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sentenza della Corte d'Appello di Milano - Lider-Lab

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Non valeva a questo proposito invocare che la <strong>sentenza</strong> medesima era stata frutto<strong>della</strong> decisione collegiale <strong>di</strong> tre giu<strong>di</strong>ci e che, quin<strong>di</strong>, essendo gli altri due componentipacificamente in buona fede, non poteva parlarsi <strong>di</strong> <strong>sentenza</strong> ingiusta o comunque<strong>di</strong> decisione frutto <strong>della</strong> corruzione del giu<strong>di</strong>ce Metta.Il Tribunale testualmente affermava che: ”appartiene, infatti, al notorio presso glioperatori del <strong>di</strong>ritto che, nelle cause civili collegiali, il giu<strong>di</strong>ce relatore, che conoscebene gli atti ed ha stu<strong>di</strong>ato ed approfon<strong>di</strong>to i problemi <strong>di</strong> fatto e giuri<strong>di</strong>ci inerenti lafattispecie in esame, è in una posizione tale da potere quasi sempre influenzare ilresto del collegio e, soprattutto, da potere orientare la <strong>di</strong>scussione in camera <strong>di</strong>consiglio verso le questioni e gli argomenti che egli intende focalizzare”.Nel caso in esame non vi era nessun elemento che potesse far ritenere che si fossederogato a questa regola <strong>di</strong> "notorio". Infatti il Presidente del Collegio, dott.Arnaldo Valente, sia nella sua deposizione al <strong>di</strong>battimento penale in appello, sianella sua deposizione innanzi al giu<strong>di</strong>ce “a quo”, aveva confermato <strong>di</strong> essersipreso l'onere <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are la questione giuri<strong>di</strong>ca (presumibilmente <strong>della</strong> vali<strong>di</strong>tà dei patti<strong>di</strong> sindacato, che erano problema allora molto <strong>di</strong>battuto) su <strong>di</strong>versi testi <strong>di</strong> dottrinae giurisprudenza, ma nulla, né lui né Paolini, avevano detto circa il problema deipoteri decisori <strong>della</strong> <strong>Corte</strong> <strong>di</strong> Appello in sede <strong>di</strong> impugnazione <strong>di</strong> lodo arbitrale rituale<strong>di</strong> equità, che rappresentava il punto veramente focale <strong>della</strong> causa.Certamente, considerava il giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> prime cure, la camera <strong>di</strong> consiglio vi era statae non era stata formale, ma Metta, con ogni probabilità, la aveva orientata sul temadei patti <strong>di</strong> sindacato, la cui vali<strong>di</strong>tà era all'epoca oltremodo <strong>di</strong>battuta, mentre nonsembrava che il Collegio fosse stato dal relatore orientato sull'esame del problema deivizi motivazionali del lodo concretamente censurabili dai giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> appello in quellasede.Per quel che concerneva invece il consigliere Paolini, questi aveva riferito, sia innanzi alTribunale penale, come davanti al giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> prime cure, che, in sostanza, egli avevaletto gli atti regolamentari <strong>di</strong> rito (presumibilmente citazione in appello, comparsa <strong>di</strong>risposta, atto <strong>di</strong> intervento, comparse conclusionali e memorie <strong>di</strong> replica), che Metta49

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