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Alzo gli occhi verso i monti Salmi delle Ascensioni<br />
«Avete inteso che fu detto dagli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio.<br />
Ma io vi dico: chiunque si adira contro il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio. Chi<br />
poi dice al fratello stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto<br />
al fuoco della Geenna» (Mt 5,21-22).<br />
Anche le parole dell’ira, dell’odio, del disprezzo o della calunnia possono ferire e addirittura sopprimere,<br />
perché esprimono sempre nei confronti dell’altro il desiderio che egli non ci sia, che non<br />
esista più, o che comunque non abbia nulla a che fare con me.<br />
Possiamo ricordare la lettera di Giacomo:<br />
«Così anche la lingua: è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo<br />
fuoco quale grande foresta può incendiare! Anche la lingua è un fuoco […] è un male ribelle,<br />
è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo<br />
gli uomini fatti a somiglianza di Dio. È dalla stessa bocca che esce benedizione e maledizione.<br />
Non dev’essere così, fratelli miei» (cfr Gc 3,1-12).<br />
Colui che prega il Salmo 120 sta sperimentando la violenza di questa maledizione, il fuoco di una<br />
lingua cattiva e falsa, piena di veleno mortale, che stringe la sua vita e le toglie il respiro.<br />
L’invocazione è infatti molto precisa: «libera la mia vita». “Vita” in ebraico è detto con il termine<br />
napšî, che deriva dal termine nefesh, che significa “respiro”: dunque il mio respirare, il mio essere<br />
in vita non semplicemente perché esisto o sopravvivo, ma perché respiro, e in questo respiro c’è<br />
aria, libertà, benevolenza intorno a me. Qui al contrario emerge il dramma di una vita a cui viene<br />
tolto il respiro, che viene come soffocata. Dio crea l’uomo donandogli il suo respiro, la sua stessa<br />
nefesh, secondo il racconto della Genesi.<br />
«allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di<br />
vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7).<br />
La medesima immagine è usata dall’evangelo secondo Giovanni per descrivere la nuova creazione<br />
nella resurrezione del Signore Gesù. Quando egli si manifesta agli Undici nel Cenacolo alita ancora<br />
su di loro e dona il suo Spirito, la sua nefesh, che è potenza di vita e di risurrezione nel perdono dei<br />
peccati. Questo è Dio, questa la potenza della sua Parola che dona respiro e vita. La nostra parola<br />
al contrario rischia talora di togliere il respiro, dare morte, quando è parola di menzogna, di calunnia,<br />
di disprezzo, di odio. Una parola che crea angoscia e male, anziché essere parola di benedizione<br />
e di vita.<br />
3.3 Dio fa giustizia svelando il male<br />
Nella stretta di questa situazione l’orante chiede a Dio di essere liberato. Invoca giustizia, senza<br />
pretendere di farsi giustizia da solo. Anche questo tratto è da osservare. Ciò che vorrebbe fare è<br />
espresso con una domanda – che ti posso dare, come ripagarti, lingua ingannatrice? – ma questa<br />
domanda è portata nella preghiera davanti al Signore e trova la sua risposta nel versetto successivo:<br />
«Frecce acute di un prode, con carboni di ginepro».<br />
Nella preghiera si crea un dialogo autentico tra colui che prega e il suo Dio. Alla domanda del <strong>salmi</strong>sta<br />
è come se Dio stesso rispondesse. Una risposta interiore, che matura dentro le nostre parole,<br />
che però nascono davanti a Dio, in dialogo con lui, e perciò diventano una risposta autentica.<br />
Come se nelle nostre parole ascoltassimo l’eco della parola stessa di Dio che risuona dentro di noi,<br />
nella profondità del nostro cuore che sa rimanere alla sua presenza.<br />
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