegrinaggio che questi canti ci fanno compiere? Evidenziamo, tra le altre possibili, le due connessioni principali con i testi fin qui letti. Nel salmo 122 abbiamo visto che il pellegrino sale a Gerusalemme cercandovi il luogo del culto e della giustizia. Diviene perciò comprensibile che, appena giunge a Gerusalemme, la prima cosa che faccia sia invocare dal Signore la sua giustizia. C’è un secondo nesso importante, che ci viene offerto dall’immagine degli occhi con cui il salmo si apre: «a te levo i miei occhi, a te che abiti nei cieli». Questi occhi diventano poi uno sguardo fisso sulla mano del Signore, come quello dei servi alla mano dei loro padroni. Quattro volte in appena due versetti ritorna, con grande insistenza, il termine “occhi”. Anche il salmo 121 si apriva con l’immagine di occhi rivolti in alto: «alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto?». Abbiamo visto come questa espressione può rimanere molto ambigua: si cerca un aiuto dall’alto, ma in modo ancora troppo generico e indefinito, perché sulle alture ci sono anche gli idoli. Ora invece, con il salmo 123, il pellegrino, proprio grazie al cammino di fede che ha compiuto, e che lo ha condotto fino a Gerusalemme, la casa dell’unico e vero Dio, può sciogliere l’ambiguità: gli occhi non si rivolgono genericamente in alto, ma a “te che abiti nei cieli”. Quindi al Signore, che viene ora invocato con il “tu” di un’autentica relazione interpersonale. In questo “a te” della preghiera dobbiamo ascoltare la confidenza e l’intimità di un dialogo ricco di prossimità. L’orante alza gli occhi in alto verso un tu che percepisce approssimarsi, chinarsi verso la sua situazione. Nello stesso tempo questa relazione personale si apre ad altri e diviene comunitaria, perché immediatamente dalla prima persona singolare si passa alla prima plurale: “a te levo i miei occhi” al v. 1; “così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio”, al v. 2. Dai “miei” ai “nostri”: questa è una dinamica presente in ogni preghiera autentica: l’esperienza intima con il Signore non può mai chiudermi in me stesso, ma mi rende partecipe dell’esperienza del Dio di una comunità, di un intero popolo, e quando salgo verso Dio porto sempre a lui la mia vita ma anche le necessità dei miei fratelli e delle mie sorelle. Il mio Dio è davvero tale solo se rimane il Dio nostro, il Dio di tutti. Anzi, occorre dire meglio: più vivo 21 B. Maggioni, Davanti a Dio, pp. 215-216. 22 L. Alonso Schökel - C. Carniti, I salmi, p. 651. 24

Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni<br />

essere pace, ora porta questa pace a Gerusalemme e a tutti coloro per i quali Gerusalemme è meta<br />

di desiderio e di incontro.<br />

5.6 La Gerusalemme che scende<br />

Noi sappiamo che Gesù stesso, anzi, Gesù soprattutto, lui il vero uomo che può dire, molto più di<br />

noi, «io davvero sono pace», lui che porta la pace messianica del regno di Dio, lui stesso è salito a<br />

Gerusalemme per portare il suo saluto di pace, che tuttavia Gerusalemme non ha saputo accogliere.<br />

Non possiamo non ricordare qui il testo di Luca che narra il pianto di Gesù su Gerusalemme,<br />

città incapace di accogliere il suo saluto di pace.<br />

41 Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: 42 «Se avessi compreso<br />

anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.<br />

43 Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti<br />

stringeranno da ogni parte; 44 abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in<br />

te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Luca<br />

19,41-44).<br />

Commenta Alonso Schökel<br />

Il Signore reca un saluto e un messaggio di pace che «la città della pace» non comprende;<br />

è un’ultima occasione che essa rifiuta. Rinnegando il suo destino di pace, che il suo amico<br />

(piangendo per essa) le porta, la città apre la strada ai nemici. Smetterà di essere la città<br />

«unita e compatta», non resterà pietra su pietra. Per i suoi «fratelli ed amici», Egli porta il<br />

saluto di pace (così come i suoi discepoli nell’evangelizzazione di «città» e nell’incontro con<br />

«figli di pace», Lc 10). Nella città i «tribunali di giustizia» si apprestano a perpetrare la<br />

grande ingiustizia, che è cecità colpevole. Potrà continuare ad essere sua dimora la «casa<br />

del Signore nostro Dio»? Pietra su pietra, lo stesso destino raggiungerà il tempio. Allora<br />

fallisce definitivamente il destino inscritto nel nome di Gerusalemme? […]Il testo di Luca ha<br />

invertito tragicamente questo destino di pace. Ma nome e destino saranno salvato in una<br />

nuova prospettiva, quando si comincerà a designare la nuova città, la Gerusalemme celeste20.<br />

In modo molto significativo il libro dell’Apocalisse, libro con il quale si conclude l’intera Bibbia,<br />

termina con la visione della Gerusalemme celeste che discende dall’alto. Il pellegrino che sale verso<br />

Gerusalemme cercandola come città della giustizia e della pace fa invece la scoperta, sorprendente<br />

e grata, di contemplare una città che dall’alto scende verso di noi, come dono gratuito di<br />

Dio. La Bibbia ebraica, che conosce una diversa disposizione dei libri rispetto al nostro Primo Testamento,<br />

si conclude con il secondo libro delle Cronache, che termina con l’editto di Ciro: «Il Signore,<br />

Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un<br />

tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia<br />

con lui e salga!» (2 Cr 36, 23). Al cammino dell’uomo che sale verso Gerusalemme, l’Apocalisse,<br />

l’ultimo libro del Nuovo Testamento, risponde con l’immagine delle Gerusalemme celeste che<br />

scende verso l’uomo. Il salire dell’uomo è simbolo di tutto il suo impegno nella storia, ma tutto ciò<br />

che l’uomo deve fare apre di fatto lo spazio all’accoglienza del dono di Dio che dall’alto discende.<br />

Attenzione: soltanto salendo si può percepire ciò che discende. Solo salendo. Il dono di Dio non<br />

consegna l’uomo a un’attesa passiva. Lo sollecita al contrario a fare tutto ciò che può e deve fare,<br />

perché solo nella sua fatica e nel suo sudore l’uomo può percepire ciò che non è frutto della sua<br />

fatica e del suo sudore, ma dono di Dio. Tutto è grazia, ma solo chi molto si affatica giunge a riconoscere<br />

che davvero tutto è grazia.<br />

20 L. Alonso Schökel - C. Carniti, I <strong>salmi</strong>, p. 649.<br />

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