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sentenza della Corte d'Appello di Milano - Lider-Lab

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natura del danno, in quanto detto parametro rileva sia per il danno <strong>di</strong>retto eimme<strong>di</strong>ato che per quello da per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> “chance”, che sono due tipi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong>danno risarcibile.Alla luce <strong>di</strong> tali principi, che la giurisprudenza <strong>di</strong> legittimità citata riferisce ad unaipotesi in fatto <strong>di</strong>versa, ma che sono analogicamente rapportabili anche allapresente fattispecie, si deve allora riconoscere, con l’appellante incidentale, che lacorruzione <strong>di</strong> Metta ha privato CIR non tanto <strong>della</strong> “chance” <strong>di</strong> una <strong>sentenza</strong>favorevole, ma, senz’altro, <strong>della</strong> <strong>sentenza</strong> favorevole, nel senso che, con “Mettanon corrotto”, l’impugnazione del lodo arebbe stata respinta.E così è in effetti: da quanto si è fin qui motivato in fatto derivano – con certezzasufficiente ai fini civilistici – le affermazioni che: 1) la <strong>sentenza</strong> <strong>della</strong> <strong>Corte</strong> d’Appello<strong>di</strong> Roma è stata frutto <strong>della</strong> corruzione, 2) la stessa è stata ingiusta e 3) CIR, senza lacorruzione, avrebbe ottenuto una <strong>sentenza</strong> <strong>di</strong> conferma del lodo.Dunque, un nesso imme<strong>di</strong>ato e <strong>di</strong>retto: la relazione causale tra la condotta delgiu<strong>di</strong>ce corrotto, relatore ed apparente estensore, e la <strong>sentenza</strong> ingiusta è stataaccertata in fatto secondo un normale criterio <strong>di</strong> causalità materiale, essendosi cioèritenuto provato che la corruzione ha determinato in concreto un <strong>di</strong>verso esito <strong>di</strong>quel giu<strong>di</strong>zio “collegiale”.E’ evidente, d’altronde, l’errore del Tribunale nell’applicazione delle norme sul nesso <strong>di</strong>causalità: tra l’altro, il primo giu<strong>di</strong>ce sovrapponeva impropriamente, come evidenziatoanche da Fininvest, il piano del nesso eziologico con quello del tipo <strong>di</strong> danno risarcibile: ilcanone del “più probabile che non” giustifica entrambe le ipotesi <strong>di</strong> danno, sia essoimme<strong>di</strong>ato e <strong>di</strong>retto che per per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> “chance”, non valendo esclusivamente per questaseconda ipotesi; l’astratta possibilità, ritenuta dal primo giu<strong>di</strong>ce, <strong>della</strong> emissione <strong>di</strong> una<strong>sentenza</strong> ingiusta anche da parte <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>ci incorrotti – proprio in quanto ipotesi astratta,forse formulata sul presupposto che errare sia comunque umano - non vale ad escludere ilnesso eziologico nella accezione giuri<strong>di</strong>ca sopra in<strong>di</strong>cata. Come correttamente evidenziatoda CIR, “se così fosse, nessun danno sarebbe più integralmente risarcibile come previstodall’articolo 1223 CC”. Allorché, invece, il nesso causale risulti accertato – anche188

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