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sentenza della Corte d'Appello di Milano - Lider-Lab

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<strong>di</strong> rara verificazione e che presumibilmente non sarebbero occorsi nel quinquennioin questione; inoltre il patto <strong>di</strong> sindacato “de quo” aveva una particolarità:consisteva sostanzialmente in un accordo che tendeva ad associare una parte, checedeva una sua rilevante partecipazione in AMEF per averne in permuta una del10% circa del capitale <strong>di</strong> azioni or<strong>di</strong>narie <strong>di</strong> AME, alla gestione ed alle decisionidelle società con poteri che, senza detto patto, la parte in questione non avrebbeavuto, dal momento che l'altra parte (CIR) avrebbe avuto già legittimamente ilcontrollo sostanziale del gruppo Mondadori; gli arbitri avevano altresì affermatoche detto patto <strong>di</strong> sindacato non era essenziale nell'economia <strong>della</strong> convenzioneperché riguardava decisioni <strong>di</strong> rara verificazione e che, anche senza <strong>di</strong> esso, leparti ragionevolmente avrebbero concluso la permuta.Ciò detto, che cosa vi fosse <strong>di</strong> illogico nel ragionamento che precedeva, il Tribunalenon riusciva a comprendere. Ma anche a voler ritenere che l'iter argomentativoseguito dagli arbitri non fosse del tutto con<strong>di</strong>visibile, non per questo esso potevaessere definito assente o tacciato <strong>di</strong> assoluta incongruità fino al punto da renderenon rinvenibile la “ratio deciden<strong>di</strong>” del lodo medesimo.Tali argomenti servivano al Tribunale per meglio evidenziare il punto focale <strong>della</strong>ingiustizia <strong>della</strong> <strong>sentenza</strong> <strong>della</strong> CdA <strong>di</strong> Roma perché: 1) affermava che i patti <strong>di</strong>sindacato per cui era lite erano contrari a norme <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico, cherappresentavano principi inderogabili dell'or<strong>di</strong>namento societario, mentre invece glistessi patti erano compatibili con dette norme e principi; 2) affermava che le norme ed iprincipi dell'or<strong>di</strong>namento che la CdA <strong>di</strong> Roma assumeva violati dai patti <strong>di</strong> sindacatoavevano natura <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico, nel senso che rilevava ai fini <strong>della</strong> impugnabilità<strong>di</strong> un lodo <strong>di</strong> equità, quando invece essi non avevano tale natura; 3) sindacava il giu<strong>di</strong>zio,formulato dal lodo, <strong>di</strong> scin<strong>di</strong>bilità fra patti parasociali e promessa <strong>di</strong> permuta, quandoinvece un tale sindacato le era precluso, essendo tra l'altro del tutto infondata lamotivazione addotta a sostegno <strong>della</strong> ritenuta possibilità <strong>di</strong> sindacato; 4) riteneva chela motivazione enunciata dal lodo a fondamento del predetto giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> scin<strong>di</strong>bilitàfosse affetta da vizi così gravi da potersi equiparare ad inesistenza <strong>della</strong> motivazione44

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