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Jan Fabre From the Feet to the Brain - Kunsthaus Bregenz

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La tenda si trasformò pres<strong>to</strong> in un piccolo studio. Da allora in poi, il<br />

terri<strong>to</strong>rio in cui <strong>Jan</strong> <strong>Fabre</strong> si è sempre mosso è l’area nera popolata<br />

dalle creature estinte: un’astrazione che permette agli istinti di vivere<br />

liberamente le loro ossessioni. La tenda rappresenta non solo uno<br />

spazio protettivo, ma è anche un archetipo di rischio, di minaccia e di<br />

perdita che incarna la solitudine dell’artista. Se lo sguardo verso<br />

l’esterno non riesce ad intensificare la propria percezione delle cose<br />

del mondo, c’è però sempre quel sentiero parallelo che conduce<br />

verso l’imperscrutabile pozzo interno, fat<strong>to</strong> di sogni e di visioni, in<br />

cui rifugiarsi.<br />

In questi anni <strong>Jan</strong> <strong>Fabre</strong> ha completa<strong>to</strong> una serie di disegni,<br />

pubblicati nel suo “Libro degli Insetti” del 1990. Uno di questi disegni<br />

indica la direzione che l’opera di <strong>Jan</strong> <strong>Fabre</strong> avrebbe preso. Il foglio di<br />

carta di forma<strong>to</strong> DIN A5 è nero, con soltan<strong>to</strong> una piccola sezione<br />

bianca, nella quale si può leggere la parola “L’instinct”. Sul margine<br />

in al<strong>to</strong> è sta<strong>to</strong> scrit<strong>to</strong> a mano „zwarte neon in nachtelijk grondgebied“<br />

(luce al neon nera in terri<strong>to</strong>rio notturno). Nel terzo inferiore del foglio<br />

campeggiano due nasi che formano una sorta di tenda, “tentje von<br />

neuzen door nchtelijk grondgebied” (piccola tenda di nasi in terri<strong>to</strong>rio<br />

notturno). Il nero estingue tut<strong>to</strong> ciò che è sta<strong>to</strong>, apre lo spazio<br />

all’istin<strong>to</strong> ed ai sogni. Non è un caso che la tenda sia composta da<br />

due nasi – se non ci si può più fidare dei propri occhi, si farà affidamen<strong>to</strong><br />

sul naso.<br />

Due anni prima di erigere la sua tenda, <strong>Jan</strong> <strong>Fabre</strong> era anda<strong>to</strong> a<br />

Bruges, dove aveva scoper<strong>to</strong> i pit<strong>to</strong>ri fiamminghi. Per <strong>Fabre</strong> però il<br />

pun<strong>to</strong> non era guardare a lungo le loro opere per poi essere in grado<br />

di comprenderne tutti i misteri. Anzi, capovolse la relazione tradizionale<br />

tra spetta<strong>to</strong>re e opera: non è solo lui che guarda l’opera, ma è<br />

anche l’opera a guardare lui. <strong>Fabre</strong> fu così travol<strong>to</strong> dal modo diret<strong>to</strong><br />

con cui i pit<strong>to</strong>ri fiamminghi rappresentavano il corpo, cioè il corpo<br />

sofferente e <strong>to</strong>rtura<strong>to</strong>, che – come afferma lui stesso – da allora in poi<br />

la body art e la performance sono diventati gli elementi principali del<br />

suo lavoro.<br />

Ques<strong>to</strong> concet<strong>to</strong> del corpo, su cui pesa l’idea della sot<strong>to</strong>missione<br />

al pericolo e infine anche alla morte, soprattut<strong>to</strong> nel teatro di<br />

<strong>Jan</strong> <strong>Fabre</strong> è affianca<strong>to</strong> dall’immagine di un corpo fat<strong>to</strong> di muscoli,<br />

di sforzo e concentrazione e controlla<strong>to</strong> dalla volontà. Come insetti<br />

che non cessano di muoversi verso una fonte di luce fino a stancarsi<br />

e a morire, i danza<strong>to</strong>ri del suo teatro si muovono nello spazio ermetico<br />

simile a una sca<strong>to</strong>la del palcoscenico, lo riempiono dello stacca<strong>to</strong><br />

regolare dei loro movimenti.<br />

Eckhard Schneider, General Direc<strong>to</strong>r of <strong>the</strong> PinchukArtCentre, Kiev

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